3. La Buona Scuola e il Jobs Act: nuovi assetti normativi e primi risultati
3.2. La Buona Scuola e la bassa attenzione all’IFP
in cui il riordino dell’istruzione tecnica, introdotto con il decreto del Predente della Repubblica 15 marzo 2010, diventa pienamente effettivo nel si-stema scolastico italiano, la legge n. 107/2015 sembra non considerare in modo specifico l’istruzione tecnica (ma neanche l’istruzione professionale di Stato), come canale a maggior tasso di occupabilità su cui investire sia nor-mativamente che finanziariamente.
Maggiore attenzione viene attribuita ai canali di Istruzione Professionale (ma solo quella di Stato) e agli ITS, anche se con il limite del ricorso ai
de-creti legislativi. Degli ITS si dirà più avanti, mentre sull’Istruzione Profes-sionale si può dire da subito che lo strumento della delega è da considerare giuridicamente inopportuno per riformare il ramo più professionalizzante della scuola italiana e, in potenza, quello di maggiore contatto tra il mercato del lavoro e il nostro ordinamento scolastico: basti pensare che l’IP coinvol-ge circa 550.000 studenti e oltre 50.000 docenti ogni anno.
La delega è presente al comma 181, lettera d, dell’articolo 1 della legge 107/2015 con l’obiettivo di ridefinire gli indirizzi e aumentare i contenuti di laboratorialità dei percorsi. Le bozze di decreto circolate fino alla fine del 2016 mostrano l’intenzione del legislatore di rendere professionalizzanti i percorsi di istruzione professionale già dal primo anno (con metà dell’offerta formativa in alternanza) e con un maggiore ricorso alla laborato-rialità (con la contigua diminuzione delle discipline generaliste, che comun-que restano). Il rischio concreto di una delega così vaga è che comun-quella degli istituti professionali resti una “riformina”, fuori dal dibattito parlamentare e lasciata costruire nelle stanze del MIUR.
Un sistema nazionale, unitario e fortemente finanziato come quello dell’istruzione professionale, avrebbe meritato maggiore attenzione nel di-battito: a partire dalle metodologie pedagogiche sottese, dalle priorità, dagli strumenti di collegamento con imprese e attori economici. I riferimenti mi-gliori restano all’interno dell’Unione europea: i più avanzati sistemi VET ga-rantiscono ai giovani iscritti una forte professionalizzazione con il supera-mento del “disciplinarismo” e robuste dosi di alternanza e laboratorialità. In paesi come Germania e Austria, molto forte è, inoltre, l’orientamento verso il mondo del lavoro, con notevoli vantaggi in termini di riduzione dell’abbandono scolastico: anche gli studenti che hanno avuto difficoltà nel-le scuonel-le secondarie inferiori possono trovare nel VET non un refugium
pecca-torum da abbandonare il prima possibile, ma un’opportunità per mettere a
frutto i loro talenti pratici che possono diventare competenze richieste e ben remunerate dalle imprese.
3.2.1. IeFP e ITS ne La Buona Scuola: occasione persa? – Se
sull’istruzione professionale il legislatore si è limitato a ridondanti dichiara-zioni di principio su cui costruire un decreto legislativo, molto negativa è nel contempo l’assenza degli IeFP nella riforma scolastica: un’assenza che se può giustificarsi con la competenza regionale su questa materia, resta tutta-via significativa in un quadro di riforma complessiva di tutto il sistema di istruzione del nostro Paese che avrebbe dovuto prevedere i giusti collega-menti tra un canale e l’altro. In particolare il collegamento tra IeFP e ITS è un tema strategico su cui è necessaria una riflessione.
