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Un modello matematico per la crescita e la terapia del tumore primario mCRC ed una descrizione dell' angiogenesi tramite Poisson random measure.

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UNIVERSITÀ DI PISA

Corso di Laurea in Matematica

Tesi di Laurea

UN MODELLO MATEMATICO PER LA CRESCITA

E LA TERAPIA DEL TUMORE PRIMARIO MCRC

ED UNA DESCRIZIONE DELL’ANGIOGENESI

TRAMITE POISSON RANDOM MEASURE

Relatore: Candidato:

Prof. Franco Flandoli Cristiano Ricci

Controrelatore: Prof. Rita Giuliano

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Indice

Introduzione iii

1 Un modello per il tumore primario mCRC 1

1.1 Il modello senza mutazioni e chemioterapia . . . 1

1.1.1 L’equazione per Nt . . . 2

1.1.2 L’equazione per Ntipo . . . 5

1.1.3 L’equazione per Vt . . . 5

1.1.4 L’equazione per At . . . 6

1.2 Le equazioni con la terapia . . . 9

1.2.1 Il ruolo del 5-FU . . . 9

1.2.2 Il ruolo del Bevacizumab . . . 10

1.3 Le equazioni con mutazioni . . . 10

2 Risultati quantitativi 15 2.1 Preliminari . . . 15

2.1.1 Dimensioni e simulazioni tipiche . . . 15

2.1.2 Il calcolo della PFS . . . 18

2.2 Parametri . . . 20

2.2.1 Parametri in assenza di terapia . . . 20

2.2.2 Il valore di ηsens . . . 21

2.2.3 Parametri della terapia . . . 22

2.2.4 Randomizzazione dei parametri . . . 23

2.3 Simulazioni Montecarlo . . . 26

2.3.1 Curve di sopravvivenza e mediana . . . 26

2.3.2 Fattori prognostici . . . 26

3 Un modello per l’angiogenesi 29 3.0.1 Struttura di base . . . 29

3.1 Primo intervallo temporale . . . 31

3.1.1 Fase statica . . . 31

3.1.2 Fase dinamica . . . 32

3.2 Intervalli temporali successivi . . . 34

3.2.1 La fase statica . . . 34

(4)

ii INDICE 3.2.2 La fase dinamica . . . 36 4 Simulazioni microscopiche 39 4.1 Interazione cellulare . . . 39 4.2 Ossigeno e proliferazione . . . 40 4.2.1 Diffusione dell’ossigeno . . . 40 4.2.2 Interazione cellule-ossigeno . . . 42 4.3 VEGF . . . 43 4.4 Angiogenesi . . . 44 Appendici 47 A Poisson random measure 49 A.1 Integrazione rispetto ad una Poisson random measure . . . . 52

A.2 Poisson random measure centrate . . . 53

A.3 Poisson random measure dipendenti dal tempo . . . 54

A.3.1 L’Integrale stocastico . . . 55

A.3.2 Il caso centrato . . . 59

(5)

Introduzione

Negli ultimi due decenni l’oncologia matematica si è sviluppata e diffusa come disciplina a sé stante fino ad affermarsi come uno dei molti ambiti della matematica applicata moderna. I modelli tumorali finora prodotti sono principalmente divisi in due categorie, a seconda di quale sia l’obiettivo che si vuole raggiungere. Da una parte ci sono modelli molto dettagliati dal punto di vista biologico, che riescono a rappresentare i passaggi fondamentali della sviluppo tumorale sia nel caso avascolare sia in quello fortemente vascolarizzato in presenza di angiogenesi. Dall’altra ci sono modelli che si focalizzano di più sull’aspetto clinico dell’oncologia, cercando di descrivere la risposta del tumore a farmaci specifici, o i processi di invasione tramite metastasi. Per quanto lo scopo ultimo della oncologia matematica sia quello di produrre risultati utili alla pratica medica, facendo previsioni sulla velocità di crescita e sulla risposta alle terapie, lo studio dei fenomeni microscopici, a livello cellulare o dei tessuti, è estremamente importante. Infatti, per poter creare modelli di crescita più precisi, è necessario comprendere la complessa struttura multi-scala propria del cancro. Per quanto dai modelli microscopici non sia possibile ottenere risultati applicabili direttamente in ambito clinico, essi fungono da elemento fondamentale di informazione per la descrizione a livello macroscopico. Questo lavoro di tesi tratta entrambi gli aspetti.

Il cancro è caratterizzato dalla crescita incontrollata delle cellule e del-l’invasione dei tessuti. Le meccaniche che portano a tale crescita sono molto complesse e coinvolgono fenomeni che avvengono su vari livelli. Le mutazioni genetiche, che portano alla nascita delle cellule cancerose, sono dovute a degli errori di replicazione nel DNA e avvengono quindi a livello intracellulare. D’altra parte i fenomeni di invasioni e lo sviluppo di metastasi coinvolgono aree che possono variare da intere porzioni di tessuto all’intero corpo umano. Costruire un modello che inglobi tutti questi fenomeni è un compito ancora troppo arduo per la ricerca. Le meccaniche da noi prese in esame riguardano le cellule cancerose, come oggetto uniforme, e la rete vascolare come entità macroscopica portatrice di ossigeno. Non abbiamo quindi considerato i fe-nomeni su scala intracellulare, sia nel caso di cellule tumorali, sia nel caso delle cellule endoteliali che compongono la parete dei vasi sanguigni. La tesi si articola quindi in due macro sezioni. Nella prima parte presentiamo un modello recentemente sviluppato [5] per il numero di cellule nel caso di cancro

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iv INTRODUZIONE

colon-rettale il cui scopo è riprodurre risultati quantitativi relativi al trial clinico presentato in [14]. La seconda è interamente dedicata al fenomeno dell’angiogenesi.

Il primo capitolo è dedicato alla descrizione di un modello composto da un sistema di equazioni differenziali ordinarie che descrivono l’evoluzione di variabili macroscopiche quali il numero complessivo di cellule, la percentuale di cellule proliferanti, il grado di angiogenesi e la densità media di VEGF. Il sistema ingloba l’azione chemioterapica del 5-Fluorouracile e del Bevacizumab come termine di controllo. Le cellule cancerose sono distinte in due classi, sensibili e chemioresistenti. Ciascuna di queste classi è ulteriormente suddivisa in cellule normossiche, aventi la possibilità di proliferare, e cellule ipossiche. Le relazioni che intercorrono fra le varie equazioni derivano da ragionamenti di tipo biologico.

Il secondo capitolo tratta la sperimentazione numerica e le simulazioni del sistema descritto nel capitolo uno. Sono discussi in maniera approfondita i parametri coinvolti nelle equazioni ed i valori utilizzati nelle simulazioni. Tramite randomizzazione di alcuni dei parametri del modello e l’utilizzo di una tecnica Montecarlo vengono riprodotte le curve di sopravvivenza relativa alla progression free survival (PFS) associata ai farmaci utilizzati. Sono inoltre presentati alcuni possibili legami fra fattori prognostici e alcuni parametri del modello, ottenendo delle variazioni nella PFS.

Il terzo capitolo propone una descrizione spaziale dell’angiogenesi tramite l’utilizzo di misure aleatorie. Ogni ramo facente parte della rete vascolare è rappresentato dal supporto di una curva opportunamente ingrassato. L’evo-luzione temporale del sistema è divisa in un numero finito di sottointervalli temporali. Ciascuno di questi è composto da una fase statica in cui, tramite Poisson random measure, si stabilisce dove si andranno a formare le nuove diramazioni, e una dinamica in cui in cui i capillari si sviluppano secondo la dinamica opportuna.

