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La dimensione sociale e culturale della conoscenza

CAPITOLO 1- LA FILOSOFIA DI G W LEIBNIZ

1.4 La dimensione sociale e culturale della conoscenza

Per comprendere a fondo la nozione di socialitas nella teoria della conoscenza leibniziana, con le peculiarità che essa manifesta nella cultura tedesca nei secoli XVII e XVIII, bisogna tratteggiare, al solo scopo di disporre di un adeguato sfondo genealogico che dia ragione degli argomenti trattati e maggior risalto ai concetti fondamentali, il capitolo dei Nuovi saggi sull’intelletto umano, in cui il filosofo parla della divisione delle scienze. Così, semplificando il discorso, l’«alleanza della pratica con la teoria», che «si vede presso coloro che insegnano quelli che si chiamano gli esercizi, come anche presso i pittori o scultori e musicisti, e presso altre specie di virtuosi», fungerebbe da rilevatore situazionale per assicurare alle scienze un progresso continuo e illimitato. Se i principi delle professioni, delle arti e dei mestieri fossero insegnati «praticamente […] questi studiosi sarebbero veramente i precettori del genere umano».

A questo proposito Leibniz scrive:

«Bisognerebbe […] mutare in molte cose la situazione attuale della letteratura, e dell’educazione dei giovani, e di conseguenza dell’amministrazione pubblica182».

Appare chiaro che non può esserci un ottimo Stato senza un’ottima educazione. Nella visione leibniziana la «società tedesca» deve porsi come compito quello di migliorare le condizioni di vita dell’uomo183.

Come sostiene Wilhelm Dilthey, Leibniz ritiene che bisogna «creare in Germania un centro per i nuovi metodi della conoscenza della natura e riportare la sua terra natale nella connessione internazionale, in cui doveva realizzarsi il progresso del lavoro scientifico e la cultura su questo fondata»184. Nasce così nel luglio del ‘700 l’Accademia, «che nella sua

182

G. W. LEIBNIZ, Nuovi saggi sull’intelletto umano, in SF II, lib. IV, Sulla conoscenza, cap. XXI, Della divisione delle scienze, § 1, p. 524.

183

Cfr. W. DILTHEY, Leibniz e la fondazione dell’Accademia di Berlino, in Leibniz

e la sua epoca, cit., p. 112.

184

universalità doveva superare ogni cosa che il mondo avesse visto fino allora in istituti analoghi»185.

Wilhelm Dilthey sembra essersi reso pienamente conto del fatto che, per Leibniz, l’Accademia doveva «migliorare l’esistenza dell’uomo in tutte le sue espressioni ed attività, doveva promuovere agricoltura e manifattura, fabbriche e commercio, coscienza politica e nazionale, infine morale e religione»186. La conoscenza è il più grande fra i tesori di cui l’uomo dispone.

‹‹Il a souvent parlé du progrès de la “science humaine” dans le passé et dans l’avenir, des moyens de l’obtenir plus rapidement et a essayé d’y contribuer par lui– meme, non seulement par ses découvertes, mais encore par la fondation des Académies187››.

Una strategia teorica che vede il sapere connesso al continuo tentativo di migliorare la condizione individuale. Il sapere non si riduce mai a mera erudizione, ma è uno strumento per migliorare la vita dell’uomo. In tal senso, le conoscenze, dal momento che sono volte alla publica utilitas, devono anche essere comunicabili, diversamente l’uomo non potrebbe servirsi del progresso scientifico. Com’è noto, Leibniz, già in uno scritto del 1677: Il vero metodo, sosteneva che «la scienza è necessaria per la vera felicità»188. A riguardo si veda l’analisi di Jean Baruzi, secondo cui nell’azione sociale si trova la realtà ultima dell’universo leibniziano189. Non dimentichiamo, inoltre, che per Leibniz il compito del doctus va oltre l’erudizione: egli, infatti, deve associare alla cultura l’operosità. In altre

185

Ivi, p. 113: «Questo lavoro universale della cultura era per Leibniz lo scopo dello Stato moderno, come allora lo concepiva in divenire; questo è l’ideale dello Stato dell’illuminismo tedesco. Ora questo Stato doveva crearsi un altissimo organo nell’Accademia, che gli forniva lo strumento scientifico per questo lavoro, che anzi vi partecipava con proposte pratiche, e l’Accademia doveva infine legittimare questo lavoro, in quanto fondava la connessione di questo con l’ordinamento divino del mondo».

186

Ivi, p. 114.

