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La distribuzione delle occorrenze nei singoli canti dell’Inferno

2. il mare

3.2 La distribuzione delle occorrenze nei singoli canti dell’Inferno

Il grafico che segue mostra la distribuzione delle 471 occorrenze all’interno dei singoli canti dell’Inferno: a) La configurazione e l'aspetto 50% b) Le acque, 1. le acque interne 26% b) Le acque, 2. il mare 7% c) I terreni a la loro costituzione 12% d) le materie minerali 1% e) I metalli 4%

II. LA TERRA

Come si vede, non tutti i canti sono “materici” allo stesso modo.

Il canto XIV rappresenta il picco più alto dell’impiego del lessico ambientale della sezione ‘II. LA TERRA’ nella prima cantica, con 40 occorrenze. Questo è il primo canto ambientato nel sabbione, il che giustifica un utilizzo sopra la media dei lemmi afferenti all’area concettuale ‘c) I terreni e la loro costituzione’; la presenza dell’emissario del Flegetonte rende giustificazione dell’alto numero di occorrenze richiamanti l’area semantica delle acque interne; nel racconto di Virgilio sulla statua del Veglio di Creta, in virtù dei materiali di cui essa è composta, si distribuisce una parte importante delle occorrenze che sono state catalogate nella sezione ‘e) I metalli’.

Il canto XII, con la sua doppia ambientazione di terra e acqua - prima la ripa franata che conduce al cerchio dei violenti e poi il Flegetonte che costituisce il primo girone di questo - giustifica il massiccio impiego di lemmi afferenti alla sezioni ‘a) La configurazione e l’aspetto’ e ‘b) Le acque, 1. le acque interne’.

Il terzo picco (28 occorrenze) è rappresentato da due canti a prevalenza acquatica. Il canto VII è ambientato nella Palude Stigia e la scena palustre è descritta attraverso termini richiamanti le aree semantiche dell’acqua e del fango. Il lessico delle acque interne è largamente impiegato anche nel canto XX, in virtù della descrizione idro- geografica dell’area di Mantova (Lago di Garda, fiume Mincio, paludi di Mantova), nella digressione di Virgilio a proposito dell’origine della sua città.

I II III

IV V VI VII VIII IX X XI XII XIII XIV XV XVI

XV

II

XV

III XIX XX XXI

XXII XXIII XXIV XXV XXV

I

XXV

II

XXV

III

XXIX XXX XXXI XXXII XXXIII XXXIV 14 5 17 4 4 3 28 16 7 1 6 31 1 40 11 14 17 26 22 28 13 11 22 27 5 22 10 8 13 8 7 11 4 15

Un canto particolarmente “roccioso” è il XXIV, nel quale gran parte delle occorrenze vengono impiegate nella prima metà del canto in riferimento alla frana che i poeti devono scalare per poter raggiungere l’argine tra la sesta e la settima bolgia. Il grafico che segue mette in evidenza la sproporzione nella distribuzione delle 27 occorrenze, infatti nella prima metà del canto (vv. 1-81) sono presenti 21 occorrenze, mentre nella seconda parte (vv. 82-151) sono state individuate soltanto 6 occorrenze:

Nella prima metà del canto, che narra l’«impresa ‘alpinistica’»217 dei poeti tra la frana composta da spuntoni di roccia, i quali vengono indicati dal poeta con varietà lessicale (“ronchion”, “scheggia”, “chiappa”), e lo scoglio che si affaccia sulla nuova bolgia, troviamo le 21 occorrenze di termini che si riferiscono perlopiù alla topografia e all’ambiente roccioso di Malebolge.

