• Non ci sono risultati.

3.2 Intervalli temporali successivi

3.2.1 La fase statica

Siano Ctj,δ

i j = 0, . . . , Ni i sottoinsiemi di D che descrivono la regione di

spazio occupata dalla struttura vascolare al tempo ti. Sia quindi

Uti = [

j=1

3.2. INTERVALLI TEMPORALI SUCCESSIVI 35

Come nell’intervallo τ0 consideriamo lo spazio

(E, E , ν) = (Uti× R+, B(Uti) ⊗ B(R+), µ ⊗ m). Sia quindi (Ω0, F0, P0) = (Ω × i Y k=0 Ωtk, F ti ⊗ i Y k=0 Ftk, P ⊗ i Y k=0 Ptk) e sia Yti : Ω0× (B(Uti) ⊗ B(R+)) → N

una Poisson random measure di media µ ⊗ m. Di nuovo si può rappresentare Yti come

Yti =X

k≥1

δ(Sk,Tk)

dove (Sk, Tk) è una variabile aleatoria, rispetto a F0, a valori nello spazio

prodotto U × R+.

Durante la fase statica è strettamente necessario introdurre un nuovo spazio di probabilità in ogni intervallo τi: il dominio spaziale Uti è un

sottoinsieme di D che dipende in modo aleatorio dal passato, cioè dagli eventi relativi all’intervallo τi−1. Volendo introdurre una ulteriore aleatorietà

aggiungiamo una componente allo spazio finora considerato in condizione di indipendenza, considerando su di esso la misura prodotto. Facendo riferimento all’appendice A, ricordiamo che al fine di costruire Poisson random measure sullo spazio (E, E ) di media ν è necessario poter costruire una successione di variabili aleatorie i.i.d Xi tali che

P(Xi ∈ A) =

ν(A)

ν(E) ∀A ∈ E

In tal caso la misura aleatoria ottenuta si può esprimere come

Y =X

i

δXi

Nel nostro caso però l’insieme E non è fissato: esso è dato da U × R+, ove l’insieme U dipende in modo aleatorio dai passi temporali precedenti, cioè dallo spazio Ω ×Qi−1

k=0Ωtk. È tuttavia possibile utilizzare la seguente

costruzione: supponiamo per semplicità di notazione che l’insieme U dipenda in modo aleatorio dall’insieme Ω. Detto (Ω0, F0, P0) uno spazio di probabilità e fissato A un boreliano di Rd possiamo considerare

XA: Ω0 −→ A

con la distribuzione voluta. In particolare supponiamo che indipendente- mente dall’insieme A sia possibile costruire variabili sul medesimo spazio di probabilità Ω0.

36 CAPITOLO 3. UN MODELLO PER L’ANGIOGENESI

Osservazione. Nel caso d = 1 la costruzione delle variabili XA sul medesimo spazio si può ottenere con metodi elementari: è sufficiente considerare sullo spazio Ω0 una variabile aleatoria X con distribuzione uniforme sull’intervallo [0, 1] ⊆ R e considerare XA = FA−◦ X, dove FA− indica la pseudo inversa della cdf associata alla distribuzione desiderata. Nel caso multidimensionale la costruzione è estremamente più complicata: si può utilizzare la medesima costruzione utilizzata nel Teorema di rappresentazione di Skorokhod per il caso generale, [1].

Possiamo quindi definire

Xi : Ω × Ω0 −→ Rd

(ω, ω0) 7→ XU (ω)(ω0)

Questa costruzione mostra come, indipendentemente dall’aleatorietà di Uti,

sia possibile costruire una Poisson random measure con le proprietà richieste. Di nuovo, come nell’intervallo τ0, dobbiamo restringerci all’intervallo tempo- rale considerato: consideriamo quindi l’insieme aleatorio Hti = {Sk| Tk ≤ h}

e indichiamo con Htj

i i suoi elementi. Si procede quindi alla descrizione della

dinamica.

