• Non ci sono risultati.

L’oppressione delle forze patriarcali tra passato e presente

4. La questione femminile

4.1 L’oppressione delle forze patriarcali tra passato e presente

Immerso nel magico e turbolento clima delle elezioni degli anni Novanta,

Imaginings of Sand si interroga sulla possibilità di un imminente cambiamento per la

situazione delle donne nel contesto socio-politico. Un esempio significativo che rivela la preoccupazione centrale del romanzo è la scena in cui i white farmers incontrano

5 Ivi, p. 228.

138

per la prima volta i futuri leaders dell’ANC. La discussione, alla quale prende parte Kristien, verte proprio sulla questione femminile:

“This country has had many courageous women, black and white,” says Thando in his deep voice. “We needed them in the past and we need them now.”

“Behind every man you still found a woman”, says the mayor’s wife as if she has just thought it up herself.

“Isn’t that the problem?” I ask, heedless. “Why must we always be behind them?”

“Oh, but we hold the real power,” says the magistrate’s wife. “It’s the woman who makes or breaks the man.”

“And is that the only criterion?” I ask. “To measure yourself in terms of what you can or cannot do to a man?”

“We women have already achieved a lot” she retorts. “I’m thinking of Afrikaner women in particular […] We were right beside the men on the Great Trek, were we not? Every inch of the way. And when they were ready to give up it was the women who kept them going […] Even in our own century it was women who proof-read the translation of the Bible, wasn’t it?”

“And who did the translation?” I ask (p. 254).

Degno di nota è soprattutto il momento in cui Nomaza, una delle donne nere presenti, solleva una questione fondamentale sul ruolo delle donne nella futura società democratica, instaurando un evidente parallelismo tra la storia della nazione e la storia della famiglia:

“If you deny women their self-esteem, you end up with a crippled democracy.”

“How come?”

“Because the whole Western model for democracy is the nuclear family […] You have a father who exercises all the authority […] and a mother who’s expected to fulfil herself by living through the others, while their children are treated as their possessions. So how do you expect to arrive at democratic values if your every point of departure is inequality?” (p. 255).

Il dominio patriarcale, in altre parole, si manifesterebbe in primis nel nucleo familiare, cellula fondamentale della società caratterizzata da un’iniqua distribuzione del potere e dei diritti tra i membri di sesso maschile e femminile. Sulla base di un’idea trasversale che interessa tanto le donne afrikaner quanto quelle nere, la donna dovrebbe essere pronta a sacrificare la propria vita per i figli e, soprattutto, per il marito. Si veda, a tal proposito, il momento in cui la delegazione dell’ANC giunge a casa di Ouma Kristina e la stessa Nomaza afferma: “It’s always expected of us black women to honour our men more than ourselves, to regard their sacrifices as more important than

139

our own” (p. 267). Esprimendo la propria solidarietà, Ouma commenta con ironia: “What else is new?” (ibidem).

La società patriarcale assoggetterebbe la donna ad un sistema pervasivo di valori ideologizzati, secondo i quali ella realizzerebbe se stessa e le proprie connaturate aspirazioni in seno alla famiglia. Confinandola al focolare domestico e attribuendole un ruolo ben delimitato, il patriarcato avrebbe contribuito a ridimensionarne la posizione e a rallentare il suo progresso nel mondo delle professioni. Emblematico è il caso di Louisa, madre di Kristien, che non solo deve abbandonare una promettente carriera musicale, ma anche rinunciare al suo lavoro di insegnante non appena il marito lo ritiene consono:

By that time Louisa no longer gave music lessons. While it had been a useful help in paying Ludwig’s studies or complementing his initial meagre earnings, her contribution had been enthusiastically welcomed; but as he began to climb the social ladder he felt it no longer suited his status to have a wife who taught uninterested and uninteresting children to bang away at the piano (pp. 120-1).