All’interno della bolgia dei ladri, il racconto del meraviglioso spettacolo dei serpenti, la descrizione dei dannati e l’episodio finale di Vanni Fucci - “bestia” - non esigono l’utilizzo di lemmi riferibili alla sezione “II. LA TERRA”. In questa parte, data la materia trattata, è molto alta l’incidenza del lessico relativo alla parte “IV. GLI ANIMALI”, il quale vi è presente con ben 15 occorrenze sulle 17 totali del canto. L’«aemulatio di un certo manierismo descrittivo latino, teso al meraviglioso» (Inglese) che viene dichiarata dal verso 85 («Più non si vanti Libia con sua rena») e che anticipa i due vanti del canto successivo, le scene dei peccatori nudi tormentati dai serpenti e le immagini mitologiche che ne derivano sono preludio di quanto verrà narrato nel canto

217

F. FRANCESCHINI, Tra secolare commento e storia della lingua, cit., p. 173. 21

6

vv. 1-81 vv. 82-151

Distribuzione delle occorrenze riferibili a "II.

LA TERRA" in Inf., XXIV

XXV, il quale condivide con la seconda parte del XXIV la scarsa incidenza del lessico riferibile alla sezione “II. LA TERRA” e una notevole presenza di occorrenze di termini relativi alla sezione “IV. GLI ANIMALI” e alla sezione “I. L’UOMO COME ESSERE FISICO” della parte “B. L’UOMO”.

Un alto numero di occorrenze si riscontra anche nel primo canto di Malebolge, il XVIII, dove la nuova ambientazione, illustrata con precisione nella descriptio loci iniziale, presuppone la presenza di lemmi catalogabili nella sezione dedicata alla configurazione e l’aspetto.

Sono invece canti a frequenza minima il X e il XIII, nei quali la sezione concettuale “II. LA TERRA” è presente con un’occorrenza per canto. La grandezza di Farinata e il dolore di Cavalcante, protagonisti assoluti del canto X, rendono questo un canto particolarmente “umano” e, dal punto di vista lessicale, questa umanità è riscontrabile nelle 168 occorrenze riferibili alla parte “B. L’UOMO”, mentre l’ambiente naturale è completamente assente, eccezion fatta per il sostantivo “valle” (If X 135) che indica l’avvallamento che costituisce il cerchio successivo e assolve una regolare funzione descrittiva («lasciammo il muro e gimmo inver’ l mezzo / per un sentier ch’a una valle fiede, / che ‘nfin là su facea spiacer suo lezzo»). Se l’episodio dei due dannati fiorentini, intriso com’è di riferimenti alle cose terrene, contribuisce in larga parte all’alto numero di occorrenze del lessico relativo all’uomo, anche la scena in cui il canto è ambientato giustifica l’utilizzo di quel lessico e l’assenza di lemmi collocabili all’interno della sezione “II. LA TERRA”. La città di Dite, che costituisce il cerchio degli eretici, ha le caratteristiche tipiche di una città costruita dall’uomo e quindi, in luogo dei lemmi indicanti referenti naturali che si incontrano in altri cerchi (ad es., “palude” e “pantano” per il quinto, “selva” e “sabbione” per il settimo), troviamo i termini “calle” (If X 1), “muro” (If X 2, 34), “terra” (If X 2)218, “città” (If X 22), “sentier” (If X 135), relativi a

un paesaggio antropico.

Per motivi diversi rispetto al canto X, l’ambientazione in cui si svolge la narrazione è responsabile della quasi totale assenza del lessico collegato alla sezione “II. LA TERRA” nel canto XIII. Nel settimo cerchio viene punito il peccato di violenza nelle sue tre differenziazioni interne (violenti contro il prossimo, violenti contro se stessi, violenti contro Dio)219, a ciascuna delle quali corrisponde una pena specifica in una delle tre fasce concentriche in cui il cerchio è diviso (i “gironi”), distinte nella

218 In questo caso il significato di “terra” è quello di ‘città’.

219 Questa distinzione, argomento dei canti XII-XVII, è illustrata nel canto XI dalle parole di Virgilio

fisionomia, connotate da «un diverso e pur sempre violento paesaggio» (Chiavacci Leonardi). Il canto XIII è ambientato nella selva dei suicidi, e, come nota la Chiavacci Leonardi, il paesaggio del secondo girone viene a coincidere con i suoi abitanti, «in quanto qui ogni pianta è il corpo di un peccatore», per effetto del contrappasso che imprigiona in una natura vegetale coloro che, dandosi la morte, hanno rinunciato all’anima razionale e sensitiva220

