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La crisi d’azienda

Nel documento La liquidità nelle piccole e medie imprese (pagine 147-154)

CAPITOLO 3 L’ANALISI DELLE PMI IN CRISI

3.1 La crisi d’azienda

La grave crisi economica e finanziaria, iniziata nel 2008, che ha investito il sistema capitalistico dei principali Paesi mondiali ha provocato necessariamente uno stravolgimento dell’intero sistema aziendale e del “modo di fare impresa”. Il tracollo americano del mercato dei mutui subprime ha influenzato l’intero sistema economico mondiale in maniera impressionante e proprio per le caratteristiche di intensità, difficoltà ed ampiezza della crisi tale periodo viene paragonato alla grande crisi del 1929 (378). La crisi, successivamente, ha attraversato l’atlantico investendo in brevissimo tempo anche l’Europa. Vista l’entità della stessa è stato doveroso l’intervento da parte della Banca Europea attraverso rilevanti immissioni di liquidità ed una riduzione del tasso di interesse (379) ed, allo stesso tempo, dei singoli Stati attraverso la statalizzazione di alcune grandi realtà aziendali. La crisi economico- finanziaria (380) si è poi tradotta in crisi nel mondo reale attaccando i consumi e le concessioni creditizie (381). Le aziende si sono dovute confrontare con nuove realtà concorrenziali caratterizzate da un diverso costo del denaro causando effetti devastanti. La risoluzione della crisi e l’andamento dei cicli aziendali rappresentano, da sempre, dei temi di elevato interesse per il management ed i consulenti aziendali anche se l’ultima crisi finanziaria ha natura

378 La cosiddetta crisi dei mutui subprime iniziata negli Stati Uniti nel 2007 e diffusasi a macchia d’olio sugli

altri Paesi del mondo rappresenta la conseguenza dell’esplosione della bolla speculativa nel mercato immobiliare. Per un approfondimento dell’argomento si rinvia a: SHILLER R. J., The Subprime Solution. How

Today’s Global Financial Crisis Happened and What to Do about it, Princeton University Press, New Jersey,

2008, pp. 1-27; ALLEN F., BABUS A., CARLETTI E., “Financial Crises: Theory and Evidence”, in Annual

Review of Financial Economics, n. 1, novembre 2009, pp. 97-116.

379 MARZOVILLA O., ROMAGNOLI G. C. (a cura di), L’unione monetaria Europea: realtà in crisi e modello

di integrazione monetaria regionale, Franco Angeli Editore, Milano, 2013, p. 49.

380 “Si hanno crisi di tipo economico-finanziario quando l’impresa manifesta squilibri nella dimensione

reddituale, conseguendo perdite economiche destinate a deteriorare il valore del capitale aziendale e quando, nella dimensione finanziaria, si manifestano conseguenze negative sulla solvibilità a breve ed a medio lungo termine dell’impresa”, PENCARELLI T. (a cura di), Le crisi d’impresa. Diagnosi, previsione e procedure di

risanamento, Franco Angeli Editore, Milano, 2013, p. 34.

381 “L’impatto della crisi sulle imprese è stato però mediato dalla presenza di fattori di competitività di scala

locale (come la buona dotazione di capitale umano e sociale) e, soprattutto, dalle caratteristiche del settore di appartenenza”, FORTUNATO V. (a cura di), Cause e impatto della crisi: individui, territori, istituzioni, Franco Angeli Editore, Milano, 2013, p. 139.

