• Non ci sono risultati.

La definizione tecnico-giuridica dei beni comun

2 – IL PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETÀ ORIZZONTALE NELLA GIURISPRUDENZA E DOTTRINA ITALIANE LE

2- La definizione tecnico-giuridica dei beni comun

“Le cose che esprimono utilità funzionali all'esercizio dei diritti fondamentali nonché al libero sviluppo della persona.104

I grandi dibattiti che sviluppatisi nel corso della storia

dell'economia occidentale relativamente alla contrapposizione tra

proprietà privata e proprietà pubblica, tra società individualista e

società solidale, tra Stato interventista e Stato astensionista, hanno

senz'altro contribuito a un'evoluzione economica, giuridica e sociale

anche nella difficile definizione dello statuto dei beni comuni. La

nozione di bene comune è oggetto di un ricco dibattito che coinvolge

studiosi di diverse discipline che si è accentuato in virtù della recente

crisi economica, che ha causato l'esigenza di rivedere alcune tra le

categorie consolidate di diritto, infatti, già dal punto di vista del

linguaggio colloquiale, l'idea di “bene comune” comunica la forte

104 Commissione Rodotà, Delega al Governo per la modifica del Capo II del Titolo I del Libro III del Codice Civile, 14 giugno 2007, art.1, comma 3°, lett.c

esigenza di redistribuzione dei beni, per permettere ai componenti

della società più svantaggiati di conservare la loro dignità esistenziale

a dispetto della loro incapacità di occuparsi di sé stessi. Sintomatica di

tale necessità è stata senz'altro la straordinaria partecipazione al voto,

ben 27 milioni di persone, che nel 2011 ha visto il referendum sulle

forme di gestione dei servizi pubblici locali, altrimenti noto come

“referendum dell'acqua pubblica”.

Nel contesto italiano, come evidenziato da Vincenzo Cerulli Irelli e

Luca de Lucia105, l'interesse par i beni comuni è frutto di una serie di

risultanti: anzitutto la reazione alle politiche di privatizzazione di beni

e imprese pubbliche che hanno dominato gli ultimi anni, la

preoccupazione circa il mantenimento delle garanzie proprie dello

Stato sociale e, almeno in determinati ambiti, il superamento delle

forme proprietarie tipiche dell'ideologia borghese, fondate

sull'appropriazione e lo sfruttamento individuale ed escludente dei

beni, “fuori da ogni logica mercantile”106.

105 U. BRECCIA, G. COLOMBINI, E. NAVARRETTA, R. ROMBOLI (a cura di).,

I beni comuni, seminario congiunto della Scuola di Dottorato in Scienze Giuridiche,

Università di Pisa, 12-13 ottobre 2012

Poiché con i beni comuni “compare una dimensione diversa, che ci

porta al di là dell'individualismo proprietario e della tradizionale

gestione pubblica dei beni107”, si capirà come la collocazione di questa

peculiare categoria di beni sia un'operazione di non poco conto, per cui

spesso si utilizza come punto di partenza la suddivisione proposta da

Nadia Carestiato108 in tre gruppi mutuati dalle declinazioni di

godimento collettivo di un bene delineati dalla dottrina italiana:

1) i beni comuni tradizionali, di cui una determinata comunità

gode per diritto consuetudinario (prati, pascoli, boschi, aree di pesca

ecc.). Questa categoria di beni è definita più propriamente come

“proprietà collettiva” ;

2) i beni comuni globali, quali aria, acqua e foreste, la

biodiversità, gli oceani, lo spazio, le risorse non rinnovabili come

petrolio, carbone e gas naturale o, seguendo la definizione di Giannini,

“res communes omnium”109. La situazione giuridica di questi beni è

sempre stata piuttosto indefinita, ma oggi è messa in discussione dai

107 S. RODOTA', Il valore dei beni comuni, in acquabenecomune.org

108 N. CARESTIATO, Beni comuni e proprietà collettiva come attori territoriali per

lo sviluppo locale, Tesi di dottorato in Uomo e Ambiente, XX Ciclo, Università degli