Così, a mano a mano che la carriera di magistrato di Ludwig avanza, Louise viene relegata ad un ‘naturale’ stato di sottomissione nel quadro della vita domestica e sociale. Lungi, tuttavia, dal consacrare con gioia la sua vita a quella del marito, Louisa è dilaniata da un conflitto interno “between an increasing urge to withdraw into her own world, and the need to fulfil her role as one of the first ladies in whatever village they happened to live in” (p. 121). L’identità femminile diviene così nient’altro che una performance pubblica, che vede la donna modellata e plasmata da norme ed etichette imposte dall’esterno. I suoi desideri, le sue passioni e la sua vitalità vengono seppelliti sotto l’edificio del conformismo e delle costrizioni sociali. Non sorprende, pertanto, che “in 1959 [Louisa] spent three months at a mental institution in Cape Town to improve a ‘nervous condition’” (ibidem).

Così come Louisa, anche Petronella è condannata ad una vita di reclusione fra le mura domestiche. Animata da un grande fervore religioso, la nonna di Ouma coltiva da sempre il sogno di raggiungere la Terra Promessa viaggiando per mare, elemento naturale che è la sua grande passione. Nel suo cammino, incontra il rispettabile Hermanus Wepener, che promette di condurla con sé nella terra di Canaan. In realtà, una volta sposati e sistematisi nella farm del Little Karoo, l’uomo non adempie la sua promessa poiché “he never took her back to the sea” (p. 104). Così, mentre Wepener

140

ha la libertà di partire per i suoi lunghi viaggi, Petronella si dedica alla cura dei cinque figli e della casa, sebbene “even after forty years of marriage she still regarded this farm as a place of temporary sojourn, a watering place in the desert from which they would eventually set forth to their true destination” (ibidem). Rassegnatasi ad adempiere il ruolo di moglie e madre, Petronella diverrà infine una complice del sistema patriarcale, coprendo i terribili segreti di famiglia e imprigionando la sua stessa figlia nel seminterrato.

Tra i personaggi contemporanei, Anna è indubbiamente destinata a seguire le orme della madre. Mentre è al telefono per chiedere a Kristien di tornare in Sudafrica, la donna deve interrompere la conversazione poiché “Casper says I must hurry up, it costs money” (p. 12), una frase che spinge la sorella a commentare fra sé e sé: “I could imagine him remonstrating authoritatively” (ibidem). Sin dalla sua prima apparizione nel testo, Anna incarna così il prototipo della moglie ubbidiente, abnegante e sottomessa all’autorità del marito, uomo rozzo, violento e sciovinista. Plasmata dalle idee di Casper e trasformata in una ‘macchina riproduttiva’ secondo l’ideologia nazionalista (ha ben cinque figli), Anna è confinata “to the familiar domestic obscurity of [her] ‘predestined place’. To suffer, to cry, to die” (p. 332).

Soffocata da un sistema repressivo che la spinge a sopportare in silenzio le umiliazioni e le violenze del marito, la figura di Anna ci permette di instaurare un nesso essenziale – caratteristico della produzione brinkiana sin dai tempi di An Instant

in the Wind – fra la condizione di assoggettamento della donna e forme di subdola

schiavitù. Emblematico è il momento in cui Kristien, rivolgendosi alla sorella, inveisce con aspre parole: “You might have been a woman still, not just an incubator and a slave” (p. 50). È la stessa Anna, d’altro canto, a riconoscere il suo stato di prigionia: “This isn’t life. It’s worse than a prison […] What is there to live for? Except duties, obligations, responsibilities? And Casper doesn’t understand. He doesn’t understand anything” (p. 54), per poi affermare, in un momento di amara consapevolezza: “There’s no way out, I’m a prisoner. I always have been” (p. 225).