3.2.2 La fase dinamica

Descriviamo quindi la dinamica di crescita: in questo caso, a differenze dell’intervallo τ0, la struttura vascolare è descritta da:

• Le curve Ctj

i che descrivono lo stato del sistema al tempo ti. Associate

a queste vi sono le variabili aleatorie Htj

i che indicano l’estremo verso il

quale proseguire la crescita.

• Le variabili aleatorie F0-misurabili Htj

i che indicano le coordinate

spaziali ove si formeranno le nuove diramazioni. Di nuovo Htj

i descrivono le condizioni iniziali di una equazione differenziale

stocastica: anche in questo caso dobbiamo riportare tutti gli elementi al medesimo spazio di probabilità. Consideriamo quindi

(Ω × i Y k=0 Ωtk, F ⊗ i Y k=0 Ftk, P ⊗ i Y k=0 Ptk, F t⊗ i Y k=0 Ftk)

Analogamente a quanto fatto relativamente all’intervallo τ0 definiamo

˜

Bt: Ω × Ωt0 × · · · × Ωti : → Rd

(ω, ωt0, . . . , ωti) 7→ B

t(ω)

È immediato verificare che il processo ˜Bt è un moto Browniano rispetto

alla filtrazione Ft⊗Qik=0Fti. Abbiamo quindi ottenuto una base stocastica

rispetto a cui descrivere la dinamica. Dobbiamo inoltre riportare le variabili Htji, che fungono da dati iniziali, al medesimo spazio:

3.2. INTERVALLI TEMPORALI SUCCESSIVI 37 Ht20 H2 t1 H2 t2 H1 t0 H 1 t1 Ht12 H0 t1 Ht02 Ht31 H3 t2

Figura 3.2: Raffigurazione dell’evoluzione del sistema riportato in figura 3.1 nell’intervallo [t1, t2]. I capillari associati agli indici 0,1 e 2 proseguono la

crescita. Nella fase statica si origina inoltre un ulteriore nodo, Ht31, che da origine alla variabile Ht3

2.

• Le variabili Htj

i che derivano dalla fase statica precedente sono definite

su Ω ×Qi

k=0Ωtk e non vi sono operazioni ulteriori da fare.

• Se Htj

i deriva dall’intervallo temporale τi−1come condizione finale della

fase dinamica dobbiamo considerarne una estensione su Ω ×Qi

k=0Ωtk.

Infatti nell’intervallo τi−1ogni oggetto aleatorio considerato è definito

su Ω ×Qi−1 k=0Ωtk: definiamo quindi Hjti : Ω ×Qi−1 k=0Ωtk× Ωti → U (ω, ωt0, . . . , ωti−1, ωti) 7→ Hj ti(ω, ω t0, . . . , ωti−1)

Con un po’ di abuso di notazione indicheremo con Htj

i la variabile H

j ti

38 CAPITOLO 3. UN MODELLO PER L’ANGIOGENESI

Per ogni j introduciamo quindi la seguente equazione differenziale stocastica ( dXtji,t= ∇xV (Xtji,t, t)dt + σd ˜Bt t ∈ [ti, ti+1] Xtj i,ti = H j ti (3.2)

con σ ∈ Rd×d. Di nuovo dobbiamo solamente verificare la corretta misurabilità del dato iniziale: nel caso in cui derivi dalla precedente fase statica esso è Fti⊗

Qi

k=0Ftk-misurabile per costruzione. Se è ottenuto come valore finitale

nella fase dinamica dell’intervallo τi−1 allora, essendo la soluzione adattata, è