Studi di Padova, Dipartimento di Geografia, 2008, p. 13. 109 M.S. GIANNINI, I beni pubblici, Roma 1963, 37 ss.

numerosi interventi normativi, anche di origine sovranazionale, che,

nel corso del tempo, hanno disciplinato l'uso e la conservazione di tali

risorse;

3) i new commons, quali cultura, vie di comunicazione

(autostrade, rete Internet ecc.), parcheggi e le aree verdi in città, i

servizi pubblici di acqua, luce, trasporti, le case popolari, la sanità e la

scuola, il diritto alla sicurezza e alla pace. Sul fronte della tutela, al

singolo è riconosciuta la possiilità di esperire azioni possessorie nei

confronti di soggetti terzi110 e di agire nei confronti degli atti

amministrativi che limitino l'esercizio di tali diritti. A tal proposito, la

posizione del titolare è di interesse legittimo che può essere attivato

innanzi al giudice amministrativo, ricorrendone i presupposti ordinari,

essendo esclusa una legittimazione indifferenziata in capo a tutti gli

utenti111.

Ad ogni modo, lo scenario in materia si presenta fortemente articolato

ed incerto, infatti ad esempio Cerulli Irelli e Luca De Lucia

propongono in merito all'espressione “beni comuni” una suddivisione

110 V. CERULLI IRELLI, Uso pubblico, in Enc. dir., vol. XLV, 961

quadripartita112, che fa anzitutto riferimento all'affermazione degli

obiettivi di interesse generale passando tramite la realizzazione del

singolo, andando oltre all'interesse della collettività113,indi prosegue

enucleando alcuni beni immateriali (quali software, opere d'arte, le

formule di determinati farmaci, il genoma umano) che nel corso degli

anni hanno assunto un'importanza centrale nelle società contemporanee

in quanto legati a fondamentali esigenze degli individui (questo tema

ha peraltro interessanti risvolti con quello dell'accesso alla cultura114),

terza accezione riguarda di res essenziali all'esercizio dei diritti

fondamentali e al libero sviluppo della persona per le quali è suggerita

l'instaurazione di una fruizione collettiva115, infine il concetto relativo

ai beni comuni può riguardare la porzione di spazio in cui le

collettività sono insediate e vivono (in tal materia si denota una serie di

112 U. BRECCIA, G. COLOMBINI, E. NAVARRETTA, R. ROMBOLI (a cura di).,

I beni comuni, seminario congiunto della Scuola di Dottorato in Scienze Giuridiche,

Università di Pisa, 12-13 ottobre 2012, 9 ss.

113 Si vedano alcune sentenze della Corte Costituzionale che hanno qualificato quali beni collettivi il buon costume (sent. n. 82 del 1975) e l'ordine pubblico (sent. n. 2 del 1956 e n.19 del 1962)

114 A tal proposito, G. RESTA, La conoscenza come bene comune: quale tutela?, in Tempo di beni comuni, Roma 2013, 339 ss.

115 Si veda ad esempio l'art.1 della l.r. Toscana n.1 del 2005, norme per il governo del territorio, dove si legge che “a tal fine lo svolgimento di tali attività e

l'utilizzazione delle risorse territoriali ed ambientali deve avvenire garantendo la salvaguardia e il mantenimento dei beni comuni e l'uguaglianza di diritti all'uso e al godimento dei beni comuni, nel rispetto delle esigenze legate alla migliore qualità della vita delle generazioni presenti e future”.

corollari che si traducono, ad esempio, in una critica radicale alle scelte

di gestione del territorio che sottraggono “utilità alla collettività in

termini di salute, libertà, socialità dignità di vivere, felicità”116).

Ponendo un altro punto di vista, come ben evidenziato da Ulderico

Pomarici117, la storia dei beni comuni è stata sempre legata alla

contrapposizione tra la logica proprietaria, in virtù della quale l'uomo

soggioga ciò che lo circonda ponendolo sotto il proprio dominio, e la

logica del comune, che nasce dalla concezione per cui esistano beni

essenziali per la vita umana che devono necessariamente sfuggire al

meccanismo della proprietà privata.

