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Revisione, Rating, Advisoring, Analisi finanziarie: valutazioni "private" ad impatto pubblico.

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Academic year: 2021

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(1)

“ E' un bene che il popolo non comprenda il funzionamento

del nostro sistema bancario e monetario, perché se accadesse credo che scoppierebbe una rivoluzione prima di domani mattina. “

(2)
(3)

SOMMARIO

INTRODUZIONE ... 5

PREMESSA ... 10

1.L’ESERCIZIO PRIVATO DI PUBBLICHE FUNZIONI... 10

2. LA NUOVA DEFINIZIONE DI INTERESSE PUBBLICO... 14

CAPITOLO I... 17

LA REVISIONE-CERTIFICAZIONE ... 17

1. LE PRIME FORME DI REGOLAMENTAZIONE... 17

2.IL D.P.R.136/1975... 19

3. LA RIFORMA DRAGHI... 23

4.LA RIFORMA DEL DIRITTO SOCIETARIO... 27

5. L’ATTUALE QUADRO NORMATIVO... 32

5.1 Le situazioni di incompatibilità ... 37

5.2 La durata ed il conferimento dell’incarico ... 42

CAPITOLO II ... 46

IL RATING ... 46

1. L’ORIGINE E LA DIFFUSIONE DEL RATING... 46

2.IL RATING E GLI ENTI TERRITORIALI... 49

3. L’ADOZIONE DEL RATING A FINI REGOLAMENTARI... 53

3.1 Il rating alla luce di Basilea 2 ... 58

4.LA REGOLAMENTAZIONE DELLE AGENZIE DI RATING... 65

4.1 La regolamentazione negli USA ... 66

4.2 I principi espressi a livello internazionale ... 71

4.3 La regolamentazione a livello europeo ... 75

4.4 La regolamentazione in Italia... 81

5.LA CRISI DEI MUTUI AMERICANI SUBPRIME: SPUNTI CRITICI ... 84

CAPITOLO III... 91

L’ADVISORING... 91

LA CONSULENZA FINANZIARIA E L’INVESTMENT BANKING... 91

1. LE FONTI NORMATIVE... 91

1.2 La distinzione tra adeguatezza e appropriatezza ... 97

(4)

2. L’INVESTMENT BANKING... 105

CAPITOLO V ... 110 LE ANALISI FINANZIARIE... 110

1. DEFINIZIONE. GRUPPI POLIFUNZIONALI E CONFLITTO DI INTERESSE... 110 2. LE COSIDDETTE “MURAGLIE CINESI” ... 113 3.GLI OBBLIGHI DI DISCLOSURE DEGLI ANALISTI FINANZIARI INTRODOTTI DALLA MARKET ABUSE... 116 4LA DIRETTIVA MIFID E LA GESTIONE DEI CONFLITTI DI

INTERESSE... 120

CONCLUSIONI ... 127 BIBLIOGRAFIA... 136

(5)

INTRODUZIONE

La complessa integrazione dei mercati, sollecitata recentemente dal completamento del Piano d’azione dell’Unione Europea sui servizi finanziari, ha segnato la proliferazione all’interno del sistema di organismi, in buona parte di derivazione internazionale, caratterizzati dall’esercizio di funzioni di particolare rilievo pubblicistico e destinati ad esercitare un’influenza determinante sull’andamento del mercato finanziario, incidendo pesantemente sulle scelte di investimento dei risparmiatori.

Gli scandali finanziari di questo ultimo decennio hanno messo drammaticamente in evidenza l’inadeguatezza delle forme di controllo finora apprestate dall’ordinamento a queste Entità, ed hanno progressivamente scardinato la fiducia dei risparmiatori nei confronti di un mercato, quello finanziario, le cui logiche sfuggono anche all’investitore più attento, rendendo maggiormente instabile il basamento fiduciario che è presupposto fondamentale per il funzionamento dell’intera economia finanziaria internazionale.

La stratificazione normativa introdotta infatti, sebbene dimostri lo sforzo del legislatore nel garantire quella tutela del risparmio prevista all’art. 47 della Costituzione, si caratterizza per la sua lacunosità, intervenendo in modo puntuale a disciplinare settori specifici senza tuttavia giungere a soluzioni soddisfacenti.

(6)

A fronte di una normativa di derivazione comunitaria, e rispetto alla quale pertanto la fantasia del legislatore nostrano non ha trovato sfogo, non si registra nel nostro ordinamento alcuna iniziativa volta a definire l’operato di tali organismi, lasciati liberi di agire sul mercato finanziario a proprio piacimento, a cui si contrappone l’evidente delega di funzioni che l’ordinamento ha conferito loro, attribuendo veste normativa alle mansioni dagli stessi espletate, essendo inserite, a fini regolamentari in discipline specifiche.

Il presente lavoro ha pertanto la finalità di accendere un faro sull’esistenza ed operatività di soggetti aventi un peso predominante sulla scena finanziaria che tuttavia sfuggono a forme di regolamentazione in grado di imbrigliarne l’attività, il cui esame, iniziato tre anni or sono, mi è stato suggerito dal mio tutor scientifico, probabilmente prevedendo i possibili scenari che di lì a poco si sarebbero palesati sul mercato internazionale. Dopo brevissime premesse sulla definizione di esercizio privato di pubbliche funzioni, così come suggerita dai più illustri giuristi – condotta al fine di contestualizzare le successive argomentazioni - la trattazione ha avuto ad oggetto l’analisi puntuale della quanto mai lacunosa normativa presente nel nostro ordinamento rispetto agli organismi oggetto di esame. Il primo capitolo è dedicato alle Società di revisione, rispetto alle quali le prime forme di regolamentazione risalgono addirittura al r.d. 2214/1926, anche se una più completa disciplina della materia è stata introdotta con il d.P.R. 136/1975,

(7)

successivamente trasfusa nella Riforma Draghi ed ampliata con la più recente Riforma del diritto societario. È tuttavia solo con la legge di riforma del risparmio che il legislatore, sulla spinta degli scandali finanziari che hanno interessato anche l’Italia, ha predisposto una normativa volta a restituire ai risparmiatori la fiducia nei mercati, nonostante tale intervento non sia stato in grado di risolvere il problema del conflitto di interessi endemico nelle stesse modalità di nomina e remunerazione delle Società di revisione, effettuata dall’Assemblea della Società sottoposta a giudizio, con evidenti riflessi sull’imparzialità delle valutazioni espresse.

La successiva trattazione si sofferma sulle Agenzie di rating, per le quali permangono profonde lacune normative, alimentate dall’atteggiamento lassista proveniente sia a livello internazionale dalla Iosco, sia in ambito europeo dal Cers, i quali hanno ritenuto preferibile allo stato attuale lasciare spazio all’autoregolamentazione sulla base dei principi espressi piuttosto che introdurre una disciplina su base continentale, secondo il modello già esistente negli Stati Uniti, sebbene un ripensamento sia stato avanzato a seguito della recente crisi dei mutui americani subprime.

Il legislatore italiano ha fatto propri tali orientamenti, esonerando espressamente le Agenzie di rating dagli obblighi di disclosure introdotti per gli analisti finanziari, giustificando tale intervento in virtù delle differente natura dell’attività svolta, di valutazione indipendente dell’affidabilità finanziaria di un soggetto

(8)

economico, caratteristica delle Agenzie rispetto alle raccomandazioni di investimento promosse dagli analisti finanziari.

Ci è parso utile nell’esposizione evidenziare il ruolo che l’ordinamento ha riconosciuto alle Agenzie, attribuendo alle loro valutazioni una sorta di funzione certificativa, a cui si contrappone la totale assenza di controlli ex ante e/o ex post sull’attività esercitata.

L’attendibilità dei giudizi espressi risulta pertanto pregiudicata dalla sostanziale autonomia nella scelta delle metodologie adottate, non essendo imposti criteri di giudizio univoci, a cui si uniscono le modalità di remunerazione (anche in tal caso è la società oggetto di giudizio a provvedere alla liquidazione dei compensi) e la polifunzionalità delle funzioni esercitate, in quanto spesso le Agenzie assumono la veste di sottoscrittori di quegli stessi titoli successivamente oggetto di giudizio dal punto di vista della solvibilità.

Il passo successivo è stato evidenziare le diverse profilature caratterizzanti la consulenza, sia nelle sue manifestazioni più vicine agli investitori, con riguardo alla più specifica consulenza finanziaria che le recenti modifiche introdotte dalla Mifid hanno nuovamente ricompreso tra i servizi di investimento sottoposti al controllo dell’Autorità di settore, sia con riferimento alla più eterogenea attività di advisoring, per tale intendendo la consulenza generica fornita alle imprese dai grandi gruppi polifunzionali presenti sul mercato finanziario, la cui

(9)

diversificazione dei servizi prestati genera inevitabilmente contaminazioni tra un’attività ed un’altra in virtù dei conflitti di interesse connaturati alle stesse.