Nel quarto e ultimo capitolo vediamo delle sperimentazioni numeriche raffiguranti la crescita tumorale da un punto di vista microscopico. La strut-tura base comprende un sistema di particelle interagenti, che rappresentano le cellule tumorali, la diffusione dell’ossigeno a partire dai vasi sanguigni e la diffusine di VEGF a partire dalla cellule ipossiche. È inoltre incluso il fenomeno della proliferazione dipendente dal livello di ossigeno. Lo sviluppo dell’angiogenesi segue la descrizione proposta nel terzo capitolo.

(7)

Capitolo 1

Un modello per il tumore

primario mCRC

In questo capitolo presentiamo un modello generale per la crescita tumorale basato su [5]. Quest’ultimo è stato concepito specificatamente per descrivere il caso del tumore primario del cancro colon-rettale viste le sue caratteristiche specifiche. Abbiamo preferito considerare un numero esiguo di variabili pur cercando di inglobare i meccanismi principali che avvengono durante lo sviluppo tumorale. La scelta delle variabili coinvolte è stata in parte dovuta a [11] che, per quanto sia un modello estremamente più complesso, sottolinea l’importanza di distinguere cellule proliferanti da cellule ipossiche e di introdurre la produzione di VEGF e la crescita angiogenica che ne consegue. Le equazioni inglobano inoltre, come termine di controllo, l’azione di due agenti chemioterapici specifici. Le cellule considerate vengono quindi ulteriormente suddivise in sensibili e chemioresistenti, la cui comparsa è dovuta a mutazioni genetiche. Descriviamo di seguito le equazioni coinvolte, iniziando dal caso senza mutazioni e senza chemioterapia.

1.1

Il modello senza mutazioni e chemioterapia

Le variabili considerate sono:

• Ntsens,norm numero di cellule normossiche, sensibili alla chemioterapia;

• Ntsens,ipo numero di cellule ipossiche, sensibili alla chemioterapia;

• Vt livello medio di VEGF;

• At livello medio di vascolarizzazione del sito tumorale.

Per semplicità di notazione, essendo questa sezione interamente dedicata al caso senza mutazioni, abbandoniamo l’apice sens (sensibli alla chemioterapia). Scriveremo quindi semplicemente Ntnormper le cellule normossiche e Ntipo per

(8)

2 CAPITOLO 1. UN MODELLO PER IL TUMORE PRIMARIO MCRC

le cellule ipossiche. Di nuovo, al fine di alleggerire la notazione, introduciamo la variabile aggiuntiva

• Nt= Ntnorm+ N ipo t .

Procediamo quindi a descrivere le singole equazioni coinvolte.

1.1.1 L’equazione per Nt

La struttura di base dell’equazione per Nt è

d

dtNt= λN

norm

t − µNt.

Questa forma generale per la crescita cellulare è molto presente in letteratura, si veda ad esempio [Perthame]. Quest’ultima si basa su un raffinamento dello schema di crescita esponenziale

d

dtNt= λNt

che da tempo di si è dimostrato inesatto nelle applicazioni in ambito tumorale. La dinamica esponenziale non riesce infatti a cogliere il rallentamento naturale della crescita quando le dimensioni raggiungono una certa soglia. Si sostituisce quindi il termine Nt con Ntnorm stabilendo quindi la relazione fra la derivata di Nt e le sole cellule proliferanti (corrispondenti appunto Ntnorm). Alcuni

modelli più elementari considerano solamente il termine proliferativo. Nel nostro caso, al fine di ottenere un buon comportamento qualitativo nella sperimentazione numerica, è stato necessario introdurre anche un termine relativo alla morte cellulare. Mentre la crescita è da attribuirsi solamente alla parte proliferante, il decadimento coinvolge ogni tipologia cellulare considerata: la parte proliferante subisce una diminuzione a causa delle mutazioni che avvengono durante la fase di duplicazione, la parte ipossica a causa della carenza di ossigeno origina numerose cellule apoptotiche. Questi due fenomeni hanno chiaramente due rate differenti: questa discrepanza può però essere assorbita nei coefficienti λ e µ nel modo seguente

d

dtNt= λN

norm

t − µ1Ntnorm− µ2Ntipo

= (λ − µ1)Ntnorm− µ2Ntipo= ˜λNtnorm− ˜µN ipo t .

Supponendo che i termini Ntnorm e Ntipo abbiamo due coefficienti differenti è possibile raggruppare i termini di mortalità e di natalità in un unico termine, correggendo la costante moltiplicativa. La formula originaria rimane dunque corretta a meno di correggere le costanti coinvolte.

Procediamo dunque a descrivere il termine Ntnorm che determina il tasso di crescita. Assumiamo che ci siano due tipi di potenziali cellule proliferanti:

(9)

1.1. IL MODELLO SENZA MUTAZIONI E CHEMIOTERAPIA 3

quelle che sono situate vicino al bordo esterno della massa tumorale e quelle che, non sono vicino alla parete esterna, ma sono raggiunte dalla rete vascolare prodotta dalla cascata angiogenica. Queste due classi di cellule sono disgiunte e ciascuna contribuisce quindi al numero complessivo di cellule normossiche tramite un termine additivo. In questa fase, volendo trattare termini dipen-denti dal bordo esterno, entra in gioco la geometria dell’aggregato cellulare considerato. Supporremo quindi che il tumore considerato abbia un forma sferica. Questo chiaramente rappresenta solo un’approssimazione della reale forma dell’ ammasso tumorale. La rugosità della superficie, così come le molteplici caratteristiche spaziali determinate dalla complessa geometria dei tessuti, non possono essere efficacemente descritti dall’equazione per Ntnorm a meno di non aggiungere una dipendenza spaziale nelle equazioni. L’ap-prossimazione sferica è più o meno realistica in funzione della tipologia di cancro considerato: nel caso del tumore primario del cancro colon-rettale l’approssimazione sferica risulta sufficientemente accurata. Supponiamo

Ntnorm= Ntborder+ Ntangio.

Il contributo dato dal termine di bordo è dato da

Ntborder= Nt  1 − 1 1 + Nt1/3/2η !3  (1.1)

dove η indica lo spessore della corona proliferante esterna, misurata in numero di diametri cellulari. Abbandoniamo per il momento la dipendenza dall’indice temporale t, che supponiamo fissato, e concentriamoci quindi solo sulla formula (1.1). Per giustificare questa espressione supponiamo che il tumore occupi una regione di spazio sferica di raggio R e che solo la corona circolare più esterna, di spessore δ, abbia la possibilità di proliferare. Assumiamo inoltre che ogni cellula abbia una forma a sua volta sferica, di raggio r, e che l’insieme complessivo delle cellule occupi completamente il volume globale. Sotto queste assunzioni vale

N = 4 3πR3 4 3πr3 = R r 3 .

La corona circolare esterna di spessore δ ha volume 4

3πR

34

3π(R − r)

3

Anche in questo caso assumeremo che tale volume sia interamente occupato da cellule di raggio r. In questo caso il numero Nborder è dato da

Nborder= 4 3πR 3 4 3π(R − r) 3 4 3πr3 = R r 3 1 −  1 − δ R 3! = N 1 −  1 − δ R 3! .

(10)

4 CAPITOLO 1. UN MODELLO PER IL TUMORE PRIMARIO MCRC

Il nostro scopo è esprimere questo termine come funzione delle sole variabili N e η. Dobbiamo quindi esprimere il termine δ/R come funzione di questi ultimi parametri. Consideriamo due regimi estremali: quando il tumore è molto grande possiamo supporre che δ corrisponda ad un certo numero η di diametri cellulari, da cui δ = 2rη. Quando le dimensioni sono molto ridotte possiamo invece assumere che ogni cellula disponga di sufficiente ossigeno a dare inizio al ciclo proliferativo, in questo caso δ = R. Otteniamo dunque

δ R =

(

1 N grande 2η/N1/3 N piccolo

Una funzione che interpoli lo schema precedente durante entrambi i regimi è data da

δ

R = f (N, η) =

1 1 + N1/3/2η.

