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Terra e acqua nell'Inferno. Il Begriffssystem di Hallig-Wartburg e l'analisi onomasiologica della prima cantica dantesca.

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Filologia, Letteratura e Linguistica

Corso di Laurea Magistrale in Lingua e Letteratura Italiana

Tesi di Laurea Magistrale

TERRA E ACQUA NELL’INFERNO

Il Begriffssystem di Hallig-Wartburg

e l’analisi onomasiologica della prima cantica dantesca

RELATORE:

Prof. Fabrizio FRANCESCHINI

CANDIDATO:

Alessandro Alfredo NANNINI

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La nuda Pania tra l’Aurora e il Noto, da l’altre parti il giogo mi circonda che fa d’un Pellegrin la gloria noto. Questa è una fossa, ove abito, profonda, donde non muovo piè senza salire del silvoso Apennin la fiera sponda.

(L. ARIOSTO, Satira IV, vv. 139-144)

Un greppe dell’Appennino dove risuona fra gli alberi un’usata e semplice tramontana.

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Sommario

1

Strumenti e obiettivi ... 6

2

Collocazione ragionata dei termini ... 10

a) La configurazione e l’aspetto ... 10

b) Le acque ... 71

1. le acque interne ... 71

2. il mare ... 122

c) I terreni e la loro costituzione ... 135

d) Le materie minerali... 142

e) I metalli ... 144

3

Analisi dei dati ottenuti ... 149

3.1 Distribuzione delle occorrenze nelle diverse aree concettuali ... 149

3.2 La distribuzione delle occorrenze nei singoli canti dell’Inferno ... 149

3.3 Il lessico ambientale di Dante ... 163

3.4 L’Inferno nel Sistema concettuale ... 170

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(6)

1 Strumenti e obiettivi

1

Nel presente lavoro verrà analizzato il lessico riguardante la natura inorganica nell’Inferno da una prospettiva onomasiologica. Ogni singola occorrenza sarà ricondotta ai vari concetti presenti nel sistema concettuale ideato da Rudolf Hallig e Walther Von Wartburg agli inizi degli anni Settanta2. Di questo sistema concettuale, organizzato in tre macroaree (‘A. LA TERRA’, ‘B. L’UOMO’, ‘C. L’UOMO E L’UNIVERSO’), ci serviremo della parte dedicata alla natura inorganica (‘II. LA TERRA’; tab. 1.1) contenuta nella prima sezione (‘A. LA TERRA’):

Tabella 1.1

II. LA TERRA

a) La configurazione e

l’aspetto

b) Le acque

1. le acque interne

2. Il mare

c) I terreni e la loro

costituzione

d) Le materie minerali

e) I metalli

Il confronto tra sistema teorico e realtà linguistica del XIV secolo ha reso necessarie alcune modifiche del sistema di partenza che verranno illustrate nel presente lavoro. Gli interventi di modifica del sistema obbediscono, in sostanza, ai due principi di base esposti da Leonardo Canova nella sua tesi magistrale Animali e mostri nell’inferno

dantesco:

1 In questo capitolo si riporta in forma sinetica quanto scritto da Leonardo Canova nel capitolo Strumenti e obiettivi della sua tesi di laurea magistrale, Animali e mostri nell’inferno dantesco, pp. 10-46.

2 R. HALLIG e W. VON WARTBURG. Bergriffssystem als grundlage fur die lexicographie. Akademie

(7)

Economia: si è cercato di mantenere la struttura il più possibile conforme a quella originariamente proposta da Hallig e Wartburg, inserendo nuove categorie, o spostando quelle esistenti, soltanto quando lo si è ritenuto strettamente necessario.

Chiarezza: principio speculare a quello precedente, ad esso ci atterremo ogniqualvolta la collocazione di un termine al di sotto di uno dei concetti esistenti sia ritenuta insufficiente ad esaurirne il campo semantico. In questi casi alcuni concetti saranno inseriti ex novo: del resto gli stessi Hallig e Wartburg parlano di una selezione dei concetti inseriti e non intendono il proprio sistema come un qualcosa di fisso e non modificabile; per cui ci sentiremo giustificati a farlo.

Per il lavoro di revisione del sistema concettuale, si è rilevata particolarmente utile la consultazione di due strumenti basati sul Begriffssystem di Hallig e Wartburg. Il DAG (Dictionnaire onomasiologique de l’ancien gascon)3 e il DAO (Dictionnaire onomasiologique de l’ancien occitan)4

sono due progetti fondati dallo studioso svizzero Kurt Baldinger negli anni Sessanta e tuttora in corso di pubblicazione. Il DAG ha come obiettivo la classificazione per concetti del lessico dell’antico guascone, dalle origini della lingua scritta (XI secolo) fino al XIV secolo. Il DAO è il corrispettivo del DAG per l’antico occitanico, dalle origini della lingua scritta al XVI secolo.

Questi due strumenti si sono rivelati una risorsa preziosa nel momento in cui ci siamo trovati ad affrontare dei problemi che gli autorevoli estensori dei due dizionari avevano affrontato prima di noi.

Per risolvere alcuni problemi di classificazione ci rivolgeremo agli antichi commentatori della Commedia. Benché questi documenti non privilegino l’analisi lessicale del testo dantesco, ne forniscono un’idea della ricezione e della comprensione nelle prime fasi della sua diffusione, in un punto cronologico in cui la competenza linguistico-culturale di Dante era ancora viva o, comunque, più vicina alla sensibilità del commentatore.

Ci riferiremo ai commenti dei figli del poeta, Jacopo e Pietro, i più vicini cronologicamente alla data di composizione della Commedia. Saranno presi in esame anche commentatori successivi non solo di area fiorentina, come l’Ottimo e il

3 K. BALDINGER, Dictionnaire onomasiologique de l’ancien gascon (DAG), De Gruyter,

Berlino-Boston, 1975 sgg.

4

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Boccaccio, ma anche di area pisana, come Guido da Pisa e Francesco da Buti, e di area extra-toscana, come Jacopo della Lana e Benvenuto da Imola. Inoltre, si terrà conto anche dei commenti più recenti, più distanti dall’orizzonte linguistico di Dante, ma non per questo da considerare inutili ai fini della presente ricerca. Ad esempio, molte delucidazioni circa la comprensione di termini danteschi ci sono giunte dai commentatori di età rinascimentale o successiva.

Proprio per conoscere al meglio l’orizzonte linguistico di Dante, ci siamo serviti del

Tesoro della lingua italiana delle origini (TLIO) e della banca dati dell’OVI. Il TLIO è

un vocabolario storico dell’italiano antico basato su un corpus che si estende cronologicamente dal primo documento italiano, l’Indovinello veronese dell’inizio del secolo IX, fino alla fine del Trecento. Il vocabolario è pubblicato online (http://tlio.ovi.cnr.it/TLIO/), viene aggiornato periodicamente e conta attualmente 33395 voci consultabili5. La dimensione totale prevista dovrebbe attestarsi tra le 50000 e le 60000 voci.

Il TLIO è redatto direttamente a partire dai testi della grande banca dati che l’OVI (Opera del Vocabolario Italiano) ha elaborato a questo scopo. Il corpus è consultabile in rete all’indirizzo :http://www.ovi.cnr.it/index.php/it/il-corpus-testuale/interroga-le-banche-dati. Questi strumenti offrono la possibilità di indagare l’uso di un dato termine non soltanto nei contesti danteschi, ma nell’italiano antico in generale, in tutte le sue varietà diatopiche.

L’indagine all’interno dei soli contesti danteschi si è avvalsa di DanteSearch, un motore di ricerca online attraverso il quale è possibile interrogare il corpus delle opere latine e volgari di Dante Alighieri, completamente lemmatizzate, annotate grammaticalmente e - per quanto riguarda le Rime, i primi due libri del Convivio e la Commedia - sintatticamente. DanteSearch è il risultato, in costante aggiornamento, del lavoro di vari ricercatori, sotto la supervisione del prof. Mirko Tavoni, docente di Linguistica Italiana presso l’Università di Pisa.

Uno degli obiettivi di questa tesi è quello di implementare questo motore di ricerca attraverso l’introduzione di un’annotazione lessicale/onomasiologica. All’utente di

DanteSearch si presenterà quindi una maschera di ricerca aggiuntiva tramite la quale

sarà possibile effettuare ricerche a partire da qualsiasi livello del sistema concettuale: dalla più vasta area lessicale (ad es. ‘L’universo’) al singolo concetto (ad es. ‘Sabbia’)6.