Così come lo schiavo può assumere un nuovo nome non appena viene acquistato da un padrone, anche Anna viene bollata con etichette imposte da ‘patriarchi’: “I don’t even have a name of my own. I started life with Father’s. Then he passed me on to Casper. Like some object of barter” (p. 319). Il romanzo pone così l’accento sul

141

sistema patriarcale di attribuzione del cognome, considerato il segno di un atto di costruzione del soggetto femminile volto a siglare la sua appartenenza all’uomo, prima in qualità di figlia, poi in qualità di sposa. Come commenta Dixon: “This patriarchal act of naming signifies possession and control, disallowing the individual identity of the named”7. Ciò emerge chiaramente in questo amaro ricordo di Ouma Kristina: “Mrs Cornelis Basson. How I fought and fought against that name. It was like cancelling myself” (p. 115)8.

Tanto le parole di Anna quanto quelle di Ouma chiamano in causa uno dei pilastri fondanti dell’istituto patriarcale: il matrimonio. Imaginings of Sand guarda criticamente alla santità e alla monumentalità dell’istituzione matrimoniale, dipingendola come un sistema repressivo che, lungi dal garantire pari diritti e pari opportunità, perpetua la dominazione maschile9. Il patriarcato, infatti, considera i sistemi matrimoniali “as systems of signification, so that women are seen as the words that are exchanged between groups. Women become the ‘conduit of a relationship’ between men […], the medium by means of which the Phallic Law is transmitted”10. Non sorprende, pertanto, che alcune delle protagoniste del romanzo si schierino apertamente contro un commercio volto a renderle ‘monete di scambio’, o che lo sfruttino a proprio vantaggio. Kristien, ad esempio, è un personaggio ribelle, indipendente ed anti-conformista che, sin dall’adolescenza, rifiuta “not only the idea of getting married but that having a husband and children should be the be-all and end- all of my life” (p. 137). Sebbene decida di sposarsi a Londra con un certo Jean-Claude Thompson, la giovane sottolinea che il matrimonio è soltanto “an eminently practical solution” (p. 151) nata dal bisogno di accedere rapidamente ad un permesso di lavoro, aggiungendo poi, con dissacrante ironia, che “[Jean-Claude’s] prowess as a lover, notably in the oral department […] pulled some weight in my decision” (ibidem). In

7 S.DIXON, op. cit., p. 59.

8 Interessante, a tal proposito, potrebbe rivelarsi anche il caso di Kamma, che, dopo aver iniziato a

vivere con Adam e la sua famiglia, viene ribattezzata a Cape Town assumendo così un nuovo nome: “From then on she was Maria, no longer Kamma” (p. 183).

9 Se il diritto consuetudinario africano rendeva le donne nere delle eterne ‘minori’, soggette prima

al controllo del padre e poi a quello del marito e dei suoi parenti, la normativa romano-olandese impose sin dal 1652 il ‘potere coniugale’ del marito, una facoltà che, assieme alla comunione dei beni, dava al marito il controllo del patrimonio della donna, oltre che del proprio, e costringeva la consorte a chiedere permesso scritto per ogni transazione finanziaria (cfr. C. WHITE, “La doppia gabbia delle donne: la

questione dell’eguaglianza”, in Il Nuovo Sudafrica. Dalle strettoie dell’apartheid alle complessità della

democrazia, cit., pp. 284-7).

142

questo modo, Kristien rovescia la ‘sacra’ e idealizzata devozione della donna al marito riducendola all’ambito di straordinarie doti sessuali.

Similmente, Ouma Kristina dichiara la propria estraneità al matrimonio e ad un percorso di vita prestabilito:

I wasn’t interested in settling into matrimony to satisfy others. I’d always been dreaming about something else, something more, something different, even though I couldn’t find the words to explain it […] Marriage after all, for them, had little to do with personal feelings. It was simply a form of barter to strengthen alliances or consolidate wealth or ensure heritage. And a young woman like me was the unit of currency (p. 93).