Sostituendo questa espressione nella formula per Nborder si arriva a (1.1). Osservazione. Quando il numero di cellule diventa considerevole, se N1/3/η  1, si ha Nborder ∼ N 1 −  1 − 2η N1/3 3! ∼ 3N 2η N1/3 = 6ηN 2/3.

Per questo motivo talvolta faremo riferimento all’equazione (1.1) come la formula dei 2/3. Una legge di proliferazione basata sull’esponente 2/3 è già apparsa in letteratura, si vedano ad esempio [22],[24]. Tuttavia la formula (1.1) è più dettagliata: per valori grandi della variabile N segue la legge dei 2/3. Quando il valore N è piccolo vale Nborder ∼ N cioè vale la legge esponenziale.

Discutiamo adesso del contributo alle cellule normossiche dato dal termine Ntangio. Una strategia elementare consiste nel definire

Ntangio= AtNt.

In questo modo però, in presenza di angiogenesi, il contributo delle cellule che si trovano sulla parete esterna viene contato due volte. Abbiamo quindi deciso di applicare un ragionamento simile al precedente: con le stesse notazioni, il numero di cellule facenti parte della sfera interna di raggio (R − δ) è dato da

4 3π(R − δ) 3 4 3πr3 = R r 3 1 − δ R 3 = N  1 − 1 1 + N1/3/2η 3 . Si definisce quindi Ntangio= AtNt 1 − 1 1 + Nt1/3/2η !3 .

(11)

1.1. IL MODELLO SENZA MUTAZIONI E CHEMIOTERAPIA 5

Osservazione. In questo caso per N grande

Nangio= N  1 − 1 1 + N1/3/2η 3 ∼ N

indicando il contributo esponenziale del termine Nangio che diventa quindi preponderante rispetto alla legge dei 2/3.

L’equazione complessiva per la variabile Ntnorm, senza mutazioni e senza termine di controllo per la chemioterapia, assume quindi la forma

Ntnorm= Nt  1 − 1 − 1 1 + Nt1/3/2η !3 + AtNt 1 − 1 1 + Nt1/3/2η !3 .

1.1.2 L’equazione per Ntipo

Descriviamo adesso il termine Ntipo. Quest’ultimo è molto rilevante in quanto è il termine che contribuisce all’aumento del valore di Vt e permette quindi

all’angiogenesi di svilupparsi. Avendo distinto le cellule tumorali in sole due tipologie, normossiche e ipossiche, otteniamo immediatamente

Ntipo= Nt− Ntnorm = Nt− Nt  1 − 1 1 + Nt1/3/2η !3 + AtNt 1 − 1 1 + Nt1/3/2η !3 = (1 − At)Nt 1 − 1 1 + Nt1/3/2η !3 .

Si osservi in particolare come, coerentemente con il comportamento qualitati-vo, se il valore di At è alto (prossimo a uno) il numero di cellule ipossiche è minore in quanto l’apporto di ossigeno è maggiore.

1.1.3 L’equazione per Vt

Ricordiamo che Vt indica il livello medio di VEGF presente nel sito tumorale.

Ricordiamo inoltre che la sintesi di VEGF è stimolata dalle cellule in stato di ipossia, e che quest’ultimo è assorbito dalle cellule endoteliali facenti parte delle pareti dei vasi sanguigni. L’equazione per Vt è

d dtVt=  Cipo→V Ntipo Nt !2/3 − CA,VAt  Vt(1 − Vt). (1.2)

Il fattore Vt(1−Vt) ha il ruolo di restringere i valori di Vtall’intervallo (0, 1),

(12)

6 CAPITOLO 1. UN MODELLO PER IL TUMORE PRIMARIO MCRC

−CA,VAt descrive l’assorbimento del VEGF da parte delle cellule endoteliali.

L’elemento più importante dell’equazione (1.2) è dato da Nipo

t

Nt

2/3

: questo descrive il contributo delle cellule ipossiche alla sintesi del VEGF. Una regola basata sull’esponente 2/3 legata all’angiogenesi è stata presentata in [10]. Per descriver tale contributo abbiamo deciso di utilizzare una funzione del rapporto fra il numero di cellule ipossiche e il numero complessivo di cellule. Questo in parte non è corretto in quanto la produzione di VEGF dipende direttamente dal numero di cellule ipossiche: avendo però considerato una “media” del VEGF senza una dipendenza spaziale una approssimazione data da questo rapporto è preferibile. Tale scelta, così come la scelta dell’esponente 2/3, deriva da una considerazione di tipo fisico: consideriamo una sfera composta da cellule ipossiche come una sfera di raggio (R − δ) con una carica elettrostatica uniforme. Questa induce un campo elettrico radiale la cui intensità a distanza r è

E(r) = C(R − δ)

3

r2 .

Il potenziale sul bordo della sfera è dato da

V (R) = C(R − δ)2.

Questo corrisponde al lavoro fatto dal campo elettrico per muovere una carica puntiforme da infinito fino al bordo della sfera. In analogia possiamo interpretare il campo VEGF come il lavoro necessario a muovere un vaso sanguigno da infinito fino alla sfera di cellule ipossiche. Il VEGF dovrebbe quindi avere la medesima forma del potenziale elettrico, cioè

Vt= C(Rt− δt)2= ˜C(Ntipo)2/3

dove ˜C è una nuova costante, dipendente da C.

1.1.4 L’equazione per At

Nella scelta dell’equazione per la funzione At abbiamo inizialmente fissato

due requisiti: • At∈ (0, 1);

• la dinamica di At deve dipendere dal valore stesso di Ate dal valore Vt

indicante il livello medio di V EGF .

Come nel caso di Vt la prima richiesta è convenzionale: essendo Vt il livello medio di concentrazione di VEGF, senza alcuna dipendenza spaziale, il livello massimo è stato convenzionalmente fissato al valore 1. La prima scelta operata è stata quindi

d

(13)

1.1. IL MODELLO SENZA MUTAZIONI E CHEMIOTERAPIA 7

Questa forma soffriva però di numerosi problemi, sia dal punto di vista nume-rico, sia da quello concettuale. Il comportamento quantitativo e qualitativo delle soluzioni, osservato tramite simulazione numerica, non era corretto: durante le fasi iniziali di sviluppo dell’angiogenesi, quando il valore di At è

prossimo a zero, la crescita di At è infinitesima, troppo lenta rispetto ai dati

presentati nella letteratura medica disponibile. In questo caso la simulazione numerica è stata fondamentale per evidenziare i difetti della dinamica utiliz-zata. Abbiamo quindi corretto l’equazione introducendo un termine costante Apre che rappresenta il contributo dovuto alla rete vascolare preesistente

d

dtAt= CVt(At+ Apre)(1 − At). (1.3) Il tasso di crescita è modulato dalla costante moltiplicativa C, mentre il termine Apre permette di ottenere un rate di crescita corretto anche nelle fasi iniziali di sviluppo. Per quanto migliore rispetto alla precedente l’equazione (1.3) è ancora concettualmente sbagliata. Affinché si dia inizio alla cascata angiogenica il valore di Vtdeve essere superiore a una certa soglia: ricordiamo infatti che il VEGF è una proteina la cui sintesi è indotta dalle cellule ipossiche. Al fine di creare nuove diramazione l’azione del VEGF sulle cellule endoteliali, che compongono le pareti dei vasi sanguigni, deve raggiungere una certa intensità. Le singole proteine devono inoltre, partendo dalla parte interna dell’ammasso canceroso, diffondersi fino a raggiungere la rete vascolare. Si inserisce quindi un termine costante Vthrsld che rappresenta il livello minimo di Vt che da inizio all’angiogenesi. Otteniamo quindi

d

dtAt= C(Vt− Vthrsld)1Vt>Vthrsld(At+ Apre)(1 − At) (1.4)