5 Ultimo aggiornamento: 19/07/2017

6 Ad esempio, avviando la ricerca per il concetto di ‘Sabbia’, otteremo tutte le occorrenze di termini con

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Nel capitolo successivo ogni termine riscontrato nell’Inferno verrà ricondotto al relativo concetto della sezione ‘A. L’UNIVERSO’ → ‘II. LA TERRA’ del sistema concettuale. Accanto a ogni concetto verrà riportata l’etichetta che corrisponde a tale concetto nella sua codifica in linguaggio XML.

Il presente lavoro si colloca all’interno di un progetto di ricerca, curato dal Prof. Fabrizio Franceschini dell’Università di Pisa, che ha visto come fase preliminare una serie di seminari realizzati dagli studenti del corso di Storia della Lingua Italiana C del corso di Laurea Magistrale in Lingua e Letteratura Italiana (LILE) tra il 2013 e il 2016. Questa tesi ha portato alla classificazione di 471 occorrenze relative alla natura inorganica nella prima cantica dantesca, le quali si vanno ad aggiungere alle 312 relative al mondo animale, isolate nel 2016 da Leonardo Canova. Tirando le somme, nel novembre del 2017 siamo giunti alla classificazione di 783 occorrenze che ricoprono due aree concettuali (‘II. LA TERRA’, ‘IV. GLI ANIMALI’). Mentre scrivo, Lisa Comparini sta lavorando a una testi magistrale che porterà alla classificazione delle occorrenze relative alla sezione ‘I. L’UOMO COME ESSERE FISICO’ della parte ‘B. L’UOMO’.

C’è ancora molto lavoro da fare, ma la realizzazione di un catalogo onomasiologico che raccolga ogni termine presente nella cantica è sempre meno distante.

inserita anche nella semplice ricerca lemmatica: nella maschera a comparsa relativa a una data occorrenza - dove ora vengono riportati il lemma e la categoria grammaticale - verrà riportato il concetto di riferimento.

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2 Collocazione ragionata dei termini

Nel presente capitolo si fornisce la classificazione all’interno del sistema concettuale di tutti i termini relativi alla natura inorganica individuati nell’Inferno. Ogni termine verrà associato a un concetto, per il quale sarà fornita anche l’etichetta di codifica in linguaggio XML. Verrà seguito l’ordinamento dei concetti così come si presentano nel sistema di Hallig e Wartburg, alla stregua di quanto avviene nel DAG e nel DAO. Ad ogni concetto seguiranno tutte le occorrenze ad esso ricondotte, integrate da una discussione sui loro contesti e sulle motivazioni che hanno portato alla classificazione entro tale concetto. Per facilitare la lettura, verrà utilizzato un carattere tipografico diverso per i componenti del sistema concettuale.

A. L’UNIVERSO

II. LA TERRA

a)La configurazione e l’aspetto

Terra (superficie) (#ter_superficie): terra (If XXII, 12); terra (If XXVI, 2); terra (If XXXIII, 66); secca (If XXXIV, 113), terra (If XXXIV, 122).

- terra

Sotto il concetto di ‘Terra (superficie)’ sono state classificate le occorrenze del lemma

terra che indicano la superficie terrestre, cioè «la parte solida dell'orbe terracqueo»

(Enciclopedia Dantesca), quella parte che, insieme al mare, costituisce il mondo comunemente inteso7, come precisa lo stesso Dante in un passo del Convivio:

 «Prima dico che per lo mondo io non intendo qui tutto ’l corpo de l’universo, ma solamente questa parte del mare e de la terra, seguendo la volgare voce, ché così s’usa chiamare; onde dice alcuno, ‘quelli hae tutto lo mondo veduto’, dicendo parte del mare e della terra» (Dante Alighieri, Convivio, III, V, 3)

7 Nel Begriffssystem questo concetto è indicato con terre (surface), ed è distinto da quello di terre (matière), presente nella sezione c) Les terrains et leur consistution. Il DAO distingue terre (surface, par oppos. à la mer) in a), terre (matière) e terre, sol in c).

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A questa parte del globo terrestre fa riferimento Dante quando, all’interno della similitudine che apre il canto XXII, afferma di non aver mai visto una nave muoversi «a segno di terra o di stella» (If XXII 12), cioè nella rotta indicata dalla terraferma o dagli astri, a segnale tanto strano quanto la particolare “trombetta” che Malacoda ha fatto suonare nell’ultimo verso del canto precedente.

La superficie terrestre è richiamata dalla celebre invettiva che Dante rivolge a Firenze nell’incipit del canto XXVI: «Godi, Fiorenza, poi che se’ sì grande / che per mare e per terra batti l’ali, e per lo ’nferno tuo nome si spande» (If XXVI 1-3). Qui, come nel passo del Convivio, terra e mare vengono considerati come gli elementi costitutivi del mondo volgarmente inteso8.

In If XXXIII 66 alla superficie terrestre, personificata, è rivolta l’apostrofe del conte Ugolino che ritiene quella colpevole di non essersi squassata in modo da alleviare con la morte la sofferenza del conte e dei suoi cari rinchiusi nella torre della Muda.

Nel canto finale dell’Inferno Virgilio spiega a Dante che, nel momento della caduta di Lucifero dal cielo, la terra (cioè le terre emerse, che prima della caduta si trovavano nell’emisfero australe) per paura si fece scudo del mare ed emerse nell’emisfero opposto, dove si trova Gerusalemme.

- secca

Proprio in riferimento alla superficie terrestre dell’emisfero boreale, compare l’occorrenza del lemma secca (If XXXIV 113), aggettivo sostantivato che indica l’«arida terra habitabile» (Ottimo), cioè la terra emersa, abitata dagli uomini, che ha per centro Gerusalemme. La sostantivazione di “secca”, come notano i commentatori dal Vellutello in poi, trova una corrispondenza nel primo libro della Genesi, dove l’aggettivo latino arida viene utilizzato come un sostantivo in relazione alle terre emerse:

 «Dixit vero Deus: “Congregentur aquae, quae sub caelo sunt, in locum unum, et appareat arida”. Factumque est ita. Et vocavit Deus aridam Terram congregationesque aquarum appellavit Maria» (Gen. I, 9-10).

8 Cfr. Bosco-Reggio: «In un articolo del giornale fiorentino «Il Marzocco» del 23 novembre 1930, A.

Chiappelli faceva notare la somiglianza di questo verso con quello di un'iscrizione del 1255, murata sul Palagio del Podestà (o del Bargello) che a Dante doveva essere certo familiare, in cui Firenze e vantata come la città «quae mare, quae terram, quae totum possidet orbem». (Cfr. «Studi d.» XVI 190)».

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A ben vedere, una corrispondenza ancora più stringente si riscontra nel Salmo XCIV, all’interno di un versetto che riprende la narrazione genesiaca:

Quoniam ipsius est mare, et ipse fecit illud,

et siccam manus eius formaverunt. (Ps. XCIV, 4)

L’aggettivo latino sicca viene utilizzato come sostantivo dal salmista con lo stesso valore di arida nella Genesi. Stando così le cose, si deve supporre che la sostantivazione dell’aggettivo “secca” non derivi dall’uso di arida nel primo libro della Genesi, ma che abbia la sua fonte diretta nel sicca che occorre come sostantivo nel salmo.

L’occorrenza dantesca non è un caso isolato di secca utilizzato come sostantivo nella lingua italiana delle origini, ma, dal punto di vista semantico, rappresenta un unicum. Le numerose occorrenze del sostantivo rintracciate nel Compasso da navegare, così come le poche ravvisate nei toscani Amico di Dante, Boccaccio e Niccolò da Poggibonsi, rispondono a un uso marinaresco del termine col significato di «rilievo del fondo del mare o di un fiume, generalmente costituito da un banco di sabbia a fior d’acqua o poco immerso, che rende difficile o addirittura impedisce la navigazione (e celebri erano, nella marineria antica, le secche di Barberia o Siria, davanti alle coste dell’Africa Settentrionale)» (GDLI, s.v. secca).

 «Et en quella via à una secca v mill(ara) en mare per silocco, sopre la torre del Vaquiero» (Compasso da navegare [ed. Debanne], 1296 [it. sett. / mediano], p. 36, riga 21)

 «(et) à I.a secca entre li scolli e t(er)ra ferma lo(n)tano a li scolli iih p(ro)desi (et) 1/2» (Ivi, p. 84, riga 28)

 «La pena che sentì Cato di Roma / in quelle secche de la Barberia / lor ch’al re Giuba pur andar volia, / veg[g]endo la sua gente istanca e doma» (Amico di Dante, XIII ex. [fior.], son. 50, v. 2)

Anche in virtù del contesto genesiaco in cui Dante utilizza il termine nel XXXIV canto dell’Inferno, appare evidente che l’occorrenza non può considerarsi semanticamente equivalente agli altri utilizzi di secca come termine proprio del lessico marinaresco negli altri testi delle origini: nel caso di If XXXIV 113 abbiamo a che fare con un latinismo semantico (lat. sicca ‘terraferma’ > it. secca ‘terraferma’).