Fti⊗Qi−1

k=0Ftk-misurabile. Si verifica facilmente che la sua estensione allo

spazio prodotto, in cui si aggiunge la componente Ωti, è F

ti ×

Qi

k=0Ftk-

misurabile. Di conseguenza, in ogni intervallo temporale, per il sistema 3.2 valgono esistenza e unicità forte. Sia Htj

i+1 la testa al passo successivo definita

come il valore della soluzione Xtj

i,t valutata al tempo ti+1. Definiamo C

j ti+1

la curva (aleatoria) ottenuta giungendo Ctj

i con la traiettoria della soluzione

Xtj

i,t per t ∈ [ti, ti+1]. L’insieme degli ingrassati di raggio δ dei supporti di

Ctj

i+1 sarà quindi il supporto per la random measure nell’intervallo successivo

τi+1. Si veda la figura 3.2 per una raffigurazione dell’evoluzione del sistema

Capitolo 4

Simulazioni microscopiche

In questo capitolo presentiamo alcune simulazioni numeriche relative ai fe- nomeni microscopici che avvengono a livello cellulare durante la crescita tumorale. All’interno di tali simulazioni sono inglobati numerosi fenomeni che avvengono su scala microscopica quali la proliferazione cellulare dipendente dall’ossigeno, la diffusione del VEGF, la crescita angiogenica. Quest’ultima è implementata secondo quanto descritto nel capitolo 3. Sono rappresentate solamente le cellule tumorali. Per maggior semplicità, essendo questa una prima implementazione del modello presentato nel capitolo 3, l’implementa- zione è svolta in dimensione due. Questo capitolo non ha la pretesa di essere rigoroso dal punto di vista matematico ma descrive solamente una possibile implementazione di alcuni fenomeni che avvengono a livello microscopico nella crescita tumorale. Fissato l’intervallo temporale [0, T ] in cui si vuole studiare l’evoluzione del sistema si suddivide tale intervallo in numero finito di sottointervalli. Sia quindi Nt un intero e sia ∆t = T /Nt il parametro di

discretizzazione temporale. Ogni sottointervallo descrive un passo temporale: in ciascuno di questi si verifica l’evoluzione del sistema, sia del movimen- to cellulare, sia l’evoluzione temporale delle equazioni alle derivate parziali coinvolte, sia la dinamica di sviluppo dell’angiogenesi.

4.1

Interazione cellulare

Descriviamo in questa sezione l’implementazione fatta per la descrizione delle cellule tumorali. Ciascuna cellula ha una forma circolare. Esse sono rappresentate da un vettore di coordinate che ne descrivono la posizione spaziale del centro. Con questa scelta ciascuna di esse non è un oggetto solido, ma solamente un punto materiale che non occupa alcun volume nello spazio. Al fine di ottenere una rappresentazione più realistica si introduce un termine repulsivo fra i centri delle cellule, la cui intensità sia proporzionale alla distanza fra tali centri. In particolare tale forza deve agire solamente se la distanza fra due centri è inferiore a 2r, dove r indica il raggio cellulare.

40 CAPITOLO 4. SIMULAZIONI MICROSCOPICHE

Siano quindi ε, cR> 0 , definiamo la funzione FR dipendente dalla distanza

FR(x) =      cR x se ε < x < 2r cR ε se x < ε 0 se x ≥ 2r

In questo modo intorno ad ogni centro cellulare si ha una regione di spazio in cui ogni altro centro cellulare viene respinto. Questo rappresenta la porzione di spazio effettiva occupata da una singola cellula.

Un altro passo importante è stato l’introduzione di un termine attrattivo: questo descrive la forza di adesione di membrana che si verifica quando due cellule tumorali sono in contatto ed è necessario per mantenere l’insieme delle cellule del sistema in un unico aggregato. In questo caso abbiamo imposto una forza di interazione con distanza maggiore e con intensità minore, non dipendente dalla distanza. Sia quindi δ, CA> 0, definiamo la funzione FA

FA(x) =

(

0 se x < 2r ∨ x > δ −CA se 2r ≤ x ≤ δ

Il termine attrattivo, agente su ogni singola cellula, coinvolge non solo le cellule che si trovano a distanza prossima al raggio cellulare, ma anche quelle più distanti. Questo, per quanto non coincida esattamente con la descrizione della forza di adesione di membrana, è necessario volendo mantenere un unico aggregato.

