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4. La questione femminile

4.4 Limiti e aperture

Dipingere un ‘nuovo’ ritratto femminile non può certo essere un’impresa scevra di rischi, soprattutto se dietro a un tale progetto si nasconde la figura di un uomo. È necessario, pertanto, guardare criticamente ai modi e agli orizzonti di rappresentazione del romanzo per metterne in luce eventuali limiti e possibili idiosincrasie.

Dal quadro complessivo tracciato da Brink emerge innanzitutto un’enfasi forse fin troppo marcata sui riti di passaggio femminili (il ciclo mestruale, il primo reggiseno, la maternità) e una costruzione a tratti utopica della donna che resta, in parte, ancorata a stereotipi. Come analizza Kauer:

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Brink’s feminization of history is […] not free from clichés and binary opposites that might support an essentialist view of femininity. First of all, […] only the women try to transcend the binaries of fact and fiction, of guilt and conscience, of crime and punishment. However, the equation men=stupidity/women=wisdom has led to the allegation that Brink’s world in inhabited by ‘cartoon figures’ […] Apart from the superior female wisdom, another quality of femininity is noticeable: quite frequently, women represent the unknown, retaining a strongly enigmatic quality […] There is an obvious correlation between women’s role as redeemer and their mysteriousness. The essentialist traits in the characterization of Brink’s female protagonists only underline the fact that even in re- imagining a female past one has to rely on existing material. It is not possible to abandon traditional stereotypes completely, only to modify them52.

La rinegoziazione dei ruoli di genere in vista dell’individuazione di nuovi modelli sociali non esula dunque dal dialogo con alcuni concetti tradizionalmente associati al femminile, concetti che non possono essere abbandonati d’emblée, ma che vengono riesaminati.

Resta, tuttavia, il rischio che il processo di ridefinizione si traduca in una nuova visione essenzialista dell’identità femminile. Come osserva Moi:

There is […] a danger of turning a positive, feminist definition of femininity into a definition of femaleness, and thereby falling back into another patriarchal trap. Gratifying though it is to be told that women really are strong, integrated, peace-loving, nurturing and creative beings, this plethora of new virtues is no less essentialist than the old ones, and no less oppressive to all those women who do no want to play the role of Earth Mother53.

Le donne presentate in Imaginings of Sand sono risolute, creative, energiche, solidali e amanti della natura. Sebbene questo ritratto risponda alla volontà di valorizzare la figura femminile, il pericolo è costruire un modello universale di femminilità in cui non tutte le donne necessariamente si riconoscono.

Alcuni dei limiti più evidenti nel ritratto brinkiano della donna riguardano la rappresentazione del corpo e della sessualità. Dal momento che la donna, ‘castrata’ per natura, è stata spesso considerata un ricettacolo passivo del piacere maschile,

Imaginings of Sand mira a riscoprire e celebrare il desiderio femminile – nomade,

attivo, creativo, proliferativo – appellandosi a un eros spesso dirompente e trasgressivo. Promuovere questa sessualità anarcoide può rivelarsi, tuttavia, un’arma a

52 U. KAUER, “The Need to Storify: Re-inventing the Past in André Brink’s Novels”, cit., p. 66. 53 T.MOI,“Feminist, Female, Feminine”, in The Feminist Reader, cit., p. 109.

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doppio taglio, dal momento che, come nota Benstock, “[r]eactivated as a desiring woman’s body, the feminine risks becoming another masculine fantasy of sexual difference”54. In questa prospettiva, anche l’associazione instaurata nel romanzo fra il corpo della donna e la magia non farebbe che continuare ad alimentare certe fantasie e paure dell’uomo sulla sessualità femminile, ‘mistero’ da decifrare e dominare. L’enigma e il desiderio sregolato associati alla donna, in altre parole, avallerebbero le fantasie sessuali e di dominio dell’immaginario maschile.