187

L. DAVILLÉ, Leibniz Historien, cit., p. 710 [Egli ha spesso parlato del progresso della “scienza umana” nel passato e nell’avvenire, dei mezzi per ottenerlo il più rapidamente ed ha cercato di contribuirvi egli stesso, non solo attraverso le sue scoperte, ma anche attraverso la fondazione delle Accademie].

188

G. W. LEIBNIZ, Il vero metodo, in SF I, p. 183. 189

J. BARUZI, Leibniz et l’organisation religieuse de la terre (1907), Scientia Verlag, Aalen 1975, p. 456.

parole: migliorare le conoscenze dei nostri padri, non solo per trasmetterle ai posteri, ma per ricavarne noi stessi un profitto sia per lo spirito che per il corpo.

‹‹Le conoscenze solide e utili sono il più grande tesoro del genere umano e la vera eredità lasciata dai nostri progenitori, che dobbiamo mettere a profitto e accrescere, non solo per trasmetterla ai nostri successori in miglior condizione di come l’abbiamo ricevuta, ma ancor più per trarne profitto noi stessi quanto è possibile, per la perfezione dello spirito, la salute del corpo e le comodità della vita190››.

In quest’ottica, il soggetto conoscente non è costituito dal singolo, isolato studioso, bensì da una comunità di individui che lavorano insieme in vista del bene comune. Siamo davanti all’idea di un sapere enciclopedico alla cui realizzazione devono concorrere in molti, giacché uniti si riesce meglio e si contribuisce al rinnovamento culturale della società. A questo proposito è stato affermato che per Leibniz il soggetto conoscente è l’umanità tutta intera, oggettivamente, nell’immanenza della storia191.

Nella visione leibniziana, la crescita culturale necessita della cooperazione tra gli uomini.

Leibniz fonda la sua idea di società sul buon governo, sul sentimento d’amicizia e di mutua assistenza e sull’istruzione. Resta inteso che il compito del filosofo è quello di evidenziare non solo i bisogni dello Stato, ma anche i suoi doveri. Ne consegue, a nostro avviso, una sensibilità pedagogica che recupera il meglio della tradizione pedagogica seicentesca: è in questa direzione, infatti, che vanno i progetti per l’istituzione di Accademie per gli ufficiali dell’esercito e per gli impiegati dello Stato; l’attivazione di laboratori, biblioteche, osservatori, giardini botanici e zoologici al fine di un’adeguata istruzione scientifica. L’interesse di Leibniz, inoltre, è anche rivolto all’educazione femminile, il che mostra la sua sensibilità alle diversità di genere che compongono la realtà dell’universo umano.

190

G. W. LEIBNIZ, Discorso intorno al metodo della certezza e all’arte dello scoprire, per concludere le dispute e per compiere in breve tempo grandi scoperte, in SF I, p. 488.

191

È tra la fine del Seicento e gli inizi del Settecento che emerge nella cultura europea una nuova figura, la femme savante. Insieme all’immagine della lettrice emerge quella della mediatrice di cultura e della scrittrice nel senso pieno del termine. Le donne partecipano in prima persona, sebbene spesso in incognito, alla circolazione della cultura e delle idee. Si rivolgono alla filosofia e si fanno portatrici di istanze di rinnovamento che investono il ruolo delle scienze e gli strumenti della formazione intellettuale192.

In questo contesto di discussione si sviluppa il piano di studi leibniziano, che non perde mai di vista il contatto della cultura e dell’educazione con la vita e con la società193. A riprova di quanto detto ricordiamo la sua posizione nei riguardi della querelle sulla lingua latina. Leibniz, nonostante le sue attestazioni di apprezzamento nei confronti del latino, comprende l’importanza dell’insegnamento della lingua materna e delle lingue moderne al punto da sostenere che le dispute giuridiche dovessero svolgersi in tedesco. Il nostro filosofo considera le lingue fattori d’identificazione soggettiva, culturale e sociale, che non a caso costituiscono relazioni aperte alla differenza. Leibniz ha compreso il potere comunicativo che una lingua possiede: essa unisce gli uomini e rende possibile l’universale armonia. Del resto, egli stesso parla il tedesco, il francese, il latino, comprende il greco, l’ebraico, l’italiano e l’inglese, e verso la fine della sua vita studierà anche le lingue slave. L’intento di Leibniz non è di sminuire l’importanza della lingua latina nella formazione dei giovani. Lo studio del latino è, infatti, molto utile per la comprensione dei termini scientifici, mentre le lingue moderne sono indispensabili per poter esercitare alcuni mestieri e professioni. Il latino, inoltre, pur essendo una lingua morta, poiché è la lingua della comunità scientifica, unisce l’Europa intellettuale. È su queste basi che nasce l’immagine della lingua latina come lingua ideale dell’Europa.