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Paese, regione (#ter_paeseregione): paese (If III 123); contrada (If VIII 93); paese (If XIV 94); terre (If XX 55); terra (XXVI 137); terra (If XXVII 26); terra (If XXVIII 8);

terra (If XXVIII 71); paese (If XXXIII 80)

Questo concetto non è presente nel Sistema concettuale, dal momento che il

Begriffssystem tiene distinti i concetti ‘pays’ e ‘contrée’ che sono stati resi con ‘paese’ e

‘regione’ nella traduzione italiana. Di seguito si fornisce il ragionamento che sta alla base di questa modifica.

- paese

Nell’italiano antico, il lemma paese indica un’area geografica di estensione variabile, spesso identificata da un toponimo e associata alla presenza dell’uomo.

 «[E] sapi, Iachomo, che se nel paese di Francia si guadagniase melglio...» (Let. Sen., 1260, p. 267, riga 28)

 «se ’l popolo ubbidisce al prenze od al singnore e guarda le leggi e gli ordinamenti del paese, elli avrà pace e concordia nel paese e nelle città» (Egidio Romano volg., 1288 [sen.], L. 3, pt. 2. cap. 31)

 «andammo a Barga e guastammo lo paese, colli trabucchi, et lassamovi lo piombo» (Cronichetta lucchese [1164-1260], XIII/XIV, p. 284, riga 14)

Per questo uso, l’area concettuale di riferimento più opportuna sembra essere la sezione “IV. L’ORGANIZZAZIONE SOCIALE” della parte “II. L’UOMO”.

Tuttavia, nel corpus dell’italiano antico sono attestate anche delle occorrenze del lemma

paese con un significato più generale, in contesti dove l’area in questione è identificata

da caratteristiche geografiche e climatiche più che dall’organizzazione sociale o dall’attività antropica.

 «A ciò puore l’uomo intendere che in Grecia son otto paesi. Lo primo è Dalmazia, verso occidente. Lo secondo è Epiros. Lo terzo Elados. Lo quarto Tessaglia. Lo quinto Macedonia. Lo sesto Achaia. E due in mare, ciò sono Creta e Ciclades» (Tesoro volg., XIII ex. [fior.], L. 3, cap. 3)

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 «E se tu se’ in fredda terra, tu dèi iscegliere tal campo che sia contro ad oriente […]. E se tu se’ in caldo paese, egli è buono che ’l tuo campo sia contra settentrione» (Ivi, cap. 5)

L’uso del lemma nei due luoghi del Tesoro volg. è affine a quello dantesco per quanto riguarda le tre occorrenze che si sono catalogate in quest’area. Ambiguità di interpretazione circa l’estensione dell’area geografica che viene indicata con paese sono presenti già negli antichi commenti alla Commedia. A tal proposito è eloquente il commento di Benvenuto al «bel paese là dove ’l sì suona» di If XXXIII 80: «scilicet, Italiae, qua nulla est pulcrior regio in toto orbe terrarum, ut alias dictum est et dicetur […].Vel dic: del bel paese, scilicet Tusciae, quae est ornatissima pars Italiae» (Benvenuto).

- terra

Tra i molti usi danteschi del lemma terra è necessario distinguere qui quelli che si riferiscono a ‘città, centro abitato’ (GDLI) da quelli che possono essere ricondotti ai concetti dell’area concettuale su cui si concentra questo lavoro. Fuori dalla Commedia, un esempio del primo caso di trova nelle Rime:

O montanina mia canzon, tu vai: forse vedrai Fiorenza, la mia terra,

che fuor di sé mi serra (LIII, v. 77)

Nell’Inferno sono molte le occorrenze di “terra” in riferimento a una città e quindi catalogabili sotto il concetto “B. L’UOMO” → “IV. L’ORGANIZZAZIONE SOCIALE” → “a) Le comunità” → “1. Gli agglomerati urbani” → “bb) la città” → città. Ad esempio, in If V 60 è Babilonia «la terra che ’l Soldan corregge»; la città di Dite è chiamata “terra” in più luoghi9

; Virgilio si riferisce a Mantova con «la mia terra» in If XX 98.

Nel canto XX Virgilio racconta che Manto vagò «per terre molte» prima di stabilirsi nella zona lombarda dove poi sorse la città di Mantova. In questo caso il lemma terra non ha il significato di ‘città’, ma piuttosto quello di ‘regione’, come in altri testi dell’italiano antico.

9

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 «E per ciò che la sua via tragge più per quella parte, che noi appelliamo mezzodì, avviene che quel paese è più caldo di nullo altro: onde v’ha molte

terre diserte, ove nullo abita per lo gran calore che in là è» (Tesoro volg. [ed.

Gaiter] XIII ex. [fior.] L. 2, cap. 43)

Nel passo appena citato, il termine paese indica un’area più vasta rispetto a quella delle terre che lo costituiscono. Questo rapporto di subordinazione sembra ritrovarsi in Dante, se è vero che con il sintagma «bel paese» (If XXXIII 80) si riferisce all’Italia e con «fortunata terra di Puglia» (If XXVIII 7) a una regione nel meridione di quel paese. Tuttavia questa distinzione viene meno in If XXVII 26 e If XXVIII 71 dove il sintagma «terra latina» indica l’Italia10, con il lemma terra utilizzato con lo stesso senso di paese di If XXXIII 80 (“bel paese”). In If XXVI 137 la “nova terra” di cui parla Ulisse è quella parte di superficie terrestre inesplorata prima del suo “folle volo”, cioè la terra del purgatorio, oltre i confini delle colonne d’Ercole. Nell’uso dantesco i lemmi paese,

terra e contrada possono indicare una porzione della superficie terrestre di dimensioni

variabili, perciò non è possibile associare i singoli lemmi a concetti diversi.

Appurata questa oscillazione d’uso che non si lascia ricondurre alla distinzione nei due concetti mutuati dal Begriffssystem, si è deciso di unificare tali concetti nella voce ‘Paese, regione’, sulla scorta del DAO e del DAG che presentano la sola voce 162 contrée, région, pays.

- contrada

Per il TLIO il lemma contrada, oltre a significare «strada di un centro abitato. Estens. Gruppo di strade, zona, quartiere di una città», può indicare un «territorio circostante un paese o città e il paese stesso. Estens. Regione». Nella versione toscana del Milione sono numerose le occorrenze di contrada che indicano i diversi territori visitati da Marco Polo.

 «Ne le montagne di questa contrada nasce li migliori falconi e li più volanti del mondo» (Milione, XIV in. [tosc.], cap. 34)

 «Or lasciamo questa contrada, e diremo de la provincia di Casciar» (Ivi, cap. 49)

10

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Anche nel verso dantesco «che li ha’ iscorta sì buia contrada» (If VIII 93) il lemma si riferisce a una regione, quella infernale.

Pianura (#ter_pianura): campagna (If III 130); campagna (If IX 119), piano (If XII 8);

landa (If XIV 8); campagna (If XV 123); campo (If XVIII 4); piano (If XXVII 53); piano (If XXVIII 74)

- campo

Nella descrizione topografica di Malebolge, all’inizio del canto XVIII, Dante definisce «campo maligno» lo spazio pianeggiante dell’ottavo cerchio11. Stando alle definizioni fornite dai moderni dizionari, campo non andrebbe considerato come termine ambientale, dal momento che il referente a cui rimanda è esclusivamente legato all’attività umana. Riporto a titolo esemplificativo le definizioni fornite dal DELI (s.v.

campo): ‘superficie agraria coltivabile’; ‘luogo ove si combatte, si compiono esercizi

militari, tornei, ecc.’; ‘settore, ambito, materia’; ‘sfondo d’un quadro’; ‘esercito schierato, in assetto di guerra’; ‘regione dello spazio sulla quale si concentra la vista’. Appare evidente come l’occorrenza dantesca non possa essere ricondotta a nessuno di questi significati. Il Tommaseo-Bellini, prodotto nella seconda metà del XIX secolo, registra una definizione leggermente diversa, che rimanda all’aspetto pianeggiante del campo e all’eventualità - non all’assoluta necessità - della sua messa a coltura: «Spazio di terra ordinariamente piana, aratìa, e all’aperto, e dicesi per lo più della terra nella quale si semina grano, o sim.». Inoltre, l’occorenza di If XVIII 4 viene registrata sotto il significato di ‘Pianura’. Questo significato ben si accorda con le chiose dei commentatori quattro-cinquecenteschi: «questo piano dell'octavo cerchio veramente maligno» (Landino); «non essendo campo altro che pianura» (Castelvetro). D’altronde il significato di ‘pianura’ era insito nella base latina campus, come si evince dalle attestazioni del termine negli autori latini12 e nelle glosse medievali. In Isidoro da Siviglia si legge: «campus est terrarum planities. Dictus autem campus quod brevis sit pedibus, nec erectus, ut montes, sed patens et spatio suo porrectus et iacens; unde et Graece πεδίον dicitur»13. Dante utilizza il lemma volgare con il significato proprio della base latina, infrequente nella lingua italiana delle origini, dal momento che il termine

11 «Nel dritto mezzo del campo maligno / vaneggia un pozzo assai largo e profondo / di cui suo loco

dicerò l’ordigno» (If XVIII 4-6).