Un altro aspetto su cui ci siamo soffermati nell’analisi è la particolare connessione fra la donna e la terra. Il romanzo celebra ed esalta la comunione dei corpi femminili con la natura, nella forma di una simbiosi erotica e selvaggia o di un’identificazione quasi mistica e spirituale in armonia con la melodia cosmica. I corpi e le esperienze femminili dotano la donna di una sensibilità e di una consapevolezza speciali, qualcosa di cui l’uomo è invece sprovvisto. In questo modo, Brink sembra paradossalmente accettare e validare certi presupposti misogini e patriarcali secondo cui la donna sarebbe più naturale, più corporea e più in sintonia con i cicli vitali rispetto all’uomo. Il rischio, in altre parole, è ricadere in un circuito analogo a quello che il nostro autore voleva invece sovvertire. Nell’ottica ecofemminista, tuttavia, la particolare ‘intesa’ con l’ambiente non viene interpretata come un tratto essenzialistico nella donna, una sua qualità intrinseca e a lei connaturata, ma come il risultato di un processo storico ben preciso di cui il patriarcato è stato complice. Come osserva Salleh:

[I]t is patriarchal domination that puts women close to nature, while men are seen to be active in the sphere of culture. This process causes women’s experiences and identities to be linguistically mediated by reference to nature. Not only is the feminine psyche constructed differently by this means, but the work roles that women are assigned also revolve around nature […] These roles, in turn, reinforce women’s hands-on knowledge of natural processes55.

Al di là del dibattito sulla questione di un’essenza femminile, il legame viscerale fra la donna e la terra africana solleva un secondo tipo di problematica che, per Sue Kossew, renderebbe ambiguo e controverso il messaggio del testo: “it is this somewhat unproblematic linking of women with the landscape that raises another issue in the politics of the novel. For the narrator is not just a ‘silent or silenced woman in South

54 S. BENSTOCK, Textualizing the Feminine: On the Limits of Genre, University of Oklahoma Press,

Norman and London 1991, p. XVI.

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African history’ […] but is, more specifically, a white Afrikaner woman, Kristien”56. Sotto questa luce, la scena in cui la giovane si immerge nel suolo africano può far pensare a un tentativo di “writing the Afrikaner back into the landscape of Africa”57, siglando pertanto una nuova e legittima ‘conquista’ della terra da parte degli afrikaner. Il paesaggio, in altri termini, diverrebbe un linguaggio che lega la settler woman alla terra58.

A una lettura attenta, d’altro canto, ci accorgiamo che Imaginings of Sand mette chiaramente in discussione la landownership afrikaner attraverso le vicende che riguardano il destino della farm, chiaro simbolo della relazione fra uomo e terra. Malvern van Wyk Smith ha sottolineato che le farms

have a potent cultural valency in any society, particularly if they have been in the possession of the same family or in the ambit of the same community over many generations. The farm is an especially constructed and valorized version of landscape – what might be called farmscape. It is a peculiar combination of nature and nurture, with a highly symbolic and emotive surplus value endowed by the devotion of human agency in the service of basic human needs, and sacralised by a host of archetypal cultural and symbolic association – for instance, closeness to the soil, symbiosis with natural forces, fundamental survival, hallowed historic myths, and (over the last two centuries) the rise in the Western world of a romantic nationalism grounded in specific territory59.

Nel contesto sudafricano, la farm costituisce uno dei simboli più forti dell’identità afrikaner, come dimostra la lunga tradizione letteraria del plaasroman60, volta a

56 S. KOSSEW, “Reinventing History; Reimagining the Novel”, cit., p. 120. 57 Ivi, p. 118.

58 Ivi, p. 120.

59 M. VAN WYK SMITH, “From Boereplaas to Vlakplaas: The Farm from Thomas Pringle to J.M.

Coetzee”, in Strangely Familiar: South African Narratives in Town & Countryside, ed. C. van der Merwe, Content Solutions Online, Stellenbosch 2001, p. 18.

