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C) Captazione attraverso lo strumento tecnologico

5. L’utilizzo dei risultati quali prove o quali notitiae

notitiae criminis

Nella sua prima formulazione l’art. 226-quater c.p.p. 1930 (206) vietava l’utilizzo dei risultati delle intercettazioni “quali prove” in procedimenti diversi, conformemente alla previsione della Corte Costituzionale che, con la più volte citata sentenza n. 34 del 1973                                                                                                                

(203) Configura in termini di specialità il rapporto fra gli artt. 238 e 270 c.p.p. A. CAMON, Le intercettazioni nel processo penale, Giuffrè, Milano, 1996, p. 299. (204) N. ROMBI, Circolazione probatoria e diritto al contraddittorio (art. 238

c.p.p.), in Giusto processo, a cura di TONINI , Cedam, 2001, p. 375.

(205) Cass. pen., Sez. Un., 21 giugno 2000, n. 16, in Cass. Pen., 2001, p. 400, con nota di CASSIBBA.

(206) L’articolo 226-quater fu introdotto dall’art. 5 della legge 8 aprile 1974, n. 98,

e recitava “… Le notizie contenute nelle predette registrazioni e verbali non possono essere utilizzate quali prove in procedimenti diversi da quelli per i quali sono state raccolte…”.

(207), in relazione alle risultanze delle intercettazioni, prevedeva l’utilizzo del “solo materiale rilevante per l’imputazione di cui si discute”.

L’art. 8 del D.L. n. 59 del 1978, sostituendo la predetta norma, ha previsto espressamente la possibilità dell’utilizzo, a fini probatori, dei risultati delle intercettazioni (208).

Proprio la dizione “quali prove” cui fa ricorso il legislatore, era stata impiegata successivamente dalla giurisprudenza, quale spunto per l’enunciazione della massima secondo cui non vi erano limiti all’utilizzo “occasionale” delle intercettazioni quali “notitiae

criminis” (209).

Eppure, questa impostazione era osteggiata dalla dottrina formatasi durante la vigenza del codice abrogato, la quale riteneva che, al di là dei casi espressamente previsti, le intercettazioni non potessero mai essere usate in altri procedimenti, nemmeno come notizia di reato (210).

Tali considerazioni sono state riprese, anche in riferimento al codice vigente, da alcuni autori (211) i quali sostengono che la formula “non possono essere utilizzati” inclusa nell’art. 270, 1 co. c.p.p., se messa a confronto con quanto disposto dalla corrispondente disposizione abrogata, suggerirebbe la volontà del legislatore di non far valere le                                                                                                                

(207) Corte Cost., 6 aprile 1974, n. 34, in Giur.cost., 1974, 316, con nota di V. GREVI.

(208) L’articolo modificato prevedeva che Le notizie contenute nelle predette

registrazioni e nei predetti verbali possono essere utilizzate quali prove in procedimenti diversi da quelli per i quali sono state raccolte, se si riferiscono a reati per i quali il mandato di cattura è obbligatorio anche per taluno soltanto degli imputati.

(209) Cass. pen., Sez. II, 06 dicembre 1978, Mucciaccia, in Cass. pen.,1980, p. 819, ove si legge: Le intercettazioni telefoniche, legittimamente eseguite, non possono essere utilizzate come prove in procedimenti diversi da quelli per i quali furono autorizzate. È, tuttavia, consentito utilizzare le notizie, come fatti storici, che permettano al p.m. l’esercizio dell’azione penale, tendente ad accertare l’esistenza di un reato e l'autore di esso, sempre a condizione che si tratti di notizie raccolte durante intercettazioni telefoniche legittime.

(210) G. BOSCETTO, Osservazioni in tema d’inutilizzabilità effettiva delle

intercettazioni telefoniche non utilizzabili, in Riv. Pen., 1982, p. 641.

(211) F. DE LEO, Vecchio e nuovo in materia di intercettazioni telefoniche riguardanti reati non previsti nel decreto di autorizzazione, in Foro It., 1989, p 27.

intercettazioni neppure come notitia criminis, negando qualsiasi loro utilizzo, non solo endo-procedimentale, ma anche pre- procedimentale.

Purtuttavia, come correttamente fatto notare in dottrina (212), tale presunta intentio legis non è mai stata tradotta in un esplicito divieto, come più volte avviene all’interno del codice di rito (è il caso, ad esempio, di quanto previsto dall’art. 333, 3 co. c.p.p.).

Anzi, al contrario, molteplici sono le disposizioni, presenti all’interno del nostro ordinamento, che inducono a ritenere il contrario: l’art. 330 c.p.p., il quale prevede che il pubblico ministero e la polizia giudiziaria prendono notizia dei reati di propria iniziativa; l’art. 347 c.p.p., che prescrive l’obbligo, per gli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria, di riferire senza ritardo gli elementi attinenti la notizia di reato; l’art. 361 c.p., che sanziona l’omessa denuncia di reato da parte del pubblico ufficiale e, infine, la possibilità di migrazione delle notitiae criminis appare persino scontata considerando che, a mente dell’art. 371 c.p.p., al pubblico ministero è concesso lo scambio di atti e di informazioni con uffici diversi che procedono a indagini collegate.

Del resto, la notitia criminis non necessita di alcun fondamento probatorio, considerando che il codice non richiede che, ai fini dell’annotazione nel registro delle notizie di reato, ricorrano particolari presupposti (indizi, fondati sospetti, ecc.). Iscrivendo tale notizia, non si compie dunque una utilizzazione di prove nel senso teorico del termine (213).