12 Cfr. TLL (s.v. campus). 13

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campo, nei testi due-trecenteschi, occorre principalmente coi significati di ‘terreno

agricolo’ e ‘campo militare’. - campagna

Il Du Cange segnala l’uso mediolatino di campania col significato di “campestris locus, planus” in Italia e in Francia. Per quanto riguarda il volgare campagna, il vocabolario del TLIO registra come primo significato quello di «spazio aperto pianeggiante o collinare, caratterizzato da bassa vegetazione; spesso contrapposto ad altri siti naturali come la foresta, la montagna, il mare oppure agli insediamenti urbani».

Le occorrenze di campagna che sono state catalogate sotto il presente concetto identificano sempre un luogo aperto e pianeggiante. I commentatori chiosano così il termine in If III 130, dove il termine si riferisce alla porzione di Antinferno percorsa dai poeti, tra la porta e l’Acheronte: «campagna sono luoghi piani e larghi» (Boccaccio), «campagna è luogo piano et ampio» (Buti), «quella oscura pianura che ivi era» (Barzizza). Nel canto IX, a proposito del cerchio degli eretici, Dante dice di vedere da ogni lato «grande campagna» (If IX 119), cioè, come chiosa ancora una volta il Buti, «gran pianura».

Nel Purgatorio il lemma ha 3 occorrenze: la prima (Pg III 2) si riferisce alla spiaggia ai piedi del monte del Purgatorio, mentre le altre due (Pg XXVIII 5, 119) indicano il paradiso terrestre. Benvenuto e il Buti commentano così il lemma di Pg III 2: «idest, planitiem illius insulae» (Benvenuto), «cioè per la pianura che era inanti al monte» (Buti).

Il verso «prendendo la campagna lento lento» (Pg XXVIII 5) è chiosato dal Buti con «andando passo passo per la sua largura e pianura», mentre “campagna” di Pg XXVIII 119 è spiegata da Benvenuto con «terra plana».

L’uso di campagna col significato di ‘pianura’ si evince anche da un passo del Convivio (IV, 6-7):

«Una pianura è con certi sentieri: campo con siepi, con fossati, con pietre, con legname, con tutti quasi impedimenti, fuori de li suoi stretti sentieri […]. Viene alcuno da l’una parte de la campagna e vuole andare a una magione che è da l’altra parte […]»

Il significato di ‘pianura’ ci viene confermato da un passo di Cecco Angiolieri dove il lemma campagne occorre in opposizione a monti:

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 «e non ha denti e roder vuol un osso / e d’alti monti pensa far campagne» (Cecco Angiolieri, XIII ex. [sen.], D. 117, v. 8)

Un caso più ambiguo è quello di If XV 123.

Poi si rivolse, e parve di coloro che corrono a Verona il drappo verde per la campagna; e parve di costoro

quelli che vince, non colui che perde. (If XV 121-124)

I commentatori, diversamente da quanto accade per If III 130, If IX 119 e le occorrenze del lemma nel Purgatorio, non sentono l’esigenza di interpretare il termine. Il Barzizza, lombardo, doveva avere conoscenza diretta del luogo indicato da Dante, dal momento che lo descrive con una chiarezza che è assente negli altri commentatori: «Cominciano costoro lor corso in quella grande e spaziosa campagna ch'è poco fuora della città, venendo verso Peschiera, onde ben si può vedere chi meglio corre per la campagna; e saper si può, che colui vince, che prima arriva e giunge al termine». Secondo l’Enciclopedia Dantesca il termine «sta per il luogo fuori di città (nel caso specifico, Verona)», e quindi andrebbe catalogato all’interno di “B. L’UOMO” → “IV. L’ORGANIZZAZIONE SOCIALE” → “a) Le comunità” → aa) il paese → campagna. Il corpus TLIO registra alcune attestazioni del lemma utilizzato in questo senso.

 «E sì non è gran tempo che de’ cani di campagna e del paese si raunarono insieme in uno luogo» (Tesoro volg., XIII ex. [fior.], L. 5, cap. 51)

 «Vorrei partir omai d’esta campagna / e ritornar nel dilettoso spazio / de la nobil città gioiosa e magna» (Pieraccio Tedaldi, XIV pm. [fior.]), 24, v. 12) Tuttavia, i resoconti degli studiosi che hanno osservato direttamente quella zona descritta dal Barzizza ci informano della conformazione pianeggiante di quello spazio fuori città. Negli ultimi anni dell’Ottocento, il Berthièr, sulla base delle osservazioni del veronese Luigi Gaiter, uscite nel 1890 su «L’Alighieri», e del vicentino Giuseppe Iacopo Ferrazzi, afferma che «si chiama anche oggi col nome di campagna quella pianura, allora pascolo erboso, che si stende a mezzogiorno della città, e dove si principiava la corsa al pallio». Contemporaneamente, Alfred Bassermann, nell’importante Orme di Dante in Italia, scrive:

(19)

«[…] si stende a sud, verso il sobborgo di Santa Lucia, una bella pianura che si direbbe fatta per le corse, e che oggi è la più parte occupata da una piazza d’armi. […] noi possiamo nella pianura presso Santa Lucia riconoscere la campagna di Verona, nella quale Dante vide un tempo gareggiare i corridori.»14

Dante si riferisce a uno spazio pianeggiante fuori dalla città. In conclusione, alla luce dell’osservazione diretta della zona in questione e dell’uso frequente di campagna col significato di ‘pianura’ nelle attestazioni del XIII e del XIV secolo che abbiamo visto sopra, non sarà inopportuna una doppia classificazione dell’occorrenza di If XV 123, la quale rimanda anche al concetto presente nella sezione dedicata all’uomo.

L’occorrenza di If XXIV 8 è stata esclusa dalla catalogazione sotto il concetto di ‘pianura’, dal momento che essa si riferisce a uno spazio aperto - coltivabile, pascolabile e non necessariamente pianeggiante - in opposizione all’insediamento urbano ed è dunque catalogabile all’interno del concetto “B. L’UOMO” → “IV. L’ORGANIZZAZIONE SOCIALE” → “a) Le comunità” → aa) il paese →

campagna.15

- landa

Il lemma landa ha 2 occorrenze nell’opera di Dante: If XIV 8 e Pg XXVIII 98. Nel

Purgatorio indica il locus amoenus nel quale Lia, apparsa in sogno al poeta, raccoglie

fiori e canta. L’occorrenza infernale compare nella descrizione del sabbione del settimo cerchio:

A ben manifestar le cose nove, dico che arrivammo ad una landa

che dal suo letto ogne pianta rimove. (If XIV 7-9)

Il vocabolario del TLIO attribuisce all’italiano landa il significato di «ampia estensione di terreno pianeggiante non coltivato» (TLIO)16.

14 A. BASSERMANN, Orme di Dante in Italia, Bologna, Zanichelli, 1902, p. 400. L’opera in lingua

originale, Dantes Spuren in Italien, fu edita nel 1897.

15 Per il Buti, nella similitudine del “villanello” del canto XXIV, con campagna si intende «la latitudine

de’ campi», così che il lemma qui avrebbe il significato specifico di « proprietà agraria, insieme di terreni agricoli e campi coltivati» (TLIO).

16 Il TLIO riporta inoltre un uso più specifico del termine, che è quello che si ritrova anche in Pg XXVIII

98: «ampia estensione di terreno pianeggiante ameno» (TLIO). C’è da notare che il vocabolario, a supporto del secondo significato, riporta un’occorrenza di “landa” nelle Laude cortonesi, in cui il termine non indica alcuna amenità ambientale e ha piuttosto il primo significato di ‘terreno pianeggiante non coltivato’.

