• Non ci sono risultati.

1. LE FONTI NORMATIVE

1.3 La disciplina degli inducements

Sulla stessa linea di quanto precedentemente esposto si pone anche la disciplina degli inducements, per tali intendendo le retrocessioni di competenze, commissioni o prestazioni non monetarie percepite dagli intermediari, espressamente regolamentata dall’art. 26 della Direttiva Mifid 2006/73/CE (ora trasfusa nell’art. 52 e 73 Regolamento intermediari adottato con delibera Consob n. 16190 del 29 ottobre 2007) la quale sancisce l’obbligo di agire “in modo onesto, equo e professionale, per servire al meglio gli interessi” dei clienti (art. 19. par. 1, Direttiva 2004/39/CE), allorquando gli intermediari percepiscano o versino incentivi nell’ambito di una prestazione di un servizio di investimento o accessorio.

Più in dettaglio, la norma prescrive un generale divieto di ricevere (o offrire) pagamenti o altri benefici in connessione con la prestazione dei servizi ad eccezione di tre ipotesi, enumerate nelle lettere a), b) e c).

L’art. 26, lett. a), considera legittimi le competenze, commissioni o prestazioni non monetarie versate da un cliente in quanto è evidente che, in relazione alla prestazione di un servizio all’investitore, questi effettui dei pagamenti all’impresa che

svolge il servizio, purchè sussista una connessione stretta tra il cliente e il pagamento ricevuto dall’impresa.

L’art. 26, lett. c), ammette inoltre l’effettuazione di quei pagamenti che siano strettamente e necessariamente connessi con la prestazione del servizio al cliente, il cui titolo legittimante si rinvenga nelle spese di custodia, ovvero nelle commissioni di regolamento e cambio, prelievi obbligatori o spese legali.

La parte più rilevante dell’art. 26, in commento, è tuttavia contenuta nella lett. b), avente ad oggetto gli incentivi pagati o ricevuti da soggetti terzi, diversi dai clienti a cui il servizio è prestato, ammettendone il pagamento qualora sussistano determinate condizioni, ossia quando:

- gli incentivi in questione siano comunicati al cliente in modo completo, accurato e comprensibile, prima della prestazione del servizio (disclosure).

- l’incentivo sia volto ad accrescere la qualità del servizio fornito al cliente e non ostacoli l’adempimento, da parte dell’impresa, dell’obbligo di servire al meglio gli interessi del cliente.

La specificità di tali requisiti, ovviamente, implica una valutazione fattuale del “caso concreto” al fine di dare contenuto, in particolare, a quanto richiesto dalla lett. b, punto ii relativamente al miglioramento della qualità del servizio ed all’assenza di impedimenti rispetto alla necessità di garantire il soddisfacimento, in primis, degli interessi del cliente.

Tale impostazione è destinata inevitabilmente a riflettersi sui rapporti tra SGR e i collocatori dei fondi comuni, da un lato, e i

gestori individuali di patrimoni dall’altro, comportando un ampio ripensamento delle strategie e delle sinergie al momento in essere tra questi soggetti.

A tal fine, infatti, collocatori e gestori dovrebbero non solo rendere trasparente l’entità delle commissioni percepite dalle società di gestione, ma anche giustificarne la consistenza dimostrando l’utilità dei servizi resi ai clienti e la proporzionalità di dette commissioni rispetto al valore dei servizi indicati (art. 73 Regolamento intermediari, adottato con delibera Consob n. 16190 del 29 ottobre 2007)

Ad avviso dell'ABI, e di ASSOGESTIONI, l’associazione che riunisce l’industria del risparmio gestito, tale metodo non può essere condiviso in quanto le retrocessioni costituiscono la normale remunerazione della rete di distribuzione nell’attività di assistenza post-vendita, non potendo quindi essere considerate alla stregua di pagamenti che producono potenziali rischi di conflitto di interessi.

In realtà è il tipo di approccio adottato dalla nuova normativa comunitaria ad incidere profondamente in tale settore, in quanto inquadra espressamente la materia degli inducements all’interno dei doveri (di cui all’art. 19, par. 1, della Mifid) dell’intermediario, di agire “in modo onesto, equo e

professionale”, piuttosto che entro la cornice dei “conflitti di

nazionale116, determinando in tal modo l’applicazione della normativa prevista dall’art 26 della direttiva in materia di