Dal punto di vista computazionale, quando il numero di cellule raggiunge dimensioni considerevoli, il calcolo delle distanze reciproche e delle forze di interazione associate è molto costoso. Al fine di risparmiare sul tempo di calcolo sono stati elaborati molteplici algoritmi che permettono di calcolare tali distanze solamente con cellule che si trovano entro un certo raggio di interazione, si vedano [17], [9] per una referenza sull’algoritmo Cell-Linked List utilizzato nelle simulazioni.

Osservazione. A causa del costo computazionale non è possibile ottenere un numero di cellule che sia rilevante per una analisi quantitativa del fenomeno. Come visto nel capitolo 2 un numero di cellule ragionevole per dar inizio all’angiogenesi è di circa 106. In questo caso non è possibile ottenere una tale numerosità: l’implementazione fatta ha quindi solo un valore qualita- tivo esplorativo del fenomeno, senza la pretesa di poter produrre risultati quantitativi accurati.

4.2

Ossigeno e proliferazione

4.2.1 Diffusione dell’ossigeno

Come già discusso precedentemente le cellule tumorali possono dare inizio al ciclo di duplicazione solo se dispongono di una sufficiente quantità di

4.2. OSSIGENO E PROLIFERAZIONE 41

Figura 4.1: Simulazione microscopica. Le cellule sono rappresentate dai cerchi di colore blu di raggio r. Il termine repulsivo che agisce a distanza pari a due volte il raggio cellulare permette di evitare compenetrazioni. Il termine attrattivo, che simula l’adesione di membrana, permette di mantenere un unico aggregato di cellule. Piccole compenetrazioni si possono verificare ma vengono immediatamente eliminate in pochi passi temporali. Il gradiente di colore sullo sfondo descrive la concentrazione di ossigeno, ipotizzando che questo sia diffuso da un vaso sanguigno preesiste situato sul bordo del dominio.

42 CAPITOLO 4. SIMULAZIONI MICROSCOPICHE

ossigeno. Volendo quindi introdurre la possibilità di duplicazione è stato necessario implementare la diffusione dell’ossigeno nel dominio spaziale. Nella sua versione più semplice questo segue un’equazione di diffusione identica all’equazione del calore. Assegnato Ω = [0, L] × [0, L] il dominio spaziale, il sistema include la soluzione approssimata dell’equazione del calore con condizioni di Dirichlet

(∂O(x,t)

∂t = ∆O(x, t)

O(x, t) = O0(x) ∀x ∈ ∂Ω

La soluzione viene approssimata tramite discretizzazione alle differenze fi- nite su una griglia equispaziata. Si discretezza il dominio Ω tramite una griglia uniforme con un intervallo di discretizzazione spaziale h = L/N . Si utilizza quindi la discretizzazione dell’intervallo temporale [0, T ] mediante l’incremento ∆t = T /Nt. La soluzione O(x, y, t) viene quindi rappresentata

come

Oi,jn = u(xi, yj, tn) = O((i − 0.5)h, (j − 0.5)h, n∆t) i, j = 1, . . . , N

Si utilizza quindi una discretizzazione della soluzione centrata nelle celle ottenute a partire dalla griglia spaziale. Le derivate seconde spaziali sono discretizzate tramite differenze centrate e si utilizza uno schema temporale di tipo implicito:

On+1i,j − On i,j

∆t = γ

Oi−1,jn+1 − 2Oi,jn+1+ Oi+1,jn+1

h2 + γ

Oi,j−1n+1 − 2On+1i,j + Oi,j+1n+1 h2

(4.1) Ad ogni passo temporale è dunque necessario risolvere un sistema lineare di dimensione N2× N2. Questo viene risolto tramite una tecnica multigrid,

si veda [27] per una trattazione introduttiva. A causa di questo il numero di elementi lineari della discretizzazione spaziale è stato scelto del tipo N = 2k, generalmente N = 64.

