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L(ucius) Calpurnius [Fe]ronea dono merite

«Lucius Calpurnius diede in dono a Feronia».

Il testo è databile nei decenni finali III sec. a.C. per motivi paleografici (L ad uncino, P a tre tratti, R con occhiello aperto in basso e barra obliqua più breve di quella verticale, S a tre segmenti diritti; la A presenta, invece, una traversa orizzontale) e morfologici (dativo in –a di Feronea). I punti di separazione sono circolari.

La forma merite è attestata nel corso del III sec. a.C. insieme alle varianti meretod / mereto / merito360.

CIL I², 2869; Bloch 1952, 625; Bloch-Foti 1953, 72-73; AE 1953 n. 197; Torelli 1973-1974, 745; Sgubini Moretti 1975 a, 175 n. 43.

Basetta di calcare, mutila nella parte superiore e sinistra, rinvenuta nel 1952 nel corso dei primi scavi nell’area del santuario (le attuali misure sono: h. cm 8,5; largh. cm 7,5; spess. cm 13,2). (Tav. XIV, fig. 2).

--- [---]no [---]af luc(o) mere(to)

Lo stato di conservazione della base rende difficile una sicura integrazione del testo, che, tuttavia, potrebbe non allontanarsi troppo dalla lettura [Fero(niae) do]no / [dedet] af luc(o) / [libes] mere(to), ipotizzata da Torelli. Questa iscrizione

360

conserva l’attestazione, a Lucus Feroniae, dell’espressione af luco361, con la forma arcaica af per ab, che, insieme ai dati paleografici (L ad uncino, R con occhiello aperto in basso e barra obliqua più breve di quella verticale), consente di datare la basetta nei decenni finali del III sec. a.C. Nessuna indicazione cronologica si può ricavare, invece, dalla presenza, nel testo, della E a due tratti verticali, accanto a quella normale.

La formula ab luco è ancora impiegata qualche volta in età imperiale, quando sembra diventata ormai stereotipa362, e in età augustea conosciamo, da un’iscrizione funeraria, un Epigono Volusiano, che fu operi exactor ab Luco Feroniae, curò, cioè, la realizzazione di un’importante opera a Lucus Feroniae363.

CIL I², 2869 b; Sgubini Moretti 1975 a, 175, n. 44.

Basetta quadrangolare di calcare rinvenuta nell’area sacra di Lucus Feroniae, presso la stipe votiva. Risulta danneggiata nella parte destra e in quella superiore, sulla quale, tuttavia, si conserva parte di un foro per il fissaggio della statuetta divelta in antico. Probabilmente manca solo una prima riga, nella quale doveva essere il nome del dedicante, mentre a destra il testo è completo, essendo scalfita solo l’ultima –o di dono (h. cm 4,9; largh. cm 7,6; spess. cm 3,8).

[---]

Feronea dono lubens merto dedit

«[---] a Feronia diede in dono per grazia ricevuta».

Anche questa iscrizione, con L ad uncino, R con occhiello aperto in basso e barra obliqua più breve di quella verticale, O aperta in basso, dativo in –a, è databile ai decenni finali del III sec. a.C. I punti di separazione sono circolari.

CIL I², 2869 a; Sgubini Moretti 1975 a, 173-174, n. 40.

361

Cfr., infra, CIL I² 2867.

362

CIL VI 9974 (ILS 7574); CIL VI 10022, che si riferiscono al romano lucus Libitinae

363

Basetta cilindrica di calcare, modanata alle estremità, rinvenuta nel 1970 nell’area sacra364. Sulla parte superiore sono conservati i resti dei perni di fissaggio di una statuetta votiva, divelta in antico (h. cm 10,5; diam. alla base cm 10). (Tav. XIV, fig. 3).

M(arcus) T(itus) V(ibius) Genucilio(s) Sen. l(ibertus) Feroneai dedit

«Marcus, Titus, Vibius Genucilius liberto di Sen. diede in dono a Feronia».

