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La relazione tra deflazione e instabilità macroeconomica

1.3. La deflazione e gli altri fenomeni economic

1.3.1. La relazione tra deflazione e instabilità macroeconomica

Beckworth (2008), nell’evidenziare la differenza tra deflazione buona e deflazione cattiva, sottolinea che il tentativo da parte delle autorità di ostacolare la versione benefica possa mettere a rischio la stabilità economica. Il legame tra deflazione e instabilità deriva dal fatto che sia gli shock della produttività che quelli relativi ai fattori di produzione implicano variazioni dei costi unitari di produzione e, data la pressione competitiva, anche della relazione tra prezzi degli inputs e prezzi degli outputs. Il fatto che le variazioni del livello generale dei prezzi, dato dalla media di quelli di vendita, cerchino di riflettere le variazioni dei costi unitari di produzione, ha lo scopo di mantenere stabili i margini di profitto, e conseguentemente una produzione a livelli sostenibili. Per capire meglio questo, l’autore propone un esempio: assumiamo che ci sia un ampio shock positivo sulla produttività. Le imprese hanno ridotti costi unitari di produzione, e possono ridurre i prezzi di vendita nel tentativo di guadagnare nuove fette di mercato; i margini di profitto restano invariati fintanto che il calo dei prezzi degli outputs va di pari passo a quello dei costi unitari di produzione. In questa situazione il livello generale dei prezzi cala senza mettere in gioco la sopravvivenza dell’impresa; è per questo che la dinamica precedente costituisce un esempio di deflazione benigna. Se in questo caso le autorità intervenissero nel tentativo di impedire il calo dei prezzi, per mantenere i margini di profitto stabili e il livello di produttività accettabile sarebbe necessario un aggiustamento a rialzo dei prezzi nominali degli inputs. Nel caso in cui però questi, come affermato anche precedentemente, sono rigidi, alcuni sforzi possono

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finire col gonfiare i margini di guadagno e portare un’inflazione dei profitti. Le imprese, che non si rendono conto della natura temporanea dei profitti gonfiati, possono incrementare la produzione aggiungendo un insostenibile stimolo al tasso di crescita della stessa; questo boom economico può continuare fintanto che i prezzi degli inputs e degli outputs non si aggiustano riportando così i margini ai livelli normali. Da questo punto di vista non sembra esserci niente di negativo, ma deve essere considerato anche il lato della spesa nominale: questa aumenta a seguito dell’azione messa in atto dalle autorità per frenare il calo dei prezzi. Se questi cambiamenti nella politica monetaria sono inattesi, o se ci sono rilevanti rigidità nominali, l’aumento delle spesa nominale può spingere la produzione attuale oltre il suo livello naturale. Quindi sono due le cause dell’incremento della produzione reale: quella sostenibile, relativa ai guadagni sulla produttività o sui fattori di produzione, e quella insostenibile, derivante dallo stimolo monetario. Quest’ultima comunque si può verificare senza nessun incremento del livello dei prezzi, facendo apparire i guadagni economici reali buoni da un punto di vista macroeconomico; l’incremento della spesa nominale può così creare un ciclo di booms- busts nell’attività economica reale senza nessun segno inflazionistico standard di surriscaldamento.

Nella figura 1.6.a. è raffigurato questo meccanismo con il modello AD-AS. La deflazione benigna comporta una traslazione della curva di offerta aggregata di lungo periodo da LAS1 a LAS2 portando ad un nuovo equilibrio, B, diverso da quello di

partenza, A. Ma, come è osservabile dalla figura 1.6.b., questo fenomeno è frenato dalle autorità monetarie che, per mantenere i prezzi stabili, fanno traslare la curva di domanda aggregata da AD1 a AD2. Questa manovra non solo stabilizza i prezzi riportandoli al

livello di partenza, P1, ma incrementa la spesa nominale (data da P*Y) e, data

l’inclinazione positiva delle curva di offerta aggregata di breve periodo (SAS), spinge l’attività economica reale temporaneamente oltre il livello naturale Y2 fino a Y3. Nel

lungo periodo possono esserci poi delle manovre correttive finalizzate a riportare Y al livello Y2, ma nel breve termine il fine principale delle autorità è garantire la stabilità

dei prezzi anche se questo si ripercuote con movimenti destabilizzanti sull’attività economica.

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Figura 1.6: Le conseguenze dell’opposizione alla deflazione benigna

Fonte: Beckworth (2008).

La risposta del tasso d’interesse agli shocks positivi della curva AS gioca un ruolo importante nella relazione tra la deflazione benigna e la stabilità macroeconomica. Il tasso d’interesse naturale è quel tasso reale relativo al livello naturale di produzione. Secondo la visione Wickselliana, il tasso reale attuale può allontanarsi dal suo livello naturale nel breve periodo, ed è proprio la stabilità dei prezzi che permette di minimizzare questi scostamenti. In realtà però le numerose visioni del fenomeno deflazionistico dimostrano che nel caso di deflazione dovuta a shock dell’offerta aggregata, la stabilità dei prezzi può invece incrementare queste deviazioni. Come notato precedentemente, un incremento del tasso di crescita della produttività o dell’offerta di lavoro può accrescere il tasso d’interesse naturale e creare pressioni deflazionistiche. Se comunque le autorità monetarie cercano di ostacolarle riducendo il tasso d’interesse politico, forzano il tasso reale sotto il suo livello naturale favorendo il boom dei crediti. Il risultante disequilibrio macroeconomico si può manifestare in un accumulo ingiustificato di capitali, in un leverage eccessivo, in investimenti speculativi e in prezzi degli assets sregolati.

(a)

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La comprensione di questo legame tra stabilità economica e deflazione benefica suggerisce che, dati gli effetti reali nel breve periodo, e cioè l’aumento dei consumi nominali, la politica monetaria non deve sbagliare nell’interpretare il tipo di deflazione, ma può permettere ai prezzi di scendere qualora questa pressione derivi da shock della produttività o della crescita di fattori di produzione. Alcune azioni possono stabilizzare la spesa nominale e mantenere il tasso d’interesse reale in linea con il suo livello naturale: questo implica che il livello generale dei prezzi deve potersi muovere anche verso il basso qualora questa spinta sia dovuta agli shock indicati precedentemente, e che non sono i prezzi a dover essere mantenuti intorno a dei targets prestabiliti, bensì i consumi nominali.