(20)

 «dileggiate come sono le folli femine, che vanno col collo isteso e a capo erto, come cerbio in landa, e riguardano a traverso come cavallo di pregio» (<Zucchero, Esp. Pater, XIV in. [fior.]>, p. 85, riga 35)

Gli antichi commentatori danteschi non hanno problemi a identificare in landa il senso ‘pianura’: «idest planitie» (Pietro Alighieri), «planitiem huius arenae» (Benvenuto) «cioè pianura» (Buti), «cioè, ad una campagna» (Vellutello), ad If XIV 8; «planitiem amoenam» (Benvenuto), «per una campagna» (Vellutello), ad Pg XXVIII 98.

- piano

Il lemma piano non ha presentato problemi di catalogazione. Sono numerose le occorrenze del sostantivo che indicano un terreno pianeggiante nel corpus dell’italiano antico.

 «noi avemo ricevuto uno pectio di t(er)ra la quale èt posta nel piano di Bus…o» (Doc. colt., XII ex. [2], p. 16, riga 5)

 «tale desidera d’abetare e·llo monte e tale e·llo piano» (Restoro d’Arezzo, 1282 [aret.], L. I, cap. 20)

Piede di un’altura (#ter_piedediunaltura): piè (If I 13), piè (If VII, 108) piè (If XII 55);

piè (If XVII 134); piè (If XVII 134); piè (If XVIII 7); piè (If XXIV 21)

Sono state catalogate sotto questo concetto le occorrenze della forma piè nelle espressioni “piè di un colle” (If I 13), “piè delle maligne piagge” (If VII 108), “piè de la

Magdalena si fo dipartita: sença alcuno retegno de sua vita, quasi com’a guisa di remita nel deserto andò ad abitare.

Longo tempo stecte in gran tormento al freddo et al caldo et al vento; già non li rimasi vestimento: in pace volse tal pena portare. Non parëa creatura humana: tutta era pilosa commo lana, et giacëa pur en terra piana: altro albergo già non fece fare. Andava pascendo per la landa, ké ià non avea altra vivanda: per misericordia Dio li manda angelico cibo per gustare

(21)

ripa” (If XII 55), “al piè al piè de la stagliata rocca” (If XVII 134), “piè de l’alta ripa” (If XVII 7), “piè del monte” (If XXIV 21).

 «Lo re di Francia s’accampò con sua oste a piè del detto poggio» (Giovanni Villani [ed. Moutier], a. 1348 [fior.], L. 10, cap. 88)

 «ma Pelestrin disfece, ed una Terra / fe fare a piè del poggio» (A. Pucci,

Centiloquio, a. 1388 [fior.], c. 33)

Colle, collina (#ter_collecollina): poggio (If XXVI 25); colli (If XXX 64)

Dovendo distinguere all’interno dell’opera dantesca le occorrenze riferibili al concetto di ‘Colle, collina’ da quelle riferibili al concetto di ‘Monte, montagna’, ci si trova di fronte a quel problema metodologico che Kurt Baldinger mise in evidenza a proposito dell’antico occitano e dell’antico guascone:

Le classement des mots par concepts fait surgir des problèmes qui échappent au vocabulaire alphabétique […]. Les concepts “montagne” et “colline” ne se distinguent que de façon quantitative, une colline étant une “petite montagne”. La séparation de deux concepts n’est possible que par opposition théorique. Mais la difficulté majeure, c’est l’interprétation exacte des texts. Comment reconstruire le “sentiment linguistique” di XIIIe ou du XIVe siècle?17

Questo problema si è presentato per quanto riguarda i lemmi colle e poggio nell’uso dantesco.

Come ha dimostrato Fabrizio Franceschini18 analizzando le occorrenze dei due lemmi mediante l’impiego matrici astratte con opposizioni semiche binarie19

, Dante utilizza

colle e poggio per riferirsi sia al concetto di ‘Colle, collina’ che a quello di ‘Monte,

montagna’20

.

Il lemma poggio, diffuso a livello popolare soltanto in area toscana, al tempo di Dante non indicava soltanto la ‘collina’. Ad esempio, nelle Storie contra i Pagani di Paolo

Orosio volgarizzate il termine traduce mons dell’originale:

17 K. BALDINGER, Préface, in DAO I e DAG I, Niemeyer, Tübingen, 1975, p. X.

18 La relazione La «Commedia» secondo Hallig-Wartburg. Nuove prospettive di ricerca lessicale e semantica sul poema dantesco è stata presentata da Franceschini al XXVIII Congresso Internazionale di

Linguistica e Filologia Romanza (CILFR), il 23 luglio 2016, a Roma.

19 A ogni concetto interessato viene fatta corrispondere una matrice: ‘Monte, montagna’ [+ alto +

elevato], ‘Colle, collina’ [+ alto - elevato].

20 Generalmente con collina si designa un rilievo compreso tra i 100 e i 600 m s.l.m.; al di sopra di questa

(22)

 «Ma neuno altro se non Ciesare l’avrebbe potuto fare, perké la fonte ke usavano per bere era nel meçço dela valle dala chinata del poggio» (Bono Giamboni,

Orosio volg. [ed. Matasci], a.

1292 [fior.], L. VI, cap. 3)

 «sed et hoc quoque nisi Caesar non potuisset, siquidem fons, quo ad potum utebantur, medio deuexi montis latere fundebatur» (Paolo Orosio, Historiae

adversum paganos, L. VI, 11,

24)

Le numerose occorrenze di poggio nei documenti e nelle cronache toscane sono spesso associate a un toponimo che ne permette l’identificazione e, per quanto si è potuto constatare, si tratta quasi sempre di alture collinari21. Non mancano, tuttavia, esempi del termine in riferimento a un monte, come nel volgarizzamento di Orosio. Si riporta di seguito un passo del Viaggio in Terrasanta di Lionardo Frescobaldi dove i termini

poggio e monte sono trattati come sinonimi:

 «Dirimpetto al porto di Modona si è un grandissimo poggio, il quale si chiam ail Poggio dlla Sapienza; nel qual poggio anticamente soelvano andare i filosofi e i poeti a fare loro arti. E in questo grandissimo monte, alla sommità di esso, si è una certa torre imbertescata di legname in su che stanno certe guardie»

(Lionardo Frescobaldi, Viaggio, p. 1385 [fior.], p. 174)

Un altro esempio significativo di poggio ‘monte’ è presente nelle Chiose Vernon, in un passo del commento al canto XII dell’Inferno: «E lla comperazione che ti dà di questo si è un cierto poggio overo monte, il quale è tra Trento e Verona, al qual poggio un fiume batte appiè, che si chiama l’Alise overo Adise. E dentro dal monte escie una grande diruizione».

In questo senso Dante utilizza il termine nel Purgatorio, dove le 5 occorrenze si riferiscono sempre alla montagna del Purgatorio, il monte più alto del mondo, indicato anche coi lemmi monte e montagna.

Nella canzone Al poco giorno e al gran cerchio d’ombra si legge: «e dal suo lume non mi può far ombra / poggio né muro mai né fronda verde». L’ombra di cui si parla dovrebbe riparare il poeta dal lume della donna-pietra. La sequenza poggio - muro -

fronda costituisce un anticlimax dimensionale, dove il poggio rappresenta l’elemento

21

(23)

più grande. Dante si riferisce a una collina o a un monte? Lo stesso problema si ripresenta per l’unica occorrenza nell’Inferno: «Quante ’l villan ch’al poggio si riposa […] / vede lucciole giù per la vallea, / forse colà dove e’ vendemmia e ara». L’Ottimo non chiosa il termine, mentre Benvenuto e il Buti lo interpretano come ‘monte’.

Come si vede, per poggio nell’uso trecentesco non si può parlare in senso assoluto di ‘altura di modeste dimensioni’. Le occorrenze del lemma nel Purgatorio, dove poggio indica un monte, possono essere ricondotte alla matrice [+ alto + elevato], mentre l’unica occorrenza nell’Inferno, per la quale non è possibile un’interpretazione esatta, si associa alla matrice [+alto ± elevato]. Per la classificazione dell’occorrenza infernale dobbiamo fare i conti con quell’inevitabile parte di soggettività che veniva ammessa da Baldinger in premessa al DAO/DAG22. La similitudine del «villan ch’al poggio si riposa» può essere letta attraverso le suggestioni paesaggistiche di Contini:

La meravigliosa scena estiva […] si realizza per noi iscritti all’anagrafe di Firenze ogni sera che quei greggi elettrici risalgono i clivi tra Affrico e Mensola, riuscirebbe meno pertinente fuori dalla geologia appenninica: occorre, perché essa si verifichi, che, sceso il tramonto, il lavoratore lasci il piano malsicuro e insalubre e si ritiri sui piccoli crinali, al riparo dai miasmi e dagli infestatori delle strade maestre; intanto agli insetti delle stalle dànno il cambio altri molesti saliti dagli aquitrini («come la mosca cede a la zanzara», precisa Dante in un inciso potentemente incurante delle savie norme avverso il disturbo il disturbo dei particolari laterali).23

Anche la Chiavacci-Leonardi storicizza la similitudine, ricordando che «le abitazioni rurali si trovavano in genere in collina, perché le valli e le pianure erano spesso malsane (la zanzara del resto è segno tipico dei luoghi paludosi)» (Chiavacci Leonardi). In sintonia con queste considerazioni, si è più propensi a riferire poggio di If XXVI 25 al concetto di ‘Colle, collina’ che a quello di ‘Monte, montagna’, riconoscendo, comunque, l’impossibilità di un’interpretazione netta.