La forma singolare del gentilizio, con nominativo in –o, concorda col verbo dedit, al singolare, il che fa supporre che la dedica fosse stata posta, in un primo tempo, dal solo Vibius, mentre i praenomina degli altri due dedicanti devono essere stati aggiunti in un secondo momento. Resta tuttora insoluta l’abbreviazione Sen. del prenome del patrono365.

Nell’iscrizione compare il raro gentilizio Genucilius, lo stesso della P(oplia) Cenucilia il cui nome, inciso prima della cottura sotto il piede di un piattello a figure rosse della seconda metà del IV sec. a.C., ha dato il nome alla celebre classe di ceramica dipinta366. In seguito il gentilizio compare in una lettera di Cicerone, databile al 51-50 a.C., nella quale egli raccomanda il suo amico L. Genucilius Curvus al propretore d’Asia367; in età imperiale è attestato a Forum Clodi, nella variante Genicilius368, nota anche da alcune iscrizioni da Roma369.

364

L’indicazione, fornita da Sgubini Moretti 1975 a, 173, che il pezzo fu rinvenuto “presso un muro di età romana che, a nord della zona templare, attraversava l’area sacra”, dovrebbe alludere al muro in opera cementizia documentato nella parte settentrionale del santuario e interpretato come temenos.

365

Nessuna proposta di scioglimento in Salomies 1987, 90. Non è molto chiarificatore neanche il raffronto, proposto nel commento a CIL I², 2869 a, tra il nostro prenome e [---]olanus Se. f., che compare in un mosaico pavimentale da Hadriae (Atri) (CIL I² 1895=CIL IX, 5021): anche di questo prenome non si conosce lo scioglimento. Meno probabile che il lapicida abbia scritto Sen. per errore al posto di Ser(vius). o Sex(tus).

366

CIL I², 2891; Beazley 1947, 175, 2; Del Chiaro 1957, 255. Cfr. anche, senza pretesa di

completezza, Gasperini 1972-1973, 533-535; Cristofani-Proietti 1982, Cristofani 1985, 21; Pietilä-Castrén 1999, con ulteriore bibliografia. Il piattello, conservato a Providence, Rhode Island, è di provenienza sconosciuta, e attribuito, a partire da Del Chiaro, a fabbrica ceretana (Jolivet 1985, 65-66 torna, invece, alla vecchia posizione di Beazley, di una produzione falisca di questo esemplare, adducendo, tra gli alti motivi, proprio la presenza del gentilizio Genucilius a Lucus Feroniae). 367 Cic. Fam. 13, 53. 368 CIL XI, 3304, 3305. 369 CIL VI, 9271, 19019, 19020, 19021, 38421.

L’iscrizione è databile verso la fine del III sec. a.C. Elementi morfologici arcaici sono costituiti dal nominativo in –o e dal dativo in –ai, con la conservazione del dittongo finale. La paleografia presenta, invece, alcune caratteristiche recenziori: la L non è più ad uncino, ma, come la -o, è più piccola delle altre lettere, la R, pur conservando la barra obliqua più breve di quella verticale, ha l’occhiello chiuso, la A ha la traversa orizzontale. I punti di separazione sono circolari.

CIL I², 2869 c; Sgubini Moretti 1975 a, 152,n. 156; Peruzzi 1990, 107.

Basetta cilindrica di calcare frammentaria, mutila in basso e a sinistra, proveniente dall’area sacra. Sono sconosciuti il luogo preciso e l’anno del rinvenimento. Si conserva la parte superiore modanata, sulla cui superficie sono visibile i fori per il fissaggio della statuetta, divelta in antico (h. cm 9; diam. cm 13,5). (Tav. XV, fig. 1).