Il comportamento qualitativo della dinamica descritta dall’equazione prece-dente si è dimostrato corretto in tutte le fasi della crescita. D’altra parte lo scopo principale di questo modello è quello di descrivere la dinamica tumorale anche durante le fasi terapeutiche: l’utilizzo di Bevacizumab, il farmaco antiangiogenico preso in esame nella sezione 1.2, legandosi alle proteine del VEGF fa regredire la rete vascolare neosviluppata. La dinamica regressiva seguita in questo caso è però differente da quella espressa dall’equazione (1.4). Infatti i capillari recentemente formati, che non hanno ancora formato una struttura solida, sono distrutti facilmente e in un tempo molto più breve, dell’ordine di una settimana, rispetto al tempo necessario per la loro crescita. Al contrario la rete vascolare meno recente, che ha quindi raggiunto un certo livello di solidità, impiega un tempo molto più lungo per disgregarsi. Tramite numerose simulazioni numeriche abbiamo quindi deciso, accettando un certo grado di approssimazione, di adottare la seguente legge per la fase regressiva

d

dtAt= −2A

k

(14)

8 CAPITOLO 1. UN MODELLO PER IL TUMORE PRIMARIO MCRC

Osservazione. La soluzione in questo regime specifico è

At= (2(k − 1)t + A−(k−1)0 )−

1 k−1

e decresce quindi velocemente nella prima fase e rallenta successivamente. Questo regime è da utilizzare solamente nella fase di decrescita, da cui l’indicatrice1Vt≤Vthrsld. Globalmente, utilizzando separatamente questi due

regimi, otteniamo la seguente equazione per At

d

dtAt= 1Vt>VthrsldCV →A(Vt− Vthrsld)(At+ Apre)(1 − At) − 1Vt≤Vthrsld2A

k t.

(1.5) Per una descrizione alternativa dell’angiogenesi tramite equazioni differenziali ordinarie si veda [10]. Per quanto il comportamento qualitativo in alcuni regimi specifici sia simile ad altri modelli presentati in letteratura, l’equazione (1.5) ha prodotto ottimi risultati al fine di riprodurre i dati statistici clinici

presentati nel capitolo 2.

Osservazione. Come si può vedere il termine di derivata per la funzione At

è discontinuo. Per quanto la descrizione esatta dal punto di vista biologico sia quella riportata nell’equazione (1.5) dal punto di vista delle simulazioni numeriche, così come dell’esistenza della soluzione, abbiamo sempre conside-rato una mollificazione delle indicatrici che compaiono nell’equazione (1.5). Indicheremo quindi con1εV

t>Vthrsld una funzione mollitificata di1Vt>Vthrsld di

classe C∞.

Reintroducendo la notazione Ntsens, le equazioni senza mutazioni e senza terapia sono d dtN sens t = λNtsens 1 −  1 1 + (Ntsens)1/3/2η 3! +λAtNtsens  1 − 1 1 + (Nsens t )1/3/2η 3 − µNsens t Ntsens,ipo= (1 − At)Ntsens  1 − 1 1 + (Ntsens)1/3/2η 3 d dtVt=  Cipo→V Ntsens,ipo Nsens t !2/3 − CA,VAt  Vt(1 − Vt) d dtAt= 1 eps

Vt>VthrsldCV →A(Vt− Vthrsld)(At+ Apre)(1 − At) − 1

eps

Vt≤Vthrsld2A

k t

(15)

1.2. LE EQUAZIONI CON LA TERAPIA 9

1.2

Le equazioni con la terapia

Indichiamo i termini di controllo corrispondenti al 5-FU e al Bevacizumab rispettivamente con uF Ut e ubevat . Prima di descriverle singolarmente nel dettaglio specifichiamo che queste funzioni sono nulle in assenza di terapia. Esse descrivono rispettivamente la concentrazione di 5-FU e di Bevacizumab nel tessuto tumorale. Precisiamo inoltre che la concentrazione nei tessuti non corrisponde alla concentrazione nel plasma, la quale ha generalmente una durata molto minore rispetto a quella da noi considerata. Anche in questo caso, come per l’equazione di At e Vt, non includiamo alcune dipendenza spaziale e consideriamo quindi come variabile il livello medio di concentrazione.

1.2.1 Il ruolo del 5-FU

Il termine uF Ut è inserito nell’equazione per Ntsens come termine di controllo relativo alla parte proliferante

d dtN sens t = λN sens,norm t (1 − uF Ut ) − µNtsens.

Ricordiamo che l’azione di alcuni specifici agenti chemioterapici, come il 5-FU, riguarda solamente le cellule proliferanti. I fattori considerati nella scelta per la funzione uF Ut sono:

• la concentrazione di 5-FU nei tessuti decade esponenzialmente nel tempo;

• il tasso di mortalità è, nelle fasi iniziali, superiore al tasso λ di prolife-razione cellulare;

• quando la concentrazione di 5-FU è bassa la crescita riprende, ma con un rate più piccolo rispetto a quello originario.

In ogni periodo fra due somministrazioni successive, si veda il capitolo 2 per maggiori dettagli, si definisce

uF Ut = (1 + CF U) exp  −log(1 + CF U) NF U t 

dove si suppone CF U  1. NF U rappresenta il numero di giorni di azione del fluorouracile ed il suo ruolo è quindi discusso nel dettaglio nel capitolo 2. All’inizio di un singolo ciclo di chemioterapia, quando la concentrazione è massima, il rate di crescita è

λ(1 − uF U0 ) = −λCF U.

Il fattore moltiplicativo CF U agisce quindi da termine moltiplicativo per la velocità con cui le cellule muoiono in seguito all’azione del 5-FU. Osserviamo

(16)

10CAPITOLO 1. UN MODELLO PER IL TUMORE PRIMARIO MCRC

inoltre che, per la forma del termine all’interno dell’esponenziale, al tempo t = NF U si ha uF Ut = 1 ed il rate di crescita al termine dei giorni di azione

è dunque λ(1 − uF UF U) = 0. Il termine NF U indica quindi il tempo affinché

la cura perda il suo effetto e, nell’istante di tempo corrispondente, si ha un equilibrio ideale del numero di cellule. Successivamente la crescita riprende con un rate λ(1 − uF Ut ) ≤ λ ed è asintotica a λ per t che tende all’infinito.

1.2.2 Il ruolo del Bevacizumab

Il termine ubevat è inserito all’interno dell’equazione differenziale per Vt

d dtVt=  Cipo→V Ntsens,ipo Nsens t !3

− CA,VAt− Cbeva→Vubevat

Vt(1 − Vt).

Come anticipato il bevacizumab agisce direttamente sul livello medio di VEGF e quindi indirettamente sul grado di angiogenesi. Così come nel caso del fluorouracile descriviamo la funzione ubevat nell’intervallo di tempo che intercorre fra due successive somministrazioni

ubevat = exp  −log 2 NBV t  .

La costante Cbeva→V, inglobata nell’equazione per Vt, module l’intensità dell’azione del bevacizumab. In questo caso la costante NBV, discussa in

maniera più approfondita nel capitolo 2, rappresenta il tempo di dimezzamento della concentrazione di bevacizumab.