60 Il plaasroman (farm novel in inglese) è uno dei più antichi e praticati sottogeneri romanzeschi

sudafricani, diffusosi soprattutto tra gli anni Venti e Quaranta. La sua importanza è legata al fatto che nel XX secolo il Sudafrica era un paese prevalentemente rurale e agricolo, con l’eccezione di alcuni centri urbani sviluppati quali Johannesburg, Pretoria e Cape Town. Si tratta di un genere che illustra la forte identificazione degli afrikaner con la vita rurale e una marcata idealizzazione della farm, considerata un luogo in cui poter esprimere la propria ‘devozione’ alla terra. Un elemento centrale di questa tradizione letteraria era la pronunciata dicotomia fra campagna e città, percepita come un luogo infernale e labirintico in cui si stava radicando il capitalismo di matrice inglese. Assurta al rango di mito, la farm divenne ben presto un’icona fondazionale, legandosi inestricabilmente all’ideologia nazionalista afrikaner. Tra gli scrittori di maggior spicco del plaasroman possiamo annoverare D.F. Malherbe (Die Meulenaar, 1926), Jochem van Bruggen (con la trilogia Ampie, 1924, 1928, 1942), Abraham Jonker (Die plaasverdeling, 1932), Johannes van Melle (Dawid Booysen, 1933), ‘Mikro’ (con la trilogia Toiings, 1934, 1935, 1944), C.M. van den Heever (Somer, 1935; Laat Vrugte, 1939), I.W. van der Merwe (Boplaas, 1938), Wilma Stockenström (Uitdraai, 1976), fino alla contemporanea Marlene van Niekerk (Agaat, 2004). Sebbene la farm sia sempre stata un simbolo predominante della letteratura afrikaans, la sua ambivalente iconologia ha giocato un ruolo rilevante anche nella produzione

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consolidare “the nexus of the ‘boer’ [farmer] and his ‘plaas’ [farm] as a timeless icon of national and numinous identity, not only validating an unquestioned right to the land but expressing also the very soul of the Afrikaner’s being”61. Tutte le implicazioni culturali ed emotive associate alla farm assumono quindi un rilievo politico in Sudafrica, dal momento che “possession of much of the territory by whites is seen to be controversial if not illegitimate”62. Particolarmente significativo, pertanto, è il fatto che nel nostro romanzo la farm di Ouma Kristina, “which once was the centre of our universe, the spot from which all maps of the world took their bearing, the place where history began” (p. 229), non passi nelle mani di Kristien, ma venga infine ceduta ad una domestica coloured, Trui, accolta come un nuovo membro della famiglia dopo la scoperta di un legame biologico con Ouma Kristina63. Dal momento che la farm era tradizionalmente un simbolo di potere, di possesso e di dominio bianco, il passaggio di proprietà ad una famiglia non-white può essere letto sia come un tentativo di restituzione della terra ai suoi ‘legittimi proprietari’, sia come un emblematico passaggio di testimone che riproduce, a livello microscopico, quello che l’intera nazione si appresta a vivere a seguito delle elezioni.

Il ‘radicamento’ delle donne bianche nel suolo sudafricano non imporrebbe più, dunque, alcun dominio. L’amore verso la terra viene presentato come la base comune su cui forgiare una ‘superidentità’ nazionale che accolga tutti, ex-dominati ed ex- dominatori. Per Brink, infatti, è essenziale che anche la sua ‘tribù’, macchiatasi degli

anglofona, generalmente con un approccio dissacratorio, come dimostrano romanzi quali The Story of

an African Farm (1883) di Olive Schreiner, The Conservationist (1974) di Nadine Gordimer, In the Heart of the Country (1977) e Disgrace (1999) di J.M. Coetzee, The Innocence of Roast Chicken (1996)

di Jo-Anne Richards, fino ai più contemporanei A Blade of Grass (2003) di Lewis DeSoto e Skinner’s

Drift (2005) di Lisa Fugard.

61 M. VAN WYK SMITH, op. cit., p. 18. 62 Ibidem.

63 Trui è la figlia di Lizzie, la vecchia domestica di famiglia che si scopre essere la sorella di Ouma

Kristina. Nel romanzo, infatti, viene rivelato che il nonno di Ouma, Hermanus Wepener, aveva stuprato Lida, la figlia di un black labourer, Salie, e da questo crimine era nata Lizzie. Salie, a sua volta, si era vendicato stuprando la figlia di Wepener, Rachel, e da questo rapporto sarebbe nata Ouma Kristina (pp. 112-3). Trui, dunque, sarebbe nipote di Ouma e zia di Kristien. Scoperta la verità, quest’ultima è decisa a fare giustizia e a riconoscere Trui come legittima proprietaria della farm. Si veda il loro confronto:

“Do you know about your ancestors and mine? […] I’m talking about Ouma and your mother […] So you know?”