Il capitolo finale è dedicato alle analisi finanziarie, tornate nuovamente attuali a seguito del riferimento operato dalla Mifid, al fine di distinguerle dalla consulenza finanziaria, ma rispetto alle quali si rileva nel nostro ordinamento una sovrapposizione normativa, frutto del successivo recepimento di normative comunitarie tra di loro non coordinate – la direttiva sul Market

abuse e la successiva direttiva Mifid – in cui è evidente la

consapevolezza del legislatore circa l’inevitabile sussistenza di situazioni di conflitto di interesse, a cui cerca di far fronte imponendo all’analista l’obbligo di disclosure, affinché il risparmiatore sia posto nella condizione di effettuare scelte consapevoli.

Il lavoro si conclude con valutazioni critiche riguardo al tessuto normativo attualmente esistente, incapace di percepire e tradurre in regole l’autentica situazione di emergenza formatasi in tema di risparmio e di fiducia degli investitori, rispetto alla quale forte è la sensazione della carenza di una precisa volontà di definire un sistema che non abbia più le caratteristiche da far west a cui il legislatore ci ha oramai avvezzi.

(10)

PREMESSA

1.L’esercizio privato di pubbliche funzioni.

L’esercizio di pubbliche funzioni è storicamente attività riservata allo Stato, in quanto volta al perseguimento non di fini privati ma al soddisfacimento degli interessi della collettività.

In tale direzione si colloca la nozione di funzione pubblica propria della dottrina tradizionale, la quale tende a definirla quale “esercizio di un potere giuridico dello Stato, sottoposto

alla disciplina del diritto pubblico e caratterizzato dall’elemento dell’ufficialità1”.

È evidente pertanto che si tratta di un’attività non libera nei fini ed, in quanto tale, contrapposta all’autonomia privata. Tuttavia, nel corso nel tempo, lo Stato ha avvertito l’esigenza di attribuirne l’esercizio a soggetti privati, pur mantenendone la

1

G. MIELE,Funzione Pubblica, in Noviss. Dig. It., VII, 1961, 686-687. L’Autore

inoltre pone l’accento sulla distinzione tra pubblica funzione e servizio pubblico, qualificando la prima come “complesso di attività organizzate per l’esercizio di un

potere giuridico pubblicistico dello Stato o di altro ente pubblico, nonché come qualsiasi attività istituzionalmente ordinata a collaborare all’esercizio di esso”;

mentre il secondo viene identificato in quell’insieme di attività “ordinate

direttamente alla prestazione di un’utilità, non già all’esercizio di un potere giuridico pubblicistico”, in Pubblica Funzione e servizio pubblico, in Archivio giuridico, 1933 e in Scritti giuridici, I, Milano, Giuffrè, 1987, 135 ss.

(11)

titolarità2, affaticando pertanto i giuristi nella tipizzazione della fattispecie giuridica.

Inizialmente infatti si riteneva che il soggetto privato esercente pubblica funzione acquistasse per ciò stesso personalità giuridica pubblica, grazie ad una sorta di “trasmissione” dallo Stato ai privati di poteri e diritti preesistenti o di nuova origine3, salvo poi successivamente opporsi a tale impostazione4, pur non rinnegando il ricorso allo strumento della concessione5 quale

2

In tal senso alcuni autori parlano di “formula organizzativa che riserva allo Stato

una funzione o un servizio, salvo poi attribuirne l’esercizio a soggetti ed organismi privati” qualiF.SATTA in Enciclopedia giuridica, XIII, Roma, 1989.

3

In particolare tale teoria fu sostenuta da V. SANTI ROMANO, il quale sosteneva l’assimilabilità dell’esercizio privato di pubbliche funzioni ad un’attività che

“supplisce o equivale a quella dello Stato….”. Per una trattazione approfondita si

rinvia a Principi di diritto amministrativo italiano, III, Milano, Giuffrè, 1912, 51 ss. Nelle opere successive invece l’Autore si discosta da quanto precedentemente affermato, evidenziando l’intrasmissibilità dei poteri e diritti propri della Pubblica Amministrazione, in quanto strettamente connessi a determinate capacità, posizioni e qualità. Per maggiori approfondimenti Corso di diritto amministrativo, Principi

generali, Padova, Cedam, 1937, 2-9 e 189 ss.; Frammenti di un dizionario giuridico,

Milano, Giuffrè, 1947, 3 ss; Prime pagine di un manuale di diritto amministrativo, in Scritti minori, Diritto amministrativo, II, Milano, Giuffrè, 1950, 425 ss.;Il Diritto

pubblico italiano, Milano, Giuffrè, 1988, 109 ss.

4

Tale posizione è stata assunta ad esempio da O. RANELLETTI il quale ha affermato che “L’esercizio della funzione o del servizio pubblico non trasforma la persona

giuridica concessionaria in ente pubblico”, escludendo pertanto la possibile

attribuzione a tali enti della qualifica di soggetti di diritto pubblico, permanendo in loro una natura privatistica. Si rinvia al riguardo a Lezioni di diritto

amministrativo,Ordinamento della Pubblica amministrazione, II, Milano, Tenconi,

1929, 25 e Diritto pubblico e privato nell’ordinamento giuridico italiano, in Riv.

Dir. Pubbl., XXXIII, 1941, 26 ss. Anche G.ZANOBINI condivide tale impostazione, escludendo la qualificazione di organo di diritto pubblico a quei soggetti esercenti una pubblica funzione, in quanto l’esercizio di tali potestà non può spingersi al punto di attribuire ex-se natura pubblica a tali enti, che pertanto mantengono la loro intrinseca qualifica privatistica. Sul punto L’esercizio privato delle funzioni e dei

servizi pubblici, in Primo Trattato completo di diritto amministrativo italiano, II,

parte III, Milano, Giuffrè 1920, 235; L’esercizio privato delle pubbliche funzioni e

l’organizzazione degli enti pubblici, in Scritti vari di diritto pubblico, Milano,

Giuffrè, 1955, 96 ss. 5

Si ritiene infatti che la legittimazione all’esercizio di funzioni pubbliche da parte di soggetti privati derivi dall’adozione da parte dell’Amministrazione di un “atto

(12)

mezzo con il quale l’Amministrazione tende al perseguimento degli interessi della collettività, senza tuttavia incidere sul bilancio statale in maniera rilevante.

Se pertanto il privato è per tale via legittimato all’esercizio delle funzioni pubbliche, ciò non significa che l’attività svolta sia diretta esclusivamente al perseguimento degli interessi della collettività, tratto caratteristico dell’opera della Pubblica Amministrazione.

Il privato concessionario infatti è normalmente dedito ad un’attività pubblicizzata soltanto negli effetti e volta alla realizzazione non solo dell’interesse collettivo ma anche del proprio personale fine di lucro, che tuttavia non potrà mai prevalere rispetto alle preminenti esigenze pubbliche, il cui soddisfacimento è garantito dall’apposizione di vincoli all’esercizio delle funzioni attribuite ai privati, qualificabili quali vere e proprie “obbligazioni di diritto pubblico”6.

Anche Giannini riteneva che l’attribuzione del cosiddetto munus7 pubblico a soggetti privati determinasse in capo agli stessi il dovere giuridico di ottenere “il miglior risultato per l’interesse

Corso di diritto amministrativo, II, Padova, 1914, ristampa, Padova, Cedam, 1992,

859. In tal senso si veda anche ZANOBINI il quale pone particolare attenzione all’istituto della concessione amministrativa, in grado di determinare secondo l’Autore il trasferimento al privato di “una parte di facoltà proprie dell’ente

pubblico”, con attribuzione allo stesso della “cura di un determinato interesse amministrativo”, in L’esercizio privato delle pubbliche funzioni e l’organizzazione degli enti pubblici, in Scritti vari di diritto pubblico, 96.

6

Espressione utilizzata da G. ZANOBINI in Corso di diritto amministrativo,

L’organizzazione amministrativa, III, Milano, Giuffrè, 1946, 301-322.

7

M.S. GIANNINI coniò questa espressione per indicare “la posizione giuridica

elementare consistente nell’addossare ad un soggetto la cura di un interesse altrui”

in Lezioni di diritto amministrativo, L’amministrazione pubblica e la sua attività, I, Milano, Giuffrè, 1950, 124.