[---]rcius P(ubliae?) l(ibertus) [Fer]oneae

[---] M[---]

r. 1 [Po]rcius oppure [Ma]rcius L(uciae ?) (Sgubini Moretti); l(ibertae) l(ibertus) (Sgubini Moretti). r. 3 m[erito] (Sgubini Moretti).

«[---]rcius liberto di Publia (?) a Feronia».

Dopo il gentilizio del dedicante è una lettera retroversa, che l’editrice del pezzo legge come L, interpretando il personaggio come liberto di una Lucia, oppure come un liberto di una liberta, che sembra, però, la lettura meno probabile. Anche se questa lettura non è mai stata messa in discussione, bisogna notare, però, che il segno presenta, sulla sinistra, un breve tratto obliquo, leggermente incurvato, che ne rende molto difficile la somiglianza con una L, sia pure retroversa. L’intenzionalità del tratto è evidente dal modo in cui questo si salda, in basso, con la barra orizzontale della lettera, sia dall’accuratezza con la quale gli è stato conferito l’andamento leggermente tondeggiante, che assume prima di interrompersi, con precisione, all’altezza della metà dell’asta verticale sulla destra.

Notiamo, invece, che l’asta verticale e quella orizzontale della lettera non sono perfettamente saldate. Se proviamo a capovolgere l’iscrizione il segno appare chiaramente distinguibile come una P, con occhiello leggermente tondeggiante, aperto in basso e non perfettamente saldato all’asta verticale. Sembra, con ogni evidenza, che ci troviamo dinanzi a una P capovolta e retroversa, che potremmo spiegare come l’associazione di due espedienti grafici370 utilizzati, singolarmente, per evitare fraintendimenti di lettura, spesso per indicare le donne. Se il carattere straordinario di questa attestazione da Lucus Feroniae, per la quale non sembrano esserci paralleli, potesse essere giustificato da un’assenza di una normalizzazione grafica per quest’uso, in tale orizzonte cronologico, il personaggio potrebbe essere, forse, il liberto di una Publia.

Le caratteristiche paleografiche e morfologiche dell’iscrizione, con regolare nominativo in –us e dativo in –ae, consentono una datazione nel corso del II sec. a.C., probabilmente nella prima metà371. I punti di separazione sono circolari.

Sgubini Moretti 1982-1984, 76, nota 14.

Blocco parallelepipedo di travertino messo in opera, capovolto, presso l’angolo sud-orientale della basilica del foro (h. cm 26,5; largh. cm 58; spess. cm 55). (Tav. XV, fig. 2).

c. 4

C6 [ ---]na C(ai) f(ilius) Feroneae donum dat lubens

merito.

« C6[---]na figlio di Caius dà in dono a Feronia per grazia ricevuta».

Il dativo in –ae e la paleografia del testo, con regolare presenza di apicature e con segno di interpunzione quadrangolare a incavo non sembrano accordarsi con la datazione “verso la fine del III sec. a.C.” proposta da Sgubini Moretti.

370

Uno è quello delle lettere retroverse, che sono iniziali di parole abbreviate, scritte in direzione opposta rispetto a quella del testo; l’altro è quello delle lettere capovolte (o con orientamento anomalo), utilizzato per lettere simmetriche (come, ad esempio, la M iniziale di mulier), non suscettibili di scritture retroversa: cfr. Di Stefano Manzella 1987, 151-152.