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differente dalle precedenti (382). Ne discende, tra le grandi aziende, un’implementazione della gestione del rischio e del relativo approccio di risk management (383). Tale approccio si è sempre più diffuso grazie alla consapevolezza che dalla gestione del rischio non ne deriva solo un vantaggio economico, ma anche la sopravvivenza dell’azienda stessa. La crisi aziendale è un concetto difficile da spiegare in quanto non esiste una definizione legislativa. La crisi è un fenomeno tipico della vita aziendale in quanto si svolge, seppure in modo diverso, con un’alternanza di fasi positive e negative al punto da costituire una componente permanente del sistema produttivo moderno (384). Nell’odierno ambiente di mercato nel quale esercitano le imprese, infatti, possono compiersi con significativa velocità, modificazioni intense delle variabili che determinano il sistema di riferimento della gestione d’impresa. Ciò che ne consegue è la rapidità nel susseguirsi delle fasi del ciclo di vita dell’impresa con probabili ed improvvise variazioni da fasi di sviluppo e prosperità aziendali, a situazioni di declino e di crisi. Molto spesso succede che il momento di riconoscimento della crisi viene fatto corrispondere con quello di grave insolvenza, rendendo vane le finalità degli strumenti previsti dalla normativa per evitare il fallimento che, invece, dovrebbero servire a stimolare il risanamento dell’impresa tutelandone la continuità gestionale prima che abbiano inizio le aggressioni al patrimonio aziendale da parte di creditori insoddisfatti ed il conseguente disfacimento dell’azienda (385). In via generale, il concetto di crisi aziendale può essere rimandato a diverse fasi di un’impresa caratterizzate da particolari condizioni di debolezza che possono, in tempi brevi, mettere a rischio la continuazione e la sopravvivenza della stessa. Nemmeno la letteratura economico aziendale ha, fino a tempi recenti, fornito una completa nozione del concetto di “crisi” (386), definendola mediante lo studio delle possibili cause e dei relativi effetti ed, individuandone, allo stesso tempo, i possibili scenari di risoluzione.

382 Per un approfondimento sugli effetti della crisi economica-finanziaria si rinvia a REINHART C. M.,

ROGOFF K. S., “The aftermath of financial crises”, in The American Economic Review, n. 2, maggio 2009, pp. 466-472.

383 BEAVER W. H., PARKER G., Risk Management: Problems & Solutions, McGraw-Hill, Inc., New York,

1995, p. 15.

384 RINALDI A., Come gestire i lavoratori dalla crisi al fallimento, Maggioli Editore, Rimini, 2013, p. 21. 385 QUAGLI A., “La definizione del concetto di crisi aziendale e la sua rilevanza giuridica”, in Amministrazione

& Finanza, n. 2, febbraio 2014, p. 34.

386 “L’impresa è in crisi quando è in atto un processo di deterioramento della sua situazione economico-

finanziaria. Perché possa parlarsi di vera e propria crisi, occorre, naturalmente, che l’impresa non sia in grado di arrestare tale deterioramento, sicché, in mancanza di un intervento esterno, essa va inevitabilmente incontro al dissesto”, CAPALDO P., “Crisi d’impresa e suo risanamento”, in Banche e banchieri, n. 8, maggio 1977, p. 315. In merito al concetto di crisi si rimanda anche a BASTIA P., Crisi e risanamento d’impresa. Strumenti di

pianificazione e controllo, Clueb, Bologna, 1987; CODA V., “Dinamica delle valutazioni e degli indirizzi di

gestione nella fase preliminare delle procedure concorsuali”, in Rivista dei dottori commercialisti, n. 6, novembre-dicembre 1990, pp. 931-942; GABROVEC MEI O., “La diagnosi della crisi d’impresa”, in Rivista dei

dottori commercialisti, n. 3, 1984, pp. 417-437; PROSPERI S., Il governo economico della crisi aziendale,