dell’uomo in vita. Se i gesti e le parole degli eretici, insieme all’ambientazione pseudo-antropica, rendono il canto X, come si è detto, particolarmente umano, i peccatori e l’ambiente del XIII fanno di questo un canto particolarmente disumano e, in virtù di ciò, estremamente ambientale. Per descrivere il luogo in cui si trova e per rendere sul piano sonoro l’asprezza della selva, Dante utilizza un grande varietà di termini del lessico relativo alle piante: ben 26 lemmi si distribuiscono nelle 39 occorrenze riferibili alla sezione concettuale “III. LE PIANTE”. La presenza delle Arpie sugli alberi e l’episodio della caccia infernale nella quale “nere cagne” inseguono e sbranano gli scialacquatori221

contribuiscono al carattere disumano dell’ambientazione e, sul piano lessicale, all’alta incidenza del lessico ambientale in questo canto, dove sono state individuate 15 occorrenze di termini collegati alla sezione “IV. GLI ANIMALI”.

Infine, lo scarso numero di occorrenze individuate nei canti IV, V e VI non fa altro che confermare quanto fu scritto dal De Sanctis a proposito dell’indeterminatezza ambientale dei primi gironi infernali, nei quali la natura è «senza contorni, cerchio, loco, null’altro: la diresti vuota, se non la riempissero l’eternità e le tenebre e la morte e la disperazione»222.

Analizzata la distribuzione del lessico ambientale in generale all’interno della cantica, passiamo in rassegna la distribuzione delle occorrenze relative alle singole aree concettuali. Il grafico che segue mostra la distribuzione nei singoli canti delle 234 occorrenze catalogate nella sezione ‘a) La configurazione e l’aspetto’.

220 «Or fa l'Autore questa trasmutazione per allegoria, ch'elli dice: quando uomo è nel mondo si è animale

razionale, e sensitivo, e vegitativo; quando l'uomo uccide se stesso, elli conferisce a cotale morte solo la potenzia de l'anima razionale, e sensitiva; e però ch'hanno colpa di tale offesa, sono private di quelle due potenzie, e rimangli solo la vegetativa, sì che d'uomi[ni] si trasmutano in piante vegetative» (Ottimo).

221 Nel secondo girone vengono puniti anche «coloro che distruggendo con violenza ogni loro avere

distrussero di fatto anche se stessi» (Chiavacci Leonardi).

222

Il picco di 22 occorrenze corrisponde al canto XVIII, il primo ambientato in Malebolge. Qui si incontrano per la prima volta alcuni lemmi richiamanti gli elementi che caratterizzano il cerchio e che si ripresenteranno, con diversa frequenza, fino al canto XXX: “bolgia”; “argine”; “fondo” “scoglio”; “scheggia”; “cinghio”.

Sono state ricondotte a quest’area concettuale 21 delle 31 occorrenze della parte ‘II. LA TERRA’ individuate nel canto XII. Nella prima parte del canto, per descrivere la ripa accidentata che conduce nel settimo cerchio, Dante istituisce un paragone con una frana che era caduta sulla riva dell’Adige dalla cima un monte tra Trento e Verona, riprendendo un passo dal libro III dei Meteora di Alberto Magno223

. Si inserisce qui l’utilizzo di diversi lemmi riferibili a concetti relativi all’ambiente di montagna, come “alpestro”, “monte”, “ripa”, “costa”, “cima”, “punta”, “scesa” e “valle”. In riferimento al movimento tellurico e alle sue conseguenze vengono impiegati il verbo “tremare” e i sostantivi “tremoto” e “ruina”.