Dopo essere fuggita con Jethro, l’uomo amato, anche lei finisce comunque per sposarsi con il rispettabile Cornelis Basson, puntualizzando, quasi nei medesimi termini impiegati dalla nipote, che si tratta soltanto di “a purely practical arrangement” (p. 114). La spregiudicata irriverenza di Kristien cede tuttavia il passo ad un’amara riflessione sul sistema patriarcale, accusato, soprattutto all’epoca di Ouma, di non offrire altra alternativa ad una donna se non quella del matrimonio:

[M]ost of us marry […] because we’re not permitted to lead a worthwhile life on our own. So we put up a front. As long as we can derive our worth, our authority from someone else, from a man, we are accepted […] when we try to do it on our own we can shout our heads off but no one pays attention. Not because we don’t speak, but because no one will listen (p. 115).

La stessa Kristien, infatti, riconosce con rabbia: “A woman’s word doesn’t count […] This is still a country ruled by men. Nothing has changed” (p. 36).

L’esercizio della voce come arma contro il silenzio è uno dei temi cardine di

Imaginings of Sand, dove “a search for identification through ‘voice’ is crucial to both

contemporary and ancestral characters”11. La repressione sistematica della voce femminile viene veicolata, innanzitutto, attraverso l’immaginario ornitologico, rispetto al quale avevamo già intravisto qualche legame con la figura della donna (cfr. paragrafo 3.2.1). Soffermandosi sulla simbologia degli uccelli nella letteratura femminile, Ellen Moers ha tracciato un’interessante connessione tra la condizione sociale delle donne e il valore di queste immagini, nelle quali ha scorto una metafora di prigionia, tortura e, soprattutto, forzato silenzio: “of all creatures, birds alone can fly all the way to heaven – yet they are caged. Birds alone can sing more beautifully

143

than human voices – yet they are unheeded, or silenced”12. Le parole della studiosa, pertanto, ci permettono di comprendere il motivo per cui, come afferma Ouma: “There was a special understanding between us [i.e the women] and the birds” (p. 91).

L’habitat naturale degli uccelli sembra essere proprio la farm dell’anziana, descritta come “a veritable ark for a vast variety of bird-life” (p. 9) e rinominata, pertanto, “The Bird Place”. Seguendo la metafora tracciata da Moers, si potrebbe instaurare un’evidente analogia tra l’immagine della casa e quella di una gabbia per gli uccelli, dal momento che la farm non solo tiene prigioniera Rachel nel seminterrato, ma condanna tanto Petronella quanto Ouma ad una vita di reclusione13. Interessante, peraltro, è notare che anche i personaggi che vi abitano assumono caratteristiche ornitologiche: Ouma, ad esempio, non solo si metamorfizza in uccello dopo la morte, ma ne ha anche le sembianze in vita: “a delicately boned birdlike body, her nose beaked, her wispy grey hair for all the world like scraggly feathers in the moulting season” (ibidem). Persino Lizzie, la domestica di famiglia, “resembled more and more an angry brooding hen” (ibidem).

Oltre che mediante la simbologia ornitologica, la condizione di voicelessness è oggettivata nel romanzo attraverso due protagoniste delle storie di Ouma. La prima, Kamma, non può fisicamente pronunciarsi a causa di un atto brutale che le ha reciso la lingua: “She didn’t speak a word. She couldn’t. Her tongue had been cut out” (p. 191). Dal momento che appartiene alla stirpe khoi, Kamma non solo simboleggia la donna silenziata (prefigurando Hannah X, protagonista di un altro romanzo brinkiano simpatizzante con l’ottica femminista, The Other Side of Silence), ma diviene sineddoche di tutti i nativi che hanno perso la voce in quanto repressi dal colonialismo. Un dettaglio particolarmente rilevante a tal proposito è il momento in cui la bellissima giovane viene colpita dal proprio padrone con uno “sjambok” realizzato con “the penis of a buffalo” (p. 182), evidente metafora della crudeltà coloniale fallocentrica.

La figlia di Kamma, Lottie, si fa ulteriore personificazione del forzato silenzio imposto alle donne, dal momento che “in her desperation she spoke to whatever she

12 E.MOERS, “Literary Women” (1986), in M. EAGLETON, Feminist Literary Theory. A Reader,

Blackwell, Oxford 1986, p. 275.

