• Non ci sono risultati.

2.3 Localizzazione e descrizione dell’area di progetto

2.3.1 L’ex IPCA e la sua storia, dalla fondazione alla bonifica

l’IPCA (Industria Piemontese dei Colori alla Anilina) è fondata nel 1922 da alcuni imprenditori milanesi insiemi a due chimici di Ciriè e gli impianti vengono collocati proprio in frazione Borche, ampliando lo stabilimento ormai dismesso dalla locale industria tessile Remmert. Negli anni Trenta l’azienda viene dichiarata industria di interesse bellico, quindi esentata da qualsiasi tipo di controllo, successivamente inizia la produzione dell’anilina malgrado ne fosse già stata dimostrata scientificamente l’azione cancerogena. Nel 1947 l’IPCA apre un secondo stabilimento in regione Battandero, che rimarrà attivo fino al 1959.

Nel 1950 viene fatta prima diagnosi di carcinoma vescicale ad un operaio che muore due anni dopo. e dopo un periodo di silenzio sulla situazione della fabbrica ma iniziano le prime denunce che porteranno alla sospensione della lavorazione della Beta- Naftilamina, negli anni Sessanta, e dell’uso della benzina nel 1967.

Negli anni a seguire altri scoprono la malattia che li sta pian piano uccidendo e comincia l’indagine nei cimiteri della zona. Risultarono 134 decessi solo dal 1968 al 1972.204

Nel 1970 l’IPCA balza improvvisamente all’attenzione della cronaca per un episodio legato all’inquinamento della Stura, torrente in cui la fabbrica scarica i rifiuti della lavorazione di materie coloranti. il comune di Ciriè incomincia ad interessarsi alla situazione e nell’ottobre del 1971 il pretore di Ciriè Enzo Traiano invita un dirigente dell’azienda a nominarsi un difensore. La direzione dell’IPCA rimane indifferente ma nel giugno del 1972 il dirigente dell’azienda finisce in carcere. Il mandato di cattura è motivato dalle seguenti imputazioni: danneggiamento aggravato di pubblica, emissione di sostanze nocive, inosservanza dell’ordinanza del sindaco di Ciriè sugli scarichi, inosservanza delle disposizioni di legge per la pesca in ordine alla scarico senza autorizzazione e allo stordimento e all’uccisione dei pesci, inosservanza delle disposizioni del genio civile sulla revoca della concessione della linea idraulica.

204

142 In seguito alle varie indagini vengono alla luce le condizioni in cui gli operai della fabbrica erano costretti a lavorare, a contatto con sostanze cancerogene quali benzidina e beta-naftilamina, vietate da tempo in altri paesi europei, con l’aggravante che erano stati tenuti all’oscuro anche sulla pericolosità delle modalità cui operavano. Le morti per tumori alla vescica con il passare degli anni crescono e vengono presentate ulteriori denunce contro la fabbrica. Incomincia un processo ed in contemporanea vengono chiusi alcuni reparti di produzione del colore: il reparto blu-verde, reparto violetto- auramina, reparto saframina.

Nel 1977 si conclude il processo con l’emissione della sentenza che condanna a 6 anni di reclusione per omicidio colposo i titolari, i dirigenti dell’azienda e il medico della fabbrica. Le vittime di tumori alla vescica tra gli ex dipendenti dell’IPCA, da una ricerca dell’INAIL, risultano essere 168.

Nel 1982 la fabbrica è chiusa definitivamente; il sito viene inizialmente frazionato in due parti: una acquistata dall’Interchim l’altra acquistata da un immobiliare dove proseguono altre attività industriali ed artigianali.

L’Interchim, nata per la produzione di prodotti chimici e coloranti atossici si è insediata nel 1984 negli stabilimenti dell’IPCA, di cui ha reimpiegato i lavoratori, ha ristrutturato gli impianti ed iniziato o poi la produzione di coloranti atossici nel 1985, impiegando tecnologie innovative nel settore del recupero di vettori energetici e di materie secondarie derivanti da residui e reflui industriali.