L’estraneità alla sfera applicativa del divieto di cui all’art. 270 c.p.p., dell’utilizzo delle intercettazioni disposte in altro procedimento come fonte di notizia di reato, è stata inoltre confermata in occasione di un

                                                                                                               

(212) A. CAMON, Le intercettazioni nel processo penale, Giuffrè, Milano, 1996, p. 283.

celebre intervento del Giudice delle Leggi (214) il quale, nel sostenere l’infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’articolo in discussione sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 112 Cost., rileva come il divieto contenuto nella disposizione sia estraneo al tema della possibilità di dedurre notizie di reato dalle intercettazioni legittimamente disposte nell’ambito di un altro procedimento.

I limiti imposti da detta norma, secondo il ragionamento della Corte, si riferiscono, infatti, soltanto a “processi” diversi e alla utilizzabilità di quei risultati come elementi di prova.

La Corte giunge a questa conclusione dopo aver sottolineato come l’art. 270 deve essere letto integralmente, così da evidenziare i molti elementi testuali da cui desumere che il divieto d’utilizzo sia riferito alle sole prove; infatti segnala come “l’applicazione della procedura

stabilita nell’art. 268 ai commi 6, 7 e 8 ... [richiamata nell’art. 270] ... ha un senso unicamente nella prospettiva che ai risultati delle intercettazioni si attribuisca efficacia probatoria”.

In definitiva, dalle parole della Corte deriva estrema chiarezza al riguardo in virtù del principio, ancor oggi ritenuto valido, secondo il quale nessuna preclusione esiste circa l’utilizzazione delle intercettazioni quale notizia di illecito penale; principio non solo rimasto immutato nel tempo, ma anche richiamato da successive pronunce giurisprudenziali (215).

                                                                                                               

(214) Corte Cost., 23 luglio 1991, n. 336, in Foro it., 1992, p. 2357.

(215) Corte Cost., 24 febbraio 1994, n. 63, in Giur. Cost., 1994, 363; Cass. pen., Sez

II, 24 novembre 1998, Bolici, in Guida dir., 1999, 2, p. 106. In dottrina, P. BRUNO, voce Intercettazioni di comunicazioni o conversazioni, in Dig. Discipl. Pen., Vol. VII, Torino, 1973, p. 176: Qualora un’intercettazione venga regolarmente autorizzata in relazione a una determinata ipotesi criminosa ed emergano dal suo contesto degli elementi che ne richiamino un’altra non sorgono dubbi sul fatto che tali indicazioni costituiscano delle valide notizie di reato, idonee all’iscrizione nel relativo registro e all’instaurazione di un’indagine preliminare. Inoltre egli ammette l’utilizzazione endo o preprocessuale delle notizie emerse nel corso delle intercettazioni illegittimamente eseguite, le quali non possono valere come prova, ma bene possono essere considerate come notitia criminis sulla quale sviluppare ulteriori indagini, e fondare la successiva imputazione. Secondo l’Autore, l’interpretazione che esclude simile utilizzazione,

In dottrina, poi, vi sono autori che distinguono tra intercettazioni rituali e intercettazioni viziate, incidendo tale distinzione sull’utilizzabilità delle stesse, non essendo questa concessa nella seconda ipotesi, o dando luogo, eventualmente, a una mera facoltà in capo al pubblico ministero di muoversi di propria iniziativa ex art. 330 c.p.p. (216).

Del resto, già in vigenza del precedente codice si era affermato che, qualunque sia la fonte da cui il rappresentante dell’accusa abbia attinto per esercitare l’azione penale, quest’ultima è sempre validamente promossa (217).

Ma se, come precedentemente precisato, l’iscrizione della notizia di reato non costituisce utilizzazione in chiave probatoria, è irrilevante che l’intercettazione sia illegittima o meno: il caso cade fuori dalle norme che pongono il divieto d’uso (218).

Inoltre, tale impostazione è anche conforme all’obbligatorietà dell’azione penale sancita dall’art. 112 Cost., il cui esercizio è attribuito al pubblico ministero senza che gli sia consentito alcun

margine di discrezionalità nell’adempimento (219). Tale principio esige che nulla venga sottratto al controllo di legalità effettuato dal giudice e che il pubblico ministero iscriva nell’apposito registro la

                                                                                                                                                                                                                                                               

confonde i compiti tipici del pubblico ministero con le valutazioni spettanti al giudice: le regole del contraddittorio non escludono che il primo possa condurre un’indagine preliminare e, eventualmente, formulare l’imputazione sulla base di informazioni e materiali il cui uso è precluso al secondo.

(216) G. FUMU, L’attività pre-procedimentale del pubblico ministero, in Accusa

penale, a cura di A. GAITO, p. 135.

(217) P. FERRUA, L’iniziativa del pubblico ministero nella ricerca della notitia criminis, in Leg. Pen., 1986, p. 315.

(218) A. CAMON, Le intercettazioni nel processo penale, Giuffrè, Milano, 1996, p.

284 nota 41.

(219) Corte Cost., 28 gennaio 1991, n. 88, in ConsultaOnLine: Ciò comporta non solo il rigetto del contrapposto principio di opportunità che opera, in varia misura, nei sistemi ad azione penale facoltativa, consentendo all’organo dell’accusa di non agire anche in base a valutazioni estranee all’oggettiva infondatezza della notitia criminis; ma comporta, altresì, che in casi dubbi l’azione vada esercitata e non omessa.

notitia criminis di cui è a conoscenza e proceda all’apertura del procedimento (220).

In conclusione, si può osservare come in dottrina si differenzi tra uso processuale-probatorio e uso investigativo di elementi cognitivi

aliunde formatisi.

Basti pensare all’art. 350, 5 co. c.p.p., il quale ammette che le informazioni assunte dalla polizia giudiziaria, in assenza del difensore dell’indagato, pur prive di rilievo processuale e non documentabili, possano comunque essere utili ai fini dell’immediata prosecuzione delle indagini (221).