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La crisi del ‘29 e il ruolo del Gold Exchange Standard

DUE EPISODI DI DEFLAZIONE DEL PASSATO E LA RECENTE ESPERIENZA EUROPEA

3.1. La crisi del ‘29 e il ruolo del Gold Exchange Standard

Durante la prima guerra mondiale molti paesi abbandonano il Gold Standard registrando un aumento dei prezzi. Questo si arresta, però, subito dopo la fine della guerra quando, a causa della situazione finanziaria e monetaria caotica post-bellica, viene restaurata la parità con l’oro pari a quella presente prima del grande conflitto mondiale e i prezzi ritornano, così, a scendere. A differenza del classico Gold Standard, che ha funzionato in modo armonico e senza crisi di convertibilità per circa 30 anni, quello ripristinato tra le due grandi guerre inizia a deteriorarsi nel 1931 fino a sparire definitivamente nel 1936. Questa debolezza per alcuni teorici è frutto di problemi economici fondamentali, che complicano gli scambi e gli aggiustamenti monetari182, e di problemi tecnici, che in particolare riguardano l’asimmetria tra i paesi in deficit e quelli in surplus nelle risposte monetarie richieste dai flussi di oro e le insufficienti possibilità di intervento delle banche centrali. Per quanto riguarda il problema dell’asimmetria, i paesi in surplus, e cioè quelli che vivono flussi di oro in entrata, assistono ad un meccanismo di riequilibrio della bilancia dei pagamenti aumentando l’offerta della moneta domestica e inflazionando, mentre i paesi in deficit dovrebbero ridurre l’offerta di moneta e deflazionare secondo il “price-specie flow mechanism”183. Così c’è una potenziale

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Tra questi Bernanke e James (1991) comprendono la grande guerra, i nuovi confini politici stabiliti senza una razionalità economica, le richieste di risarcimento e i debiti di guerra internazionali che creano pesi e incertezze fiscali, l’inesperienza del nuovo paese egemone (US), e la non effettiva cooperazione tra le diverse banche centrali (nessuna delle quali è capace di assumersi la responsabilità dell’intero sistema).

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È il meccanismo secondo il quale quando un paese è in surplus l’oro può confluire per un ammontare pari al valore dell’eccesso di esportazioni rispetto alle importazioni, mentre in un paese in deficit l’oro può defluire per un ammontare pari a quanto il valore delle importazioni eccede quello delle esportazioni. Conseguentemente, in assenza di un’azione controbilanciante della BC sulla quantità di moneta in circolazione, l’offerta di moneta cresce nei paesi in surplus e decresce nei paesi in deficit, e secondo la teoria quantitativa, nei paesi in cui Ms aumenta si ha un aumento dei prezzi, mentre dove Ms diminuisce si

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tendenza deflazionistica nell’operatività del Gold Standard.184

Questa derivante predisposizione alla deflazione è ingigantita dai requisiti statutari di riserva obbligatoria imposti dopo la guerra a tante banche centrali (in alcune fino al 40% delle passività).185 Le insufficienti possibilità di intervento delle banche centrali deriva dal fatto che queste, durante il Gold Exchange Standard, non possono effettuare operazioni di mercato aperto per influire sull’offerta di moneta (Ms). L’obiettivo è prevenire l’inflazione futura impedendo alle banche centrali di tenere o negoziare titoli di stato e rendendo così difficoltosa la monetizzazione del deficit. Questo obbliga le banche centrali ad avere come unico strumento per influire sull’offerta di moneta domestica i termini con cui concedere i prestiti alle banche commerciali: poiché quest’ultime, se non nei periodi di crisi, prendono raramente a prestito dalle banche centrali, il potere di queste sulla Ms è veramente limitato. Normalmente l’effetto è destabilizzante: se una banca centrale che ha notevoli riserve di oro non può effettuare OMA, e quindi convertire i flussi di oro in entrata in espansione monetaria, questo comporta una sterilizzazione di questi flussi e un’imposizione della deflazione nel resto del mondo.186

Negli anni successivi alla prima guerra mondiale, gli Stati Uniti vivono un boom grazie alla fiorente industria automobilistica e all’alta produttività, dovuta anche alla razionalizzazione dei processi produttivi attraverso l’adozione di un’organizzazione del lavoro187 che permette di mantenere inalterati prezzi e salari favorendo gli investimenti e, di conseguenza, la produttività. A questo si aggiunge il boom delle speculazioni in borsa spinte dall’assenza di limiti per queste attività, dall’accumulo di risparmi e dai bassi tassi applicati dalle banche sui prestiti grazie ai quali aumenta l’indebitamento sia del piccolo che del grande investitore: dal 1920 al 1929 gli investimenti azionari triplicano il loro volume e gli indici di borsa salgono dal 1926 al 1929.188 Nel 1928 la

ha una riduzione dei prezzi. Si tratta quindi di un meccanismo di aggiustamenti secondo il quale in un paese i livelli iniziali dei prezzi possono essere totalmente o in parte controbilanciati da flussi di oro, tendendo così ad uniformare il livello dei prezzi tra i diversi paesi e, automaticamente, a riportare le bilance dei pagamenti internazionali in equilibrio. (www.nasdaq.com)