Il 7 luglio 1986, un incidente verificatosi nel torrente Stura, che per un giorno aveva assunto una colorazione blu, da inizio ad un preoccupato movimento popolare a sfavore dello stabilimento Interchim. Nonostante l’esito del laboratorio di Analisi Pubblica della U.S.L. n. 27 constatasse la perdita accidentale di colorante costituito da sostanze atossiche che non potevano causare alcun danno alla flora e alla fauna, non si placò il timore della gente e soprattutto di coloro che abitavano nella frazione Borche, vista l’esperienza della vicenda IPCA che aveva lasciato un triste ricordo. Iniziano così le prime proteste riguardanti soprattutto l’installamento dell’inceneritore, sovradimensionato e che si pensava dovesse essere usato da terzi per eliminare rifiuti urbani o speciali. L’inceneritore sarebbe stato messo anche a disposizione della

143 Interchim per la bonifica dell’ambiente dai materiali abbandonati nella fossa dell’ex IPCA e dai residui rimasti dal fallimento della stessa.

In merito alla vicenda dell’autorizzazione per termodistruzione, scesero in campo anche i cittadini per mettere in evidenza il problema di inquinamento ambientale generato dall’attività lavorativa dell’industria Interchim. La conseguenza fu che venne costituito dalla popolazione un Comitato Ciriacese di Controllo Ideologico. La cittadinanza memore della vicenda ex IPCA, prese coscienza del rischio a cui era esposta e a cui si esponeva l’intero ambiente del comprensorio di Ciriè e dei comuni limitrofi. Il comitato pertanto chiedeva di accertare l’esistenza e la regolarità delle necessarie autorizzazioni all’entrata in funzione dell’inceneritore, l’eventuale presenza di irregolarità non solo amministrative nella procedura relativa all’installazione del predetto impianto, adottando, se del caso, tutti gli opportuni e urgenti provvedimenti che il sindaco del Comune di Ciriè potevano ritenere necessari per la salvaguardia della salute dei cittadini e chiedeva inoltre che fosse fatta luce pubblicamente sul tipo di lavorazione già esistente nello stabilimento.

Le diverse parti dell’amministrazione pubblica interessate da tale situazione consideravano il caso una “storia da chiudere” sollecitando la Provincia di Torino ad adottare i provvedimenti di sospensione e revoca delle autorizzazioni rilasciate alla ditta in esame.

Il 13 luglio 1989 la ditta Interchim continuamente influenzata dal difficile rapporto con la cittadinanza per gli aspetti legati all’impatto ambientale e dai problemi economici, dunque trovandosi in una difficile situazione, dichiarò fallimento.

Dopo il fallimento il comune di Ciriè informò gli organi competenti della situazione in cui versava lo stabilimento ricordando per via del pericolo rappresentato dalla ricezione e stoccaggio di rifiuti tossici e nocivi, speciali, liquidi e solidi di ogni tipo e provenienza. Poiché nulla faceva presagire ad un immediato intervento di bonifica dello stabilimento situato peraltro una zona abitata, il Comune invitò chi di competenza ad adottare urgentemente dei provvedimenti a tutela della pubblica salute e incolumità. A seguito delle segnalazioni e sopralluoghi, nel 1993 venne presentato un progetto di bonifica, approvato nel dicembre 1995, che inserì lo stabilimento in piano di bonifica.

144 Il Comune di Ciriè ottiene dal Ministero dell’Interno, nel novembre 1996, un finanziamento di circa 6 miliardi di lire per lo smaltimento dei materiali e delle sostanze tossiche.

Nel 1998 venne effettuato un secondo intervento di bonifica; contemporaneamente ad una campagna di monitoraggio delle acque sotterranee iniziata dall’ARPA locale. Parte dell’area è diventata patrimonio del Comune di Ciriè nel 1998 con una spesa di circa 650 milioni di lire.

A seguito dell’acquisizione, avvenuta con il costante impegno della Avvocatura di Stato, il Consiglio Comunale all’unanimità ha deliberato la variazione della destinazione d’uso dell’area da industriale a servizi.205

205 BENEDETTO Pierpaolo, MASSELLI Graziano, SPAGNOLI Ugo, TERRACINI Benedetto, La

145