La combinazione tra IeFP e ITS permetterebbe infatti ad un giovane italia-no di entrare più velocemente nel mercato del lavoro potendo “risparmiare” un anno di scuola secondaria superiore e un anno di università: consideran-do un percorso standard di IeFP e ITS l’ingresso nel mercato del lavoro po-trebbe avvenire a 20 anni. Molto in anticipo rispetto all’università. Va infatti ricordato che in Italia ci si laurea in media a 25,6 anni alla triennale, in media a 27 anni alla magistrale. In un percorso ottimale uno studente in grado di concludere gli studi in corso all’università potrà conseguire una laurea trien-nale a 22 anni e una magistrale a 24.
La legge n. 107/2015 prevede all’articolo 1, comma 46, che per l’accesso agli ITS sia necessario un diploma quadriennale IeFP «integrato da un percorso di istruzione e formazione tecnica superiore ai sensi dell’articolo 9 delle linee guida di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 25 gennaio 2008». L’anno integrativo andrà dunque trascorso in un percorso di forma-zione IFTS (canale non presente in tutte le Regioni). Una scelta discutibile dal punto di vista delle transizioni scuola-lavoro perché rende macchinoso il percorso dei giovani che scelgono l’IeFP e non fa in modo che quest’ultimo consenta un accesso privilegiato agli ITS, anche per aumentarne il novero degli iscritti.
La scelta appare discutibile anche in virtù dell’assenza di un necessario anno integrativo nei testi elaborati durante i lavori preparatori per la legge n. 107/2015. Va peraltro ricordato che quello italiano è l’unico sistema educa-tivo al mondo che fa concludere la scuola secondaria superiore in media a 19 anni, facendo arrivare a 13 e non a 12 come in tutti gli altri paesi, la somma degli anni da trascorrere nel percorso di scuola primaria e scola se-condaria. Questa circostanza è una delle cause strutturali del tardivo ingres-so nel mondo del lavoro dei giovani italiani.
3.2.2. La (mancata) riforma degli ITS ne La Buona Scuola – La legge
n. 107/2015 introduce alcune modifiche alla disciplina sugli ITS che, tutta-via, non sembrano andare nella direzione di una organica riforma che per-metta la diffusione di questo percorso. Già riferito in merito all’accesso dai canali IeFP le principali novità riguardano la premialità dei finanziamenti agli ITS: l’articolo 1, comma 45, prevede che non meno del 30% delle risor-se erogate dal MIUR alle Fondazioni ITS venga asrisor-segnato su barisor-se premiale tenendo conto del numero dei diplomati e del tasso di occupabilità a 12 me-si dei percorme-si attivati nell’anno precedente a quello del finanziamento. La novità è significativa perché collega direttamente la formazione all’occupabilità: una conferma del ruolo degli ITS nella transizione
scuola-lavoro. Le risorse premiali sono tuttavia vincolate all’attivazione di nuovi percorsi ITS all’interno delle Fondazioni esistenti.
Dei significativi correttivi sono arrivati sul tema dei crediti universitari: il comma 51 dell’articolo 1 ha previsto inizialmente un ammontare dei crediti formativi universitari (CFU) riconosciuti in massimo 100 CFU per i percorsi ITS della durata di quattro semestri e massimo 150 CFU per i percorsi della durata di sei semestri. La norma non sembrava riconoscere agli ITS la loro specificità rispetto all’università. Un riconoscimento di crediti così elevato rischiava infatti di rendere gli ITS un percorso breve per l’ingresso in uni-versità e non un segmento professionalizzante post-secondario. Senza di-menticare che nelle previsioni in vigore dal 2008 i CFU riconoscibili per la frequenza degli ITS erano massimo 75 (meno della metà dei CFU, 180, ne-cessari per una laurea triennale).
Con il decreto-legge n. 42/2016 i CFU riconoscibili sono stati abbassati no-tevolmente: da 100 a 40 per i percorsi di quattro semestri, da 150 a 62 per i percorsi di sei semestri.