1.3

Le equazioni con mutazioni

L’introduzione di mutazioni chemioresistenti è stato un passo fondamentale al fine di ottenere un buon comportamento delle soluzioni durante la fase di terapia. Il modello senza mutazioni infatti non riesce a cogliere appieno la risposta delle cellule alla chemioterapia. La risposta ai farmaci è infatti completamente determinata dai parametri delle funzioni uF Ut e ubevat descritti nella sezione precedente: se il numero di giorni di azione del fluorouracile, variabile da paziente a paziente, è sufficientemente grande il numero di cellule subirà una caduta continua. In caso contrario la cura sarà completamente inefficace sin dalla prima somministrazione. Questo non rispecchia la realtà, perlomeno nel caso del cancro colon-rettale, dove inizialmente la terapia ha un effetto positivo, facendo diminuire il numero di cellule cancerose, e perde di efficacia successivamente. Questo non è da attribuire al decadimento della concentrazione degli agenti chemioterapici nel tessuto, in quanto il diminuire dell’effetto citotossico si verifica anche in seguito a somministrazione successive. È oramai appurato che la causa della perdita di efficacia della cura sia da

(17)

1.3. LE EQUAZIONI CON MUTAZIONI 11

attribuirsi alla presenza di cellule insensibili ad alcune tipologie specifiche di agenti chemioterapici, si vedano [13], [19]. Vi sono altri fenomeni che contribuiscono alla perdita di efficacia della cura, come la presenza di effetti collaterali e problemi dovuti alla formazione di metastasi, tuttavia, al fine ti mantenere la semplicità del modello, abbiamo considerato le mutazioni come unica causa. A tal fine abbiamo quindi considerato i due seguenti elementi fondanti:

• durante la fase di duplicazione ogni cellula ha una minima probabilità p di sviluppare una mutazione chemioresistente al 5-FU;

• ogni discendente di una cellula chemioresistente è a sua volta chemiore-sistente.

Introduciamo quindi le nuove quantità relative alle cellule resistenti:

• Nres

t = numero totale di cellule chemioresistenti;

• Ntres,norm= numero di cellule chemioresistenti normossiche;

• Ntres,ipo= numero di cellule chemioresistenti ipossiche.

Con questa notazione si ha

Ntres= Ntres,norm+ Ntres,ipo.

La popolazione totale di cellule cancerose è dunque composta da cellule sensibili Ntsens e dalle cellule resistenti

Nt= Ntsens+ Ntres

rispettivamente suddivise in normossiche e ipossiche.

Utilizzare una regola esatta per legge di crescita delle cellule resisten-ti richiederebbe una disresisten-tinzione ad-hoc in funzione della loro distribuzione all’interno della massa tumorale; infatti all’interno della sfera ipotetica di cellule sensibili, che rappresentano la gran parte delle cellule tumorali, si andranno a creare numerosi cluster di cellule mutate. In questo caso allora l’approssimazione sferica non può essere una scelta valida per entrambe le popolazioni, in quanto la disponibilità di ossigeno all’interno dei cluster sud-detti è notevolmente inferiore. Al fine di stabilire una regola, si approssimata ma che sia in grado di cogliere gli elementi principali del caso generale, ana-lizziamo la situazione prima e dopo l’inizio della terapia. Nella fase iniziale, quando Ntsen  Nres

t , l’approssimazione sferica per le cellule sensibili rimane

accurata e l’equazione per Ntsens in questo caso è invariata. Per quanto riguarda le cellule resistenti la situazione è più complessa: queste si originano a partire dalla duplicazione cellulare ed è quindi plausibile supporre che, al momento della loro nascita, si trovino nelle regioni di tumore ove il numero

(18)

12CAPITOLO 1. UN MODELLO PER IL TUMORE PRIMARIO MCRC

di proliferazioni è maggiore. Prima che l’angiogenesi entri in gioco queste avvengono quasi esclusivamente sulla parete esterna, ed è quindi naturale ipo-tizzare che alcuni cluster di cellule mutate si creino sul bordo e abbiano quindi accesso al nutrimento in tutte le fasi dello sviluppo. La fase pre-angiogenica è però molto breve e coinvolge un numero esiguo di cellule se paragonata all’intero periodo di sviluppo. È certamente possibile che alcune mutazioni avvengano direttamente nella regione più interna in quanto, in seguito allo svilupparsi dei nuovi capillari, anche il nucleo centrale dell’ammasso tumorale ha la possibilità di proliferare. Concludiamo quindi che nella fase pre-terapia la porzione di cellule resistenti riceva ossigeno dalla rete vascolare preesistente, ma in una frazione molto minore rispetto alle cellule sensibili. Nella fase suc-cessiva al trattamento la situazione è differente: come descritto nella sezione 1.2 l’effetto citotossico del 5-FU riguarda solamente le cellule che si trovano in fase di duplicazione. L’effetto comincia quindi a manifestarsi a partire dalla corna circolare più esterna riducendo il numero di cellule sensibili e lasciando invariato quello delle resistenti. In questa fase l’apporto di ossigeno alle cellule mutate dato dal termine di bordo è approssimabile con l’intera la corona circolare esterna. Abbiamo quindi deciso di utilizzare la stessa la struttura dell’equazione per Ntsens anche per la variabile Ntres introducendo un termine ηres variabile che tenga conto delle due diverse situazioni. Nella

prima si fissa un valore ηres < ηsens = η, mentre nella seconda si sceglie

ηres= ηsens. Lo scheletro di base dell’equazione per Ntres è

d dtN res t = λNtres 1 −  1 1 + (Ntres)1/3/2η res 3! +λAtNtres  1 − 1 1 + (Nres t )1/3/2ηres 3 − µNres t .

Questa equazione tiene conto solamente della proliferazione delle cellule che hanno già subito una mutazione e non descrive il processo di mutazione in seguito a una duplicazione. Consideriamo quindi un intervallo temporale infinitesimo [t, t + ∆t]: il numero di cellule chemioresistenti originate in questo intervallo temporale è

p · λNtsens,norm∆t

poiché λNtsens,norm∆t rappresenta il numero di proliferazioni (in media) in questo intervallo. Il numero medio di discendenti chemioresistenti equivale dunque a

p · λNtsens,norm∆t.

Ricordiamo inoltre che, durante la duplicazione, quando si presentano errori di trascrizione del codice genetico, fenomeno all’originane delle mutazioni, questi nella maggior parte dei casi riguardano solamente una delle due cellule figlie. Osserviamo inoltre che la dinamica appena descritta è esatta solo in

(19)

1.3. LE EQUAZIONI CON MUTAZIONI 13

assenza di terapia: in tale situazione infatti il 5-FU, interagendo con le cellula in fase proliferativa, provoca errori di duplicazione che spingono la cellula ad iniziare il ciclo di apoptosi dopo il quale giunge alla morte. La formula precedente, opportunamente corretta, diventa

max{0, p · λNtsens,norm(1 − uF Ut )}∆t.

L’equazione per Ntres è quindi d dtN res t = max{0, p · λN sens,norm t (1 − uF Ut )} + λN res,norm t − µNtres

= max{0, p · λNtsens,norm(1 − uF Ut )} + λNtres 1 −  1 1 + (Ntres)1/3/2η res 3! +λAtNtres  1 − 1 1 + (Ntres)1/3/2η res 3 − µNtres.

Dobbiamo inoltre apportare una modifica all’equazione per Ntsens: infatti il meccanismo di mutazione corrisponde ad un cambio di specie e dobbiamo quindi sottrarre la stessa quantità di individui dalla specie di partenza. Per questo motivo l’equazione per Ntsens diventa

d dtN sens t = (1 − p)λN sens,norm t − µNtsens = (1 − p)λNtsens 1 −  1 1 + (Nsens t )1/3/2ηsens 3! +(1 − p)λAtNtsens  1 − 1 1 + (Ntsens)1/3/2η sens 3 − µNtsens

Essendo il valore di p molto piccolo si ha in realtà (1 − p)λ ∼ λ ma per correttezza concettuale abbiamo preferito apportare questa modifica.

Avendo utilizzato la stessa legge proliferativa delle cellule sensibili per le resistenti, anche la formula per la porzione ipossica di cellule resistenti è analoga Ntres,ipo= (1 − At)Ntres  1 − 1 1 + (Nres t )1/3/2ηres 3 .