inducements anche nell’ipotesi in cui alcune tipologie di

incentivo non sono considerate rilevanti quali fonti di conflitto. Per completezza espositiva è bene precisare che l’ultima stesura del Regolamento intermediari Consob esclude l’applicazione delle limitazioni previste in materia di incentivi agli agenti assicurativi monomandatari, assimilati ai promotori finanziari quando collocano polizze finanziarie, in quanto considerati come facenti parte della rete di vendita diretta delle compagnie, le quali non dovranno pertanto dimostrare di agire nell’interesse del cliente o di voler migliorare il servizio quando retrocedono ai venditori una quota delle commissioni versate dall’investitore. È evidente che solo nel lungo periodo sarà possibile verificare l’impatto che la nuova normativa avrà sul mercato e sugli intermediari che in quel mercato operano, soprattutto in virtù dell’espansione della cosiddetta consulenza finanziaria indipendente, destinata a soppiantare il tradizionale “modo” di fare consulenza fino ad oggi adottato da Banche e Sim, nel quale l’interesse a far sottoscrivere prodotti della casa era destinato sempre a prevalere rispetto alla fornitura di un’assistenza mirata alla tipologia di cliente ed alla sua predisposizione al rischio.

116

Per un’analisi sull’impostazione adottata fino ad oggi in materia dal nostro ordinamento si rinvia alla Comunicazione CONSOB n. 97003202 del 7.04.1997, per il caso di un gestore individuale che benefici di “retrocessione di commissioni” da parte della SGR nei cui fondi investa il portafoglio del cliente gestito” nonchè al Documento di consultazione al mercato sulle riforme al Regolamento CONSOB n. 11522/1998, pubblicato nell’agosto 2003, sul modello degli Standard elaborati dal CESR nel 2002

Se pertanto in materia di consulenza finanziaria è evidente lo sforzo del legislatore di regolamentare i conflitti di interesse (anche nella forma più occulta degli inducements) maggiori resistenze si incontrano in tema di investment banking, laddove

l’advisor è a tutt’oggi totalmente libero di operare a proprio

piacimento, senza essere soggetto ad alcuna forma di vigilanza da parte delle Autorità di settore, con conseguenti possibili abusi nelle modalità di svolgimento di tale attività, volontariamente caratterizzata da una diffusa opacità circa l’esatta identificazione dei confini nella quale la stessa si esplica.

2. L’investment banking

E’ estremamente difficile definire l'attività di investment

banking, trattandosi di una locuzione omnicomprensiva di una

serie di servizi tra di loro anche molto differenti. Sinteticamente, l’attività ha ad oggetto la consulenza orientata alle imprese, alle amministrazioni pubbliche e a soggetti esteri volta alla copertura del loro fabbisogno finanziario attraverso il reperimento di fondi sul mercato dei capitali, l'assistenza all'emissione di titoli, la consulenza finanziaria nelle fusioni ed acquisizioni e la consulenza finanziaria in generale (valutazioni, ristrutturazioni del debito, project financing, gestione di fondi d'investimento,

trading su titoli, brokering, ecc)117.

117

FABOZZI F.Jr. e MODIGLIANI F. , edizione italiana a cura di Macchiati A.,

Analizzando nel dettaglio le caratteristiche delle singole attività è possibile individuare due macroareee, l’una rivolta all’

underwriting, ossia all’assistenza nei collocamenti azionari ed

obbligazionari di società di nuova quotazione, l’altra orientata alle ristrutturazioni finanziarie di grandi imprese, quali fusioni ed acquisizioni, privatizzazioni e ristrutturazioni di debito, oltre all’attività di investimento in titoli che, sebbene non rientri nell’'investment banking tout court, tuttavia sta acquisendo un peso preponderante nella composizione dei servizi offerti in ragione delle laute commissioni derivanti dalla stessa.

La prima macroarea si riferisce alla consulenza all'emittente sui termini e sulle modalità dell'emissione ed al successivo collocamento presso il pubblico o presso gli investitori istituzionali (con cui le investment banks intrattengono una fitta rete di rapporti); talvolta, comprende anche la garanzia sul buon fine dell'operazione.

La presenza dell'investment bank è considerata indispensabile quando l'emittente dispone di un rating non molto elevato oppure quando intende collocare i suoi titoli su mercati esteri, in cui non gode di notorietà presso i risparmiatori. In tal caso, infatti, è il buon nome dell'investment bank a fungere da garanzia per i sottoscrittori118.

definizione dell'attività di investment banking si rinvia a The library of investment

banking, a cura di KUHN R.L, Homewood, IL, Dow-Jones-Irwin, 1990.