Relativamente all'esperienza italiana, il dibattito moderno è scaturito

da una certa insoddisfazione per determinati modelli di gestione o

regolazione delle utilità, e in sede di definizione tecnico-giuridica118 si

sono fatte strada due ordini di ricostruzioni: il primo, di ispirazione

liberista, mirato a contestare l'adeguatezza dei modelli di gestione

116 M.R. MARELLA (a cura di), Per un diritto dei beni comuni, in Oltre il pubblico

e il privato, Verona 2012, 187

117 U. POMARICI, Beni comuni, in ID. (a cura di), Atlante di filosofia del diritto.

Selezione di voci, Torino, 2013, 3 ss.

118 Cfr. S. RODOTÀ, Beni comuni: una strategia globale contro lo human divide, in M.R. MARELLA (a cura di), Oltre il pubblico e il privato, cit., 311 ss.; S. SETTIS,

Azione popolare. Cittadini per il bene comune, Torino, 2012; P. MADDALENA, Il territorio, bene comune degli italiani. Proprietà collettiva, proprietà privata e interesse pubblico, Roma, 2014.

sussistenti; il secondo, che intende come “bene comune” ogni entità

che abbia la facoltà di catalizzare l’autonoma iniziativa a prendersi

cura di un interesse generale nei cittadini attivi di cui all’art.118,

comma 4, Cost. che trova il proprio paradigma di riferimento

nell'ambito dell'amministrazione condivisa119.

La definizione che si è distinta in larga parte è stata quella

esplicitata nella proposta di articolato per una legge delega licenziata

dalla Commissione Rodotà120, istituita presso il Ministero della

Giustizia con d.m. 21 giugno 2007: le istanze emerse in sede di lavoro

della Commissione sono state influenzate fortemente da una serie di

dibattiti afferenti alla comparazione sul piano internazionale e

costituzionale che opera su due piani: da una parte il rapporto tra la

tutela di risorse essenziali alla vita e all'esercizio dei diritti

fondamentali che siano coerenti con tale obiettivo; dall'altra si

considera invece all'evoluzione del regime normativo in materia di

proprietà pubblica e di proprietà privata. La Commissione Rodotà ha

119 Cfr. G. ARENA, Introduzione all’amministrazione condivisa, in Studi

parlamentari, 1997, 29 ss.

120 I relativi atti sono raccolti in U. MATTEI, E. REVIGLIO, S. RODOTÀ (a cura di), I beni pubblici. Dal governo democratico dell’economia alla riforma del codice

inoltre proposto di distinguere la categoria dei beni in beni comuni,

beni pubblici e beni privati121.La proposta della Commissione tuttavia

non ha avuto un seguito, anche se ha influenzato grande parte delle

ricostruzioni citate in precedenza.

Altra definizione, invece, è quella contenuta nel “Regolamento

sulla collaborazione tra cittadini e amministrazione per la cura e la

rigenerazione dei beni comuni urbani”122, messo a punto

dall’associazione Labsus e dal Comune di Bologna:“i beni, materiali,

immateriali e digitali, che i cittadini e l’Amministrazione, anche

attraverso procedure partecipative e deliberative, riconoscono essere

funzionali al benessere individuale e collettivo, attivandosi di

conseguenza nei loro confronti ai sensi dell’art.118 ultimo comma

Costituzione, per condividere con l’amministrazione la responsabilità

121 Una fondamentale questione riguarda la possibilità di applicare ai beni comuni la definizione che dei beni fornisce il Codice civile. Nel libro Terzo del Codice, intitolato “Della proprietà”, al Capo I del Titolo I, intitolato “Dei beni in generale”, all'art. 810 si legge infatti questa definizione: “sono beni le cose che possono formare oggetto di diritti”. Questa definizione si adatta sia ai beni privati sia ai beni pubblici, in quanto entrambi possono essere oggetto di diritti da parte rispettivamente di soggetti privati e soggetti pubblici, anche se con numerosi interrogativi, in U. MATTEI, E. REVIGLIO, S. RODOTÀ (a cura di), Invertire la rotta. Idee per una