371

Particolare rilevanza, a questo proposito, assume la presenza dell’interpunzione con quadrangolo reso a incavo. Stando a un recente studio sui tipi di interpunzione nelle iscrizioni latine fino alla fine dell’età repubblicana372, questo segno è documentato per la prima volta a Delfi, nel basamento di pilastro con scene della guerra tra Macedoni e Romani, dedicato da L. Aemilius nel 167 a.C.373 È presente poi a Roma in un’iscrizione di poco successiva al 139 a.C.374 e in età sillana. Anche a uno sguardo superficiale è evidente che, nell’ambito delle dediche rinvenute a Lucus Feroniae, attribuite tutte, genericamente, alla fine del III sec. a.C., cioè prima del disastroso evento del sacco annibalico del 217 a.C.375, questa che stiamo analizzando, e quella successiva si presentano, tra loro, estremamente omogenee per paleografia, formulario, supporto. I due blocchi di travertino, di dimensioni praticamente coincidenti, differiscono completamente per misure, forma e materiale, dalle altre basi votive. Entrambi i testi presentano il formulario di dedica ormai standardizzato nell’espressione donum dat lubens / merito, a differenza delle altre iscrizioni che abbiamo considerato, in ognuna delle quali è una leggera variante della formula. Altro elemento che distingue le due basi, reimpiegate come materiale edilizio, dalle altre iscrizioni votive di Lucus Feroniae è l’interpunzione a quadrangolo incavato, diversa da quella, presente nelle altre, con punto circolare. Quest’ultimo, diversamente dall’altro, è il l’interpunto di più antica attestazione376.

Sulla base di questi elementi la datazione più probabile per le due iscrizioni sembra essere la seconda metà del II sec. a.C.

Noteremo, inoltre, che, a Lucus Feroniae, l’interpunzione con quadrangolo a incavo è attestata, oltre che nelle due dediche, solo nell’iscrizione di Cn. Egnatius, anche questa incisa su travertino, e riutilizzata come materiale da costruzione nella basilica. Anche se il confronto paleografico tra le due dediche private e la monumentale iscrizione di Egnatius non è consentita dal diverso carattere dei

372 Zucca 1994, 134. 373 CIL I², 622. 374 CIL I², 15. 375

Cfr. quanto osservato, in proposito, nel capitolo “I luoghi di culto. Una visione d’insieme”.

376

Zucca 1994, 130-132: La cronologia dell’interpunto rotondo è compresa tra il VI e il I sec. a.C., proseguendo in età imperiale, e con massima attestazione tra il VI e il III-II sec. a.C.

monumenti, motivi paleografici e prosopografici obbligano a datare questo testo alla seconda metà del II sec. a.C.377

Sembra prendere sempre più consistenza, allora, l’ipotesi di un importante intervento di monumentalizzazione del santuario nel corso della seconda metà del II sec. a.C.

Sgubini Moretti 1982-1984, 76, nota 14.

Blocco parallelepipedo di travertino reimpiegato sul muro meridionale del vano a ovest del sacello absidato della basilica. Sulla faccia superiore sono visibili due incassi, con tracce di piombo, per il fissaggio di una statuetta votiva (h. cm 29,5; largh. cm 56,5; spess. cm 58). (Tav. XVI, figg. 1-2).

[---]urius M(arci) f(ilius) Feron(eae) [donum] dat lubens merito.

r. 1 Feron[eae] (Sgubini Moretti); r. 2 [d]at (Sgubini Moretti).

«[---]urius figlio di Marcus dà in dono a Feronia per grazia ricevuta».

L’iscrizione, mutila a sinistra per la presenza di un incavo quadrangolare che vi è stato praticato, presenta una superficie piuttosto abrasa, che tuttavia non impedisce la lettura. I caratteri paleografici sono simili a quelli dell’iscrizione precedente, e anche in questo documento il segno di interpunzione è a quadrangolo a incavo.

L’impaginazione del testo, che termina a destra, dove è completo, al margine della pietra, fa supporre che anche a sinistra la scrittura dovesse iniziare dal bordo. Alla prima riga, dove sono conservate 12 lettere, potrebbe esserci spazio per un massimo di quattro lettere in lacuna, col prenome e l’inizio del gentilizio (ad esempio [M. Vet]urius ?). Mi sembra che alla fine della prima riga il testo potesse terminare poco dopo la –n, che appare più stretta di quelle del rigo inferiore. In questo modo verrebbero fatte salve anche le proporzioni con l’altra base, che appare completa, e, nelle misure conservate, è solo cm 3 più piccola di questa.