Nei Progetti per l’educazione di un principe, scritti tra Seicento e Settecento, si delinea l’idea leibniziana della formazione dell’uomo colto,

192

Riguardo alla figura della femme savante si veda il lavoro di G. Mocchi, Individuo bene fundatum. Controversie religiose moderne e idee per Leibniz, cit., pp. 55-90.

193

Cfr. D. CAMPANALE, Il diritto naturale tra metafisica e storia. Leibniz e Vico, G. Giappichelli, Torino 1988, p. 61.

destinato dal proprio rango a governare194. Il principe dev’essere un perfetto conoscitore di storia e geografia, genealogia, leggi e canoni, teologia, controversie, economia, giardinaggio, architettura, matematica, belle arti, medicina e chimica195.

Tre, osserva Leibniz, sono i gradi di perfezione a cui si può mirare nell’educazione di un principe: il «primo di essi è necessario, il secondo serve all’utilità, il terzo all’ornamento»196. Al principe è richiesto di essere un uomo onesto, coraggioso, giudizioso e garbato, attento ai suoi doveri, esperto in politica e nell’arte militare e preparato in ogni disciplina197. Del resto, nella visione leibniziana lo stesso metodo degli studi è «un modo per giungere allo stato delle azioni perfette», o meglio, allo stato della ragione, che il filosofo chiama habitus198. L’habitus è una sorta di prontezza ad agire: «Status autem iste dicitur Habitus, quem definio: Agendi promptitudinem acquisitam et permanentem»199. Si tratta di uno stato di azioni perfette cui ogni essere deve pervenire. L’uomo raggiunge questo stato con l’ausilio della ragione. In tal senso, la permanenza di cui parla Leibniz è costanza. Come sostiene Domenico Campanale, la prontezza ad agire non è data naturalmente, ma è acquisita e permanente200. Sulla base di queste indicazioni l’habitus è rationis status, cioè spontaneità consapevole o autodeterminazione razionale. Si tratta di fattori del carattere che formano la personalità dell’individuo.

Sempre nello scritto: Progetti per l’educazione di un principe, Leibniz sostiene che la formazione del giovane principe deve avvenire nel rispetto della libertà del suo corpo e della sua mente. Al bambino non deve essere proibito di giocare né di fantasticare. L’educazione politica non deve essere separata da quella morale e religiosa: lo spirito deve arricchirsi di sentimenti di virtù, di generosità e di carità.

194

G.W. LEIBNIZ, Progetti per l’educazione di un principe 1693 e 1703( ?), in SP, p. 265. 195 Ivi, in SP, pp. 266-267. 196 Ivi, in SP, p. 265. 197 Ivi, in SP, pp. 265-266. 198

G. W. LEIBNIZ, Nova Methodus discendae docendaeque Jurisprudentiae, 1667, in A, I, § 1., p. 266.

199

Ibid. in A, I, § 2., p. 266 [Questo stato si dice Habitus, che definisco: la prontezza acquisita e permanente di agire].

200

L’educazione, inoltre, deve considerare che non v’è nulla di così malleabile come la più tenera età. Molte volte, infatti, si scambia per naturale «ciò che è dovuto alle prime impressioni ricevute nell’infanzia»201. Occorre, quindi, aver cura delle prime impressioni che il fanciullo riceve nella sua infanzia, in modo che non ne sia «né spaurito né addolorato; per cui non lo si inganni e non lo si disgusti, e insieme tuttavia non lo si abitui ad essere testardo, concedendogli tutto ciò che vuole»202. Per questa ragione non si può accondiscendere ad ogni capriccio del bambino: egli ritiene che bisogna evitare sia gli eccessi sia la troppa cautela, che può degenerare in “mollezza”. Il bambino deve sì divertirsi, ma senza “malizia”: non sono consentiti scherzi cattivi contro persone o animali. Leibniz, infine, riconosce che in un buon processo di apprendimento bisogna soddisfare la curiosità del bambino, ovvero istruirlo divertendolo.