Ma la novità più importante nella legge in commento sugli ITS è la previ-sione di un decreto per la semplificazione e la promozione di questo canale di formazione post-secondaria. L’articolo 1, comma 47, dispone infatti l’emanazione di linee-guida apposite che interessano principalmente:
1. prove d’esame: lo svolgimento delle prove conclusive dei percorsi ITS con la modifica della composizione delle Commissioni d’esame e la semplifi-cazione della predisposizione e della valutazione delle prove di verifica finali. Esigenza condivisibile che tuttavia non dà nessun ruolo in Com-missione d’esame a rappresentanti delle categorie produttive alle associa-zioni datoriali, firmatarie di contratti collettivi nazionali, comparativa-mente più rappresentative sul piano territoriale. Ruolo che invece hanno i rappresentanti dei Fondi interprofessionali;
2. soggetti pubblici nelle Fondazioni: la partecipazione dei soggetti pubblici in qualità di soci fondatori delle Fondazioni ITS che potrà avvenire senza determinare nuovi o maggiori oneri a carico dei loro bilanci;
3. patrimonio per personalità giuridica: il riconoscimento della personalità giudica delle Fondazioni ITS da parte del Prefetto della Repubblica che ri-chiederà un patrimonio, uniforme per tutto il territorio nazionale, non inferiore a 50.000 euro e che comunque garantisca la piena realizzazione di un ciclo completo di percorsi. In passato i minimi patrimoniali cam-biavano di Regione in Regione;
4. regime contabile: il regime contabile e lo schema di bilancio per la rendicon-tazione dei percorsi che sarà uniforme in tutto il territorio nazionale. Tale soluzione tuttavia non tiene conto, ad esempio, che l’ente capofila della
Fondazione possa essere una scuola paritaria e pertanto soggetta all’applicazione della normativa di diritto privato. Di conseguenza non si configura una normativa che sia uniforme per tutte le Fondazioni su tut-to il territut-torio nazionale e per tutte le tipologie di scuola;
5. pluralità di filiere: prevista la possibilità per le Fondazioni già esistenti di attivare nel territorio provinciale altri percorsi di formazione anche in fi-liere diverse, fermo restando il rispetto dell’iter di autorizzazione e nell’ambito delle risorse disponibili a legislazione vigente. In questo caso gli ITS dovranno, per conseguenza logica, essere dotati di un patrimonio non inferiore a 100.000 euro. Si tratta in questo caso di una novità ap-prezzabile perché permette di realizzare e mettere in rete diverse voca-zioni produttive nel medesimo ITS.
Le nuove linee-guida per gli ITS, che riprendono questi punti, sono state approvate dalla Conferenza Stato-Regioni il 3 marzo 2016. Da un lato esse tentano di risolvere alcuni nodi strutturali manifestatisi durante e dopo la sperimentazione e i primi anni di vita dei percorsi ITS. Dall’altro, tuttavia, non permettono di fare un passo in avanti nel configurare gli ITS come si-stema totalmente indipendente, e di pari dignità, rispetto a scuola e universi-tà.
Manca ad esempio la necessaria estensione della normativa su temi quali: politiche di orientamento, erogazioni liberali, diritto allo studio. Manca inol-tre la previsione del collegamento obbligatorio dell’offerta formativa regio-nale con la domanda e i fabbisogni professionali espressi dai cluster.
Ancora più grave l’assenza di un sistema di incentivi per il reinserimento de-gli studenti che abbandonano l’università (circa il 10% dede-gli immatricolati lascia al primo anno) e possono trovare nell’ITS un canale che garantisce un accesso più rapido al mondo del lavoro. Il MIUR potrebbe favorire questo processo adottando un provvedimento che permetta di non scomputare il numero dei “fuori corso” nel calcolo del numero di studenti ai fini dell’attribuzione del finanziamento delle università: tale provvedimento permetterebbe di non considerare “fuori corso” gli studenti che entro un anno dall’abbandono siano stati aiutati dall’università a “ricollocarsi” in un ITS.