377

Infatti, se anche in larghezza questa base fosse maggiore dell’altra di 3 cm, dovremmo immaginare che il blocco, che appare danneggiato nella parte sinistra, dovesse mancare di circa 5 cm, insufficienti per una lacuna delle tre lettere finali del dativo della divinità.

Alla seconda riga, con 15 lettere conservate, considerando che i caratteri sono più piccoli e ravvicinati, sembra possibile l’integrazione [donum]. Notiamo, inoltre, che in questo modo le due righe complete conterebbero, rispettivamente 16 e 19 lettere, mantenendo tra loro la differenza di tre lettere che presentano nel testo attualmente conservato.

L’iscrizione è databile alla seconda metà del II sec. a.C.378

Dal deposito provengo anche dei frammenti ceramici iscritti:

CIL I², 2910; Bloch 1952, 625; Bloch-Foti 1953, 73; AE 1953, n. 198; Foti 1953, 16; Sgubini Moretti 1975 a, 145, n. 140.

Graffito su un frammento di impasto grigio ingabbiato di rosso (h. cm 8,5; largh. cm 7,3), rinvenuto durante lo scavo della stipe nel 1952. Le lettere Fe- sono precedute da un punto.

Fe[ronia].

CIL I², 2910 a; Sgubini Moretti 1975 a, 152, n. 154.

Graffito inciso su un frammento di vaso fittile, proveniente dalla stipe del santuario.

+ea++

Il frammento presenta i resti di 5 lettere di cui solo la seconda e la terza (ea) sono certe. Sgubini Moretti propone una datazione al III sec. a. C.

378

Sgubini Moretti 1975 a, 145-147, n. 142; Colonna 1976, 251.

L’iscrizione è graffita in direzione destrorsa all’interno del fondo di una coppetta a vernice nera (forma Morel 24, III sec. a.C.) rinvenuta durante lo scavo del 1952 nella stipe del santuario (h. cm 4,4).

cavies : uhtav[es---?]

Secondo la prima editrice del pezzo l’iscrizione costituirebbe “la prima attestazione certa del sabino parlato nelle zone prossime all’area falisco-capenate, con un proprio alfabeto”. La completa assenza di testimonianze di lingua sabina nel corso del III sec. a.C. rende, tuttavia, più credibile la lettura di Colonna, secondo cui, invece, si tratta di un testo etrusco. L’ipotesi è del tutto legittimata dal tipo di alfabeto, dalla morfologia, dall’onomastica. Quest’ultima, pur essendo di origine italica, è ben attestata anche in etrusco379.

Fonti archeologiche:

STRUTTURE. Nella più antica area sacra di Feronia, a est del lato orientale del foro, è conservato il basamento quadrato in blocchi di tufo, interpretato come probabile altare repubblicano380. Allineati col lato orientale del basamento sono tre pozzetti sacrificali, ora interrati, mentre a nord di quello sono stati individuati due nuclei in cementizio, di incerta collocazione cronologica381. A nord dei nuclei in cementizio sono stati rinvenuti resti di fondazioni in opera quadrata di tufo riferiti dagli scavatori all’edificio templare382.

Agli inizi degli anni ’70 del ‘900 nel settore sud occidentale del santuario sono state individuate e subito reinterrate alcune strutture tuttora inedite383. L’ingresso dal lato del foro era connesso con un’ampia gradinata, in corrispondenza della quale, all’interno dell’area sacra, è stata individuata “parte di una struttura di età imperiale” di incerta identificazione, che “risultava

379

Per la diffusione del prenome e del gentilizio in area etrusca si rimanda a Colonna 1976.

380

Torelli 1970, 443; Coarelli 1975, 164; Torelli 1980, 34; Gazzetti 1992, 35; Carbonara-Messineo 1994, 35.

381

Cfr., da ultimo, A.M. Sgubini Moretti, in Fastosa rusticatio 1998, 12-13. (Tav. X, figg. 1-2).