riforma della proprietà pubblica, Bologna, 2007. Gli Autori ritengono che ripensare

la proprietà pubblica significa, infatti, porre una questione politica cruciale: come organizzare e utilizzare al meglio, nell'interesse della collettività, i beni e i servizi che meritano la qualifica di beni e servizi pubblici dal momento che costituiscono delle risorse appartenenti a tutti noi, in quanto contribuenti, cittadini, esseri umani. 122 Per una trattazione più approfondita circa l'Associazione Labsus e il Regolamento in oggetto, si rimanda ai paragrafi successivi.

della loro cura o rigenerazione al fine di migliorarne la fruizione

collettiva”123. A fronte delle definizioni sopra citate, è evidente come la

nozione di “beni comuni” sia strettamente connessa agli interessi di

natura collettiva124, anche se è un errore affermare che la dimensione

propria dei beni comuni sia quella comunitaria, infatti Rodotà ha

sottolineato che “un tratto caratteristico dei beni comuni consiste nel

movimento ascensionale che li ha portati dalla periferia al centro del

sistema, rendendo quasi sempre improponibili le suggestioni tratte dai

modelli del passato; […] la loro portata innovativa, muovendo dalla

persona e dai suoi diritti si distende oltre questo confine, proietta la

persona stessa oltre il luogo in cui vive125”.

Nella vigente normativa, molte cose considerate quali beni comuni (si

pensi all'apposito elenco predisposto dalla Commissione ministeriale)

sono tuttavia oggetto di diritti reali collettivi in senso stretto e di

123 V. all’art. 2, comma 1, lett. a), del «Regolamento sulla collaborazione tra cittadini e amministrazione per la cura e la rigenerazione dei beni comuni urbani». Il testo di questo regolamento è reperibile online al seguente indirizzo:

http://www.comune.bologna.it/sites/default/files/documenti/REGOLAMENTO %20BENI%20COMUNI.pdf.

124 Cfr. A. CIERVO, I beni comuni, cit., 133 ss; L. FERRAJOLI, Per una carta dei

beni fondamentali, in Diritti fondamentali: le nuove sfide, a cura di T. Mazzarese e P.

Paoloni, Torino, 2010, 79 ss.; più in generale, R. BIFULCO, Diritto e generazioni

future, Milano, 2008, passim.

discipline di tutela che esprimono un particolare legame del gruppo

con una determinata cosa, infatti nel dibattito dottrinale e nella

legislazione italiana non è stata ancora fatta chiara luce sulla natura del

rapporto che la collettività intrattiene con il bene, ovvero se si tratti

cioè di diritti collettivi in senso proprio o di situazioni giuridiche di

altro genere126.

Dunque, un aiuto potrà sicuramente giungere dalla crescente

valorizzazione delle collettività territoriali nel cui ambito si sviluppa la

persona , poiché il mutato assetto costituzionale non può che giocare in

favore di un più spiccato coinvolgimento di questi gruppi in relazione a

determinate risorse mediante un aggiornamento delle situazioni

giuridiche collettive, pur operando le doverose distinzioni. Un nodo

centrale sarebbe certamente quello di predisporre appositi modelli di

governance per assicurare un'ampia, trasparente e solidaristica

partecipazione dei cittadini.