141 I primi contributi significativi della letteratura italiana di natura economica aziendale relativi all’analisi delle cause della crisi hanno avuto inizio a partire dai primi anni ’80 (387). Un apporto importante all’interpretazione della crisi d’azienda è stato fornito da Guatri, il quale si collega con la teoria della creazione del valore (388). Secondo tale teoria l’obiettivo primario dell’azienda è quello di creare nuovo valore economico, ciò significa “accrescere la

dimensione del capitale economico, cioè in breve il valore dell’impresa intesa come investimento” (389). Il valore può essere misurato tramite un’apposita formula matematica che tiene conto sia dei flussi di reddito (o di cassa) che identificano le cause interne, sia del rischio dell’investimento nell’impresa che individua le cause esterne (390). Quando a seguito di tale misurazione si constatano incrementi nulli o negativi del capitale economico, ne consegue che l’impresa non sta perseguendo la propria finalità di “autogenerazione nel tempo, che avviene

mediante la continua creazione del valore economico” (391). Al verificarsi di questa situazione, a seconda della gravità, si possono individuare situazioni di declino, oppure si può identificare la vera e propria crisi aziendale. Il concetto di “declino” si riferisce al perseguimento di una performance negativa che si concretizza in una distruzione di valore, “e

misurato nella sua intensità dall’entità di tale distruzione in un definito arco temporale” (392). In altre parole, il declino si manifesta nelle perdite economiche che in un secondo momento si trasformano in un’impossibilità perdurata nel tempo di ottenere specifici flussi reddituali generando così una vera e propria distruzione di valore (393). La crisi, invece, rappresenta una situazione di grave instabilità causata da elevate perdite economiche, con gravi ripercussioni sul piano dei flussi finanziari, della solvibilità, della fiducia da parte degli stakeholder ed intaccando, allo stesso tempo, l’integrità del patrimonio aziendale (394). Quindi, essa si

piccole e medie imprese, Cedam, Padova, 1995; SICCA L., “Creazione di valore, conoscenza e gestione delle

crisi aziendali”, in Finanza, Marketing e Produzione, n. 2, giugno 1993, pp. 7-18.

387 Per un approfondimento si rinvia al paragrafo successivo.

388 GUATRI L., “Un’interpretazione del concetto di crisi aziendale collegata alla teoria di creazione del valore”,

in Finanza, Marketing e Produzione, n. 1, marzo 1995, pp. 137-143. Per un approfondimento nella letterature economica della teoria di creazione di valore si rimanda a ZULLO R., “Alcuni prodromi della teoria di creazione del valore nella letteratura economica classica”, in Finanza, marketing e produzione, n. 1, marzo 1995, pp. 145- 182.

389 GUATRI L., La teoria di creazione del valore. Una via Europea, Egea, Milano, 1991, p. 6.

390 Per un approfondimento si rinvia a GUATRI L., “Il trasferimento del valore: una nota introduttiva”, in

Finanza, Marketing e Produzione, n. 1, marzo 1992, pp. 107-122.

391 GUATRI G., VICARI S., Sistemi d’impresa e capitalismi a confronto. Creazione di valore in diversi contesti,

Egea, Milano, 1994, p. 79.

392 BERTOLI G., Crisi d’impresa, ristrutturazione e ritorno al valore, Egea, Milano, 2000, p. 14.

393 “Il declino è identificabile con le perdite economiche e con il sensibile decrescimento dei flussi economici,

sistematico e irreversibile (se non si attuano appropriati interventi risanatori), legato non solamente al passato, ma anche e soprattutto alle attese dei rendimenti; il declino è, dunque, la perdita di capacità reddituale dell’impresa, intesa come diminuzione degli utili sul piano storico”, CAFARO R., La crisi d’azienda e i rapporti

con le banche, Maggioli Editore, Rimini, 2013, p. 10.

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identifica in un’ulteriore degenerazione rispetto alla situazione di declino anche se non è sempre facile distinguere con precisione l’arco temporale che separa il declino dalla crisi. Soprattutto nelle prime fasi la situazione di crisi può sembrare un semplice declino, oppure apparire un normale effetto della gestione. La crisi può altresì essere definita come la fase finale e definitiva del declino, ossia il prolungamento delle performance negative delle azioni dell’impresa in cui l’andamento gravoso degli squilibri economici-finanziari sono largamente percepiti dall’ambiente esterno. In sintesi, il trend negativo della gestione viene peggiorato dalla mancanza di fiducia da parte del mercato e l’insolvenza dell’impresa diventa complicata da superare senza operazioni di natura eccezionale.