Avendo introdotto due distinte popolazioni di cellule tumorali dobbiamo correggere anche l’equazione per Vt

d dtVt=  Cipo→V Ntsens,ipo+ Ntres,ipo Ntsens+ Ntres !2/3 − CA,VAt  Vt(1 − Vt)

(20)
(21)

Capitolo 2

Risultati quantitativi

In questo capitolo vedremo i risultati delle simulazioni numeriche relative al sistema di equazioni descritto nel capitolo 1. In particolare vedremo come il sistema riesce a cogliere alcuni fenomeni chiave dello sviluppo, quali l’innesco dell’angiogenesi e il tempo medio di raddoppio. Infine, randomizzando in modo opportuno alcuni parametri del modello e applicando una schedule di somministrazione dei farmaci coerente con [14], otterremo delle curve di sopravvivenza, relative alla PFS, coerenti con quelle ottenute a partire dal trial clinico preso in esame.

2.1

Preliminari

2.1.1 Dimensioni e simulazioni tipiche

Al fine di produrre delle simulazioni che siano più coerenti possibile con la realtà abbiamo cercato di riprodurre alcuni passaggi fondamentali della crescita tumorale. Per far ciò è stato necessario identificare tali fenomeni e interpretarli all’interno del modello da noi costruito. È stato dunque necessario ottenere una stima, se pur con un certo di grado di approssimazione, delle dimensioni del tumore in funzione del numero di cellule. Avendo utilizzato una approssimazione sferica per l’equazione per Ntabbiamo fatto lo stesso in questo caso. Abbiamo quindi considerato un diametro di 12µm per le cellule tumorali abbiamo quindi la corrispondenza

1mm3∼ 106cellule

1cm3 ∼ 109cellule

Un volume di 1mm3 è la grandezza tipica di un tumore, nel caso colon rettale, nella fase avascolare. Vi sono ancora molti studi volti ad indagare le dimensioni al quale l’angiogenesi inizi a svilupparsi, si veda [4]. Si è tuttavia stimato che in media tale fenomeno inizia a presentarsi quando le dimensioni si trovano in un range fra 1 e 2mm3. Espresso in numero di cellule questo si

(22)

16 CAPITOLO 2. RISULTATI QUANTITATIVI 1 2 3 4 5 6 7 8 tempo (anni) 60 80 100 120 140 160 180

doubling time (giorni)

DT medio = 107

Figura 2.1: Tempo di raddoppio istantaneo espresso in numero di giorni

traduce in un range che va da 106 a 2 · 106. Un volume di 1cm3 rappresenta invece la soglia media oltre la quale il tumore viene rilevato: espresso in numero di cellule questo valore corrisponde all’incirca a 109. Tale valore ha certamente un certo grado di incertezza ed è variabile caso per caso: i valori da noi considerati, si vedano [29], [16], variano da 109 a 1010. Al fine di ottenere una crescita realistica abbiamo quindi analizzato i tempi medi per raggiungere la soglia rilevabile. Il cancro colon-rettale è riconosciuto come una delle tipologia dalla crescita più lenta. Il tempo di raddoppio (DT), cioè il tempo impiegato per ottenere un raddoppiamento del volume, è tuttora molto studiato e controverso: la letteratura esistente presenta valori per DT che variano da 60 a 180 giorni. È importante sottolineare che il tempo di raddoppio non è un valore costante (si avrebbe altrimenti una crescita esponenziale). Si è stimato, si veda [23], che il tempo medio per raggiungere le dimensioni di 1cm3 è all’incirca di 8 anni. Abbiamo quindi imposto un tempo di circa 8 anni per raggiungere la soglia 109. Abbiamo quindi calcolato il tempo di raddoppio istantaneo e ottenuto un valore medio di 107 giorni, si veda la figura 2.1, rientrando quindi nel range proposto in letteratura.

(23)

2.1. PRELIMINARI 17

3 6 9 I 3 6 9 II 3 6 9 III 3 6 9 IV 3 6 9 V 3 6 9 VI 3 6 9 VII 3 6 9VIII3 6 9 IX 3 6 9 X 3 tempo (mesi) 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14

numero di cellule (log10)

1 cm3

angiogenic switch

I II III IV V VI VII VIII IX X

0 2 4 6 8 10 12 14 N

I II III IV V VI VII VIII IX X

0 2 4 6 8 10 12 14 Nipo

I II III IV V VI VII VIII IX X

0 0.2 0.4 0.6 0.8 1 1.2 A

I II III IV V VI VII VIII IX X

0 0.2 0.4 0.6 0.8 1 V

Figura 2.2: Simulazione in scala logaritmica in assenza di terapia. La curva in blu rappresenta il numero totale di cellule tumorali, includendo cioè sia le cellule sensibili che le mutate. La curva verde indica invece la sola popolazione delle cellule mutate. I simboli  indicano il range in cui si prevede l’inizio dello sviluppo dell’angiogenesi. Il primo simbolo ∗ indica il momento in cui effettivamente inizia il suo sviluppo. Il secondo simbolo ∗ indica l’istante di tempo in cui il numero complessivo di cellule raggiunge la soglia 109. I grafici in piccolo rappresentano un grafico qualitativo delle grandezze Nt, Ntipo,At+ A0,Vt.

(24)

18 CAPITOLO 2. RISULTATI QUANTITATIVI

2.1.2 Il calcolo della PFS

Ricordiamo che con PFS, o Progressio Free Survival, si indica la lunghezza dell’intervallo di tempo in cui la terapia risulta efficace. Tale intervallo è delimitato dai seguenti due estremi: l’estremo sinistro è rappresentato dall’inizio della terapia mentre l’estremo destro è definito come il momento in cui vi è ripresa della crescita, cioè il momento in cui la cura perde efficacia. La definizione esatta è stabilita dai criteri RECIST (Response Evaluation Criteria In Solid Tumors). I criteri RECIST sono stati presentati per la prima volta nel 2000 in [26] e stabiliscono la seguente regola: l’istante in cui vi è ripresa della crescita è dato dalla prima misurazione in cui la lunghezza del semiasse maggiore del tumore è maggiore del 20% rispetto alla minima lunghezza misurata dopo la prima somministrazione. Questi criteri sono universalmente accettati ed utilizzati in ogni trial clinico relativo alla sperimentazione di un determinato farmaco. La misurazione del semiasse maggiore può essere eseguita con molteplici tecniche e strumentazioni e comporta quindi un certo grado di approssimazione. Nel 2009 tali criteri sono stati revisionati, si veda [6], introducendo una regola aggiuntiva per dimensioni troppo piccole per essere misurate in maniera corretta tramite le strumentazioni disponibili. Nel nostro caso, basandoci su [14], alla cui data di pubblicazione la revisione del 2009 non era disponibile, ci siamo basati sulla versione del 2000. In linea con [14] abbiamo adottato la seguente schedule di somministrazione: sia nel caso del 5-FU che del bevacizumab l’intera terapia è divisa in 12 cicli composti da 8 settimane ciascuno. All’interno di un singolo ciclo il 5-FU viene somministrato all’inizio di ogni settimana per le prime 6 settimane, mentre il bevacizumab viene somministrato ogni due settimane per l’intera durata del ciclo.

Al fine di misurare la risposta alla terapia nelle simulazioni numerica abbiamo seguito la stessa schedule di controllo utilizzata in [14] ovvero si esegue una misurazione delle dimensioni ogni 8 settimane. Nel nostro caso, iniziando dall’istante t0 corrispondente alla prima somministrazione

registriamo il numero di cellule che compongono il tumore ogni 8 settimane. Otteniamo quindi i valori Nkche rappresentano il numero di cellule nell’istante t0+ k · 8 settimane. N0 rappresenta quindi il numero di cellule all’inizio

della terapia, N1 il numero dopo il primo ciclo di somministrazione e così via.