(13)

che gli è affidato in cura” senza tuttavia precludere il

perseguimento da parte del concessionario anche di un profitto, rispetto al quale tuttavia è previsto l’espletamento di un controllo, al fine di verificare l’effettivo conseguimento del fine pubblico, causa giustificatrice dell’attribuzione della funzione al privato8.

La legittimazione all’esercizio privato di funzioni pubbliche trova dunque il suo fondamento in un atto della Pubblica Amministrazione - concessione di pubblica funzione o di pubblico servizio - con il quale si affida a soggetti diversi dagli Enti pubblici la cura di interessi collettivi, il cui perseguimento è assicurato dalla costante sottoposizione degli stessi ai poteri di controllo, di direzione e di disciplina del concedente.

L’autorevolezza delle opinioni esposte parrebbe pertanto definire una linea interpretativa univoca in materia, sancendo un inderogabile modus operandi circa le modalità di individuazione ed affidamento delle pubbliche funzioni, esperibile solo allorquando siano presenti tutte le condizioni prima menzionate, quali l’atto pubblico di attribuzione e la soggezione a forme di controllo e verifica di tipo pubblicistico.

E tuttavia il nostro sistema presenta maglie larghe tali da consentire la sussistenza ed addirittura l’operatività sul mercato di entità non regolamentate ed esercenti tipiche funzioni pubbliche, rispetto alle quali non viene assicurato il

8

Per maggiori approfondimenti si rinvia a GIANNINI,Atto amministrativo, in Enc. Dir., VI, Milano, Giuffrè, 1959, 172 e Esercizio privato di pubbliche attività, in Enc. Dir., XV, Milano, Giuffrè, 1966, 686 ed infine Diritto amministrativo, I, Milano,

(14)

perseguimento degli interessi della collettività, non essendo assoggettate a controlli ex-ante o ex post sull’attività esercitata, né tanto meno a meccanismi sanzionatori, azionabili solo laddove vi sia una regola da rispettare, nella specie inesistente. La presunzione che si tratti di organismi la cui attività sia volta al perseguimento di tipici interessi pubblici, e per tal motivo esercenti pubbliche funzioni, si desume dalla presa di coscienza dell’anacronismo della nozione tradizionale di interesse pubblico, a seguito della mutazione genetica subita a fronte della nuova impostazione comunitaria derivante dal Trattato di Maastricht e dal Trattato di Amsterdam.

Ciò ha determinato la configurabilità di nuove posizioni giuridiche soggettive, la cui cura è stata progressivamente affidata ad organismi di natura privata attraverso puntuali quanto lacunosi interventi legislativi volti a regolamentare singoli settori della nostra economia, oggetto di integrazione a livello europeo. È pertanto indispensabile individuare il percorso evolutivo della nozione di interesse pubblico al fine di accertare l’effettiva tracciabilità di tali nuove forme di intervento nell’economia, il cui esame sarà oggetto di studio nel proseguo della trattazione.

2. La nuova definizione di interesse pubblico

Nel passato e fino agli anni '80, era piuttosto agevole definire l'interesse pubblico come il fine perseguito da ogni pubblica amministrazione, la cui qualificazione in astratto da parte

(15)

dell’ordinamento avveniva attraverso due piani: il piano organizzativo (per cui la norma individuava un centro organizzativo pubblico preposto alla cura di un dato settore) e il piano dell’attribuzione delle competenze (la legge conferiva al centro organizzativo la competenza ed i relativi poteri per provvedere in una data materia).

L’evoluzione legislativa e politica che ha interessato il nostro ordinamento negli ultimi due decenni, a seguito dell’irrompere sempre più persuasivo del diritto comunitario e della più generica globalizzazione dell’economia ha comportato una trasformazione della nozione di pubblico interesse, con conseguente sostituzione della vecchia dicotomia tra "interessi

legittimi individuali" e "interessi pubblici generali" a quella più

attuale tra “diritti di terza generazione” e “interessi pubblici

emergenti”.

Con tale ultima espressione si indicano le nuove posizioni giuridiche soggettive sorte a seguite del complesso processo di integrazione europea, come ad esempio la tutela dell’iniziativa economica privata e della concorrenza, la cui cura può essere affidata indifferentemente ad un soggetto privato – attraverso la cd. esternalizzazione della gestione dei pubblici servizi - o ad una P.A., fermo restando in tal caso la necessaria strutturazione dell’Amministrazione secondo il modello dell’economia di mercato e riducendo pertanto al minimo il ricorso all’attività autoritativa in favore dell’utilizzo di strumenti di diritto comune.

(16)

È sulla base di tale mutamento strutturale che si fonda l’affidamento, in forma indiretta, della tutela di interi settori della nostra economia a soggetti la cui attività si sottrae, in contrasto con i principi tipici del nostro ordinamento, a forme di controllo fondamentali per garantire il soddisfacimento dell’interesse pubblico a cui sono rivolte.

L’analisi dell’origine di tali forme di intervento nell’economia, azionate da mano privata e, per tal ragione, svincolate da quei principi di efficacia, efficienza e buon andamento che caratterizzano l’agere della Pubblica amministrazione, si ricollega pertanto necessariamente all’esame di quegli organismi che quella specifica attività svolgono, al fine di identificare la disciplina che regolamenta i settori di riferimento.

Compito dell’interprete è pertanto quello di procedere alla disamina dei soggetti che a vario titolo sono destinati a presiedere quello specifico campo d’attività, al fine di giungere ad una valutazione circa la legittimità dell’operato di tali organismi, attivi in settori cruciali per il buon funzionamento del nostro sistema economico, quale quello finanziario, caratterizzato da un connubio ibrido di pubblico e privato, ma rispetto al quale l’ingerenza del privato sembra destinata a prevalere sull’intervento pubblico e connotato da forme di vigilanza fortemente attenuate se non addirittura inesistenti.

(17)

CAPITOLO I

LA REVISIONE-CERTIFICAZIONE

1. Le prime forme di regolamentazione

La revisione contabile è tradizionalmente definita come l’attività finalizzata ad effettuare un controllo della regolarità, formale e sostanziale, della contabilizzazione dei fatti di gestione di un soggetto che generalmente esercita attività d’impresa, al fine di verificare la veridicità e la correttezza delle poste del bilancio d’esercizio o del bilancio consolidato e procedere infine alla loro certificazione.

Una completa analisi di tale attività non può pertanto prescindere da un esame delle Società deputate al loro svolgimento, ed, in particolare, dell’evoluzione che tali organismi hanno subito nel corso del tempo.

Le Società di revisione sono soggetti di diritto privato introdotti in Italia a partire dai primi del Novecento, prendendo esempio dalle Società fiduciarie tedesche, alle quali è stata fornita una prima timida regolamentazione con r.d. 16 dicembre 1926, n. 2214 e con il successivo r.d. 9 giugno 1927, n. 964 avente ad oggetto la “Disciplina delle società che esercitano funzioni

(18)

fiduciarie e revisionali”, con la quale si è provveduto ad assegnare a società ed enti il compito di svolgere attività di commissario giudiziario per la revisione dei bilanci e per l’ispezione dei libri della società.

Non si prevedeva tuttavia alcuna autorizzazione amministrativa per l’esercizio dell’attività in questione, essendo tale onere circoscritto solo a quei soggetti i cui incarichi di revisione e ispezione fossero conferiti dall’autorità giudiziaria o dalle pubbliche amministrazioni, i quali erano sottoposti anche alle forme tipiche di vigilanza informativa ed ispettiva che poteva giungere fino alla designazione da parte del Ministro per l’economia nazionale di un commissario permanente al fine di rendere il controllo su tali organismi più continuativo ed efficace.

La normativa in questione è stata successivamente abrogata con l. 23 novembre 1939, n. 1966 con la quale il legislatore ha riformulato la disciplina delle società fiduciarie e di revisione contabile d’azienda, non prevedendo tuttavia alcuna puntuale regolamentazione circa la concreta organizzazione dell’attività stessa, né tanto meno sulla responsabilità a cui tali organismi potevano andare incontro nello svolgimento della loro attività.

(19)

2. Il d.P.R. 136/1975

È con il d.P.R. 31.3.1975, n. 1369 che si è finalmente introdotta nell’ordinamento italiano una disciplina più completa in materia, in considerazione anche delle più ampie competenze spettanti alle Società di revisione, essendo alle stesse attribuito l’esercizio del controllo contabile e di certificazione dei bilanci delle società quotate in borsa, con funzioni dettagliatamente regolamentate in considerazione dei nuovi e più incisivi obblighi dettati per le società quotate10.

Il controllo più cogente posto in essere dall’ordinamento rispetto ai revisori è reso evidente dall’introduzione dell’obbligo di iscrizione presso uno speciale albo tenuto dalla Consob e dalla limitazione del loro oggetto sociale alla sola organizzazione e revisione contabile di aziende, con esclusione di qualsiasi altra attività11.

