scuola-lavoro. – 2. Policy europee e ruolo dell’integrazione scuola-scuola-lavoro. – 2.1. Gli strumenti europei per la transizione scuola-lavoro. – 2.2. Orientamento scolastico. – 2.3. Istru-zione e formaIstru-zione professionale (IFP/VET). – 2.4. Alternanza e apprendistato: focus su transizione scuola-lavoro nell’Alleanza europea per gli apprendistati, ruolo delle im-prese e parti sociali. – 2.5. Imprenditorialità e cultura di impresa. – 3. I dati dello scena-rio europeo. – 3.1. Transizione scuola-lavoro in Europa. – 3.2. I giovani europei nel mercato del lavoro. – 4. Reti territoriali e reti digitali. – 4.1. Cluster, smart specialization e le connessioni tra imprese e sistema educativo. – 4.2. Il ruolo educativo delle imprese nel territorio. – 4.3. Focus: i modelli dal sistema Confindustria. – 4.4. Reti digitali e il ruolo del web. – 4.5. Il ruolo dei social network. – 4.6. La diffusione del web tra i gio-vani.
1. Quadro definitorio – La transizione scuola-lavoro si può considerare
come la fase interposta tra il conseguimento di un titolo di studio ed uno stato occupazionale prolungato nel tempo. La letteratura non presenta una definizione univoca di transizione scuola-lavoro e, come sottolineato dall’International Labour Organization (d’ora in avanti ILO), i parametri di riferimento cambiano da Paese a Paese. In tutte le definizioni più note sono tuttavia due gli elementi principali che vi si ritrovano all’interno: il titolo di studio e lo stadio occupazionale.
I titoli di studio presi in analisi dalla letteratura scientifica e dalle rilevazioni statistiche sono principalmente il diploma di scuola secondaria di secondo grado e i titoli di laurea (triennale e magistrale). La maggior parte della lette-ratura scientifica italiana utilizza la dicitura “transizione scuola-lavoro” per riferirsi sia alla scuola secondaria superiore sia all’università. Come
alternati-va a “transizione scuola-lavoro” e “transizione università-lavoro” l’Istat uti-lizza la locuzione “transizione istruzione-lavoro” per le sue indagini cam-pionarie sull’inserimento professionale di diplomati e laureati. Nell’ordinamento italiano la legge Biagi (decreto legislativo n. 276/2003 in attuazione della delega nella legge n. 30/2003) ha per prima introdotto il concetto di “transizione scuola-lavoro” riferendosi alla transizione occupa-zionale che riguarda sia la scuola sia l’università verso il mondo del lavoro. La legge Biagi, più in particolare, si è focalizzata sul ruolo degli uffici di
pla-cement delle istituzioni educative, ruolo strategico che, tuttavia, resta ancora
sulla carta in molti territori italiani.
Anche nella letteratura internazionale le fonti statistiche più autorevoli si ri-feriscono alla transizione scuola-lavoro senza contemplare uno specifico ti-tolo di studio. Così ad esempio l’OECD si riferisce sia alla secondary che alla
tertiary education, con focus sui giovani di età compresa tra i 15 e 29 anni. In
precedenza questa linea si ritrova nel concetto di “school-to-work transition” definito negli studi di Paul Ryan, che ne ha individuato e spiegato gli ele-menti essenziali e le modalità di misurazione numerica delle transizioni. Al-cuni autori italiani propongono una netta distinzione tra “transizione scuola-lavoro” (per l’istruzione secondaria) e “transizione università-scuola-lavoro” (per l’istruzione terziaria). Nella ricerca che segue, pur utilizzando “transizione scuola-lavoro” in chiave generica per inquadrare il campo di indagine, il fo-cus è rivolto in particolare alla transizione dall’istruzione secondaria e post-secondaria al primo stadio occupazionale. Per istruzione post-secondaria si in-tende il livello 4 dello EQF (European Qualifications Framework, per l’Italia i diplomi di scuola secondaria superiore). Per istruzione post-secondaria si intende invece il livello 5 dello EQF (per l’Italia gli istituti tecnici superiori, d’ora in avanti ITS). Con maggiore precisione gli ITS si possono collocare nel livello 5B della classificazione ISCED (International Standard Classification
of Education) messa a punto dall’Unesco e riferita ai Programmi specifici pratico-tecnico-occupazionali.
1.1. Le transizioni dal livello di istruzione secondario e post-secondario e lo stato occupazionale – Il riferimento peculiare
all’istruzione secondaria si giustifica perché in Italia i modelli di transizione adottati nelle scuole secondarie superiori sono considerati, nel complesso, più deboli rispetto a quelli universitari. Lo stesso diploma di scuola seconda-ria superiore è considerato dall’OECD il primo titolo spendibile per un in-gresso soddisfacente nel mercato del lavoro. Peraltro, come dimostrano i dati del Sistema Excelsior di Unioncamere, i diplomati continuano ad essere le figure più richieste dalle imprese italiane: il 40% delle assunzioni
pro-grammate nel 2016 ha riguardato i diplomati con titolo di scuola superiore, un altro 20% le qualifiche professionali, il 13% le lauree.