- colle

Il lemma colle ha 16 occorrenze nell’opera dantesca. Nella canzone Al poco giorno e al

gran cerchio d’ombra il termine ricorre 6 volte come parola-rima e una volta in

posizione interna al verso:

22 K. BALDINGER, op. cit., p. X. 23

(24)

Son giunto lasso al bianchir de’ colli (v. 2)

il dolce tempo che riscalda i colli (v. 10)

che m’ha serrato intra piccioli colli (v. 17)

ch’io son fuggito per piani e per colli (v. 21)

e chiuso intorno d’altissimi colli (v. 30) Ma ben ritorneranno i fiumi a’ colli (v. 31)

Quandunque i colli fanno più nera ombra (v. 37)

Ovviamente, dal punto di vista altimetrico, i “piccioli colli” (v. 17) non avranno la stessa elevazione degli “altissimi colli” (v. 30), i quali sono da riferire a un monte piuttosto che a una collina.

Nel primo canto dell’Inferno viene detto che Dante giunge al piede di un colle, ma nel resto della cantica quell’altura viene sempre nominata monte (If I 77, If II 120, If XXIV 21). Quando è possibile identificare geograficamente i rilievi a cui Dante fa riferimento con il lemma colle nella Commedia, effettivamente ci troviamo di fronte ad alture modeste che possono essere ricondotte al concetto di ‘Colle, collina’. In un caso è il poeta stesso ad fornirci informazioni precise: «In quella parte de la terra prava […] / si leva un colle, e non surge molt’alto» (Pd IX 28). I «colli del Casentin» (If XXX 64), ricordo ossessivo per Mastro Adamo, saranno da identificare con le colline casentinesi e non con dei monti; il “colle” (Pd VI 53) sotto il quale nacque Dante è la collina di Fiesole; il «colle eletto dal Beato Ubaldo» (Pd XI 44) è la collina di Gubbio.

Nel canto XXII del Paradiso la Terra («l’aiuola che ci fa tanto feroci») è vista da Dante nella sua interezza, «da’ colli a le foci», dove evidentemente il primo termine indica le parti più alte della superficie terrestre in opposizione alle zone marittime, «a montibus ad maria» (Benvenuto).

L’indeterminatezza altimetrica dei referenti di colle era già presente nell’uso del lemma latino collis: accanto alle espressioni «excelsis […] in collibus» e «in altis collibus», troviamo «collis […] paululum ex planitie editus» e «in collibus humilibus»24

. Domenico Consoli, nel redigere la voce colle dell’Enciclopedia Dantesca, riconosce

24 Thesaurus linguae latinae (s.v. collis). Il Thesaurus linguae latinae, disponibile in rete all’indirizzo

(25)

l’influsso del modello latino nell’utilizzo del termine volgare col significato di ‘monte, montagna’.

Dunque, tornando alle due occorrenze nella prima cantica, possiamo distinguere l’uso di

colle [+ alto + elevato] nel canto I da quello di colle [+ alto - elevato] nell’elegia del

Casentino. Così procedendo, l’occorrenza di If I 13 sarà ricondotta al concetto di ‘Monte, montagna’, mentre quella di If XXX 64 sarà da catalogare all’interno del presente concetto di ‘Colle, collina’.

Monte, montagna (#ter_montemontagna): colle (If I 13); monte (I, 77); monte (II, 120); monte (XII, 7); alpe (XIV, 30); montagna (XIV, 97); monte (XIV, 103); monte (XV, 63); monti (XVII, 2); monte (XVIII, 23); monti (XX, 47); monte (XXIV, 21);

monte (XXV, 26); montagna (XXVI, 133); monti (XXVII, 29); monte (XXVII, 53); monte (XXXIII, 29)

I monti non fanno parte della configurazione dell’inferno di Dante, infatti l’unico rilievo che il personaggio-Dante incontra nella cantica è situato al di fuori della cavità infernale, nel luogo dello smarrimento iniziale. I riferimenti delle occorrenze raccolte sotto il presente concetto sono sempre esterni all’ambiente infero, come, ad esempio, il monte cretese Ida, i monti di Luni e i monti di Montefeltro.

- alpe

Il lemma alpe ha 6 occorrenze nel corpus dantesco. Come nome comune viene utilizzato in If XIV 30, Pg XVII 1 e nella canzone Amor, da che convien pur ch’io mi

doglia (v. 61); il lemma occorre come oronimo in If XVI 102, If XX 62 e Pg XXXIII

111.

A proposito di Pg XVII 1, il Landino commenta così: «Ricorditi lectore, se nell'alpe: in alchuno altissimo monte. Alpi propriamente sono e monti, che dividono Italia dalla Francia; ma da questi tutti gl'alti monti in lingua toscana, ma non in latina, sono decti alpi».

Il latino medievale presentava già questo uso della parola alpes25 e il LEI (s.v. alpēs) osserva che il fenomeno di «generalizzazione della parola ad indicare in generale una montagna» non riguarda soltanto l’italiano ma anche altre varietà romanze. Così il

25 «ALPES, vocati non modo montes, qui Italiam ab Gallia et Germania disterminant, sed etiam

(26)

vocabolario del TLIO: «Montagna, catena montuosa. [In senso proprio, plur., più raramente sing.:] la catena montuosa che si estende a nord della penisola italiana». La definizione data dal Landino risulta valida anche per altre attestazioni registrate nel corpus TLIO:

 «Così fui giunto lasso, / e giunto in mala parte! / Ma Ovidio per arte / mi diede maestria, / sì ch’io trovai la via / com’io mi trafugai: / così l’alpe passai / e venni a la pianura». (Brunetto Latini, Tesoretto, a. 1274 [fior.], v. 2394)

 «Lo meo cor non fa fallo / se da me si diparte / e saglisce in voi al pè; / mai mi confort’a fallo: / non v’ho loco né parte; / e pió c’arcione in alpe / m’ha ’l piè legato e serra…» (Galletto, XIII sm. [pis], Canz. 2, v. 42)

Alpestre (#ter_alpestre): alpestro (If XII 2)

Abbiamo inserito ex novo il concetto di ‘Alpestre’ corrispondente al concetto 171 de montagne presente nel DAO e del DAG. L’unico aggettivo catalogato qui è alpestro (If XII 2), riferito al luogo per il quale i poeti devono scendere la ripa franata che separa sesto cerchio dal settimo. I commentatori spiegano così il termine: « per la ruidezza a modo d'un'alpe fatta, e però dice alpestro» (Ottimo), «idest altus, asper in modum alpis» (Benvenuto).

Vetta, cima (#ter_vettacima): cima (XII, 7); cima (XXIV, 27); punta (XXIV, 41)

- cima

Con il termine cima in If XXII 7 Dante si riferisce alla vetta del monte franato sulla riva dell’Adige, all’interno della similitudine che apre il canto. Il latino cȳma veniva impiegato come termine botanico, per cui Isidoro scrive che «cyma dicitur quasi coma: est enim summitas olerum vel arborum, in qua vegens virtus naturalis est». Per quanto riguarda la Romània occidentale nel Medioevo, nel Du Cange (s.v. cima) si legge: «Galli Cime, Itali et Hispani Cima montis acumen appellant, ac generatim cujusvis rei altioris summitatem».

Le occorrenze di cima in If VIII 3 e If IX 36 si riferiscono alla vetta della torre della città di Dite; col significato latino il lemma occorre in If XIII 44 per indicare la cima del ramo strappato da Dante all’albero di Pier delle Vigne; in If XXIV 27 cima indica

(27)

l’estremità superiore di uno spuntone di roccia; in If XXVI 88 e If XXVII 5 è detta “cima” la punta delle fiamme che contengono le anime dei consiglieri fraudolenti. Nessuna di queste occorrenze può essere ricondotta al concetto di ‘Vetta, cima’, sotto il quale è stata classificata soltanto l’occorrenza di If XXII 726.