9

Decreto di attuazione della delega contenuta nella l. 6 giugno 1974, n. 216 10

Viene infatti introdotto per la prima volta nel nostro ordinamento l’istituto della revisione obbligatoria e della certificazione di bilancio per le società quotate in borsa.

11

Al fine di assicurare l’indipendenza dell’attività svolta dalla società di revisione rispetto alla società sottoposta alla sua verifica l’art. 3 del d.P.R. 136/1975 prevedeva inoltre una disciplina ad hoc sull’incompatibilità dei revisori, stabilendo che: “L'incarico non può essere conferito a società di revisione che si trovino in

situazioni di incompatibilità derivanti da rapporti contrattuali o da partecipazioni o i cui soci, amministratori, sindaci o direttori generali: 1) siano parenti o affini entro il quarto grado degli amministratori, dei sindaci o dei direttori generali della società che conferisce l'incarico o di altre società o enti che la controllano; 2) siano legati alla società che conferisce l'incarico o ad altre società o enti che la controllano da rapporti di lavoro autonomo o subordinato ovvero lo siano stati nel triennio antecedente al conferimento dell'incarico; 3) siano amministratori o sindaci della società che conferisce l'incarico o di altre società o enti che la controllano, ovvero lo siano stati nel triennio antecedente al conferimento dell'incarico; 4) si trovino in altra situazione che ne comprometta, comunque, l'indipendenza nei confronti della società.

(20)

L’art. 1, co. 1 stabiliva infatti che “nelle società con azioni quotate in borsa le funzioni di controllo della regolare tenuta della contabilità sociale, della corrispondenza del bilancio alle risultanze delle scritture contabili e dell’osservanza delle norme stabilite dall’art. 2426 c.c. per la valutazione del patrimonio sociale sono attribuite a una società di revisione……”.

Per lo svolgimento della sua funzione inoltre la Società di revisione disponeva del diritto di ottenere dagli amministratori delle società documenti e notizie utili alla revisione nonché il potere di procedere ad accertamenti, ispezioni e controlli a cui seguiva l’obbligo di informare il collegio sindacale dei fatti censurabili12 riscontrati.

L’art. 4, co. 3 e 4 prevedeva infine in capo alle società di revisione il compito di certificare il bilancio, quale fase finale di un procedimento caratterizzato da tre momenti fondamentali: (i) la fase ispettivo-ricognitiva, consistente in un controllo formale e sostanziale della contabilità, (ii) la fase valutativa, relativa al

I soci, gli amministratori, i sindaci o i dipendenti della società di revisione alla quale è stato conferito l'incarico a norma dell'articolo 2 non possono esercitare le funzioni di amministratore o di sindaco della società che ha conferito l'incarico, nè possono prestare lavoro autonomo o subordinato in favore della società stessa, se non sia decorso almeno un triennio dalla scadenza o dalla revoca dell'incarico, ovvero dal momento in cui abbiano cessato di essere soci, amministratori, sindaci o dipendenti della società di revisione.

Il divieto di cui al quarto comma dell'articolo 2372 del codice civile si applica anche alla società di revisione alla quale sia stato conferito l'incarico e ai soci, amministratori, sindaci e dipendenti della società stessa”.

Tale disciplina è stata successivamente ritoccata dalle prescrizioni contenute nel T.u.f. e dalle modifiche introdotte dalla Legge sul risparmio (legge 262/2005) e dal decreto legislativo n. 303/2006, in linea con i più recenti orientamenti europei. 12

I fatti censurabili non sono solo quelli attinenti la regolarità e la correttezza della contabilità, ma anche quelli riguardanti la gestione, di cui il revisore acquisisca conoscenza in occasione dei suoi riscontri contabili e di cui possa, in base alle proprie competenze, giudicare la non correttezza: per es. operazioni in conflitto di interessi, negozi illeciti, violazioni statutarie.

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controllo della corrispondenza del bilancio alle risultanze delle scritture contabili e degli accertamenti eseguiti, alla verifica della conformità del bilancio alle norme legali e al controllo dell’osservanza dei criteri di valutazione; ed infine (iii) la terza fase, culminante con l’emissione della certificazione del bilancio.

In tal senso la certificazione equivaleva ad un atto dovuto, emesso in adempimento dell’incarico ricevuto dalla società, corrispondente ad una attestazione di conformità e regolarità del contenuto del bilancio alle norme di legge e di fedeltà dei fatti di gestione rilevati alle risultanze degli accertamenti eseguiti e alle scritture contabili13.

Le Società quotate erano pertanto soggette ad un duplice controllo complementare: uno esterno, a tutela del pubblico risparmio14, svolto dal revisore contabile e uno interno operato dal Collegio sindacale, il quale collaborava con gli amministratori e vigilava sul loro operato nell’interesse della Società.

La disciplina così introdotta, tuttavia creava non pochi problemi di coordinamento tra le funzioni svolte dalla Società di revisione e quelle attribuite al Collegio sindacale, trattandosi di attività qualitativamente analoghe, vista l’identica formulazione dell’art. 1 d.P.R. n. 136/75 e dell’art. 2403 c.c.

13

Diritto e pratica delle società, 31 dicembre 1999, n. 24: Società di revisione:

responsabilità e competenze nella “riforma Draghi”.

14

La revisione e certificazione del bilancio, assicurando l’attendibilità dell’informazione contabile costituiscono il presupposto per la corretta valutazione del rischio in relazione a qualsiasi investimento in strumenti finanziari.

(22)

Tali legittime perplessità furono avanzate anche dalla dottrina, la quale era divisa sul ruolo funzionale dei due organismi nell’ambito delle società quotate: alcuni ritenevano che il collegio sindacale fosse stato sostanzialmente spogliato, limitatamente alle società con azioni quotate in borsa, delle funzioni di controllo sulla regolare tenuta della contabilità e della corrispondenza del bilancio alle risultanze delle scritture contabili, per attribuirle alla società di revisione, altri invece ritenevano che nelle Società quotate il controllo contabile, anche se non più funzione preminente del collegio sindacale, restava uno dei compiti compresi nel generale dovere di vigilanza sul rispetto della legge, nonostante i sindaci non avessero al riguardo un obbligo di intensi e analitici riscontri e verifiche. Infine, secondo altra parte della dottrina, la nuova disciplina non avrebbe introdotto un doppio controllo contabile ma regole di coordinamento e collaborazione tra collegio sindacale e società di revisione15.

A tale critica si aggiungevano altre considerazioni quali la carenza nel d.P.R. n. 136/75 di indicazioni precise sulle modalità di svolgimento dell’attività di revisione e di certificazione, in particolare per ciò che atteneva l’adozione di criteri e principi generali, senza i quali difficilmente poteva essere garantita quella uniformità di controlli sull’attendibilità dei bilanci ritenuta fondamentale per assicurare un’effettiva trasparenza delle informazioni contenute nei documenti contabili.

15

M.V. COZZI, Tutela dei mercati finanziari e responsabilità delle società di

(23)

Ma soprattutto si evidenziava l’uso improprio nel testo di legge del termine certificazione, considerato fuorviante.

Nel tempo si era infatti diffusa la convinzione secondo la quale la dichiarazione rilasciata dai revisori rappresentasse un attestato di veridicità del bilancio, una sorta di garanzia dell’inesistenza di situazioni di crisi aziendale, senza tener conto dell’oggettiva impossibilità per i revisori di estendere le proprie verifiche a tutti i fatti economicamente rilevanti, per non parlare poi della tecnica utilizzata, basata su stime e per tal motivo non perfettamente attendibile e grandemente opinabile16.

3. La riforma Draghi

Le critiche avanzate dalla dottrina sull’impianto normativo delineato dal d.P.R. n. 136/75 hanno spinto il legislatore ad emanare una più corretta e puntuale disciplina in merito alle società quotate17 con il d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 di attuazione della l.d. 6 febbraio 1996, n. 52, abrogando il d.P.R. n.

16

G.CAMPOBASSO (a cura di), Testo unico della finanza, Emittenti, UTET, 2002,

1296. 17

In realtà la nuova regolamentazione trova applicazione anche nei confronti delle società emittenti strumenti finanziari diffusi tra il pubblico in misura rilevante. In particolare si definiscono emittenti azioni diffuse tra il pubblico in maniera rilevante gli emittenti italiani che hanno azionisti diversi dai soci di controllo in numero superiore a 200 e che detengono complessivamente almeno il 5% del capitale sociale e non redigono il bilancio in forma abbreviata, mentre si qualificano emittenti obbligazioni diffuse fra il pubblico in misura rilevante gli emittenti italiani dotati di un patrimonio netto non inferiore a cinque milioni di euro e con un numero di obbligazionisti superiore a duecento. Si rinvia a tal fine alle definizioni contenute nell’art 2 bis, co. 4, Regolamento emittenti adottato dalla Consob con delibera n. 11971 del 14 maggio 1999 e successive modifiche e integrazioni.

