C) Captazione attraverso lo strumento tecnologico
3. La nozione di procedimento diverso
Nel rispetto della tutela riconosciuta dalla Costituzione alla riservatezza delle comunicazioni deve ritenersi “in via di principio,
vietata l’utilizzabilità dei risultati di intercettazioni validamente disposte nell’ambito di un determinato giudizio come elementi di prova in processi diversi” (175), così come disciplinato dalla prima parte del 1 co. dell’art. 270 c.p.p..
Quest’ultima norma, tuttavia, procede affermando che le risultanze intercettive, se indispensabili all’accertamento dei fatti, possono essere utilizzate in relazione ai delitti per i quali l’arresto il flagranza è obbligatorio, anche se le intercettazioni sono state disposte in procedimenti diversi.
La questione sorta in merito alla locuzione utilizzata dal legislatore (procedimento diverso) si è palesata nel tempo piuttosto delicata, proprio perché decisiva circa l’individuazione dell’ambito di effettiva operatività del divieto di cui trattasi.
(173) Cass. pen., Sez. III, 3 luglio 1991, Cerra, in Foro it., 1992, II, 77.
(174) N. ROMBI, La circolazione delle prove penali, CEDAM, Milano, 2003, p. 220.
Secondo una prima interpretazione (176) il concetto di “procedimento diverso” coinciderebbe con quello di “fatto di reato diverso” e, di conseguenza, tutte le volte in cui si venga a conoscenza di un delitto ulteriore, rispetto a quello per cui era stata ottenuta in origine l’autorizzazione giudiziaria, il procedimento risulterebbe diverso, anche qualora le due res iudicandae, a seguito di una scelta insindacabile del pubblico ministero, dovessero essere trattate e decise unitariamente. Altrimenti, l’utilizzabilità delle intercettazioni sarebbe ancorata solo alla circostanza casuale che il pubblico ministero proceda per il fatto diverso cumulativamente o separatamente.
Ogni volta in cui dalla captazione fonica esperita dovesse emergere un’ipotesi criminosa diversa da quella originaria, scatterebbe il divieto d’uso dell’art. 270 comma 1 c.p.p..
Con l’espressione “procedimento diverso” deve intendersi quello che nasce da una diversa notitia criminis, avente ad oggetto un differente fatto di reato.
Ciò, secondo gli autori, è ricavabile dalla disposizione di cui all’art. 335 c.p.p., che obbliga il pubblico ministero ad una nuova iscrizione nel registro delle notitiae criminis, e quindi all’apertura di un distinto procedimento, ogni qualvolta emerga un nuovo fatto di reato.
Sennonché, collegare la diversità del procedimento al differente numero di iscrizione nel registro delle notizie di reato, comporta dei problemi applicativi non indifferenti, e pecca di eccessivo formalismo. Difatti, innanzitutto, si dovrebbe parlare di diverso
(176) L. FILIPPI, L’intercettazione di comunicazioni, Giuffrè, Milano, 1997. A. CAMON, p. 282. Impostazione abbracciata già dalla giurisprudenza di legittimità, cfr. Cass. pen., Sez. II, 6 dicembre 1978, Mucciaccia, in Cass. Pen., 1980, 819; Cass. pen., Sez. II, 11 dicembre 2012, n. 49930, in CED Cass. Pen., 2012, rv. 253916: “In tema di intercettazioni di conversazioni, ai fini del divieto di utilizzazione previsto dall'art. 270, comma 1, c.p.p., il concetto di diverso procedimento va collegato al dato della alterità o non uguaglianza del procedimento, in quanto instaurato in relazione ad una notizia di reato che deriva da un fatto storicamente diverso da quello oggetto di indagine nell’ambito di altro, differente, anche se connesso, procedimento.”.
procedimento tutte le volte in cui dovesse emergere un nuovo indagato prima non noto, e quindi di inutilizzabilità soggettiva delle risultanze intercettive, ipotesi estranea all’impianto generale della disciplina in materia, la quale, richiedendo ai fini dell’ottenimento dell’autorizzazione dal giudice per le indagini preliminari, la sussistenza di gravi indizi di reato, non esige che sia individuata anche la persona da sottoporre alle indagini.