- punta

Il termine punta (< puncta) indica la cima della «rotta lacca» in If XII 11, cioè il punto più alto del settimo cerchio dove inizia la frana custodita dal Minotauro. In If XXIV 41

punta indica la vetta della grande frana che Dante e Virgilio devono scalare per uscire

dalla bolgia degli ipocriti. Altre occorrenze del lemma col significato ambientale di ‘vetta, sommità’ sono presenti nei testi trecenteschi di area toscana.

 «montò insul monte insù una punta, che à nome Fasga» (Guido da Pisa, Fiore di

Italia, a. 1337 (pis.), cap. 51)

 «dalla punta del monte a terra» (Paolo dell’Abbaco, Trattato, a. 1374 [fior.], 44)  «E loro, stando tutti inebriati, salirono nella punta del monte» (Bibbia (02),

XIV-XV [tosc.], Nm 14 2)

Sommità (#ter_sommità): collo (XXII, 116); collo (XXIII, 43); colle (XXIII, 53);

giogo (If XXVII 30)

- collo/colle

Nell’Inferno il termine collo ha 2 occorrenze in riferimento alla sommità dell’argine che divide la quinta bolgia dalla sesta.

Lascisi ’l collo, e sia la ripa scudo (If XXII 116) e giù dal collo de la ripa dura

supin si diede a la pendente roccia,

che l’un de’ lati a l’altra bolgia tura. (If XXIII 43-45)

Nel canto XXII il barattiere Ciampolo di Navarra assicura a Dante e Virgilio di tenere impegnati i Malebranche, in modo che altri dannati possano emergere dalla pece per

26 È chiaro la cima di uno spuntone di roccia non può essere equiparata alla cima di un rilievo in relazione

(28)

farsi vedere o udire dai due pellegrini. La sfida viene colta dai diavoli e Alichino concede un vantaggio al Navarrese: i Malebranche lasceranno la «sommità ('l collo: cfr. XXIII 43) dell’argine (scendendo un poco sotto, verso la sesta bolgia), così che la ripa stessa ci faccia da riparo (scudo) alla vista dei dannati» (Chiavacci Leonardi).

Mentre la sfida tra i Malebranche e il barattiere degenera in una zuffa tra diavoli, all’inizio del canto XXIII Dante e Virgilio si allontanano da quella fiera compagnia, e, quando si accorgono di essere inseguiti, Virgilio prende in braccio Dante e si lascia scivolare giù dalla vetta (collo) dell’argine, lungo il ripido pendio.

Come si legge nell’edizione critica curata da Giorgio Petrocchi, la forma collo di If XXII 116 è in concorrenza con la variante colle nei codici, mentre l’antica vulgata è solidale per quanto riguarda collo in If XXIII 43. La forma colle è presente in rima in If XXIII 53 dove indica, come le due occorrenze di collo messe a testo dagli editori moderni, la sommità dell’argine: «A pena fuoro i piè suoi giunti al letto / del fondo giù, ch’e’ furon in sul colle / sovresso noi […]» (If XXIII 52-54). I commentatori antichi, di fronte a questa alternanza, non hanno problemi a ricondurre entrambe le forme al concetto di ‘sommità’. Questo significato di colle, già presente nel latino collis, non è alieno alla lingua italiana delle origini, come dimostrano le attestazioni di “colle” col significato di «parte culminante della struttura di un rilievo montuoso» raccolte nel Vocabolario del TLIO (s.v. colle), il quale, accanto a colle, registra anche la forma

collo col medesimo significato27:

 «senza grave danno quegli che sono presso di lui raccolga, e pigli alcuno colle di monte, se v'è presso, o vero di dietro da se vi avrà alcuna fortezza, o vero tutti gli altri fuggendo... » (Bono Giamboni, Vegezio, a. 1292 (fior.), L. 3, cap. 25, pag. 140, riga 27)

 «Egli è ben ver che di Parnaso il colle / da lungi riguardai nel tetro canto / de mïa ioventù lasciva e molle!» (Antonio da Ferrara, XIV s. e t.q. (tosc.-padano), 76b.9, pag. 352)

 «sperai e l'uno e l'altro collo / trascender di Parnaso e ber dell'onde / del castalïo fonte e delle fronde... » (Boccaccio, Rime, a. 1375, pt. I, 107.1, pag. 127)

27 Se dal punto di vista semantico vi è concordia nell’interpretare le due forme, gli studiosi si dividono per

quanto riguarda l’etimologia di collo ‘sommità’. Il Parodi considerava la forma un metaplasmo di declinazione da colle e questa spiegazione si ritrova sotto la voce colle dell’Enciclopedia Dantesca curata da Domenico Consoli. Diversamente il DEI fa derivare le due forme dal termine anatomico “collo”. Cfr. E.G. PARODI. Lingua e Letteratura. Studi di teoria linguistica e di Storia dell’italiano

(29)

- giogo

Guido da Montefeltro identifica la propria zona di origine attraverso una perifrasi ai versi 29-30 del canto XXVII: «io son d’i monti là intra Orbino / e ’l giogo di che Tever si disserra». Il Vocabolario dl TLIO (s.v. giogo) registra diverse attestazioni del lemma col significato esteso di «sommità di una montagna o di un colle». Questa estensione semantica non è da considerarsi un’innovazione del volgare, dal momento che già in latino il lemma iugum era passato a indicare anche la vetta di un monte. A tal proposito, Isidoro afferma: «Iuga autem montium ex eo appellata sunt quod propinquitate sui iungantur».

Pendio (#ter_pendio): piaggia (If I 29); costa (If II 40); piaggia (If II 62); ripa (If VII 17); riva (If VII 100); piagge (If VII 108); ripa (If VII 128); ripa (If XI 1); balzo (If XI 115); scesa (If XII 10) ripa (If XII 55); costa (If XII 62); pendici (If XIV 82); scesa (If XVI 102); ripa (If XVI 104); ripa (If XVIII 8); ripa (If XVIII 69); ripe (If XVIII 106);

coste (If XIX 13); ripa (If XIX 35); ripa (If XIX 68); ripa (If XXI 18); costa (If XXII

119); costa (If XXII 146); costa (If XXIII 31); costa (If XXIII 138); costa (If XXIV 35);

costa (If XXIV 40); balzo (If XXIX 95); balzo (If XXIX 95)

- piaggia

Delle 4 occorrenze del lemma piaggia nell’Inferno, 3 si riferiscono al concetto di ‘Pendio’ della sezione “a) La configurazione e l’aspetto”.

Nel canto d’esordio il personaggio di Dante, una volta uscito dalla selva oscura, procede solingo lungo una “piaggia diserta” (If I 29), cioè lungo il leggero pendio che conduce alla vera e propria salita del monte (“erta”; If I 31) ostacolata dalla presenza delle tre fiere che respingeranno il poeta verso il basso. Il sintagma ritorna coi termini invertiti nelle parole rivolte da Beatrice a Virgilio nel Limbo che, con un procedimento analettico, vengono riportate dall’anima del poeta mantovano nel canto II: mentre Dante era ostacolato dalle tre fiere nella “piaggia diserta”, Beatrice si era rivolta a Virgilio affinché aiutasse quello in procinto di smarrirsi, impedito nella “diserta piaggia” (If II 62). Nel canto VII le “maligne piagge grige” indicano il pendio che separa il quarto

(30)

cerchio dal quinto, lungo il quale scorre il ruscello che confluisce nella Palude Stigia28. Si deve riconoscere che questo termine, classificato sotto il concetto di ‘Pendio’, indica un pendio più dolce rispetto a quello indicato dalle altre voci classificate sotto il medesimo concetto.

La nota del DELI (s.v. piaggia) ci informa della diffusione di plagia con il significato di ‘pendio dolce, costa’ nelle carte latine medievali «provenienti dall’Italia centrale e soprattuto dalla meridionale», in un’area molto estesa che da Teramo andava a Salerno. La voce piaggia è presente nel Vocabolario del TLIO che ne registra il significato di «terreno in pendio collocato nel tratto compreso tra la pianura e l'erta di un monte; versante declinante di un monte» e ne mostra la diffusione in testi toscani, mediani e meridionali.

- costa

Sotto la voce costa il vocabolario del TLIO riporta: «Terreno in pendenza, salita, pendio; fianco di un monte, versante».