(24)

136/75 e sostituendolo con le disposizioni previste dall’art. 155 fino all’art. 165.

La nuova normativa conferma l’attribuzione della funzione di revisione contabile delle società quotate in capo a società iscritte nell’albo speciale tenuto dalla Consob, con conseguente passaggio automatico a tale albo per le società già iscritte sotto la previgente disciplina ormai abrogata, mentre sostanzialmente invariato è il contenuto dell’attività di revisione, consistente nel controllo sulla regolare tenuta della contabilità e sulla corretta rilevazione dei fatti di gestione delle scritture contabili e sulla successiva verifica della corrispondenza del bilancio di esercizio e del bilancio consolidato alla risultanze delle scritture contabili (art. 155 T.u.f.).

Assecondando i rilievi sollevati dalla prevalente dottrina, la riforma Draghi ha inoltre provveduto ad introdurre una netta separazione di competenze tra il collegio sindacale e la società di revisione, dichiarando inapplicabili una serie di norme del codice civile18, e definendo nettamente il ruolo attribuito al collegio sindacale, attraverso una precipua indicazione delle funzioni allo stesso affidate.

Nell’art. 149 t.u.f. infatti non vi è più alcun accenno al controllo contabile esercitato in precedenza bensì alla funzione di vigilanza (a) sull’osservanza della legge e dell’atto costitutivo, (b) sul rispetto dei principi di corretta amministrazione, (c)

18

Non si è realizzata in tal modo un’abrogazione delle norme del codice civile, essendo le stesse applicabili ai collegi sindacali delle società non quotate, ma si è provveduto ad una ridefinizione delle competenze attribuibili al collegio sindacale nel rapporto esistente con le società di revisione all’interno delle società quotate.

(25)

sull’adeguatezza della struttura organizzativa della società per gli aspetti di competenza, del sistema di controllo interno e del sistema amministrativo-contabile, nonché sull’affidabilità di quest’ultimo nel rappresentare correttamente i fatti di gestione ed infine (d) sull’adeguatezza delle disposizioni impartite dalla società alle società controllate ai sensi dell’articolo 114, co. 2. Ne consegue che in ogni caso il Collegio sindacale non potrà prescindere da una conoscenza degli aspetti contabili e di bilancio, ma ciò rappresenterà esclusivamente lo strumento tramite cui giungere ad un controllo sull’amministrazione e sul comportamento gestorio degli amministratori19, mentre la vigilanza perpetrata dal revisore si qualificherà quale controllo contabile “vero e proprio” in quanto volto a verificare la completezza e veridicità delle informazioni contenute nei documenti contabili.

L’opera riformatrice si è infine conclusa con una rettifica alla precedente formulazione dell’art. 156 t.u.f. con riguardo all’atto finale del procedimento di revisione, nel quale si è abbandonato il termine “certificazione”, sostituendolo con “giudizio” al fine di sottolineare i limiti insiti nella relazione dei revisori, non potendo la stessa assumere un ruolo che in realtà non ha, quale quello di sancire l’assoluta correttezza ed autenticità del bilancio così certificato.

19

Si fa presente che l’attività svolta dai sindaci non potrà mai spingersi ad una valutazione sul merito della gestione, dal momento che le scelte aziendali restano di competenza esclusiva degli amministratori.

(26)

L’altra novità introdotta dal t.u.f. riguarda la graduazione dei giudizi sul bilancio, di modo che eventuali eccezioni o osservazioni che in passato si limitavano ad accompagnare il giudizio della società di revisione ne diventino parte integrante. In tal senso si prevede che la società di revisione possa rilasciare:

1. un giudizio positivo senza rilievi qualora il bilancio d’esercizio e consolidato siano conformi alle norme che ne disciplinano i criteri di redazione e valutazione;

0. un giudizio positivo con rilievi quando, nonostante la rilevazione delle difformità rispetto alle norme che disciplinano il bilancio o ai principi di revisione, tali rilievi non compromettano l’attendibilità complessiva del bilancio;

0. un giudizio negativo qualora le violazioni siano tali da rendere inattendibile il bilancio nel suo complesso;

0. una dichiarazione circa l’impossibilità di esprimere un giudizio nel caso in cui si verifichino notevoli impedimenti nello svolgimento dell’attività di revisione o non vengano individuati sufficienti elementi probatori, rendendo così impossibile la formulazione di un giudizio sul bilancio.

L’art. 156, co. 3 t.u.f dispone inoltre che, nelle ultime tre ipotesi la società di revisione deve esporre analiticamente nella relazione le ragioni che supportano tali valutazioni, dovendone inoltre dare immediata comunicazione alla Consob qualora il

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giudizio sia negativo o vi sia stata impossibilità di esprimerlo per le ragioni prima indicate.

In merito infine al conferimento dell’incarico, l’art. 159 t.u.f. ne attribuisce la competenza esclusiva all’assemblea ordinaria, in occasione dell’approvazione del bilancio, previo parere del collegio sindacale, ed alla stessa assemblea è conferito il potere di revoca, nel caso in cui ricorra una giusta causa, quali eventuali incompatibilità intervenute successivamente al conferimento dell’incarico, o la sopravvenuta inidoneità tecnica all’espletamento dell’incarico stesso.

4. La riforma del diritto societario

Il processo di riforma avente ad oggetto il ruolo e le funzioni esercitate dalle Società di revisione non si è arrestato alle modifiche prima evidenziate, ma ha subito un’accelerazione nel periodo immediatamente successivo alla riforma Draghi.

La scissione tra le funzioni di controllo sull’amministrazione, esercitate dal collegio sindacale e quelle di riscontro contabile, tipiche delle Società di revisione è stata infatti riproposta dal legislatore anche con riguardo alle società non quotate e ha trovato compiuta sistemazione negli art. 2409 bis e seguenti del codice civile20. La riforma21 accoglie il criterio direttivo della

20

Per una trattazione più completa si rinvia a S. FORTUNATO, I controlli amministrativi sulle società, in Riv. Soc., 1998, 407, nonché I “controlli” nella riforma del diritto societario, in La riforma del diritto societario, Convegni di studio “Problemi attuali di diritto e procedura civile”, Centro nazionale di prevenzione e

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legge delega22 dettando una disciplina autonoma del controllo contabile e incardinando lo stesso preferibilmente in capo ad un revisore esterno, anche nel caso di società non quotate, ad eccezione dell’ipotesi in cui lo statuto espressamente preveda l’attribuzione al Collegio sindacale, e sempre che si tratti di società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio e non tenute alla redazione del bilancio consolidato23 (art. 2409

bis, co. 3).

Per le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio24 il controllo contabile è esercitato necessariamente da 21

È evidente che l’esame avrà ad oggetto esclusivamente il controllo contabile, senza pertanto addentrarsi sui diversi sistemi di amministrazione e controllo introdotti, per i quali pertanto si procede solo ad un breve accenno. I nuovi sistemi di

governance sono così articolati: il sistema tradizionale, che riproduce

sostanzialmente il “vecchio” assetto organizzativo caratterizzato da un organo amministrativo (consiglio di amministrazione o amministratore unico) e un organo di controllo (collegio sindacale) entrambi nominati dall’assemblea; il modello dualistico, basato su un consiglio di gestione (organo amministrativo) e un consiglio di sorveglianza nominato dall’assemblea e dotato non solo di funzioni di controllo ma anche deliberative, in quanto ad esso spetta la nomina del consiglio di gestione e l’eventuale esercizio dell’azione di responsabilità nei confronti dei componenti del consiglio stesso (art. 2409 octies; 2409 duodecies, comma 2, 2409 terdecies, lett. a); il sistema monistico, composto da un consiglio di amministrazione e da un comitato per il controllo sulla gestione costituito all’interno dell’organo amministrativo. La riforma pertanto rimette agli Statuti l’opzione fra i diversi sistemi mutuati da esperienze straniere, lasciando aperta la possibilità di introdurre il sistema dualistico di derivazione germanica o il sistema monistico di derivazione anglosassone. Per maggiori approfondimenti si rinvia a P. MONTALENTI, Corporate Governance, consiglio di amministrazione, sistemi di controllo interno: spunti per una riflessione,

in Riv. Soc., 2002, 803 ss; L.SPAVENTA,Governo societario e assetti proprietari. Nota su un teorema non dimostrato, in AA.VV., Le nuove funzioni degli organi societari: verso la Corporate Governance?, 2002, Milano, 13 ss.