118

CARTER R. e MANASTER S., Initial public offerings and underwriter

La seconda macroarea attiene alle ristrutturazioni finanziarie, per tali intendendo l’attività volta alla ricerca di potenziali candidati per le fusioni ed acquisizioni; la consulenza sui termini monetari dello scambio; l’assistenza per evitare scalate ostili, nonché il reperimento di fondi e l’emissione di titoli di debito.

Le banche d'investimento assistono, inoltre, le autorità statali nei vari interventi di privatizzazione nelle quali sono coinvolte nonché nelle azioni di dismissione di immobili pubblici e nelle complesse operazioni di project financing.

Nelle ristrutturazioni del debito, infine, rientrano una serie di operazioni che influiscono sulla composizione del passivo delle imprese. Per le imprese in salute, si tratta di ricercare una composizione patrimoniale che ne aumenti il valore di mercato. Per le imprese in crisi, si tratta di ricercare una soluzione finanziaria che consenta all'impresa di ridurre la sua esposizione debitoria, consentendole di evitare il fallimento.

Alla eterogeneità delle attività svolte corrisponde un’estrema varietà di operatori del settore, di natura anche molto diversa tra loro, quali Sim, finanziarie di partecipazione, società di consulenza, istituti di credito il cui tratto caratteristico è quello di non essere destinatari di una disciplina specifica in ragione dell’attività di investment banking svolta, essendo esclusivamente sottoposti, in virtù della natura giuridica rivestita (Sim, banca) alla normativa che di volta in volta regola il settore di appartenenza (T.u.f., T.u.b.).

Ciò genera inevitabilmente commistioni pericolose, come nel caso piuttosto diffuso di istituti di credito che, oltre ad erogare finanziamenti assistono le imprese nel collocamento dei titoli sul mercato119, nonché nell’ipotesi di Società di revisione che, oltre a certificare i bilanci di società quotate svolgono attività di

advisoring,120 con conseguente possibile contaminazione tra un’attività e l’altra in virtù dei conflitti di interesse esistenti nello svolgimento delle stesse121.

Inoltre, le caratteristiche peculiari delle funzioni esercitate unita ai lauti compensi ricevuti per operazioni di rilevante spessore, come quelle abitualmente svolte (es. privatizzazioni) possono e hanno senz’altro dato origine a fenomeni corruttivi e a strumentalizzazioni da parte politica.

A fronte di un’attività caratterizzata dalle peculiarità esposte ed in grado di impattare fortemente sul mercato, avendo come destinatari imprese ed Enti pubblici è totalmente assente una

119

Qualora infatti una Banca vanti un’esposizione creditoria verso una società di cui curi anche la quotazione in borsa, è facile sospettare un conflitto di interessi generato dalla necessità di rientrare nella disponibilità del finanziamento reso, anche fornendo al mercato un’informazione non corretta sull’impresa oggetto di quotazione. In tal senso M. Arpe, in occasione della costituzione della sua Banca d’affari, la Banca Mb, in un’intervista a “Il Sole24ore” del 3 maggio 2007 ha tenuto a sottolineare la totale assenza di conflitti di interessi nell’attività di investment

banking che andrà a svolgere, non essendo previsto nell’oggetto sociale d’impresa

l’attività di erogazione di credito alle aziende. 120

È evidente infatti la diversificazione delle attività intrapresa da varie Società di revisione, come ad esempio PricewaterhouseCoopers che nell’esercizio chiuso a giugno 2007 ha registrato nella revisione un ricavo di 240 milioni e nel settore dell’advisory 116 milioni, in tal modo sottolineando l’impegno profuso nell’attività di consulenza e i compensi derivanti dalla stessa.

121

Si tratta dei cosiddetti “Gruppi polifunzionali”, affermatisi sul mercato a partire dagli anni 80 del secolo scorso caratterizzati da un’accentuata diversificazione produttiva in ragione della pluralità di funzioni di intermediazione svolte.

regolamentazione capace di fissare le coordinate grazie alle quali garantire la correttezza dei comportamenti perpetrati.

È pacifico infatti che l’oggetto principale dell’attività sia riconducibile all’esercizio privato di funzioni “pubbliche”, affidato ad enti che non hanno un ruolo istituzionale ma perseguono esclusivamente un proprio interesse personale, andando tuttavia ad incidere su un mercato, quello finanziario nel quale dovrebbe essere assicurato il buon svolgimento delle contrattazioni, obiettivo che solo un organismo pubblico, in quanto destinato a soddisfare l’interesse di tutti è in grado di realizzare.