382

Cfr. Torelli 1970, 443; Gazzetti 1992, 35 e, con maggiore precisione, A.M. Sgubini Moretti, in Fastosa rusticatio 1998, 12-13.

383

completamente colmata da una grande discarica di materiali di risulta, estesa a interessare anche l’area ad essa circostante”. Poco più a sud si sono rinvenuti i resti di due podi in conglomerato addossati al muro orientale del foro. Si è ipotizzato che questi potessero essere pertinenti a “piccoli sacelli di età tardo-repubblicana”384.

A nord e a est dell’area sacra è stato individuato un muro in opera incerta, rivestito con riproduzioni in stucco di crustae marmoree385. Sono stati rinvenuti, inoltre, rocchi di colonne scanalate e capitelli corinzio-italici in travertino386. Dagli scavi nell’area sacra provengono pochi frammenti di terrecotte architettoniche387 costituiti da un frustulo di lastra di rivestimento con una figura barbata, mutila, rivolta di spalle e raffigurata in una scena di lotta, databile alla seconda metà del II sec. a.C.; un frammento di lastra con Ercole che lotta per la cerva; una testa virile, rivolta di tre quarti verso sinistra, datata dall’editrice del pezzo al III sec. a.C., ma che risponde a moduli stilistico-formali ampiamente documentati nel II sec. a.C. nell’Italia centrale, influenzati dai canoni del ritratto di Alessandro elaborato a Pergamo388; un frammenti di lastra con satiri vendemmianti (I metà I sec. d.C.?).

MATERIALI. statuine bronzee di divinità e di offerenti; votivi fittili consistenti in statuette umane e di animali, teste, votivi anatomici; ceramica a vernice nera e acroma; basette di donario, tra le quali alcune con dediche a Feronia; monete delle serie romano-campane, della serie urbana della prora, e vari nominali di città magno greche, inquadrate nel corso del III sec. a.C.389.

384

Cfr. Sgubini Moretti 1995, 474.

385

Torelli 1970, 443; Torelli 1980, 34; Gazzetti 1992, 35.

386

Torelli 1970, 443; Sgubini Moretti 1975 a, 164-165; Torelli 1980, 34; A.M. Sgubini Moretti, in Fastosa rusticatio 1998, 13-14. (Tav. XVII, figg. 1-2).

387

Sgubini Moretti 1975 a, 164-166.

388

Per confronti di II sec. a.C. col pezzo di Lucus Feroniae cfr. Romualdi 1992, 279, tav. IX a. (testa da altorilievo fittile da Populonia. Rinvenuta nello scavo di un tempio di età tardo-ellenistica dall’acropoli); Ducci 1992, 328, tav. IV (testa di giovanetto compresa tra le terrecotte della Catona, che furono rinvenute nel 1918 nord delle mura medicee di Arezzo). (Tav. XVIII, figg. 1-2).

389

Una parte dei materiali rinvenuti nell’area sacra è pubblicata in Sgubini Moretti 1975 a, 110-153, 164-175. Per le monete cfr., da ultimo, Catalli 1993. Per un’analisi preliminare delle ceramica a vernice nera della stipe: Stanco 2005.

COMPLESSO BASILICALE (AUGUSTEUM)

Fonti epigrafiche:

Di Stefano Manzella 1982; AE 1983, 399; Di Stefano Manzella, in Fastosa rusticatio 1998, 40-42; Papi 2000, 69-70. (Tav. XIX, figg. 1-2).