22

l.d n. 366/2001 attuata con d.lgs. n. 6/2003. 23

Anche in tal caso tuttavia il collegio sindacale deve essere costituito da revisori contabili iscritti nel registro istituito presso il Ministro della giustizia e titolari di quei requisiti di professionalità e indipendenza richiesti per la revisione esterna. 24

Ai sensi dell’art. 2325 bis, le società che fanno ricorso al mercato dei capitali di rischio vanno distinte in società quotate in mercati regolamentati e società con azioni diffuse fra il pubblico in misura rilevante:

1. nelle società quotate in mercati regolamentati, per effetto della disposizione dell’art. 2325 bis, comma 2, trovano applicazione le disposizioni speciali dettate

(29)

una società di revisione iscritta anch’essa nel registro di revisori ma soggetta, limitatamente a tali incarichi, alla disciplina sullo svolgimento dell’attività di revisione ed alla vigilanza della

dal D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, con la conseguenza che il controllo contabile, ai sensi dell’art. 155, è esercitato da una società di revisione iscritta nell’albo speciale Consob;

2. nelle società con azioni diffuse fra il pubblico in misura rilevante, come chiarito con la novella introdotta dal D.Lgs. 6 febbraio 2004, n. 37 all’art. 116, comma 2, D.Lgs. 58/98, nonché all’art. 111 bis delle disp. att., il controllo contabile è affidato ad una società di revisione iscritta nel registro dei revisori contabili, alla quale si applicano le disposizioni degli articoli 155, comma 2, 156, 162, commi 1 e 2, 163, commi 1 e 4, D.Lgs. 58/98.

Si ricorda che ai sensi dell’art. 111 bis delle disposizioni di attuazione e transitorie si considerano società con azioni diffuse fra il pubblico in maniera rilevante quelle che superano i parametri fissati ai sensi dell’art. 116, D.Lgs. 58/98. In particolare il Regolamento di attuazione del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, concernente la disciplina degli emittenti (adottato dalla Consob con delibera n. 11971 del 14 maggio 1999), definisce gli emittenti strumenti finanziari diffusi fra il pubblico in misura rilevante all’art. 2 bis, introdotto con delibera n. 14372 del 23.12.2003:

“ Art. 2-bis - (Definizione di emittenti strumenti finanziari diffusi fra il pubblico in misura rilevante)

1. Sono emittenti azioni diffuse fra il pubblico in misura rilevante gli emittenti italiani i quali, contestualmente:

a) abbiano azionisti diversi dai soci di controllo in numero superiore a 200 che detengano complessivamente una percentuale di capitale sociale almeno pari al 5%;

b) non abbiano la possibilità di redigere il bilancio in forma abbreviata ai sensi dell'articolo 2435-bis, primo comma, del codice civile.

2. I limiti di cui al comma precedente si considerano superati soltanto se le azioni alternativamente:

- abbiano costituito oggetto di una sollecitazione all'investimento o corrispettivo di un'offerta pubblica di scambio;

- abbiano costituito oggetto di un collocamento, in qualsiasi forma realizzato, anche rivolto a soli investitori professionali come definiti ai sensi dell'articolo 100 del TUF;

- siano negoziate su sistemi di scambi organizzati con il consenso dell'emittente o del socio di controllo;

- siano emesse da banche e siano acquistate o sottoscritte presso le loro sedi o dipendenze.

3. Non si considerano emittenti diffusi quegli emittenti le cui azioni sono soggette a limiti legali alla circolazione riguardanti anche l'esercizio dei diritti aventi contenuto patrimoniale, ovvero il cui oggetto sociale prevede esclusivamente lo svolgimento di attività non lucrative di utilità sociale o volte al godimento da parte dei soci di un bene o di un servizio.

4. Sono emittenti obbligazioni diffuse fra il pubblico in misura rilevante gli emittenti italiani dotati di un patrimonio netto non inferiore a cinque milioni di euro e con un numero di obbligazionisti superiore a duecento.”

(30)

Commissione nazionale per le società e la borsa (art. 2409 bis, co. 2).

La bozza del progetto conteneva al riguardo incongruenze rispetto allo spirito della riforma, poi successivamente eliminate con l’emanazione del d.lgs. n. 6/2003.

Nei residui sistemi monistico e dualistico infatti l’esercizio delle funzioni di controllo contabile era attribuito rispettivamente al comitato per il controllo sulla gestione e al consiglio di sorveglianza, anche nel caso di società che ricorrevano al capitale di rischio.

Tale opzione normativa era pertanto in contrasto con la legge delega, la quale attribuisce inderogabilmente la funzione di controllo contabile a revisori esterni nel caso di società che fanno ricorso al mercato dei capitali di rischio.

L’incongruenza è stata tuttavia successivamente eliminata, richiamando integralmente per il controllo contabile sia all’art. 2409 quinquiedecies (per il sistema monistico) che all’art. 2409

noviesdecies (per il sistema monistico) l’art. 2409 bis, co. 1 e 2.

Pertanto, allo stato attuale, coesistono tre discipline parzialmente diverse per quanto riguarda il controllo contabile:

Nelle società che non fanno ricorso al capitale di rischio, il controllo contabile è esercitato da un revisore contabile persona fisica o da una società di revisione iscritti in apposito registro istituito presso il Ministero di Giustizia, secondo la disciplina del Codice Civile. Tuttavia, nelle società non tenute alla redazione del bilancio consolidato lo statuto può affidare il controllo

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contabile allo stesso Collegio Sindacale. In tal caso, il Collegio Sindacale deve essere interamente costituito da revisori contabili (art. 2409 bis).

Nelle società che fanno ricorso al capitale di rischio diverse dalle società quotate, il controllo contabile, invece, può essere esercitato solo da una società di revisione iscritta nel registro dei revisori contabili, la quale limitatamente a tali incarichi è assoggettata a parte della disciplina della revisione contabile prevista per le società quotate ed alla vigilanza della Consob (art.2409 bis).

Infine, nelle società con azioni quotate l'attività di revisione contabile è riservata alle società di revisione iscritte in apposito albo speciale tenuto a cura della Consob (art. 161 T.u.f.) ed è integralmente assoggettata alla disciplina dettata dal Testo unico sulla finanza.

Sostanzialmente invariata è invece la disciplina in merito alle funzioni, alle responsabilità, alla nomina e alla revoca del revisore, rispetto a quanto già previsto dal T.u.f. per le società quotate25, fermo restando la differente durata dell’incarico nel

25

L’art. 2409 ter c.c. ricalca quanto già previsto dall’art. 155 T.u.f., affidando alla Società di revisione: a) la verifica, nel corso dell’esercizio e con periodicità almeno trimestrale, della regolare tenuta della contabilità sociale e della corretta rilevazione nelle scritture contabili dei fatti di gestione; b) la verifica della corrispondenza del bilancio di esercizio e, ove redatto, del bilancio consolidato alle risultanze delle scritture contabili e degli accertamenti eseguiti e c) la redazione di una relazione sul bilancio d’esercizio e sul bilancio consolidato, ove redatto, che deve essere depositata presso la sede della società quindici giorni prima dell’assemblea delegata ad approvare il bilancio. La riforma, a differenza di quanto previsto dal T.u.f. non contiene una specificazione della tipologia dei giudizi, con ciò non potendosi, comunque, considerare vietata l’espressione dei giudizi mediante le formule indicate nell’art. 156 T.u.f. stesso. La società di revisione pertanto potrà esprimere un giudizio positivo, positivo con riserve, negativo o astenersi dall’esprimere un

(32)

caso di società non quotate, che è pari a tre esercizi, rispetto a quelle quotate, che, nella nuova formulazione dell’art. 159, co. 4 del T.u.f. è di nove esercizi e non è rinnovabile, ad eccezione dell’ipotesi in cui siano decorsi almeno tre anni dalla cessazione del precedente incarico26.

5. L’attuale quadro normativo

Le più rilevanti innovazioni legislative in materia di revisione legale dei conti si evidenziano a partire dall’entrata in vigore della recente legge di riforma del risparmio27, con la quale sono state introdotte regole destinate a rafforzare l’indipendenza dei giudizio, qualora non ritenga sufficienti o sufficientemente attendibili i dati disponibili. Con la successiva approvazione della legge comunitaria 2004 di recepimento della Direttiva 2003/51/CE del 18 giugno 2003 si sostituisce il paragrafo 1 dell’articolo 51 della IV direttiva e si inserisce l’art. 51 bis, determinando la struttura che il giudizio dovrà necessariamente possedere al fine di giungere ad una standardizzazione del lavoro svolto dai revisori in ambito UE. In particolare si sancisce l’obbligo di inserire un paragrafo introduttivo al fine di precisare l’oggetto del controllo e la portata della revisione mediante indicazione dei principi applicati, a cui fa seguito il giudizio sul bilancio graduato secondo le modalità prima indicate.