Calcoliamo quindi Nk0 il minimo dei valori Nk e consideriamo nk=

Nk− Nk0

Nk0

.

Cerchiamo quindi il primo k1 > k0 tale che nk1 > 0.7 e stabiliamo quindi

che il valore della PFS corrisponde a k1. Si veda la figura 2.3 per una tipica

simulazione e la misurazione della PFS corrispondente.

Osservazione. La logica dietro il criterio utilizzato è la seguente: nella no-stra assunzione di geometria sferica per il tumore primario, se il diametro

(25)

2.2. PARAMETRI 19 6 9 VIII 3 6 9 IX 3 6 9 tempo (mesi) 8 9 10 11 12 13

nuemro di cellule (log10)

1 cm3

TTP

Figura 2.3: Simulazione in scala logaritmica ottenuta con l’utilizzo del solo 5-FU. I simboli  delimitano l’intervallo di tempo che determina la PFS (TTP). Il simbolo  indica invece il minimo valore di Nk. I simboli circolari equidistanziati indicano invece i controlli periodici eseguiti ogni 8 settimane

incrementa di più del 20% lo stesso avviene per il raggio. In tal caso allora il volume è più grande di un fattore (1.2)3 ∼ 1.7 del valore minimo. Di conseguenza deve essere Nk ≥ 1.7 · Nk0 da cui segue immediatamente la regola nk> 0.7.

Osservazione. È necessario fare una precisazione: nella realtà vi sono numerosi fattori, quale lo stato di salute del paziente, che il modello proposto non è in grado di considerare. Se si ha un netto peggioramento dello stato di salute del paziente, a cause dei molti effetti collaterali del fluorouracile o del bevacizumab, la cura viene interrotta. In questa situazione si utilizza come valore di PFS il tempo che trascorre dall’inizio della terapia sino al momento in cui questa viene sospesa. Lo stesso criterio è utilizzato nel caso in cui sopraggiunga la morte prima del termine del ciclo di terapia. Nel nostro caso quindi la grandezza effettivamente misurata è la TTP, Time To Progression, in quanto si considera solamente la grandezza relativa del tumore rispetto al minimo raggiunto.

(26)

20 CAPITOLO 2. RISULTATI QUANTITATIVI

Tabella 2.1: Parametri del modello.

Parametro Significato λ tasso di crescita µ tasso di mortalità

ηsens spessore della corona proliferante per le cellule sensibili

ηres spessore della corona proliferante per le cellule resistenti

Cipo→V tasso di produzione VEGF da parte delle cellule ipossiche

CA,V tasso di assorbimento VEGF da parte della rete vascolare

CV →A tasso di sviluppo angiogenesi in funzione del VEGF

p probabilità di mutazione chemioresistente per duplicazione Nstart numero di cellule all’inizio della terapia

NF U numero di giorni di azione del 5-FU (1-7)

CF U intensità azione 5-FU

Nbeva numero di giorni di azione bevacizumab (1-14)

Cbeva→V intensità azione bevacizumab sul VEGF

2.2

Parametri

I parametri principali del modello sono riassunti nella tabella 2.1. Lo spessore della corona proliferante, come descritto nel capitolo 1, è espresso in numero di cellule. Si vedano le sezioni successive per maggiori dettagli su tali parametri.

2.2.1 Parametri in assenza di terapia

I parametri λ, µ,ηsensres,Cipo→V,CA,V,CV →A,p riguardano solamente la fase di crescita. Al fine di ottenere una curva di crescita più realistica possibile abbiamo fissato alcuni elementi chiave dello sviluppo derivanti da evidenza sperimentale, come descritto nella sezione 2.1.1. Nello specifico abbiamo imposto:

• circa 8 anni di tempo per raggiungere la soglia 109 cellule;

• inizio della fase angiogenica corrispondente ad un numero di cellule compreso fra 106 e 2 · 106;

• angiogensi non completamente sviluppata all’inizio della terapia;

• crescita di tipo esponenziale nella prima fase, seguita da un periodo di crescita più lenta nella fase intermedia e ripresa della crescita nella fase angiogenica.

Si veda la tabella 2.2 per i valori utilizzati. La scelta del parametro p per la probabilità di mutazione è stata molto delicata. Un parametro troppo

(27)

2.2. PARAMETRI 21 Tabella 2.2 Parametro Valore λ 0.05 µ 0.002 ηsens 15 ηres ηsens/1.2 Cipo→V 0.08 CA,V 0.01 CV →A 0.006 p 10−5

piccolo avrebbe reso inefficace il ruolo delle cellule resistenti ai fini del calcolo della PFS. Abbiamo cercato di essere più corretti possibile nella scelta delle costanti: seguendo [8] e [25] abbiamo quindi scelto un valore medio di 10−5 e ipotizzato un range valido da 10−4 a 10−6. I parametri ηsens e ηres sono trattati separatamente nella sezione 2.2.2.

2.2.2 Il valore di ηsens

Come si vede dalla tabella 2.2 il valore di ηres è stato scelto in funzione del parametro ηsens. Questo è preferibile in quanto, pur mantenendo lo stesso

grado di approssimazione dovuto all’ipotesi di geometria sferica, l’apporto di ossigeno alle cellule resistenti è proporzionale a quello delle cellule sensibili. I valori ritenuti ragionevoli per il parametro ηsenssono nel range 5 − 30. Questa

stima deriva da due argomentazioni differenti: la prima si basa sull’evidenza sperimentale relativa alla distanza dai capillari oltre alle quali le cellule diventano ipossiche. Si è stimato che tale distanza sia compresa fra i 60 e 110 µm, corrispondente quindi ad un numero di cellule inferiore a 10, si veda [28]. D’altra parte i vasi sanguigni che contribuiscono alla diffusione di ossigeno nella regione esterna non sono capillari recentemente formati, ma fanno parte della rete vascolare precedente e sono quindi maggiormente sviluppati. La stima precedente è quindi da considerare come limite inferiore dell’effettivo valore del parametro ηsens. Un’altra motivazione per il range

considerato deriva dall’osservazione che un tumore di raggio intorno ad 1mm si trova ancora nello stato avascolare. Di conseguenza la proporzione di cellule in grado di dar inizio alla duplicazione, tramite il soloossigeno ricevuto dall’esterno, deve essere considerevole (o analogamente la frazione di cellule ipossiche deve essere bassa). Utilizziamo di nuovo l’approssimazione sferica e indichiamo con α la frazione di cellule che compongono la corona circolare esterna di spessore δ. Con le stesse notazioni del capitolo 1 indichiamo con R il raggio del tumore sferico e supponiamo, come fatto precedentemente, che il raggio di una singola cellula tumorale sia 6µm = 6 · 10−3mm. Otteniamo

(28)

22 CAPITOLO 2. RISULTATI QUANTITATIVI 0 0.1 0.2 0.3 0.4 0.5 0.6 0.7 0.8 0.9 1 alpha 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 eta Figura 2.4

dunque δ = 2 · 6 · 10−3mmηsens. Cerchiamo quindi di stimare δ al fine

di ottenere una approssimazione per ηsens = 103δ/12. Osserviamo che α corrisponde al rapporto fra il volume della corona proliferante e il volume totale

α = R

3− (R − δ)3

R3 .

Per quanto detto scegliamo quindi R ∼ 1mm ottenendo α = 1 − (1 − δ)3 da cui ηsens= 103(1 −√3 1 − α) 12 .

Si veda la figura 2.4 che rappresenta i valori di ηsens in funzione del parametro

α. Combinando questi due ragionamenti abbiamo quindi scelto un valore medio ηsens= 15.