Una definizione puntuale di “crisi” viene fornita da Quagli, il quale ritiene che essa deve avere due caratteristiche essenziali: essere temporalmente identificabile con precisione e verificabile anche da parte di un soggetto esterno all’azienda con un grado di discrezionalità ridotto. L’autore definisce la crisi “come quella fase involutiva di equilibrio economico tale

da determinare una sistematica incapacità prospettica di adempiere le obbligazioni assunte e pianificate tramite l’ordinario andamento gestionale” (395). Lo squilibrio economico a cui si

fa riferimento nella definizione è contraddistinto da perdite di esercizio che risultano dai bilanci con una certa continuità e, non solo quelle che si manifestano in maniera univoca in un solo anno. Perdite d’esercizio occasionali, ad esempio, possono derivare da eventi eccezionali o da politiche intraprese che comportano un ritorno in termini di flussi di cassa futuri. Un'altra caratteristica rilevante della perdita, affinché possa rientrare nel concetto di crisi, è il suo carattere involutivo, nel senso che deve essere causata dalla progressiva diminuzione dei principali elementi di vantaggio competitivo che hanno, fino a quel momento, caratterizzato l’impresa ed, ora, mettono in discussione il futuro stato di economicità della stessa. L’aspetto rilevante dell’involuzione del disequilibrio economico è, dunque, da ricercare negli elementi che causano risultati negativi per capire quali siano stati i fattori che hanno determinato la misura e la persistenza temporale della perdita. Una perdita in termini di risultato operativo della gestione caratteristica, o addirittura del Gross Profit è un segnale molto più evidente di disequilibrio economico di quanto lo sia una perdita derivante delle altre gestioni. La “fase

involutiva del disequilibrio economico” può essere considerata una delle ragioni della

mancanza di liquidità per far fronte ai pagamenti dovuti sia nell’immediato per operazioni già concluse, sia nel futuro per adempiere agli obblighi pianificati derivanti dal normale

395 QUAGLI A., “La definizione del concetto di crisi aziendale e la sua rilevanza giuridica”, in Amministrazione

143 andamento della gestione (396). Una regolare pianificazione economica-finanziaria implementata dall’impresa consente di avvertire in anticipo una ravvicinata insolvenza. Il budget riferito alla gestione economica e patrimoniale accompagnato da un piano dei flussi di cassa, consentono, quanto prima, di cogliere la presenza di indicatori di futura insolvenza per mettere in pratica gli opportuni aggiustamenti (397).

La crisi aziendale può essere definita anche come una propensione verso lo stato di insolvenza. Infatti, il rischio di insolvenza da parte dell’impresa, affinché sia riferito ad una crisi aziendale, deve essere sistematico e quindi deve distinguersi dall’incaglio finanziario momentaneo, causato, ad esempio, dallo sfasamento temporale tra i diversi cicli della gestione aziendale con conseguenti carenze di liquidità per un periodo molto breve. Per quanto riguarda gli impegni finanziari da considerare, sono rilevanti tutte le obbligazioni riferite a beni e servizi sia a breve ciclo di utilizzo, sia durevoli; e tutti i rimborsi dei debiti di qualsiasi natura considerando, allo stesso tempo, i fidi concessi sui diversi finanziamenti e l’osservanza dei covenant pattuiti con i finanziatori (398). Si deve precisare, altresì, che la possibilità di adempiere alle obbligazioni assunte mediante azioni che non rientrano nella normale gestione ma richiedano operazioni straordinarie come l’aumento di capitale, la ristrutturazione dei debiti, i disinvestimenti delle immobilizzazioni, rappresentano possibili soluzioni per superara la crisi e non per evitarla.