“I know nothing about nothing. Leave the dead alone […] Who knows for sure that was what happened? […] We’ve always get along just fine the way we were.”

“With your family living in the little box of a house back there and Ouma’s family in this palace? You call that getting alone fine?”

“One doesn’t interfere with the will of God”.

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aberranti crimini dell’apartheid, trovi un nuovo modo di vivere e collaborare in Sudafrica, riconciliando passato e presente per un futuro pacifico64. Alla supremazia, alla conquista e alla mentalità binaria che ancora vorrebbe dividere ‘vittime’ e ‘perpetratori’, il nostro autore oppone i principi dell’Ubuntu – umanità, generosità, interdipendenza, complementarietà – nella speranza che adesso “[w]e can learn to live like family” (p. 170).

L’ultima e più importante riflessione sulle politiche di rappresentazione del testo riguarda evidentemente la legittimità di un progetto ‘al femminile’ articolato da un autore maschile. La domanda, in altre parole, è se l’uomo possa arrogarsi o meno il diritto di essere femminista. Secondo Moi:

In principle, the answer is yes: men can be feminists – but they can’t be women, just as white can be anti-racist, but not black. Under patriarchy men will always speak from a different position than women, and their political strategies must take this into account. In practice, therefore, the would-be male feminist critic ought to ask himself whether he as a male is really doing feminism a service in our present situation by muscling in on the one cultural and intellectual space women have created for themselves within ‘his’ male-dominated discipline65.

Si tratta, a ben vedere, della stessa problematica spinosa che aveva attanagliato il Brink anti-apartheid, fermamente deciso a parlare in favore del nero pur essendo coinvolto nello stesso sistema che ne aveva soppresso la voce (cfr. paragrafo 1.2). Se prima il rischio era ‘colonizzare’ e reprimere la voce indigena, impedendole di articolare una propria autonoma risposta, adesso il pericolo è ‘appropriarsi’ della voce femminile e dunque patrocinare o travisare la visione della donna.

La responsabilità etica insita nell’atto dello speaking for ci permette di rispondere ad una seconda critica mossa da Kossew, che scorge nel progetto anti-patriarcale del romanzo i segni di un femminismo ‘omogeneizzante’ di matrice europea: “its emphasis on a shared experience of gender oppression, while seeking to incorporate white women into history, is itself complicit in eliding differences between the experiences of white and indigenous women, thus replicating rather than resisting the

64 A proposito della situazione degli afrikaner nel nuovo Sudafrica, Brink ha commentato in

un’intervista: “[Afrikaners] certainly do not need any special consideration or treatment. But nor do they deserve to be thrown away with the garbage of apartheid. Their language, shaped in the mouths of the oppressed and the deprived, slaves and indigenous people, gave a new voice to the African experience”. Cfr. B.MADONDO, op. cit., p. 16.

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exclusionary practices of South African historical discourse”66. In risposta a questa pur legittima osservazione, dobbiamo considerare non solo che Imaginings of Sand offre comunque uno spaccato della società, senza la pretesa di delinearne un quadro complessivo, ma soprattutto che parlare a nome delle donne indigene avrebbe significato per Brink sottoporsi ad un duplice sforzo: non solo superare la dicotomia uomo/donna adottando la prospettiva femminile, ma anche calarsi in quella bianco/nero, finendo così per risultare doppiamente patrocinante. Come osserva Dolce: “With respect and care, he alludes to the community of black women [i.e. Kamma, Nomaza], but does not speak for them in order not to colonize their voice”67. Si tratta, infatti, di un doppio rischio che il nostro autore si sentirà di assumere soltanto sedici anni dopo nel suo ultimo romanzo, Philida, dove adotterà il punto di vista di una schiava nera68.