 «Amore par ch'orgolglioso mi fera, / tanto abbondosamente mi dà 'n costa; / più m'incalcia, che seguscio la fera, / che 'n piano non la dimette né 'n costa.» (Jacopo da Leona, a. 1277 [tosc.], 6.4, pag. 214)

 «Ave(n) ko[n]perato da Bacialo da sSuviglana u(n) peçço di terra nela kossta d'Aglana qua(n)do vai a Ka[n]po Kollese, ke kosstò s. xiij, p(er) meço nove(n)bre... » (Doc. fior., 1255-90, pag. 244, riga 18)

 «l’uomo cavalca per bel piano [e] per belle coste, ov’è buon pasco e frutti assai e buoni» (Milione, XIV in. [tosc.], cap. 43)

In If II 40, il lemma indica il leggero pendio che dalla selva oscura conduce all’erta del monte inaccessibile per la presenza delle tre fiere: la “costa” altro non è che la “piaggia” di If I 29: «‘declivio’; il limite della “valle”, della selva» (Inglese). Il termine costa varia ripa nel canto XII e in alcuni canti ambientati in Malebolge, dove indica il pendio degli argini. Per quanto riguarda l’occorrenza di If XVI 97, si veda il concetto di ‘Versante’.

- ripa

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Nell’Inferno il lemma ripa viene utilizzato solitamente per indicare i pendii che separano i cerchi infernali e i pendii degli argini di Malebolge.

Il latino ripa indicava propriamente la riva dei corsi d’acqua e, per estensione, poteva riferirsi alla riva del mare che generalmente era chiamata litus. Nella carte medievali di area italiana la forma ripa si trova in riferimento a pendii in contesti non acquatici, come si legge nei dizionari del Du Cange e di Niermeyer. Nei testi italiani del XIII e del XIV secolo la forma ripa concorre ancora con riva in contesti acquatici, ma non mancano occorrenze col significato di ‘pendio, dirupo’. Come spiega Fabrizio Franceschini, ripa «continua lat. RĪPA nel senso di ‘argine’ che con quello affine di ‘parete scoscesa’ è comune nel toscano antico, come mostrano numerosi esempi danteschi (alta ripa, ripa discoscesa, etc.) e ancor meglio le definizioni che ad essi allegano Francesco da Buti («Ripa è ogni tagliamento di terreno»; ad Inf. 11.1) o Giovanni Boccaccio (chiamano «ripa gli argini che sopra le fosse si fanno, o d’intorno alle castella, o ancora in luoghi delcivi per i quali d’alcun luogo alto si scende al più basso» […] )»29

.

 «e qui insegna a’ suoi figliuoli correre e fuggire, ed andare per ripe e per montagne.» (Tesoro volg., XIII ex. [fior.], L. 5, cap. 49)

 «Ed era la ripa di quello monte di grandissima altessa, sì che la sua sommità non poteano vedere» (San Brendano pis., XIII/XIV, p. 70, riga 29)

 «Che ripe son queste! / Che ssassi e che roine, / E che pruni e quali spine!» (Fr. da Barberino, Regg., 1318-20 [tosc.], pt. 9, cap. 6)

- scesa

Il sostantivo femminile scesa indica un terreno in pendenza nelle 2 occorrenze che sono state catalogate sotto il concetto di ‘Pendio’. In If XII 10 il lemma si riferisce al pendio del “burrato” che separa il sesto cerchio dal settimo, mentre in If XVI 101 scesa indica il pendio nei pressi di San Benedetto dell’Alpe lungo il quale precipita il torrente Acquacheta. Nel corpus TLIO sono presenti attestazioni trecentesche del termine con questo significato.

 «[E] da Cre[man] infino a questa iscesa è bene tale freddo di verno, che no vi si può passare se non co molti panni» (Milione volg., XIV in. [tosc.], cap. 34)

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 «eranu supra de unu dirrupu, et era multu affannusu a chillj monachi descinderi fina allu lacu pir prinderj aqua, e specialmente ky chilla schisa de lu monasteriu fina alla aqua, chi era unu grande periculu, pirò ky era la via multu rampanti»  «e andando per ispazio di due miglia, sì trouvi un monte […]. Et dappiè della

scesa si è il piano» (Niccolò da Poggiponsi, p. 1345 [tosc.], cap. 64)

- pendice

Il lemma pendice continua il significato di ‘costa, fianco di monte’ (DEI, s.v. pendice) proprio del latino tardo pendix, -icis. Dante lo utilizza in senso proprio in Pg XXIII 132, dove “ogne pendice” si riferisce alle coste del Purgatorio, «imperò che li monti ànno molte coste, perché pendono si chiamano pendice» (Buti). L’occorrenza del termine nell’Inferno è riferita alle sponde di pietra che contengono il fiumicello del sabbione, per cui si può considerare metaforico l’uso di un termine ambientale della sezione ‘a) la configurazione e l’aspetto’ per indicare un aspetto della realtà acquatica infernale. Salita (#ter_salita): erta (If I 31); erta (If VIII 128)

Sotto la voce erta il vocabolario TLIO riporta la definizione di «terreno o strada che sale verso l’alto». Questo significato è chiaro sin dalle prime attestazioni volgari.

 «il cha(n)po suo ch’è in piè dell’erta d’Aglana» (Doc. fior., 1255-90, p. 250, riga 30)

 «e non solamente ne’ campi del piano, ma alla china, ed all’erta salire e scendere erano costretti sì i cavalieri come i pedoni» (Bono Giamboni,

Vegezio, a. 1292 [fior.], L. 1, cap. 57)

In If I 31 erta indica la salita del monte, all’inizio della quale Dante si imbatte nelle tre fiere. L’ “erta” di If VIII 128 è la salita che separa la città di Dite dall’ingresso dell’inferno, cioè quel pendio che l’angelo dovrà discendere per aprire le porte della città a Dante e Virgilio. Il punto di vista dal basso di chi parla (Virgilio) giustifica l’utilizzo del termine erta per indicare un pendio che, dal punto di vista dell’angelo, rappresenterà una discesa: «Erta è a chi volesse tornare in suso, ma, discendendo, come conviene a chi dalla prima porta vuol venire a quella di Dite, si dee dir «china»; ma, come spesse volte fa l'autore, usa un vocabolo per un altro» (Boccaccio).

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Versante (ter_versante): costa (If XVI 97)

Come quel fiume c’ha proprio cammino prima dal Monte Viso ’nver’ levante,

da la sinistra costa d’Apennino (If XVI 95-97)

Dante, parlando in similitudine del fiume Acquacheta, ci dice che il suo corso ha origine dalla costa sinistra dell’Appennino, dove costa non si riferisce genericamente a un pendio, ma, in congiunzione con l’aggettivo sinistra, indica proprio il versante adriatico della catena montuosa, come nota Jacopo: «lunga giogana d'Appennino, la quale quella s'intende che Lombardia, Romagna, la Marca d'Ancona e Abruzzo, dalla Toscana, e dalla Val di Spoleto, cioè il ducato, e da terre di Roma con Puglia piana diparte, la cui sinistra costa guardando verso il levante quella che 'l mare Adriatico dichina sue acque s'intende» (Jacopo Alighieri).

Rupe, roccia (#ter_ruperoccia): roccia (If VII 6); roccia (If XII 8); roccia (If XII 36);

roccia (If XII 44); grotta (If XIV 114); rocca (If XVII 134); roccia (If XVIII 16); roccia (If XXIII 44); sasso (If XXV 26); rocce (If XXXII 3)

- roccia

Nell’Inferno il lemma roccia indica il pendio che separa due cerchi (If VII 6; If XII 36, 44; If XVIII 16), la costa di un monte (If XII 8) e uno dei due pendii che costituiscono gli argini di Malebolge (If XXIII 44). Nel Purgatorio il termine indica sempre il pendio del monte in cui è ambientata la seconda cantica.

Benvenuto chiosa sistematicamente roccia con ripa in entrambe le cantiche. L’equivalenza con ripa è evidenziata anche dal commento del Buti, benché senza quella sistematicità che si riscontra in Benvenuto. Commentando la prima occorrenza di roccia nella seconda cantica («la roccia sì erta», Pg III 47) il Buti spiega: «cioè la ripa, sì erta; cioè sì ritta». A proposito di Pg X 52, nota che «la costa del monte […] era ritta come una parete» e con «parete del monte» chiosa il termine “roccia” in Pg XII 97 e Pg XIX 68.

Dante utilizza, con frequenza diversa30, i termini roccia e ripa come sinonimi. Infatti, il pendio franato che separa il sesto cerchio dal settimo è detto «alta ripa» in If XI 1 e «roccia» in If XII 36, così come l’alto pendio che divide il cerchio dei violenti da

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