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Prima della grande guerra il paese egemone era la Gran Bretagna, che teneva oro sufficiente, ma non eccessivo, per garantire la convertibilità: in questo modo la banca centrale gestiva il Gold Standard evitando sostanziali flussi di oro sia in entrata che in uscita, e garantiva la convertibilità con riserve di oro sorprendentemente basse (Bernanke-James, 1991).

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Questa regola comporta due effetti negativi: il primo è che gran parte dell’oro detenuto dalle banche centrali come riserva non può essere usato per ripianare i temporanei disequilibri dei pagamenti in quanto immobilizzata dai requisiti di riserva. Il secondo effetto riguarda la relazione tra flussi di oro in uscita e la contrazione della Ms domestica: la perdita di oro può portare ad un’immediata e profonda deflazione non bilanciata dall’inflazione che si realizza negli altri paesi. (Bernanke-James, 1991)

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Bernanke-James (1991).

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Il cosiddetto Taylorismo (Borsa Italiana, 2008).

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FED mette in atto una restrizione monetaria con, in parte, il fine di rallentare la speculazione nel mercato azionario189 e in parte l’obiettivo di sterilizzare i flussi di oro. Nel corso del 1929 il livello generale dei prezzi diminuisce del 4%190 e l’economia, raggiunto il picco nell’agosto dello stesso anno, subisce un crollo a causa dei tassi d’interesse reali crescenti191

. Il 24 ottobre del 1929, a causa della vendita di massa di titoli sul mercato dovuta alla riduzione dell’euforia circa la continua crescita dei prezzi azionari, la borsa di Wall Street crolla.192

Il calo dei prezzi registrato negli US a seguito della contrazione monetaria viene, poi, trasmesso nel resto del mondo attraverso lo standard monetario internazionale.193 In particolare, Mazumder e Wood (2013) ritengono che una spiegazione sufficiente alla caduta dei prezzi e della produzione avvenuti durante la grande depressione del 1929- 1933 sia proprio il ritorno al Gold Standard194. Vedendo una relazione positiva diretta tra il ritorno alla parità fissa con l’oro e la grande deflazione, i due autori ammettono una diretta relazione tra il tasso di cambio e il livello dei prezzi: in particolare è il tasso di cambio che causa le variazioni del livello dei prezzi e non viceversa. Durante il

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Bernanke- James (1991).

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Dal 1930 al 1932 la deflazione è molto drammatica in quanto aumenta di circa il 10% all’anno (Sharma, 2014).

Bernanke e James (1991) riportano che una volta intraprese queste politiche monetarie destabilizzanti, poco può essere fatto per sviare dalla deflazione e dalla depressione poiché le banche centrali hanno promesso di mantenere il Gold Standard. Una volta che il processo deflazionistico è iniziato, le banche centrali intraprendono una deflazione competitiva e una contesa dell’oro nella speranza di aumentare gli indici di copertura per proteggere la propria valuta dagli attacchi speculativi. Tentativi di reflazionare di banche centrali individuali sono ripagati da flussi immediati di oro in uscita che obbligano la stessa autorità monetaria ad aumentare i propri tassi di sconto e deflazionare nuovamente. Anche i paesi con elevate riserve di oro, come gli Stati Uniti, si trovano ad fronteggiare questo problema. A causa del Gold Standard la FED può far poco e lascia fallire le banche e crollare l’offerta di moneta.

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Conti (2009).

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Tra le principali cause del crollo si hanno la mancata crescita del potere d’acquisto nonostante l’incremento di produttività e di investimenti, la politica monetaria della FED e la continua espansione del credito attraverso tassi artificialmente bassi e l’eccesso di prestiti a carattere speculativo (Borsa Italiana, 2008).

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Anche Bernanke e James (1991) affermano che la deflazione registrata tra il 1929 e il 1930 sembra avere un’origine monetaria, e che la stretta corrispondenza tra deflazione e adesione al Gold Standard mostra la potenza del sistema di trasmettere gli shock della riduzione dell’offerta di moneta.

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I due autori ritengono che la grande deflazione non è causata né alla necessità di liquidare gli eccessi finanziari degli anni 20, né dal collasso della domanda aggregata, né dalla coincidenza di abbassamenti ciclici a breve e a lungo termine, né dal fallimento della politica monetaria, né dalla competitività internazionale per le riserve di oro, né dalla rottura economica e politica della prima guerra mondiale, sebbene alcuni di questi fattori determinino la tempistica o anche le conseguenze della caduta dei prezzi (Mazumder - Wood, 2013).