Si impone su tutti un esempio mutuato dall'esigenza via via

sempre più pressante di tutela del patrimonio culturale italiano. Non

126 A tal proposito si rimanda a V. CERULLI IRELLI, L. DE LUCIA, ed. Politica del Diritto,a.XLV, n.1, marzo 2014, p. 4 e ss.

essendoci più alcun dubbio circa il riconoscimento da parte della

Commissione Rodotà dei beni culturali quali beni comuni, in quanto

aventi un indiscutibile ruolo ai fini della formazione e dello sviluppo

armonico della persona umana127 ed essendo parimenti previsto un

apposito meccanismo tutelare all'art.9 Cost. (ai fini della cui attuazione

è stato emanato il Codice dei Beni Culturali con d.lgs. 42/2004) e

tramite espressa riserva di legge all'art.117, 2°comma lett. s) dove

viene attribuita la competenza legislativa esclusiva allo Stato in

materia di beni comuni, rimane però il dubbio sull'effettiva capacità da

parte dello Stato italiano di perseguire concretamente l'obiettivo della

conservazione di siffatti beni.

A dimostrazione di ciò, è bene ricordare come negli ultimi anni i tagli

ai finanziamenti per la cultura si siano moltiplicati e come si siano

ridotte in maniera consistente, in ragione dell'ultima crisi economica

127 Sul punto in accordo anche L. ZANNINO, Beni pubblici, beni comuni. Appunto, in www.astrid-online.it. La Corte Costituzionale inoltre, con sent. 27 luglo 2004, n.272, ha riconosciuto ai beni culturali un vero e proprio ruolo di motore dello sviluppo sociale, civile ed economico. Nella medesima prospettiva si è posta anche l'UNESCO tramite l'approvazione da parte della Conferenza Generale della

Convenzione per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale in data 17

ottobre 2003, che ha ampliato i confini della tutela accordandola ai cd. “beni culturali immateriali”(prassi, rappresentazioni, espressioni, conoscenze). Tale Convenzione è stata ratificata in Italia con lg. 167/07 e recepita dall'art.7-bis del Codice dei Beni Culturali.

intercorsa, le risorse provenienti dalle fondazioni bancarie, dalle

assicurazioni e dalle grandi sponsorizzazioni. Per sopperire a tale

mancanza, il riconoscimento giuridico dei beni culturali come beni

comuni può senz'altro rappresentare i limiti posti, da una parte, dalla

dicotomia pubblico/privato, dall'altra la sovranità dello Stato come

filtro necessario nella gestione e nel godimento delle risorse da parte

della collettività128, in guisa di una percettibile crisi del rapporto tra

individuo ed istituzioni. Non devono dunque stupire la riproposizione

di forma di democrazia alternativa e di esperienze di cittadinanza

attiva.

Non è un caso che il Parlamento abbia approvato la legge 29 luglio

2014 n.106, di conversione del d.l. 21 maggio 2014 n.83 avente ad

oggetto Misure urgenti per la tutela del patrimonio culturale, lo

sviluppo della cultura e il rilancio del turismo: detta disposizione

legislativa ha apposto tutta una serie di misure finalizzate al

reperimento delle risorse per garantire la tutela e la valorizzazione del

patrimonio culturale mediante una serie di incentivi fiscali alle imprese

128 U. BRECCIA, G. COLOMBINI, E. NAVARRETTA, R. ROMBOLI (a cura di).,

I beni comuni, seminario congiunto della Scuola di Dottorato in Scienze Giuridiche,

turistiche che promuovano progetti di valorizzazione del territorio

locale.

Una certa dottrina129 ha addirittura condiviso una serie di linee di

azione da intraprendere ai fini di un più ampio coinvolgimento della

collettività quali la promozione dell'educazione dei cittadini alla cura

civica, l'incoraggiamento di forme di sussidiarietà quotidiana (educare

il cittadino alla “vita diligente”), il sostegno a microprogetti di

recupero, restauro o ristrutturazione di beni di interesse storico-

artistico. Si tratta dunque di una corrente di pensiero che sta

incontrando un elevato numero di consensi.