13 Si veda, a tal proposito, il seguente dialogo fra Kristien ed Ouma Kristina:

“But I’ve always thought you loved the house?”

“Of course I did. The way one learns to love one’s cell in prison, I suppose. And this was a prison, make no mistake. My own mother was locked up here” (p. 88).

144

came across, a mouse in the kitchen, a spider in the yard, birds in the trees, stones, brittle glasses. But in the end she stopped speaking altogether, even to herself. Her only remaining language lay in the signs she entered on the silent world” (p. 307). I misteriosi ‘segni’ che la donna ha lasciato nel mondo corrispondono agli infiniti tentativi di ritrovare la propria Ombra, persa per sempre nel momento in cui un

commando boero l’ha strappata con forza alla sua tribù:

All day long she would write these messages for the small creatures to convey to her shadow: signs inscribed on the leaves of succulents, the bark of trees, the mottled surfaces of rocks, or on tracts of sand. It didn’t bother her that these were invariably effaced again – by the wind, by the rarity of rain, by the fierce alternations of heat and cold, by the slow curve of the seasons, the migrations of the creatures of the veld. She would always return, her patience as inexhaustible as her resourcefulness, attempting every time to contrive new languages in the hope that sometime someone would understand and would transmit the messages. And if no one ever understood? asked Hermina. Even then, said Lottie, smiling, it wouldn’t ultimately matter. As she had no shadow any sign she could leave of herself, of her whereabouts, of having been there, would do (p. 306).

In questa incessante ed ostinata ricerca della propria Ombra, Lottie diviene così “the most powerful symbolic representation of the search for a means by which to communicate identity”14, lottando per lasciare le proprie orme in un mondo che ha cercato di renderla invisibile.

Ascoltando la nonna, Kristien comprende pertanto che dietro ai simboli di Lottie, così come in tutte le metafore formulate dall’anziana, si celano “centuries and centuries of struggling and suffering blindly, our voices smothered in our throats, trying to find other shapes in which to utter our silent screams” (p. 332). Tutte le protagoniste delle storie di Ouma, infatti, sono donne prorompenti e creative che, seppur silenziate dalla Storia, cercano di esprimere la loro identità in forme linguistiche alternative: Lottie con i suoi messaggi simbolici, Rachel con i suoi dipinti, Wilhelmina con il suo magico dono della guarigione, Louisa con il suo talento musicale e Petronella con le sue profezie15. L’eccentrica Ouma Kristina, a sua volta, rompe il silenzio diffondendo le sue storie.

14 S.DIXON, op. cit., p. 54. 15 M.R.DOLCE, op. cit., p. 162.

145

Per Anna, invece, la violenza resta l’unico strumento semioticamente rilevante. Rispondendo all’euforica speranza di Kristien subito dopo le elezioni, la donna esprime così la propria disillusione e il proprio senso di vuoto:

“I don’t want to dampen your spirits. But frankly, even if the country does change, what difference can it make to me? I live on a different level, I’m afraid it’s very basic. Man and woman. And that’s not going to change.” A sudden surge of urgency. “Or is it?”

“It must. We’ve got to make it work for us.”

“You may be free to decide to make it work for you, Kristien […] I’m living on a kind of subhuman level. I’m not even a woman any more. I’m just somebody’s wife, somebody’s sister, somebody’s mother” (p. 316).

Incapace di prendere in mano la propria vita e troppo disperata per immaginare una via di fuga per se stessa e per i figli (“there is the children, I can’t leave them behind. And he won’t let go of the boys […] I don’t want them to be like him when they grow up”, p. 244), Anna decide di lanciare un tragico grido di sfida, sterminando la propria famiglia per poi suicidarsi. Il suo ‘io’ altro, vitale e sovversivo, che sussurrava silenziosamente dentro di lei, alla fine è costretto ad urlare per farsi sentire. Come commenta Kristien:

If your tongue is cut out you have to tell your story in another language altogether. This carnage is the only sign she can leave behind, her diary, her work of art. She couldn’t have done it alone. Countless others have

Documenti correlati