La presenza a Lucus Feroniae di un tempio di Augusto divinizzato è attestata da un’iscrizione frammentaria su marmo bianco, di cui sono stati individuati due frammenti, riconosciuti come pertinenti allo stesso testo e ricongiunti da Ivan Di Stefano Manzella. Uno dei due (indicato da Di Stefano come fr. a) è attualmente conservato in una villa privata vicino Civita Castellana, ma proviene dal casale di Scorano, secondo la testimonianza di Tomassetti390. L’altro (fr. b di Di Stefano), contiguo al precedente, è stato scoperto, sempre nella località Scorano, durante lo sterro della villa romana dei Volusii Saturnini391. La lastra, tagliata in epoca tarda in un numero imprecisabile di parti, doveva essere collocata al di sopra dell’architrave di ingresso dell’edificio. Si riportano qui di seguito le due ipotesi di lettura proposte dall’editore, il quale, tuttavia, dichiara di propendere per il testo più lungo.

Ipotesi 1 :

[L(ucius) Vo]lusius Q(uinti) f(ilius) Sa[turninus triumvir] [c]enturis equ[itum legendis]

[L(ucius) V]o6lusius L(uci) f(ilius) Sa[turninus consul] [te]mplum divo Augusto [faciundum curaverunt]

Ipotesi 2:

390

Tomassetti 1910-1926, 277; Di Stefano Manzella 1982, 45.

391

[L. Vo]lusius Q. f. Sa[turninus VII vir epulon(um), co(n)s(ul), IIIvir] [c]enturis equ[itum recognoscendis cens(oria) pot(estate)]

[L. V]o6lusius L. f. Sa[turninus co(n)s(ul), augur, proco(n)s(ul) Asiae] [te]mplum divo Augusto [faciundum curaverunt idemq(ue) dedicaverunt]

«Lucius Volusius Saturninus figlio di Quintus, membro del collegio sacerdotale dei sette addetti al sacro banchetto, console, triumviro con potere di censore addetto all’ispezione delle centurie dei cavalieri (in parata)392 e Lucius Volusius Saturninus figlio di lucus, console, augure, proconsole d’Asia curano la realizzazione di un tempio per il divo Augusto e lo dedicarano».

I personaggi menzionati nell’iscrizione sono identificabili con L. Volusius Saturninus Q. f., console suffetto del 12 a.C., e conosciuto anche come patrono della colonia di Lucus Feroniae393, e con suo figlio, omonimo, console suffetto del 3 d.C.394

Ai due, proprietari della vicina villa, rinvenuta nel 1962395, si deve la costruzione del tempio del divo Augusto, da collocare tra il 14 e il 20 d.C., anno della morte di Lucio Volusio padre396.

Fonti archeologiche:

Strutture. L’augusteo della colonia di Lucus Feroniae è stato identificato nell’ambiente a pianta rettangolare absidata posto sul lato nord della basilica del foro397, in una posizione analoga a quella dell’aedes Augusti menzionata da

392

Cfr. Tac. Ann. 3, 30, 1, che ricorda la morte di L. Volusius Saturninus, avvenuta alla fine del 20 d.C., e menziona, tra le altre cariche ricoperte dal personaggio, la censoria…potestate legendis equitum decuris. Per questa carica, che consiste nella supervisione delle centurie dei cavalieri durante la transvectio equitum, cfr. anche Suet. Aug., 37 a proposito del

triumviratum…recognoscendi turmas equitum istituito da Augusto; ILS 9483 (da Synnada, in Frigia), che attesta un IIIvir centuris equitum recognoscendis censoria potestate. (Di Stefano 1982; Di Stefano, in Fastosa rusticatio 1998, 45).

393

PIR² V, 660; Di Stefano Manzella, in Fastosa rusticatio 1998, 40-42.

394

PIR² V, 661.

395

Per la villa cfr. Moretti-Sgubini Moretti 1977; Fastosa rusticatio 1998. Sui Volusii Saturnini cfr. i contributi nel volume I Volusii Saturnini. Una famiglia romana della prima età imperiale, Bari, 1982; Eck 1996.

396

Tac. Ann. 3, 30, 1.

397

Cfr. Simoncini 1962, 1-7; Di Stefano Manzella 1982, 51-52; Sgubini Moretti 1982-1983,