Il terzo canto più ricco è il XXIV, nel quale le occorrenze si riferiscono alle strutture tipiche di Malebolge (“bolgia”; “scoglio”; “fondo”; “cinghio”; “fosso”; “ripa”) e,

223 “Montes autem ruunt duplici de causa sine motu per ventos. Quarum una est, quia radices eorum

abraduntur aliqua de causa et tandem, quia fundamenta non habent, cadunt in toto vel in parte. Aliquando autem, eo quod multum elevantur, siccantur in sublimi et scinduntur, in quas scissuras ingredientes aquae torrentium cum impetu deiciunt partem scissam a reliqua parte montis. Et cadit magna pars vel modica secundum proportionem scissurae illius. Et hoc modo cecidit mons magnus in montibus, qui sunt inter Tridentum et Veronam civitates. Et cecidit in fluvium, qui dicitur Atisis, et super ripam eius et oppressit villa set nomine ad longitudinem trium vel quattuor leucarum” (Meteora, III, II, 18).

I II III

IV V VI VII VIII IX X XI XII XIII

XIV XV XV

I

XV

II

XV

III XIX XX XXI

XXII XXIII XXIV XXV XXV

I

XXV

II

XXV

III

XXIX XXX XXXI XXXII XXXIII

XXXIV 7 3 3 1 1 7 3 1 1 3 21 9 3 4 5 22 13 8 13 7 17 19 3 12 7 6 12 3 6 5 3 6

a) La configurazione e l'aspetto

soprattutto, agli elementi rocciosi che costituiscono la frana scalata dai poeti (“chiappa”; “ronchione”; “rocchio”; “scheggia”).

Anche le 17 occorrenze del canto XXIII, com’è normale nei canti di Malebolge, si riferiscono agli elementi che costituiscono l’ottavo cerchio. La maggior incidenza di questo tipo di lessico in questo canto è da collegare, come nel caso del canto XXIV, a un’esigenza narrativa: Dante e Virgilio, in fuga dai Malebranche, si spostano attraverso le varie parti della bolgia, così il poeta, nel seguire i loro movimenti, menziona la sommità dell’argine, l’argine stesso, il suo pendio roccioso che conduce nella bolgia successiva, dove i poeti incontrano la frana che dovranno affrontare nel canto successivo.

L’Inferno è la narrazione di una catàbasi, i due protagonisti procedono in discesa fino al centro della terra. Ne risulta che il concetto più richiamato dal lessico ambientale dantesco sia quello di ‘Pendio’, sotto il quale sono state classificate 30 occorrenze. Talvolta Dante tende a mettere in rilievo la composizione rocciosa e la malagevolezza di alcuni pendii che si incontrano nell’inferno, i quali vengono a configurarsi come rocce; il concetto di ‘Roccia, rupe’ viene espresso dal poeta con le 7 occorrenze della forma roccia, oltre che con la forma rocca (If XVII 134) e il termine sasso (If XXV 26), il quale occorre all’interno della digressione di carattere mitologico sul mostro Caco. Il concetto di ‘Monte, montagna’ risulta coinvolto 17 volte nella cantica, ma, a ben vedere, l’unico monte che Dante incontra durante il suo viaggio è quello che viene indicato con i lemmi colle (If I 13) e monte (If I 77; If II 120; If XXIV 21) ed è situato al di fuori della cavità infernale. Gli altri riferimenti a tale concetto - espresso delle 10 occorrenze del termine monte, dalle 2 occorrenze di montagna e da una sola occorrenza di alpe - appartengono sempre a contesti esterni alla narrazione del viaggio, soprattutto alle digressioni che richiamano l’ambiente extra-infernale.

Tra i concetti maggiormente coinvolti di questa sezione, troviamo quello di ‘Valle’, sotto il quale sono state catalogate 16 occorrenze del lemma valle, 4 occorrenze di

vallone e l’unica occorrenza del francesismo vallea. Come abbiamo visto, Dante fa

riferimento a questo concetto per indicare l’inferno, i cerchi che lo compongono e, soprattutto, le bolge. Per indicare i cerchi infernali, Dante si anche al concetto di ‘Avvallamento’, sotto il quale sono state classificate le occorrenze di lacca (If VII 16; If XII 11) e lama (If XX 96; If XXXII 96), che hanno nell’Inferno la loro prima attestazione.