Osservazione. Avendo adoperato uno schema temporale implicito non si pongono problemi di stabilità del metodo legati al rapporto fra il passo di discretizzazione spaziale e temporale. Il costo computazionale per il calcolo della soluzione del sistema lineare è indipendente dal passo temporale. Calcolando la soluzione utilizzando N = 64, quando il numero di cellule del sistema raggiunge una certa soglia, il calcolo delle distanze reciproche per la dinamica di iterazione è più costoso del calcolo della soluzione del sistema lineare.

4.2.2 Interazione cellule-ossigeno

Come descritto nella sezione precedente la concentrazione di ossigeno è calcolata su una griglia equispaziata uniforme. È quindi disponibile una

4.3. VEGF 43

approssimazione della soluzione sui nodi di tale griglia. Le coordinate delle cellule sono però rappresentate come un vettore, le cui componenti variano nell’insieme dei numeri di macchina compresi fra 0 e L. C’è quindi una discre- panza fra la posizione delle cellule, che varia nel “continuo”, e la concentrazione dell’ossigeno che è invece disponibile solamente su una griglia, discreta, di punti. Per ogni cellula si considera allora il valore Oni,j corrispondente al nodo di discretizzazione che è più vicino alle coordinate del suo centro. Questo rappresenta la concentrazione di ossigeno di cui tale cellula dispone. Ogni cellula “consuma” una porzione di tale ossigeno, in particolare una frazione del valore di Oni,j corrispondente. Se il livello di ossigeno a lei associato è superiore ad una certa soglia allora le si assegna un parametro p, associato alla concentrazione di ossigeno, che rappresenta la probabilità di dare inizio al ciclo di duplicazione. Al termine di tale ciclo, la cui durata comprende più di un passo temporale, si introduce una nuova cellula nel sistema: quest’ultima segue le stesse leggi di interazione descritte nella sezione 4.1. Si veda la figura 4.2 per una simulazione con associato il livello di ossigeno.

Osservazione. Nella realtà, al termine del ciclo di duplicazione, la cellula madre muore dando origine a due cellule figlie. Nel nostro sistema non c’è distinzione fra madri e figlie, possiamo quindi introdurre una sola nuova cellula mantenendo la madre nel sistema.

Osservazione. Formalmente, tramite simulazione numerica, non stiamo risol- vendo il problema 4.1 in quanto stiamo introducendo delle nuove condizioni: Il problema matematico corretto dovrebbe includere dei termini che impon- gono delle condizioni sui valori della soluzione in corrispondenza delle cellule. La discretizzazione proposta si basa quindi su considerazioni intuitive sul comportamento della concentrazione di ossigeno.

4.3

VEGF

Avendo introdotto l’interazione fra la concentrazione di ossigeno e le singole cellule vi è una naturale distinzione fra cellule normossiche e cellule ipossiche. Il proseguimento naturale è quindi l’introduzione della concentrazione di VEGF. In questo caso, sempre per maggior semplicità, abbiamo utilizzato la medesima equazione di diffusione utilizzata per l’ossigeno, di nuovo con condizioni al bordo di Dirichlet. Si utilizza inoltre la stessa tecnica risolutiva tramite differenze finite, con passo temporale di tipo implicito. Si ottengono quindi i valori della concentrazione di VEGF su i nodi della griglia spaziale utilizzata per le differenze finite. Per ogni cellula ipossica si considera quindi il nodo di discretizzazione più vicino al suo centro e si impone che il valore Vi,jn della concentrazione di VEGF in quel nodo sia uguale a uno. Si veda la figura 4.3 per un grafico della concentrazione di VEGF.