L’azienda affinché sia in grado di creare valore nel tempo, coerentemente da quanto afferma Guatri, deve necessariamente conseguire e conservare sia una condizione di equilibrio economico, sia una di equilibrio monetario. Sebbene entrambe le condizioni di equilibrio si riferiscono a condizioni dinamiche, esse devono essere perseguite in tempi diversi. Infatti, la condizione di equilibrio economico deve riguardare il medio e lungo periodo al fine di verificare che l’economicità sia duratura nel tempo, e ne consegua da risultati della gestione tipica dell’impresa piuttosto che da eventi di natura non caratteristica. Nel breve periodo l’impresa può presentare un risultato d’esercizio negativo senza compromettere la sopravvivenza della stessa se, in concomitanza, presenta delle prospettive di crescita future. A tal proposito si pensi, ad esempio, al caso in cui il risultato economico dell’esercizio sia influenzato da un risultato negativo della gestione non caratteristica per definizione o dalle

396 A parere di chi scrive, a differenza da quanto afferma Quagli, l’aspetto economico non è l’unico ad inficiare

sull’impossibilità di adempiere le obbligazioni esistenti e future. Infatti, l’equilibrio monetario può essere intaccato anche da altri fattori esterni quali, ad esempio, il ritardo negli incassi, la diminuzione delle dilazioni ottenute dai fornitori ed il difficile accesso al credito.

397 Per un apprendimento sul tema della pianificazione finanziaria si rinvia al capitolo 5.

398 Per un approfondimento del concetto di covenant si rinvia a BIFFIS P. (a cura di), Le operazioni e i servizi

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politiche di bilancio che comportano, nel breve termine, situazioni transitorie di squilibrio. Per quanto riguarda l’equilibrio monetario, a differenza di quello economico, deve persistere anche nel breve periodo, in caso contrario l’azienda versa in uno stato di crisi. La necessità di colmare la differenza tra le uscite e le entrate monetarie induce l’impresa alla ricerca di nuove fonti di finanziamento, spesso difficili da reperire sul mercato dei capitali. L’aumento dell’indebitamento determina un accrescimento degli interessi passivi, i quali impattano negativamente sulla redditività, e causa una maggiore sottocapitalizzazione. L’eccessivo indebitamento finanziario si manifesta con molta frequenza soprattutto per finanziare una crescita disorganizzata ed eccessiva. Una condizione necessaria per continuare regolarmente l’attività esercitata è il riequilibrio tra i mezzi propri e quelli di terzi, generando così un andamento duraturo e sostenibile anche nel medio e lungo periodo (399).

La mancanza di risorse monetarie produce effetti negativi anche sulla politica di approvvigionamento delle materie prime provocando, in termini qualitativi e quantitativi dei fattori, una sottoproduzione rispetto alle necessità del processo di trasformazione e l’imparziale sfruttamento delle opportunità offerte dal mercato. La carenza di liquidità, inoltre, conduce alla domanda di maggiori dilazioni di pagamento rinunciando eventuali riduzioni sul livello dei prezzi praticati dai fornitori. Essa, nei casi più gravi, può comportare uno stato di sfiducia nei confronti dei fornitori, al punto che questi si oppongono alle richieste di collaborazione proposte dall’impresa fino ad escludere qualsiasi rapporto in essere con l’azienda, costringendola alla ricerca di nuovi partner. Dal punto di vista delle vendite la carenza di liquidità può comportare una riduzione delle dilazioni concesse ai clienti. Questa politica, però, apparentemente favorevole perché permette di incassare in tempi più brevi i crediti, può essere accettata dai clienti in cambio di ulteriori sconti che riducono i margini e quindi la redditività aziendale. La carenza di mezzi monetari rende difficoltosa anche la sostituzione dei beni pluriennali divenuti obsoleti, mettendo a rischio le condizioni di equilibrio del sistema. Non da ultimo, l’insufficienza di mezzi liquidi si ripercuote sulla gestione del fattore umano provocando la riduzione del personale apparentemente in eccesso per il tentativo di raggiungere nuovi equilibri favorevoli. “In sintesi, lo stato di crisi

finanziaria provoca una lievitazione nel processo di formazione dei costi ed un accentuato declino della colonna dei ricavi, ossia, a più o meno breve termine, una serie costante di perdite” (400). Si evince, quindi, una sorta di collegamento tra l’equilibrio economico e quello