Una parte consistente delle occorrenze legate a questa sezione concettuale appartiene ai canti di Malebolge ed è stata classificata all’interno dei concetti a cui Dante fa riferimento nella narrazione ambientata in quel cerchio. La bolgia viene considerata sia come una valle che come un fossato e, per questo motivo, il concetto di ‘Fossato’ è espresso 21 volte, soprattutto mediante l’impiego dei lemmi bolgia e fosso, oltre che dalle poche occorrenze del sostantivo femminile fossa. Per indicare l’argine della bolgia, che concettualmente corrisponde a ‘Terrapieno naturale’, il poeta utilizza diversi lemmi riconducibili al lessico materiale di area toscana: ripa, argine, grotta, greppo. Il concetto di ‘Arco naturale’, corrispondente ai ponti di roccia che sovrastano le bolge, è espresso 18 volte, soprattutto con il lemma scoglio, variato dai minoritari sasso e

scheggio.

Per quanto riguarda le voci attestate per la prima volta in Dante, oltre a lacca e lama, si incontrano, per quest’area concettuale, il latinismo baratro con cui viene espresso il concetto di ‘Voragine’ e il termine burrato, utilizzato per il concetto di ‘Burrone’. Sotto il concetto ‘Spuntone di roccia’ si trovano rocchio e ronchione, e chiappa, il quale rimanda all’area dialettale ligure con cui Dante è entrato direttamente in contatto durante i suoi spostamenti. Con Dante si attesta per la prima volta anche il vocabolo

cinghio indicante la cornice di roccia, cioè quella particolare fascia orizzontale posta tra

due pendii rocciosi che nell’Italia alpina viene denominata cengia. Il termine bolgia, come abbiamo visto, conosce con Dante un’estensione semantica dal significato originario di ‘borsa’ a quello ambientale di ‘fossato’.

In generale, l’andamento di questa sezione concettuale è direttamente proporzionale all’andamento della parte ‘II. LA TERRA’. Questa proporzionalità non si riscontra nei canti ambientati in contesti fluviali, nei quali l’alta incidenza del lessico acquatico è responsabile dei picchi del lessico riferibile alla sezione ‘II. LA TERRA’.

Dal grafico precedente si può notare la sproporzione tra il numero di occorrenze individuate nella prima metà della cantica - prima di Malebolge - e quelle individuate nella seconda metà - dal canto XVIII in poi. Considerando che, per quanto riguarda la sezione ‘a) La configurazione e l’aspetto’, le occorrenze medie per canto sono all’incirca 7, vediamo che nella prima metà dell’Inferno, la presenza di questo tipo di lessico è superiore alla media soltanto nei canti XII e XIV, mentre nella maggior parte dei canti le occorrenze sono inferiori a 7 e, nei canti VI e XIII sono addirittura nulle. Dei restanti diciassette canti, invece, solamente sette (XXVI; XXVII; XXX; XXXI; XXXII; XXXIII; XXXIV) hanno un numero di occorrenze inferiore a 7 e quattro di

questi sono ambientati fuori da Malebolge, tra il pozzo dei Giganti e Cocito. Nella prima metà dell’Inferno sono distribuite 72 occorrenze, mentre nella seconda metà il numero di occorrenze è più del doppio, 162. Si deve ricordare che nei canti che precedono Malebolge, accanto a quella vaghezza della descrizione ambientale riscontrata nei primi cerchi, la scena della narrazione è spesso occupata da elementi acquatici che presuppongono l’utilizzo di lemmi richiamanti i concetti della parte ‘b) Le acque, 2. le acque interne’. Si pensi all’Acheronte nel canto III, alla palude nei canti VII e VIII, al Flegetonte nel XII e alla presenza costante del suo emissario nei canti del sabbione (XIV-XVII). Nel regno della frode scompare la presenza dell’elemento acquatico infernale, il quale si ripresenta nella forma solida di Cocito, il lago ghiacciato che costituisce il nono cerchio. Dunque, la seconda parte dell’Inferno, soprattutto in virtù della configurazione di Malebolge - rocciosa e asciutta -, è interessata da un gran numero di occorrenze riferibili alla sezione ‘a) La configurazione e l’aspetto’, mentre la sezione concettuale dedicata alle acque risulta presente soltanto in virtù delle occorrenze esterne alla narrazione principale, cioè quelle che compaiono in similitudini, metafore e digressioni.