Leibniz afferma che gli studi devono iniziare all’età di quattro anni e sotto forma di gioco. L’attività ludica facilita l’apprendimento. Attraverso il gioco, infatti, il bambino imparerà dapprima le lettere dell’alfabeto e in seguito a scrivere203. Inoltre, sempre al fine di facilitare l’apprendimento si organizzeranno delle rappresentazioni teatrali. È significativo che Leibniz abbia recepito insieme alla necessità della formazione scientifica e culturale l’importanza delle rappresentazioni teatrali e delle favole nella formazione del carattere e nell’educazione del giovane principe. L’infanzia è un’età, scrive Leibniz, in cui domina l’immaginazione, «si deve approfittare di ciò per riempirla di mille belle idee»204. L’immaginazione, dunque, si costruisce con materiali fornitici dalla realtà. Quanto più ricca sarà l’esperienza dell’individuo, tanto più abbondante sarà il materiale di cui la sua immaginazione potrà disporre. L’attività creativa è quella che rende l’uomo un essere rivolto al futuro, capace di dar forma a quest’ultimo e di mutare il proprio presente.

201

G. W. LEIBNIZ, Progetti per l’educazione di un principe 1693 e 1703 ( ?), in SP, 269.

202

G. W. LEIBNIZ, Progetti per l’educazione di un principe 1693 e 1703 ( ?), in SP, 269.

203

Ivi, SP, p. 270.

204

G. W. LEIBNIZ, Progetti per l’educazione di un principe 1693 e 1703 ( ?), in SP; p. 271.

Senza l’immaginazione, come possibilità di ritenere la traccia anche in assenza della sensazione, non avremmo rappresentazione, richiamo mnemonico, significato logico; non avremmo altresì sensibilità e intelletto, estetica e logica, immagine e significato. L’immaginazione è una forma di pensiero che scaturisce da una libera associazione di tutte quelle immagini elaborate dall’inventiva che caratterizza l’umano. L’uomo è in grado di elevarsi al di là di se stesso ed ipotizzare con il suo estro l’infinito. Vale a dire: può informare di infinito gli angusti limiti del quotidiano. Uno slancio verso l’ignoto con cui intuire l’incommensurabile, poiché solo l’uomo in grado di deificarsi può dare una diversa lettura di tutti quei fenomeni complessi e misteriosi che costituiscono l’originaria attività dello spirito umano.

Degno di attenzione, inoltre, è lo spazio assegnato da Leibniz alle passeggiate e ai giochi istruttivi, alle illustrazioni e alla costruzione di modelli anatomici, che rappresentano la macchina del corpo umano o delle sue parti. Esempio, questo, di un atteggiamento educativo alquanto innovativo. A Leibniz, preme, poi, osservare che ogni giovane debba avere una formazione storica. Vale a dire: deve acquisire delle competenze di storia universale, sacra, moderna e antica. Il filosofo di Hannover si rattrista che in un paese come la Francia «les classes supérieures des collegès n’enseignassent pas l’histoire et que les maîtres en ignorassent souvent celle de leur temps; on n’y apprenait guère alors que l’histoire ancienne et dans les Universités l’enseignement de l’histoire faisait entièrement defaut»205. Al contrario, in Germania «cet ensegneiment était assez bien organisé, surtout dan les Universités dès la fin du XVII siècle»206. Leibniz comprende che l’insegnamento della storia per essere fecondo deve anche essere gradevole. E al fine di rendere produttivo l’apprendimento di tale disciplina ritiene che si debbano utilizzare come espedienti didattici le carte geografiche e le tavole storiche. L’educazione, osserva Domenico Campanale, nella visione leibniziana, consiste non solo nella formazione di

205

L. DAVILLÉ, Leibniz Historien, cit., p. 378 [Si lamentava che in Francia le classi superiori dei collegi non insegnassero la storia e che i maestri ignorassero spesso quella dei loro tempi ; non vi si apprendeva niente altro che la storia antica e nelle Università l’insegnamento della storia era completamente assente].

206

Ibid. [In Germania, al contrario, questo insegnamento era molto bene organizzato, soprattutto nelle Università già alla fine del XVII sec.].

buone abitudini, ma anche nel «mettere l’uomo in grado di poter raggiungere l’habitus rationis, che nel processo educativo serve da norma sia all’educazione che alla didattica»207.

Riteniamo che l’educazione sia un processo intenzionale di promozione della persona, in termini individuali e sociali. In altre parole: è una riflessione sul dover essere della persona e della società. Del resto, sostiene Luca Basso, non dimentichiamo che in Leibniz è anche presente una visione molto “pratica” della politica. Leibniz non solo è un filosofo politico e un filosofo del diritto, ma è anche un politico, un diplomatico, nonché un giurista attento ad ogni singola situazione dell’esperienza umana. Al riguardo occorre sottolineare che Leibniz conosce molto bene i meccanismi politici e costituzionali presenti nell’Europa del tempo, grazie ai suoi viaggi208. Il filosofo traccia un’analisi della politica che ogni Stato dovrebbe seguire per essere il migliore che si possa concepire. Bisogna che i cittadini, sostiene Leibniz, siano “contents” e “modérés”209.