CAPITOLO V

LE ANALISI FINANZIARIE

1. Definizione. Gruppi polifunzionali e conflitto di interesse

L’analisi finanziaria consiste nella valutazione del fair value122 delle Società sulla base dei dati storici di bilancio, dei budget e di ogni altro elemento di previsione conosciuto, dal quale consegue un giudizio sintetizzato in una sola parola, quasi sempre espressa in lingua inglese123.

Ciò significa che l’attività degli analisti si basa fondamentalmente sull’esame dei bilanci e degli altri documenti che forniscono informazioni sulla gestione aziendale, sui suoi risultati e sulla consistenza e composizione di attività, passività e patrimonio al fine di ricavare degli indicatori che, integrati con altre informazioni utili di origine esterna alla Società (congiuntura, problemi e rischi del settore e dell’economia in generale) siano in grado di fornire un giudizio sulla redditività e sulla produttività futura della Società in esame124.

122 Il Fair Value è definito dai principi contabili internazionali (Ias 32 e Ias 39) come “Il corrispettivo al quale un’attività può essere scambiata, o una passività estinta, tra parti consapevoli e disponibili, in un’operazione fra terzi”. In sostanza, si tratta della valutazione al valore che si può definire “di mercato”, tradotto dalle direttive comunitarie in “valore equo”.

123

Le indicazioni più utilizzate sono: Buy (comprare), outperform (il titolo farà meglio del mercato), marketperform (il titolo avrà un andamento in linea con il mercato), hold (tenere), neutral ( neutrale), underperform (il titolo farà peggio del mercato), sell (vendere).

124

I risultati così prodotti vengono quindi diffusi sul mercato assumendo la forma di raccomandazioni all’investimento, per tali intendendo ogni comunicazione, ricerca e analisi, scritta o orale, distribuita in formato cartaceo o elettronico, destinata al pubblico e intesa a raccomandare o a proporre una strategia di investimento in merito a strumenti finanziari o a emittenti strumenti finanziari, in tal modo orientando le scelte degli investitori.

Gli analisti si qualificano pertanto come soggetti di diritto privato che a prima vista parrebbero “neutrali”, non essendo neppure previsto l’obbligo di una loro iscrizione in apposito Albo tenuto dalla Consob e trattandosi quindi di meri suggeritori di operazioni finanziarie della più varia natura, che spaziano dall’investimento in obbligazioni all’acquisto di azioni, consigliate con tale distacco e professionalità da sembrare semplici raccomandazioni, ma in realtà foriere di più oscure trame derivanti dai rapporti esistenti tra gli analisti stessi e le società emittenti gli strumenti finanziari o le banche incaricate del collocamento dei titoli125.

Si dovrà perciò nuovamente parlare di conflitto di interesse anche per tali soggetti, aspetto che sembra perciò caratterizzare le attività di tutti coloro che dovrebbero invece garantire la trasparenza e soprattutto l’indipendenza nello svolgimento della loro funzione, se non per regole imposte - essendo le stesse

125

Relazione conclusiva della Commissione di studio sulla trasparenza delle società quotate del 27 settembre 2002, istituita con decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 9 aprile 2002, reperibile sul sito http://www.tesoro.it/Documentazione/Commissione_Studio_trasp_soc_quotate.pdf.

lacunose - per un richiamo all’etica e alla correttezza che sarebbe opportuno fosse ascoltato.

Anche in questo caso è la polifunzionalità nonché la stretta dipendenza dalle stesse società i cui prodotti vengono consigliati sul mercato ad alimentare i comportamenti opportunistici posti in essere da alcuni produttori di studi i quali, in passato, hanno sovente operato in controtendenza alle loro stesse raccomandazioni, tardando inoltre a rivedere i propri giudizi, al fine di agevolare l’emittente “favorito”126, anche quando forti e diffusi erano i segnali di un deterioramento nei conti e nella situazione reddituale futura della società in questione127.

Ciò è essenzialmente dovuto al contemporaneo svolgimento, in aggiunta alla funzione di sell side analyst di attività di investment

banking, commercial banking, broker, nonché di emittente di

strumenti derivati nei quali trovano posto anche i titoli della società oggetto dello studio128.

Se pertanto l’affermazione sul mercato dei cosiddetti “gruppi finanziari polifunzionali” ha determinato vantaggi in termini di

126

S. DI CASTRI, I conflitti di interesse degli analisti finanziari: disciplina

statunitense, evoluzione della normativa comunitaria e prospettive nell’ordinamento italiano,, in Banca Impresa Società, 2004, 485.