Posto che lo scrittore possa simpatizzare con l’ottica femminista e schierarsi apertamente contro il dominio patriarcale, viene da chiedersi se egli riesca ad assumere

il punto di vista femminile, immedesimarsi nella donna, ad esempio attraverso il dar

voce alle due narratrici, Kristien ed Ouma Kristina. Formulando la questione nei termini impiegati da Benstock: “Can a man write as a woman? Can he allow the feminine that traverses his subjectivity to emerge without creating a fiction of it? That is, can he write at the limits of his own genre?”69. Se è vero, peraltro, che uomini e donne esperiscono la sessualità diversamente – il piacere maschile sarebbe genitale, mentre quello femminile, come abbiamo sottolineato, più esteso e tattile – come è possibile per l’uomo descriverla dalla sua prospettiva? Nella Author’s Note, d’altro canto, è lo stesso Brink a mostrarsi consapevole dei rischi e dei limiti inerenti all’ottica maschile, mettendo in rilievo il prezioso contributo della moglie: “More than anything

66 S. KOSSEW, “Reinventing History; Reimagining the Novel”, cit., p. 123. 67 M.R.DOLCE, op. cit., p. 165.

68 A proposito di tale progetto, Brink commenterà:

I was very daunted about the whole undertaking, knowing, first of all, how almost impossible it is for a white man to write about, and to imagine himself, into the life of a black woman. All the more so if that woman is a slave. I think part of a writer’s job is to be able to imagine her or himself into the skin of somebody else. That is normal. You can’t pretend to be a writer if you can’t do that, if you’re not prepared to try. But power relations are at play as well. So it took a lot of bloody cheek to dare this.

Cfr. NPR Staff, “Author Interviews: Historical Fiction Gets Personal in Philida”, National

Public Radio, 24 February 2013, heard on All Things Considered. Consultabile in:

http://www.npr.org/2013/02/24/172599636/historical-fiction-gets-personal-in-philida [Ultimo accesso 23 aprile 2017].

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I have written before, this story needed a woman’s hand; and the help of my wife Marésa has been inestimable. Where I have failed to follow her advice the blame is squarely mine”70.

È indubbio, pertanto, che sia in primis la donna a poter scrivere autenticamente di sé, del proprio corpo, della propria esperienza. Come afferma Cixous: “Woman must write her self: must write about women and bring women to writing, from which they have been driven away as violently as from their bodies – for the same reasons, by the same law, with the same fatal goal. Woman must put herself into the text – as into the world and into history – by her own movement”71. A nostro avviso, tuttavia, è essenziale che anche l’uomo entri in simbiosi con la sua parte complementare e si adoperi per adottare una prospettiva androgina. Anche se il ritratto da lui dipinto non sarà mai aderente o autentico come quello offerto dalla donna stessa, esso resterà un tentativo di apertura verso l’Altro, alimentato dalla volontà di accoglierlo finalmente come suo legittimo pari e non più come mera controparte negativa o come presenza ancillare. Qualche anno dopo Imaginings of Sand, il nostro autore esprimerà chiaramente questa idea in The Other Side of Silence, dove il narratore, alter-ego dello stesso Brink, riporterà a galla la vita di un’altra donna dimenticata dalla Storia, Hannah X: “I believe more and more that as a man I owe it to her at least to try to understand what makes her a person, an individual, what defines her as a woman”72.

Nonostante l’ancoraggio a stereotipi, i limiti legati all’ottica maschile e un certo utopismo, uno dei meriti di Imaginings of Sand risiede nel tentativo stesso di ridefinizione e rinegoziazione dell’identità femminile, con l’auspicio di demolire le repressive strutture patriarcali per aprire un dialogo fra uomini e donne in prospettiva futura. Come osserva Kauer: “Tiresome as this task of negotiation and appropriation may sometimes seem in times of transition, the acceptance of existing models is no

70 In un’intervista, l’autore ha rivelato:

My wife and I had tremendous fights about that book [i.e Imaginings of Sand]. I was very careful most of the time to listen to her but there were a few points where I felt that the

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