Osservazione. Anche in questo caso dobbiamo precisare che l’interazione fra la concentrazione di VEGF e le cellule ipossiche non è formalizzata a livello

44 CAPITOLO 4. SIMULAZIONI MICROSCOPICHE

Figura 4.2: Simulazione microscopica. Sono evidenziati in giallo acceso le celle associate alla discretizzazione alle differenze finite in cui si trova una cellula il cui livello di ossigeno sia superiore ad un valore fissato. Si nota come queste siano disposte sul bordo più esterno, con una leggera prevalenza sul lato sinistro. Questo è dovuto alla scelta fatta per le condizioni al contorno della funzione O, si veda la figura 4.1 in cui si può vedere l’effettiva concentrazione come gradiente di colore.

matematico. Di nuovo nel codice abbiamo scelto di fare un’implementazione guidata dall’intuizione sul comportamento della concentrazione di VEGF.

4.4

Angiogenesi

Presentiamo adesso una possibile implementazione del modello per l’angio- genesi presentato nel capitolo 3. Essendo la simulazione già strutturata in passi temporali dobbiamo solamente specificare come implementare la fase dinamica e la fase statica.

La fase dinamica segue direttamente dalla descrizione proposta nella sezione 3.2.2: si considerano le teste di ogni vaso sanguigno in sviluppo come

4.4. ANGIOGENESI 45

Figura 4.3: Simulazione microscopica: il gradiente di colore indica la con- centrazione di VEGF (il colore giallo è associato ad una alta concentrazio- ne). Si noti come questo è maggiormente concentrato nella regione centrale dell’ammasso di cellule, ove la concentrazione di ossigeno è minore.

dato iniziale per la SDE (

dXtj = ∇xV (Xtj, t)dt + σdBt t ∈ [ti, ti+1]

Xtji = Htji (4.2)

e si esegue, in ogni passo temporale, un iterazione del metodo di Eulero espli- cito per SDE. Si ottiene quindi una successione di punti Tjnche rappresentano le coordinate ove si trovano le teste al temine di ogni sottointervallo tempo- rale. Più delicata è la generazione delle diramazioni: infatti la descrizione teorica fatta impone di definire per prima cosa un dominio spaziale U , e considerare successivamente una misura aleatoria su di esso. In questo caso, anziché considerare sottoinsieme ingrassato, abbiamo deciso di utilizzare i nodi Tjncome discretizzazione del dominio, si faccia riferimento alla figura 4.4. L’insieme U è quindi rappresentato come un insieme discreto, composto da un numero finito di punti. Coerentemente con le condizioni al bordo utilizzate nell’ equazione per la concentrazione di ossigeno, abbiamo considerato un singolo vaso sanguigno in corrispondenza dell’estremo sinistro del dominio,

46 CAPITOLO 4. SIMULAZIONI MICROSCOPICHE

Figura 4.4: Simulazione microscopica: le curve in rosso indicano le traiet- torie delle soluzioni del problema (4.2). Sono indicati in nero i nodi che discretizzano il dominio U .

discretizzandolo tramite nodi equispaziati. Per esso non abbiamo considerato la possibilità di una crescita ulteriore trovandosi esso già agli estremi del dominio spaziale. Per i capillari in fase di crescita si utilizzano i nodi Tjn selezionandone un opportuno sottoinsieme: considerando ogni nodo ottenuto tramite simulazione numerica si incorre infatti in un errore. Le traiettorie dell’equazione (4.2), quando il termine di drift è piccolo, hanno un compor- tamento simile ad una traiettoria Browniana. Si creano quindi numerosi aggregati in cui la traiettoria ritorna su se stessa: in corrispondenza di questi aggregati si trovano numerosi nodi Tjnmolto vicini fra loro. Questo comporta un disequilibrio quando si considera la distribuzione uniforme delle variabili Si

coinvolte nella costruzione della misura aleatoria su U . Per ovviare a questo problema abbiamo quindi considerato come nodi un sottoinsieme dei valori ottenuti tramite soluzione numerica del problema (4.2) in modo equispaziato.