127

È ciò che si è verificato con la nota vicenda Parmalat, laddove gli analisti che valutavano regolarmente le emissioni del Gruppo esprimevano giudizi estremamente positivi sulle prospettive del titolo, pur rilevando le difficoltà della Società. Per maggiori approfondimenti si rinvia agli autori S. DI CASTRI, I conflitti di interesse

degli analisti finanziari, in Banca Impresa Società, 480 nonché S. FABRIZIO, Gli studi prodotti dagli analisti finanziari. Conflitti di interesse, prime evidenze empiriche, in Banca Impresa Società, 2001, 211.

128

Ciò è stato efficacemente rilevato dall’allora Presidente della Consob Prof. L. Spaventa il quale, nell’audizione innanzi alla VI Commissione Finanze della Camera dei Deputati del 14 febbraio 2002 ha sottolineato il rischio di conflitto di interessi insito nella polifunzionalità degli intermediari produttori di studi su società quotate, in ragione dell’esercizio congiunto di più attività.

economie di scala, la loro repentina diffusione ha mostrato l’evidente contaminazione dei giudizi espressi in qualità di analisti da parte di quegli stessi intermediari che, contemporaneamente a tale attività svolgono servizi di

investment banking per l’impresa oggetto di analisi, assumendo

molto spesso il ruolo di underwriter129 e vantando pertanto un

rilevante interesse alla riuscita dell’IPO130.

È evidente che in tali ipotesi l’oggettività dell’informazione finanziaria risulta pregiudicata dal conflitto di interesse insito nella pluralità delle funzioni di intermediazione svolte, essendo i singoli comparti dei quali si compone il gruppo sottoposti a condizionamenti legati all’attività di altri comparti o a strategie sovraordinate, con conseguente compromissione dell’imparzialità dell’informazione fornita al mercato131.

2. Le cosiddette “muraglie cinesi”

Il fenomeno del conflitto di interessi endemico dei Gruppi polifunzionali è stato tradizionalmente contrastato mediante il

129

Con tale espressione si fa riferimento all’ipotesi in cui l’intermediario, nella gestione di un’IPO ossia di un’offerta al pubblico di strumenti finanziari dell’impresa sottoscrive il titolo stesso per poi rivenderlo al pubblico, garantendo pertanto all’emittente la riuscita del collocamento.

130

Si fa riferimento all’offerta iniziale al pubblico di strumenti finanziari emessi dalla società per la quale si presta consulenza.

131

È palese infatti che l’intermediario si trovi in conflitto di interesse allorquando eserciti una pluralità di funzioni di intermediazione, rispetto all’ipotesi in cui svolga in via esclusiva una sola attività. Sul punto si rinvia a F. ANNUNZIATA, Conflitto

di interessi e rapporti di gruppo nell’attività di gestione di patrimoni , in I gruppi di società, Tomo I, 614; M.C. MERANI, Il problema del conflitto di interesse nell’intermediazione mobiliare, in Giurisprudenza sistematica di diritto civile e commerciale, fondata da Bigiavi, I contratti in generale. I contratti atipici, a cura di

ricorso ad un sistema, successivamente ripreso dalla normativa comunitaria132, consistente nell’obbligo, posto in capo agli intermediari, di porre in essere dei chinese walls133, volti ad

impedire la circolazione delle informazioni disponibili tra i vari comparti dell’impresa al fine di assicurare la neutralità dell’intermediario nella prestazione dei vari servizi di investimento.

Il legislatore comunitario a tale scopo aveva affermato, in via generale, che “gli operatori economici professionali dovrebbero dare il loro contributo all’integrità del mercato con diversi strumenti. Tali misure potrebbero comprendere, per esempio…la creazione di muraglie cinesi”. Tale orientamento era stato quindi confermato dal Regolamento di esecuzione della direttiva 2003/6/CE134 nella quale veniva previsto un particolare regime favoritivo nei confronti di quegli emittenti strumenti finanziari che avessero posto in essere efficaci barriere allo scambio di informazioni (cosiddette “muraglie cinesi”) sottoposte alla vigilanza dell’Autorità competente (art. 6 comma 2).

Anche il legislatore italiano si era mobilitato per l’introduzione di tale sistema, sancendo all’art 56 co. 3 del regolamento intermediari135, poi successivamente emendato, l’obbligo in capo agli enti abilitati di adottare procedure interne finalizzate ad

132

24° considerando Direttiva 2003/6/CE sul market abuse. 133

Espressione con la quale si fa riferimento alle cosiddette “muraglie cinesi” ossia ai rimedi adottati dai Gruppi polifunzionali al fine di garantire la separazione tra i vari dipartimenti di cui si compongono, con il fine ultimo di garantire l’imparzialità delle funzioni di intermediazione svolte.

Documenti correlati