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periodo 1917-1933 il tasso di cambio è stato il principale determinante del livello dei prezzi. Dal momento che il Gold Standard è ritenuto la causa della propagazione della contrazione monetaria e, di conseguenza, della deflazione e della depressione, Bernake e James (1991) affermano allora che i paesi che sono usciti dal sistema o che non ci sono rientrati dovrebbero poter evitare molte delle pressioni deflazionistiche. Questo perché un deprezzamento della propria valuta, e quindi l’uscita dal Gold Standard, favorisce una più veloce crescita delle esportazioni e della produzione industriale rispetto a chi appartiene al sistema; a questo si aggiungono salari reali più bassi e una maggiore profittabilità che probabilmente aiuta la crescita della produzione. Abbandonare il Gold Standard offre ai paesi anche maggiore libertà nell’espandere la propria offerta di moneta e nell’uscire così dalla deflazione.

Le banche centrali dei paesi colpiti non intervengono in maniera risolutiva tramite un’espansione monetaria perché questo avrebbe minacciato la convertibilità aurea.195

La FED cerca di frenare la deflazione riducendo i tassi d’interesse nominali ma cade nella trappola della liquidità non riuscendo, così, a stimolare l’economia.

Il crollo di Wall Street danneggia le industrie di beni di consumo durevoli, che si trovano costrette a tagliare le loro commesse verso aziende appartenenti alla stessa filiera, a ridurre il personale e ad abbassare i salari. Questo ha un effetto pregiudizievole sui consumi che si contraggono e provocano l’espandersi della crisi dal settore industriale a quello agricolo già fortemente indebolito. Le ripercussioni del crollo della borsa sono notevoli anche sul sistema bancario americano che ha alimentato la speculazione finanziaria rilasciando crediti con tassi d’interesse bassi: a causa della caduta delle vendite e dei prezzi, un numero crescente di imprese non è più in condizione di pagare i debiti alle scadenze. Contemporaneamente i piccoli risparmiatori, spinti da crescenti esigenze di liquidità, si precipitano agli sportelli delle banche per ritirare i propri depositi e il mercato va, così, incontro ad una crisi di liquidità contribuendo al fallimento di molte banche e, a catena, delle industrie a cui esse hanno prestato. La produzione industriale scende del 50% e i fallimenti ed i licenziamenti portano alla crisi dei consumi contribuendo ad alimentare un circolo vizioso che conduce l’economia statunitense in una fase di arresto.196

Anche il ruolo di principale fornitore di capitale all’economia internazionale che gli Stati Uniti ricoprono successivamente alla grande guerra contribuisce a trasformare la crisi da locale a globale: il ritiro dei crediti, imposto dalla necessità di liquidità, mette in crisi le finanze e le economie dei paesi europei in ricostruzione che dall’iniezione di dollari stavano traendo il loro sostentamento, primi tra tutti i paesi vinti Germania e Austria. Questa tendenza è rafforzata da una politica doganale duramente protezionistica adottata dagli US a seguito della crisi dei prezzi agricoli statunitensi che presto si diffonde in tutti i paesi dando il via ad una nuova fase di chiusura di mercati e frontiere. 195 Conti (2009). 196 Borsa Italiana (2008).

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La ripresa avviene nel 1933 con l’elezione del 4 marzo di Franklin D. Roosevelt, il quale, fra il 1933 e il 1937, adotta un programma di riforme economiche e sociali conosciuto con il nome di New Deal e consistente nei seguenti punti:

1. Abbandonare la parità aurea e svalutare il dollaro nella misura del 40% per ridurre i debiti e facilitare le esportazioni;

2. Riassorbire la disoccupazione mediante un vasto piano di lavori pubblici;

3. Mettere in atto una maggiore tassazione dei ceti abbienti e un completo sistema di assicurazioni sociali a vantaggio delle classi lavoratrici;

4. Aumentare i salari;

5. Ridurre le ore lavorative nelle fabbriche;

6. Obbligare gli imprenditori a riconoscere i sindacati operai e a trattare con essi; 7. Controllare il sistema bancario, la Borsa e il mercato azionario.

Stimolando la spesa pubblica attraverso un vasto programma di interventi, Roosevelt riesce a ridurre la disoccupazione. Di conseguenza aumenta la domanda di beni di consumo e il processo produttivo riparte. Roosevelt, inoltre, sostiene gli agricoltori attraverso il controllo della produzione e concedendo sussidi.197 Negli anni seguenti la produzione continua a crescere e con essa l’occupazione e gli investimenti. Il culmine della ripresa si ha nel 1937.