La costruzione della misura aleatoria sull’insieme U segue direttamente dalla teoria delle Poisson random measure e dalla descrizione proposta nel capitolo 3. In questo caso abbiamo considerato come domino temporale un sottoinsieme limitato di R+. Così facendo la misura prodotto µ ⊗ m su

4.4. ANGIOGENESI 47

B(U ) ⊗ B([0, T ]) è una misura finita: la misura aleatoria che si ottiene è allora della forma

Y =

N

X

i=1

δ(Si,Ti)

dove N indica una variabile di Poisson di parametro µ(U )m([0, T ]) e le variabili Si e Ti sono variabili uniformi a valori in U e in [0, T ]. Ad ogni passo

temporale si considera quindi una variabile di Poisson la cui realizzazione determina il numero di variabili uniformi da simulare sull’insieme dei nodi che rappresentano l’insieme U . Avendo considerato un dato iniziale in cui vi è un vaso sanguigno già sviluppato al bordo del dominio, nelle fasi iniziali si ha una prevalenza nella formazione di diramazioni che si originano da quest’ultimo, si veda la figura 4.4.

Appendice A

Poisson random measure

Definizione A.0.1 (Random measure). Siano (E, E ) e (Ω, F ) due spazi si misura. Una random measure definita su E è una funzione

M : Ω × E −→ R+

tale che per ogni A ∈ E la funzione ω 7→ M (ω, A) sia una variabile aleatoria e, per ogni ω ∈ Ω, A 7→ M (ω, A) sia una misura su (E, E )

Definizione A.0.2 (Poisson random measure). Sia (E, E , ν) uno spazio misurabile, con ν misura σ-finita, e sia (Ω, F , P) uno spazio di probabilità. Una Poisson random measure (Prm) di media ν è una random measure

ξ : Ω × E −→ N ∪ {+∞}

a valori negli interi positivi, che soddisfi le seguenti proprietà:

• per ogni A ∈ E (eventualmente con ν(A) < ∞) la funzione ξ(·, A) è una variabile aleatoria di distribuzione Poisson(ν(A));

• se A1, A2, . . . , An∈ E sono insiemi disgiunti, allora le variabili aleatorie

ξ(·, A1), ξ(·, A2), . . . , ξ(·, An) sono indipendenti.

Da questo momento in poi scriveremo per brevità ξ(A) indicando la variabile aleatoria ξ(·, A). Una Poisson random measure è dunque una random measure a valori nei naturali in cui si prescrivono proprietà aggiuntive legate alle distribuzioni delle variabili aleatorie ottenute a partire da essa.

Il prossimo passo è dimostrare l’esistenza di una tale random measure una volta assegnata una media. Per quanto questo sia un risultato interessante di per sé quello che più ci interessa è la sua dimostrazione; questa ci fornisce infatti l’idea intuitiva di come si possa sempre rappresentare una Poisson random measure in una forma specifica.

Teorema A.0.3 (Esistenza). Sia (E, E , ν) uno spazio misurabile, con ν misura σ-finita, e sia (Ω, F , P) uno spazio di probabilità. Allora esiste una Poisson random measure di media ν.

50 APPENDICE A. POISSON RANDOM MEASURE

Dividiamo la dimostrazione in tre passi:

Lemma A.0.4 (Step 1). Se ν è una misura finita, allora esiste una Poisson random measure di media ν.

Dimostrazione. Se ν ≡ 0 allora è sufficiente prendere ξ ≡ 0, possiamo dunque supporre ν 6= 0. Siano X1, X2, . . . variabili i.i.d. a valori in E tali che per

ogni A ∈ E

P{Xi ∈ A} =

ν(A) ν(E)

e sia N : Ω → N una variabile aleatoria di Poisson di parametro ν(E), indipendente dalle variabili aleatorie Xi.

Definiamo quindi la random measure ξ come

ξ(ω, A) =

N (ω)

X

k=0

1{Xk(ω)∈A}

che possiamo riscrivere mediante la delta di Dirac

ξ(ω, A) =

N (ω)

X

k=0

δXk(ω)(A)

Verifichiamo dunque che la funzione ξ soddisfa le proprietà richieste: fissato ω ξ(ω, ·) è chiaramente una misura a valori nei naturali in quanto è somma di δ

Documenti correlati