Dal grafico si vede come i picchi delle occorrenze riferibili a ‘b) Le acque, 1. le acque interne’ corrispondano alla presenza dell’idrografia infernale nei canti III (Acheronte), VII e VIII (Palude stigia), XII (Flegetonte), XIV (emissario del Flegetonte).

I II III IV V VI

V

II

V

III IX X XI XII XIII XIV XV XVI

XV

II

XV

III XIX XX XXI

XXII XXIII XXIV XXV XXV

I

XXV

II

XXV

III

XXIX XXX XXXI XXXII XXXIII XXXIV 3 1 10 2 1 15 7 4 1 9 16 4 7 5 1 15 3 2 2 2 1 2 1 6 1 4

L’eccezione del canto XX, nella seconda parte della cantica, trova giustificazione nella digressione di carattere idrografico con cui Virgilio descrive l’area lombarda vicino Mantova (Lago di Garda, fiume Mincio, paludi di Mantova); dunque l’alto numero di occorrenze si inserisce al di fuori della narrazione del viaggio, così come accade negli altri canti in cui non è presente l’elemento acquatico infernale. L’acqua ritorna nel cerchio di Cocito e ciò spiega le 6 occorrenze di lemmi acquatici del canto XXXII, che Dante utilizza insieme a termini richiamanti la sfera semantica del ghiaccio.

Il grafico che segue mostra con maggior chiarezza la distribuzione delle occorrenze riferibili alle sezioni ‘a) La configurazione e l’aspetto’ e ‘b) Le acque. 1. le acque interne’ nelle due metà dell’Inferno:

Nella prima metà della cantica le occorrenze di terra e quelle acquatiche sono presenti in modo simile; nella seconda metà la presenza delle occorrenze riferibili alla sezione ‘a) La configurazione e l’aspetto’ cresce notevolmente (più del doppio), mentre si dimezza la presenza delle occorrenze legate all’area concettuale delle acque interne. La cesura tra i due andamenti è rappresentata dall’ingresso nel cerchio di Malebolge, dove il paesaggio è interamente roccioso e alpestro, senza la presenza delle acque infernali che hanno tanta parte nella topografia dei cerchi precedenti all’ottavo.

Il concetto più presente della sezione ‘b) Le acque, 1. le acque interne’ è quello generico di ‘Acqua’, espresso da Dante con 21 occorrenze del lemma omonimo. Sotto il concetto

I-XVII XVIII-XXXIV

72

162

85

40

di ‘Palude’ sono state classificate 8 occorrenze, di cui 4 del lemma palude e 4 del lemma pantano. Dante fa riferimento al concetto di ‘Fiume’ utilizzando 6 volte il lemma “fiume”, una volta fosso e una volta il gallicismo riviera. La forma riviera, con altro significato, varia i termini proda, riva e lito in riferimento al concetto di ‘Riva’ che nell’Inferno viene espresso 13 volte. Questa variabilità lessicale si riscontra anche per quanto riguarda il ‘Ruscello’, a cui Dante fa riferimento 11 volte utilizzando diverse forme: ruscello (3), il diminutivo ruscelletto (2), rio (3); fiumicello (2); “rigagno” (1). Richiamato sia dalla narrazione della catàbasi che da metafore e digressioni è il concetto di ‘Lago’ che Dante esprime con le forme lago (3) e laco (3).

Dal momento che, a differenza di fiumi, laghi e paludi, il mare non fa parte dell’ambiente infero, ne consegue che il numero di occorrenze classificabili all’interno della sottosezione ‘b) Le acque, 2. il mare’ sia molto minore rispetto al numero di occorrenze classificabili nella sottosezione dedicata alle acque interne, e che la presenza dei lemmi “marini” sia limitata alle metafore, alle similitudini e alle digressioni. Il grafico che segue mostra la distribuzione delle occorrenze relative al mare nei singoli

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