‹‹Mais maintenant je ne traite pas de l’utilité publique à l’égard des gouvernants, mais pour elle-même. […] En second lieu, il faut faire en sorte que tous les citoyens soient modérés ou bien qu’ils puissent régler leurs affections210››.

La prudenza dà all’uomo tranquillità, conserva la serenità del suo spirito e fa in modo che le sue azioni scaturiscano dalle sue capacità e non dal caso. Alla base del discorso sta un nesso insolubile di competenza, capacità a migliorare, specializzazione e perfezionamento delle stesse competenze. Sicuramente l’individualità è prassi. Per questa ragione, diversamente da coloro che separano teoria e prassi, il filosofo considera la dimensione del pensare «nella pratica». In questa prospettiva, il giusto ordine è quello che ogni individuo occupa conformemente alle sue capacità ed ai suoi meriti: è giusto che ad ogni uomo siano date le stesse possibilità (sebbene reagisca in

207

D. CAMPANALE, Il diritto naturale tra metafisica e storia, cit., p. 55.

208

L. BASSO, Individuo e comunità nella filosofia politica di G. W. Leibniz, Rubbettino, Soveria Mannelli 2005, p. 13.

209

G. W. LEIBNIZ, De la plus importante règle de droit (1678 ?), in DR, p. 153.

210

modo diverso a quello che la sua natura o la società gli fornisce)211. L’azione individuale partecipa dell’ordine universale attraverso l’interiorità espressiva della monade. Si tratta della relazione tra universalità e particolarità pensate come struttura della consistenza di individuale e comune. A tale argomento viene inoltre aggiunta la notazione per cui l’uomo ha il diritto naturale di potersi migliorare, e lo Stato che lo rappresenta deve garantirgli le opportunità necessarie all’esplicazione dello scopo.

In quest’ottica l’educazione è la più importante delle possibilità che lo Stato deve garantire all’individuo. Per questo motivo i giovani devono conoscere la costituzione e le leggi del loro paese, nonché quelle degli altri paesi212.

Leibniz ritiene che «il faut bien éduquer la jeunesse»213, gioventù che è un’unità di differenze animata da una pluralità di soffi particolari. In tal senso, il compito di Leibniz è quello di far coesistere una pluralità di soggetti in una dimensione unitaria che non sia rigida reductio ad unum. In un’Europa dilaniata dalle guerre di religione, Leibniz è andato al di là dei suoi tempi, superando il senso delle sue quaestiones.

A tal proposito Meinecke scrive:

«Dipende dai tempi e dagli uomini che determinate idee dei grandi pensatori siano destinate a manifestare pienamente la loro fecondità, nel qual caso poi finiscono ordinariamente col superare di gran lunga le intenzioni dei loro autori, e così contribuiscono alla creazione del nuovo»214.

Si tratta di un passaggio obbligato per pervenire all’emancipazione culturale di una ragione-strumento:

211

G. W. LEIBNIZ, Les divisions de la justice, in DR, p. 145 : «Le fondement du droit privé est l’égalité, puisque discerner la supériorité est très difficile; de là avant de trouver une norme certaine de celle-ci, tous les hommes doivent être considérés comme égaux».

212

G. W. LEIBNIZ, Nova Methodus, in A, I, § 41-42., pp. 291-292. 213

G. W. LEIBNIZ, Projet d’un mémoire pour le Tzar (1708), in DR, p. 242.

214

«[…] che sa tracciare un piano vero di rigenerazione sociale, dove acquistano una configurazione vera, ossia conseguente alle forze della natura, le relazioni morali, sociali ed ideali degli uomini»215.

In questa prospettiva la ricerca di armonia leibniziana diviene l’elemento unificante della profonda differenziazione dell’esistente. È la valorizzazione di un orizzonte in movimento che vede i cittadini propensi al bene comune, alla pietà, all’amore per chi li governa, all’amore per i loro corpi, alla virtù, al decoro che molto può sul prossimo, amici tra loro, esperti in molti campi, non indigenti perché l’indigenza rende l’uomo miserabile e lo abbrutisce216.

215

G. IMBRUGLIA, Ragione, in l’Illuminismo dizionario storico, a cura di V. Ferrone e D. Roche, Laterza, Bari 1997, p. 84.

216

G.W. LEIBNIZ, De la plus importante règle de droit (1678 ?), in DR, pp. 153-

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