26

Al riguardo preme rilevare che la legge di riforma del risparmio e la Comunicazione della Consob n. DEM/6025868-6025869-6025871 del 23-3-2006 avevano previsto una durata di sei anni, con la precisazione che il novellato art. 159 T.u.f., co. 4, doveva essere interpretato nel senso che, alla scadenza del primo incarico, della durata di sei esercizi, l’incarico di revisione poteva essere immediatamente rinnovato per ulteriori sei esercizi, purchè fosse garantita la rotazione del responsabile della revisione per i primi sei esercizi. L’art. 3, comma 16 del d.lgs. n. 303 del 29.12.2006 ha nuovamente riportato a nove il termine di durata dell’incarico di revisione contabile mentre la successiva Comunicazione Consob n. DEM/7071918 dell'1-8-2007 ha precisato l’ambito di operatività della nuova norma, conferendo un’interpretazione univoca circa la rotazione delle società di revisione e dei responsabili della revisione stessa.

26

La legge 28 dicembre 2005, n. 262 e successivo decreto di coordinamento 29 dicembre 2006, n. 303 (cosiddetto “Decreto Pinza”)

27

La legge 28 dicembre 2005, n. 262 e successivo decreto di coordinamento 29 dicembre 2006, n. 303 (cosiddetto “Decreto Pinza”)

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revisori delle società quotate, attraverso una radicale modifica di buona parte delle norme del T.u.f. a ciò dedicate.

Lo sforzo normativo trova la sua giustificazione nella accresciuta importanza attribuita all’attività propria delle Società di revisione e, in particolare all’atto finale del loro procedimento, ossia al giudizio espresso sul bilancio.

È infatti compito del revisore assolvere ad una funzione di trasparenza e controllo sull’operato delle società, al fine di fornire al mercato un’informazione corretta o, più precisamente, una corretta valutazione dell’informazione contabile che dall’impresa stessa è stata fornita, ponendo in essere al riguardo qualsiasi attività suppletiva di indagine che si mostri necessaria in presenza di circostanze tali da ingenerare il dubbio di frodi perpetrate dagli amministratori.

Ma nei recenti scandali finanziari le Società di revisione delle diverse aziende incriminate non hanno adempiuto a tali incombenti, intrecciando anzi connivenze delittuose con gli amministratori e certificando una “salute” della Società in realtà inesistente.

E questo in considerazione di quel latente conflitto di interessi generato dalle stesse modalità con le quali si procede alla loro nomina, essendo incaricate dall’assemblea dei soci e dalla stessa remunerate nonché dalla pluralità di funzioni assunte, di

(34)

controllo dei conti da un lato e di consulenza nei più diversi settori dell’attività aziendale dall’altro28.

Le gravi violazioni poste in essere dai revisori unite alle sollecitazioni provenienti da tempo dall’Unione europea29 hanno spinto il legislatore nazionale ad emanare una disciplina volta a

28

Al riguardo non è possibile esimersi da un seppur breve accenno ai recenti scandali finanziari che hanno evidenziato la propensione delle Società di revisione a fornire un giudizio positivo sul bilancio delle società sottoposte alla loro verifica, nonostante l’evidente crisi finanziaria in cui le stesse si trovavano da tempo: nella vicenda Parmalat infatti gli analisti nominati dal Gruppo non hanno rilevato anomalie nel bilancio della Società sebbene le stesse fossero ben visibili, quali ad esempio l’elevato costo medio di indebitamento, di tal livello da superare il tasso di usura definito dall’Abi. Per non parlare dei gravi segnali di inefficienza economica e di rischio finanziario provenienti dall’elevato grado di ricorso al debito a titolo oneroso.

Ciò significa che, se è vero che i bilanci sottoposti a giudizio della Grant Thorton e

Deloitte e Touche ( le due società nominate da Parmalat) erano stati falsificati e

quindi astrattamente passibili di valutazione positiva in quanto alterata, è anche vero che le stesse hanno deliberatamente evitato di valutare palesi segnali di criticità che celavano una situazione di crisi economica profonda all’interno della Società, sintomo evidente della volontà di certificare una situazione in realtà inesistente, frutto di convenienze economiche e di interessi personali perseguiti.

29

Per un esame più approfondito si rinvia alla Raccomandazione della Commissione Europea del 16 maggio 2002 avente ad oggetto “L’indipendenza dei revisori legali

dei conti nell’UE: un insieme di principi fondamentali” nella quale si ribadisce la

necessità di garantire l’indipendenza del revisore legale dal cliente il cui bilancio è

oggetto di revisione, tanto sotto il profilo intellettuale quanto sotto il profilo formale. Un revisore legale non deve accettare un incarico di revisione legale dei conti se tra il revisore stesso e il cliente esistono relazioni finanziarie, d'affari, di lavoro o di altro genere (comprese quelle derivanti dalla prestazione al cliente di taluni servizi diversi dalla revisione) tali che un terzo ragionevole ed informato riterrebbe compromessa l'indipendenza del revisore legale nonché la

Raccomandazione del 5 ottobre 2005 con la quale la Commissione esorta le società di revisione ad adottare il documento "Principi sull'indipendenza del revisore" emanato dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e dal Consiglio Nazionale dei Ragionieri e dei Periti Commerciali nel quale si precisa che per assicurare l’indipendenza del revisore e del responsabile della revisione devono essere altresì indipendenti tutti coloro che, rispetto ad uno specifico incarico, si trovano in una posizione tale da poter influenzare il risultato della revisione: in particolare, tutti coloro che partecipano direttamente all’incarico di revisione, che fanno parte della “catena di comando” di riferimento nell’esecuzione di quell’incarico, o che, nell’ambito della società di revisione o della rete, per qualsiasi motivo, possono esercitare un’influenza sull’attività di revisione, in tal modo ispirando la successiva disciplina sulle incompatibilità introdotta in seconda battuta dalla legge sul risparmio.

(35)

restituire ai risparmiatori la fiducia nei mercati finanziari, sebbene l’obiettivo sia stato solo in parte realizzato, essendo evidenti le lacune ancora presenti nel sistema.

La legge sul risparmio è intervenuta a modificare la disciplina contenuta nel T.u.f. sulla revisione contabile, dettando nuove regole relativamente alla determinazione dei compensi, all’incompatibilità del revisore, al conferimento ed alla revoca dell’incarico ed, infine in merito all’ampliamento dei poteri di vigilanza conferiti alla Consob.

Con un solo articolo (art. 18) la legge sul risparmio ha provveduto a ritoccare sia l’art. 159 del T.u.f. avente ad oggetto il conferimento e la revoca dell’incarico sia l’art. 160 sulle incompatibilità, rinviando alla normazione secondaria della Consob la fissazione dei criteri generali per la determinazione del corrispettivo nonché per l’individuazione delle singole situazioni di incompatibilità, al di là di quanto a suo tempo dettato dagli art. 2 e 3 del d.P.R. n. 136/1975.

In particolare, l’art 159, co. 7 del T.u.f., nonostante la delega concessa alla Consob, ribadisce la necessità di evitare la parametrazione del compenso in funzione dei risultati della revisione o dell’eventuale prestazione di servizi aggiuntivi da parte della società di revisione o da società da questa controllate e/o che la controllano o, infine, da società sottoposte con essa a comune controllo30.

30

Si introduce per tale via quel concetto di “rete” sviluppato dalla Direttiva 2006/43/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 17 maggio 2006 relativa alle revisioni legali dei conti annuali e dei conti consolidati, che modifica le direttive

(36)

L’art. 145-bis del Regolamento Emittenti introdotto dalla Consob, in attuazione dell’incarico conferito dal legislatore, identifica i criteri da adottare per la determinazione del suddetto corrispettivo, rimandando in parte a quanto a suo tempo già definito con la delibera n. 805 del 9 dicembre 1980 e successivamente con la comunicazione n. DAC/RM/96003556 del 18 aprile 199631, apportando tuttavia gli opportuni aggiornamenti al fine di adeguarli alle successive modifiche normative intervenute al riguardo, con un preminente interesse a garantire la qualità e l’affidabilità dei lavori nonché l’indipendenza del revisore.