In secondo luogo, la diversità del procedimento sussisterebbe anche nella ipotesi disciplinata dall’art. 414 c.p.p., attinente la riapertura delle indagini a seguito di un precedente provvedimento di archiviazione, il cui 2 co. prevede che in tale circostanza, il pubblico ministero deve procedere a nuova iscrizione nel registro delle notizie di reato (177).
Si è pertanto ritenuto che più correttamente si sarebbe dovuto fare riferimento al “reato diverso”, inteso come fatto materiale, ulteriore rispetto a quello per il quale era stata disposta l’intercettazione (178).
Tale formula consentirebbe di superare il problema dell’utilizzabilità nei due casi appena enunciati.
Invero, con il termine procedimento deve intendersi la sequenza di atti concernente un’imputazione, ciò anche nei casi di connessione e di collegamento probatorio, di talché i procedimenti sono diversi se lo sono anche i reati, ancorché oggetto di un’unica trattazione.
Contrariamente a tale interpretazione, è stata prospettata una lettura sostanziale dell’espressione “diverso procedimento”, non potendosi considerare tale tutte le volte in cui le fattispecie criminose siano connesse oggettivamente o collegate probatoriamente a quella originaria. Alla luce di ciò, non si può associare la diversità del procedimento a un dato meramente formale (come, appunto, la separata iscrizione nel registro delle notizie di reato), qualora
(177) N. ROMBI, La circolazione delle prove penali, CEDAM, Milano, 2003, p. 224.
l’illecito del procedimento ad quem sia ricollegabile al contesto del reato che abbia, originariamente, legittimato le intercettazioni (179). Piuttosto l’aggettivo “diverso” può essere inteso, in modo non contrastante con le indicazioni linguistiche, come sinonimo di autonomo o separato.
La prospettazione risulta conforme alla giurisprudenza di legittimità maggioritaria, la quale ha interpretato in modo restrittivo la locuzione, individuando in negativo i contorni, così da escludere tutte quelle ipotesi che non potessero essere qualificate come diverse (180).
Nello specifico, secondo il consolidato orientamento
giurisprudenziale, la nozione di diverso procedimento, che determina l’operatività del divieto di utilizzazione previsto dall’art. 270 c.p.p., non equivale a diverso reato. In esso non rientrano le indagini strettamente connesse e collegate, sotto il profilo oggettivo probatorio, al reato in ordine al quale il mezzo di ricerca della prova è stato disposto, sicché la diversità del procedimento assume un rilievo soltanto sostanziale, non ricollegabile a dati puramente formali, quali l’apparente autonomia e la mancanza di collegamento tra reati diversi.
Da ciò consegue che il procedimento è considerato identico tutte le volte in cui tra il contenuto dell’originaria notizia di reato, alla base dell’autorizzazione, e quello dei reati oggetto del procedimento ad
(179) Cass. pen., Sez. VI, 25 febbraio 1997, n. 5192, in Cass. Pen., 1997, 5, 1436,
con nota di R. CANTONE, L’utilizzazione delle intercettazioni telefoniche in “procedimenti diversi”, secondo il quale: “Il procedimento non può essere considerato diverso quando i fatti oggetto di esso sono suscettibili di essere trattati in modo unitario. «Diverso», in questo caso, è sinonimo di «separato». Il poter, poi, individuare il concetto di «unitarietà» e di «separatezza» in un dato normativo obiettivo – e precisamente nel'art. 17 c.p.p. che individua i casi di riunione – permette di ancorare la «diversità» di cui all'art. 270 c.p.p. ad un elemento certo e determinato.”.
(180) Cass. pen., Sez. I, 11 dicembre 1998, n. 6242, in Cass. Pen., 2000, 7-8, 2041, con nota di R. CANTONE, L’elaborazione giurisprudenziale sull’art. 270 c.p.p.; brevi riflessioni.
quem, vi sia una stretta connessione sotto il profilo oggettivo,
probatorio o finalistico (181).