Ad ogni modo, come sottolineato da Cerulli Irelli e De Lucia130, le

conseguenze di una tale logica solidaristica sul piano della

legittimazione processuale in materia di tutela, fruizione pubblica e

gestione non sarebbero di poco conto, poiché qualsiasi cittadino

appartenente alla collettività di riferimento potrebbe impugnare di

fronte al giudice amministrativo ogni decisione senza la necessità di

129 C. IAIONE, Il Governo condiviso dei beni comuni per un welfare urbano, in www.artid-online.it

130 U. BRECCIA, G. COLOMBINI, E. NAVARRETTA, R. ROMBOLI (a cura di).,

I beni comuni, seminario congiunto della Scuola di Dottorato in Scienze Giuridiche,

dimostrare alcun interesse; parimenti ciascun residente potrebbe agire

innanzi al giudice ordinario nei confronti di soggetti privati che

dovessero ostacolare l'esercizio del diritto. Ciò porterebbe, come si

capisce, a una notevole estensione del sindacato del giudice

amministrativo e che la collettività si conferma, comunque, un centro

di riferimento di interessi diverso rispetto all'ente esponenziale.

Attenzione però: gli Autori non mancano di ricordare come, in ambito

di patrimonio territoriale, lo schema or ora delineato, dunque la natura

collettiva dei beni, non ha portato a un rinsaldarsi del vincolo di

solidarietà, né al rafforzamento dell'identità collettiva, né a fenomeni

virtuosi di sviluppo economico. La mancanza della cultura civil

servant (la cultura del collaborare ad un bene comune per mero spirito

solidaristico) tipica dei paesi di common law è totalmente assente. Il

ricorso alla collettività si è talvolta rivelato un modello debole che non

è in forza di risolvere ogni problema, quindi l'approccio deve

necessariamente misurarsi sulla base di una, fondamentale domanda:

fino a che punto i diversi tessuti sociali sono disposti a mobilitarsi a

2.1 - La valorizzazione dei beni comuni nello Statuto della Regione

Toscana come sintomo di una evoluzione giuridico-sociale in atto

Con legge statutaria 26 novembre 2018, n.64131, il Consiglio

regionale della Regione Toscana ha emanato una serie di disposizioni

in materia di tutela e valorizzazione dei beni comuni, modificando

l'articolo 4, comma 1 dello Statuto regionale tramite l'inserimento di

una nuova disposizione (lett. m bis) che comprende tra le finalità

principali “la tutela e la valorizzazione dei beni comuni, intesi quali

beni materiali, immateriali e digitali che esprimono utilità funzionali all'esercizio dei diritti fondamentali della persona, al benessere individuale e di forme diffuse di partecipazione nella gestione condivisa e nella fruizione dei medesimi”. È interessante notare, come

giustamente ha fatto Laura Muzi132 in un suo articolo per Labsus, che

la definizione di beni comuni così formulata riproduce quasi

fedelmente quella elaborata nel 2007 dalla Commissione Rodotà per la

131 Legge statutaria 26 novembre 2018, n.64

http://raccoltanormativa.consiglio.regione.toscana.it/articolo?

urndoc=urn:nir:regione.toscana:legge:2018-11-26;64&pr=idx,0;artic,1;articparziale,0 132 L. MUZI, La Toscana introduce la valorizzazione dei beni comuni in Statuto –

Per la prima volta si assiste all'introduzione del tema dei beni comuni tra quelli meritevoli di essere trattati all'interno di uno Statuto regionale, in Labsus – Laboratorio per la sussidiarietà, https://www.labsus.org/2018/09/la-toscana- introduce-valorizzazione-dei-beni-comuni-in-statuto/

riforma del Codice Civile.

Questa previsione giunge in seguito ad una particolare

attenzione manifestata dalla Regione Toscana già a partire dal 2005,

quattro anni dopo la riforma costituzionale 3/2001: in sede di

redazione dello Statuto regionale133 vennero inseriti al Titolo VI,

rubricato “Il sistema delle autonomie”, gli articoli 58 e 59, nei quali si

esplicita un diretto riferimento al principio di sussidiarietà, qui citato

come parametro orientativo per le attività delle istituzioni regionali al

fine di avvicinare i cittadini all'organizzazione della vita sociale e

all'esercizio delle funzioni pubbliche, tant'è vero che viene favorita