Nel caso della transizione post-secondaria invece il focus si giustifica per il ruolo strategico degli ITS, introdotti nel panorama scolastico italiano nel 2008, e per il loro riconosciuto valore occupazionale che, tuttavia, non ha permesso di incrementare il numero di iscritti tanto da renderlo un canale in grado di competere con il sistema universitario. Nell’anno scolastico 2015/2016 infatti gli iscritti ITS sono 5.513 (1), nelle università 1.652.592 (2). Una distanza che, ad oggi, appare difficile da colmare senza una capillare azione di coordinamento tra istituzioni educative e attori economici finaliz-zata a promuovere l’occupabilità dei percorsi. Azione che può essere model-lizzata e istituzionamodel-lizzata.
Per quanto riguarda la definizione di stato occupazionale, che si può consi-derare il termine finale del percorso di transizione scuola-lavoro, l’OECD fa riferimento ad un “lavoro stabile” ossia ad un’occupazione di almeno 6 mesi e almeno 15 ore settimanali; mentre nella diffusa definizione di Hotz e Tienda si fa riferimento ad uno stato occupazionale di almeno un anno di lavoro a tempo pieno dopo il conseguimento del titolo di studio. Tenuto conto dei rapidi cambiamenti del mercato del lavoro l’Eurostat ha fatto rife-rimento, a partire dal 2000, ad una durata “breve” di primo impiego dopo il conseguimento del titolo di studio: 3 mesi consecutivi di attività lavorativa, senza specificare variazioni di orario/datore di lavoro. Questo riferimento è stato recepito dalla letteratura dominante.
1.2. La “durata” delle transizioni scuola-lavoro – Chiarite le definizioni
del termine iniziale della transizione (il titolo di studio) e il termine finale (l’inizio dello stato occupazionale di 3 mesi consecutivi) si può considerare nella definizione di “transizione scuola-lavoro” l’elemento durata come ele-mento temporale tra un termine e l’altro. Va rilevato, tuttavia, che i princi-pali studiosi delle statistiche sulle transizioni scuola-lavoro non danno parti-colare importanza ad una definizione specifica della durata che è da consi-derare in re ipsa come mero valore numerico utile alla comparazione.
Da una sintesi della letteratura scientifica di tipo statistico-economico si può proporre una misurazione della durata della transizione scuola-lavoro così ripartita:
– breve-fisiologica, dal 1o mese al 3o mese (3o incluso); – media, dal 4o mese al 8o mese;
– lunga, dal 9o mese al 12o mese;
(1) Indire, luglio 2016.
– cronica, oltre i 12 mesi.
Un elemento aggiuntivo per una valutazione qualitativa della transizione scuola-lavoro è il concetto di “coerenza” che si può considerare, nella vo-lontà di chi scrive, come addizionale rispetto alla “durata” della transizione. Il riferimento normativo è all’aggettivo “sustainable”, che compare, come si vedrà in seguito, in riferimento alla transizione scuola-lavoro nell’Alleanza europea per gli apprendistati.
La transizione scuola-lavoro sostenibile è un passaggio in cui c’è coerenza tra le competenze acquisite dallo studente durante il percorso di studi e la domanda del mercato del lavoro. Così ad esempio sarà “coerente” una tran-sizione scuola-lavoro in cui il giovane diplomato in un istituto tecnico mec-canico svolgerà una prima attività di lavoro di tipo tecnico in un’azienda meccanica e non un lavoro che richiede un titolo di studio o competenze inferiori rispetto a quelle acquisite oppure sia destinato ad aziende di tutt’altro settore. Gli indicatori di misurazione quantitativa della transizione scuola-lavoro suggeriti dall’Eurostat per mettere in comparazione i dati degli Stati membri sono i seguenti:
– età media di uscita da un livello del sistema educativo;
– proporzione di studenti che combinano studio e lavoro nel percorso educativo;
– tempo medio per trovare il primo impiego dopo aver completato forma-zione;
– il tipo di contratto di lavoro del primo stato occupazionale;
– il tipo di lavoro dello studente uscito da almeno un anno dal percorso educativo.
Il Cedefop per la valutazione qualitativa della transizione utilizza invece gli aggettivi:
– smooth (traducibile in “calma, piatta, liscia” per transizioni immediate nel mercato del lavoro che si svolgono senza problemi di uscita dal mercato); – fairly smooth (per transizioni che potenzialmente manterrebbero
stabil-mente l’individuo nel mercato del lavoro); – difficult (per transizioni instabili o altalenanti);
– unsuccessful (per transizioni che non avvengono mai o che comunque non permettono un rientro nel mercato del lavoro del giovane una volta usci-to).