78/660/CEE e 83/349/CEE del Consiglio e abroga la direttiva 84/253/CEE del Consiglio (Gazzetta ufficiale n. L 157 del 9/06/2006 pag. 0087 - 0107) nella quale si afferma che, al fine di individuare la “rete” nella quale operano le Società di revisione occorre esaminare la situazione fattuale che potrebbe verificarsi qualora la struttura sia finalizzata alla condivisione degli utili o dei costi, nonché l’esistenza o meno di clienti abituali comuni, ravvisando in tali ipotesi la sussistenza di una situazione tale da inficiare l’indipendenza nell’attività di revisione.

La nozione è stata successivamente ripresa dal Regolamento di attuazione del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, concernente la disciplina degli emittenti adottato dalla Consob con delibera n. 11971 del 14 maggio 1999 e successivamente modificato con le recenti delibere n. 15915 del 3 maggio 2007 e n. 15960 del 30 maggio 2007 nel quale la “rete” viene definita nell’art. 149 bis come “struttura più

ampia - nazionale ed internazionale - cui appartiene la società di revisione, che si avvale della medesima denominazione o attraverso la quale vengono condivise risorse professionali, e comprendente comunque le società che controllano la società di revisione, che sono da essa controllate, ad essa collegate o sottoposte con essa a comune controllo, è composta da entità individuate secondo i seguenti criteri: presenza di un fine comune di cooperazione, nonché condivisione di utili o costi, o riconducibilità ad una proprietà o ad una direzione comuni, o condivisione di direttive e procedure comuni di controllo della qualità, o condivisione di una strategia aziendale comune, o utilizzo del medesimo marchio, o condivisione di una parte rilevante delle risorse professionali o organizzative.

31

L’efficacia normativa della comunicazione citata deriva dalla delega contenuta nell’art. 2 co. 5, del d. P.R. n. 136/1975, rimasta in vigore anche successivamente all’emanazione del T.u.f., sebbene quest’ultimo, nella versione antecedente alle modifiche apportate dalla legge 262/2005, non contenesse più la delega regolamentare alla Consob in materia di corrispettivo dell’incarico di revisione.

(37)

5.1 Le situazioni di incompatibilità

Al fine di fronteggiare il conflitto di interessi insito nell’attività del revisore, la legge di riforma del risparmio ed il successivo decreto legislativo n. 303/2006 hanno identificato all’art. 160 del T.u.f. alcune delle situazioni di incompatibilità in grado di impedire il conferimento e lo svolgimento dell’incarico di revisione, oltre a quanto già codificato dal precedente art. 3 del d.P.R. 136/197532.

In particolare, il comma 1-ter elenca alcuni servizi che non possono essere prestati dalla società di revisione, dalla sua rete né dagli altri soggetti ivi indicati, alla società che ha conferito l’incarico di revisione33, delegando alla Consob l’individuazione delle situazioni di incompatibilità che precludono l’attribuzione del mandato, oltre all’identificazione di altri servizi e attività, anche di consulenza inclusa quella legale, vietati alle Società di revisione, in ottemperanza ai principi di cui alla VIII direttiva n. 84/253/CEE del 10 aprile 1984 ora sostituita dalla nuova

32

Si rinvia a tal proposito a quanto indicato nella nota 11. 33

Si precisa infatti che “La società di revisione e le entità appartenenti alla rete

della medesima, i soci, gli amministratori, i componenti degli organi di controllo e i dipendenti della società di revisione stessa e delle società da essa controllate, ad essa collegate o che la controllano o sono sottoposte a comune controllo non possono fornire alcuno dei seguenti servizi alla società che ha conferito l'incarico di revisione e alle società da essa controllate o che la controllano o sono sottoposte a comune controllo: a) tenuta dei libri contabili e altri servizi relativi alle registrazioni contabili o alle relazioni di bilancio; b) progettazione e realizzazione dei sistemi informativi contabili; c) servizi di valutazione e stima ed emissione di pareri pro veritate; d) servizi attuariali; e) gestione esterna dei servizi di controllo interno; f) consulenza e servizi in materia di organizzazione aziendale diretti alla selezione, formazione e gestione del personale; g) intermediazione di titoli, consulenza per l'investimento o servizi bancari d'investimento; h) prestazione di difesa giudiziale”.

(38)

direttiva 43/2006/CE finalizzata ad assicurare l’indipendenza e l’imparzialità nell’attività svolta dal revisore34.

A tal riguardo la Consob dedica un intero Capo alla disciplina delle incompatibilità, ripercorrendo quanto a suo tempo stabilito nella Raccomandazione europea35 e nel documento “Principi sull’indipendenza del revisore” raccomandato dalla Consob36. Il corpus della normativa, contenuta nel Regolamento Emittenti così come recentemente modificato, enuclea le situazioni che possono compromettere l’indipendenza del revisore, individuando due categorie di cause di incompatibilità: nella prima rientrano tutte le situazioni per le quali sussiste una presunzione assoluta di mancanza di indipendenza, indicate al comma 1 degli articoli da 149-quarter a 149-decies mentre nella seconda categoria rientrano tutte le situazioni che richiedono una

34

In particolare, l’art 22 della direttiva 43/2006/CE evidenzia la possibile compromissione dell’attività di revisione in caso di auto-riesame, interesse personale, esercizio del patrocinio legale, familiarità, fiducia eccessiva o intimidazione, in tal modo avvalorando l’orientamento della Consob volto a vietare quei servizi di natura legale che possono dar luogo ai rischi di cui sopra. È evidente infatti che nell’attività di rappresentanza del cliente sia giudiziale che extragiudiziale sia presente un coinvolgimento tale nelle decisioni del cliente da pregiudicare l’indipendenza del revisore.

35

Raccomandazione della Commissione Europea del 16 maggio 2002 avente ad oggetto “L’indipendenza dei revisori legali dei conti nell’UE: un insieme di principi

fondamentali”.

36

Raccomandazione della Commissione Europea del 5 ottobre 2005 alle società di revisione iscritte nell'Albo Speciale e alle società di revisione iscritte nel Registro dei Revisori Contabili nell'esercizio dell'attività di revisione contabile sui bilanci degli emittenti strumenti finanziari diffusi tra il pubblico in misura rilevante di adottare il documento "Principi sull'indipendenza del revisore" emanato dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e dal Consiglio Nazionale dei Ragionieri e dei Periti Commerciali nel quale si sottolinea che, per assicurare l’indipendenza della società di revisione occorre garantire la neutralità del giudizio espresso in quanto non contaminato da possibili influenze ad opera di coloro che fanno parte della “catena di comando” di riferimento nell’esecuzione di quell’incarico.

(39)

valutazione al fine di stabilire se, nel caso specifico, l’indipendenza risulti effettivamente compromessa, specificate nel comma 2 degli articoli da 149-quarter a 149-nonies.

Si tratta in tale ultimo caso di una sorta di norma di chiusura comprendente tutti i casi nei quali la valutazione è affidata alla società di revisione e alla società che ha conferito l’incarico, le quali, qualora ravvisino una situazione di incompatibilità, devono avviare la procedura indicata nel successivo art.

149-undecies37.

Venendo ad analizzare le singole ipotesi di incompatibilità, il capo I-bis del Regolamento individua specifici divieti a presidio dell’imparzialità del revisore e, nello specifico:

1. la detenzione di un interesse finanziario38 (art 149

quarter);

37

Viene spontaneo chiedersi se le Società di revisione, qualora individuino una situazione di incompatibilità non codificata ma soggetta ad una valutazione soggettiva, non siano indotte ad evitare di avviare il procedimento di comunicazione alla società sottoposta a revisione ed alla Consob, in considerazione dell’eventualità che l’incarico conferito possa essere revocato.

38

La norma provvede ad individuare in primo luogo le società nelle quali la detenzione di un interesse finanziario determina l’incompatibilità, ossia la società che ha conferito l’incarico, le sue controllanti e le sue controllate ed in secondo luogo i soggetti, oltre alla società di revisione, per i quali la detenzione di un interesse finanziario nelle società di cui sopra determina l’incompatibilità, individuandoli in coloro che sono coinvolti nel lavoro di revisione, sia in quanto prendono parte direttamente all’esecuzione del lavoro (gruppo di revisione), sia in quanto titolari di funzioni di direzione, supervisione e controllo del lavoro medesimo (catena di comando), oltre naturalmente ai soci ed agli amministratori della società di revisione che lavorano nel medesimo ufficio di un socio o amministratore facente parte del gruppo di revisione, i soci e gli amministratori di un’entità della rete che lavorano nell’ufficio il cui personale è assegnato in misura significativa, rispetto alle risorse dell’ufficio stesso, allo svolgimento dell’incarico nonché infine gli stretti familiari di coloro che fanno parte del gruppo di revisione e dei soci o amministratori della società di revisione che lavorano nel medesimo ufficio di un socio o amministratore facente parte del gruppo di revisione.

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