399 CAFARO R., op. cit., p. 11.

400 PODDIGHE F., MADONNA S. (a cura di), I modelli di previsione delle crisi aziendali: possibilità e limiti,

145 monetario, la presenza di tensioni monetarie nel breve periodo conducono, oltre un tempo tollerabile, a situazioni di disequilibrio reddituale nel lungo periodo (401). Il significato di “crisi finanziaria” è un concetto senza dubbio strettamente collegato all’aspetto temporale di scadenza del debito. Ipotizzando che i debiti abbiano una durata temporale identica e che l’azienda non sia interamente in grado di coprirli nel momento di scadenza, si configura per l’impresa uno stato di insolvenza (402). Si deve sottolineare, però, che non sempre la crisi ha origine da uno squilibrio monetario, se questo fosse vero basterebbe ripristinare tale tipo di equilibrio per risolvere lo stato di dissesto (403). “Sotto questo profilo, si può dire che lo stato

di insolvenza è una species del più ampio genus rappresentato dallo stato di crisi” (404). Per queste ragioni, l’equilibrio monetario può essere considerato un elemento necessario ma non sufficiente per la sopravvivenza dell’impresa. Infatti, un’azienda è considerata in crisi anche “quando non è più in grado di soddisfare il suo equilibrio economico” (405). In questo caso, l’intervento deve essere diretto ad eliminare le cause delle perdite che hanno colpito l’impresa a monte in modo da riportarla ad un livello di economicità adeguato (406). Anche la presenza dell’equilibrio economico, tuttavia, non può essere considerata una condizione che esclude la crisi aziendale. Il deteriorarsi delle condizioni di equilibrio, nei casi più gravi, può condurre al dissesto, cioè al disfacimento progressivo del patrimonio aziendale (407). Mentre l’insolvenza è misurata in termini di flussi e segnala dunque uno stato di tensione monetaria, il dissesto è misurato in termini di stock, ed evidenzia pertanto “una situazione di patologia aziendale tale

per cui il valore delle attività è insufficiente a garantire il rimborso dei debiti” (408).

401 È vero anche il contrario, ossia che “il perdurare di tali risultati negativi determina da un lato uno squilibrio

monetario, dovuto all’eccedenza dei costi rispetto ai ricavi e, dall’altro, un depauperamento patrimoniale, precludendo altresì la possibilità di colmare tale deficit attraverso il ricorso a fonti esterne aggiuntive, di rischio e/o di credito”, ivi, p. 14.

402 MASULLO S. M., CHIAIA M., MOTTI G., Crisi, Ristrutturazione e Rilancio dell’Impresa, Edizioni Fag

Milano, Milano, 2001, p. 221.

403 “Di norma, essa è ascrivibile a fattori di varia natura che determinano anzitutto un pregiudizio economico, il

quale, a sua volta, si traduce in un’alterazione patrimoniale-finanziaria”, PODDIGHE F., MADONNE S. (a cura di), op. cit., p. 17.

404 GIORGETTI M., GIUGGIOLI P., Imprese e superamento della crisi, Cedam, Trento, 2013, p. 3. 405 SCIARELLI S., op. cit., p. 10.

406 “In quest’ambito il termine economicità deve essere utilizzato per esprimere la capacità della gestione di

mantenersi in equilibrio economico: pertanto, come sinonimo di vitalità economica, ovvero, con termini analoghi, di autosufficienza economica, di oggettiva durabilità, di capacità propria di esistenza”, PODDIGHE F., MADONNE S. (a cura di), op. cit., p. 15.

407 “Il segnale del fatto che si sia innescato un simile processo è dato dalle perdite d’esercizio, dai periodi sempre

Nel documento La liquidità nelle piccole e medie imprese (pagine 147-154)