2.2.3 Parametri della terapia

I parametri NF U, CF U, Nbeva, Cbeva→V riguardano solamente la fase di terapia. La scelta di questi deriva principalmente dall’evidenza sperimentale

(29)

2.2. PARAMETRI 23 6 9 VIII 3 6 9 IX 3 6 9 tempo (mesi) 8 9 10 11 12 13

numero di cellule (log10)

1 cm3

TTP

Figura 2.5

relativa all’azione del 5-FU e del bevacizumab. Il tempo di dimezzamento della concentrazione di 5-FU nel plasma è molto breve, dell’ordine dei 20 minuti. D’altra parte la concentrazione nei tessuti occupati da cellule cancerose è molto più duratura, dell’ordine dei giorni, si veda [20]. Quando la concentrazione del fluorouracile scende sotto la soglia di tossicità la crescita riprende ad un ritmo più lento di quello originario. Abbiamo quindi preso un valore medio di 6 giorni per l’azione del 5-FU. La morte cellulare causata dalla chemioterapia è più veloce della crescita data dalla proliferazione: abbiamo quindi preso un valore di CF U  1. Il bevacizumab ha un’efficacia più prolungata nel

corso del tempo: abbiamo quindi considerato come durata media 12 giorni. Il valore del numero di cellule durante la fase di terapia è un’alternanza fra una fase di forte decrescita ed una di lenta crescita, si veda [8]. Si vedano le figure 2.5 e 2.3 per un grafico della soluzione Nt rispettivamente con e senza

l’aggiunta di bevacizumab. La figura 2.6 raffigura un grafico complessivo della soluzione per Nt e per le altre grandezze. I valori utilizzati sono riassunti

nella tabella 2.3.

2.2.4 Randomizzazione dei parametri

Al fine di simulare la variabilità del campione dei pazienti analizzati in [14] abbiamo randomizzato alcuni dei parametri. Utilizzando tali parametri abbiamo quindi calcolato la PFS tramite la simulazione (deterministica) delle

(30)

24 CAPITOLO 2. RISULTATI QUANTITATIVI

3 6 9 I 3 6 9 II 3 6 9 III 3 6 9 IV 3 6 9 V 3 6 9 VI 3 6 9 VII 3 6 9VIII3 6 9 IX 3 6 9 X 3 tempo (mesi) 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14

numero di cellule (log10)

1 cm3

angiogenic switch

I II III IV V VI VII VIII IX X

0 2 4 6 8 10 12 14 N

I II III IV V VI VII VIII IX X

0 2 4 6 8 10 12 14 Nipo

I II III IV V VI VII VIII IX X

0 0.2 0.4 0.6 0.8 1 1.2 A

I II III IV V VI VII VIII IX X

0 0.2 0.4 0.6 0.8 1 V

Figura 2.6: Simulazione in scala logaritmica, 5-FU e bevacizumab. Si noti come il valore di At decresca molto più rapidamente in seguito all’azione del bevacizumab rispetto alla velocità di crescita. In particolare i capillari più recenti, corrispondenti ai valori di At prossimi al suo massimo, vengono

disgregati in poche settimane mentre nel caso di quelli meno recenti la decadenza è più lenta.

(31)

2.2. PARAMETRI 25 Tabella 2.3 Parametro Valore Nstart 2 · 109 NF U 6 CF U 20 Nbeva 12 Cbeva→V 1

Tabella 2.4: Parametri delle simulazioni Montecarlo.

Parametri Valore o distribuzione λ 0.05

µ 0.002 ηsens 15

ηres ηsens/unif[1, 2]

Chypo→V 0.05 CA,V 0.01 CV →A 0.006 p 10−unif[4,6] Nstart 2 · 10unif[8,11] NF U unif[1, 7] CF U unif[5, 25] Nbeva unif[1, 14] Cbeva→V unif[0, 5]

equazioni presentate. Abbiamo infine raccolto i risultati relativi alla PFS in tutte le simulazioni fatte e ne abbiamo calcolato la curva di sopravvivenza (curva di Kaplan-Meier) e la mediana. Le aleatorietà utilizzate sono riassunte nella tabella 2.4. Ogni parametro è stato estratto in modo aleatorio in condizioni di indipendenza rispetto agli altri. Nel caso dei parametri λ e µ sarebbe stato necessario imporre una randomizzazione correlata al fine di mantenere i vincoli imposti nella sezione 2.2.1. Non avendo a disposizione informazioni aggiuntive questi sono stati lasciati invariati rispetto ai parametri di riferimento descritti nella tabella 2.2. Testando la sensibilità della PFS rispetto alla variazione dei parametri abbiamo osservato che alcuni di questi non sono molto influenti e abbiamo quindi deciso di mantenerli invariati. Per gli altri, non disponendo di informazioni aggiuntive a riguardo, abbiamo imposto una distribuzione uniforme come riportato dalla tabella 2.4.

(32)

26 CAPITOLO 2. RISULTATI QUANTITATIVI

Figura 2.7

2.3

Simulazioni Montecarlo

2.3.1 Curve di sopravvivenza e mediana

Basandoci sulla randomizzazione dei parametri descritta nella sezione 2.2.4 riportiamo le curve di sopravvivenza ottenute utilizzando solo 5-FU o combi-nandolo con il bevacizumab. I parametri (aleatori) utilizzati coincidono in entrambe le situazioni, con l’unica differenza che la funzione ubevat è costante-mente nulla nel caso di solo 5-FU. Si veda la figura 2.7. La forma generale della curva ottenuta è comparabile con quella riportata in [14]. Non vi è la pretesa di essere statisticamente equivalente ad essa per varie motivazioni: nel nostro caso ci siamo ristretti solamente ai pazienti con una sona lesione, la lesione primaria. In questo caso la mediana ottenuta coincide con quella ottenuta dalla sottopopolazione di pazienti aventi una sola lesione. È inoltre impossibile per il modello presentato tenere in considerazione i molteplici fattori esterni alla crescita del tumore che sono coinvolti nella fase di terapia: eventuali interruzioni della terapia o la morte prematura non sono quindi considerate.

2.3.2 Fattori prognostici

In quest’ultima sezione cerchiamo di stabilire dei collegamenti fra alcuni fattori prognostici, cioè dei dati misurabili sul singolo paziente misurabili

(33)

2.3. SIMULAZIONI MONTECARLO 27

prima dell’inizio della terapia, e alcuni parametri del modello. Risultati quantitativi in questa direzione sono ancora prematuri, presentiamo quindi i risultati ottenuti relativamente alla PFS ottenuti variando alcuni parametri. Ci focalizziamo in particolare sui seguenti:

1. età;

2. terapia adiuvante;

3. livello di albumina.

Descriviamo quindi le singole variazioni nei parametri e i risultati ottenuti.

Età

L’età influenza molti dei meccanismi associati al metabolismo cellulare: quello più comunemente associato all’età è la velocità di crescita. Abbiamo quindi ipotizzato un collegamento con il parametro λ che rappresenta il tasso di crescita. Concentrandoci sui valori di PFS relativi alla sottopopolazione esaminata in [14] di età inferiore ai 65 anni abbiamo considerato un parametro λ maggiore dovuto alla maggior velocità del metabolismo cellulare. Al fine di preservare i vincoli stabiliti in 2.2.1 abbiamo utilizzato anche un parametro µ maggiore. Di nuovo, tramite simulazione Montecarlo, mantenendo invariate le randomizzazioni dei parametri stabilite nella sezione 2.2.4, abbiamo ottenendo una mediana per il valore di PFS pari a 5.6 nel caso del solo 5-FU e 8.4 con l’aggiunta di bevacizumab. Per quanto non corrispondano esattamente ai valori riportati [14] si sono spostati nella stessa direzione, si è avuto cioè un peggioramento dell’effetto della terapia. Nella tabella 2.5 sono riportati i valori di λ e µ utilizzati.

Tabella 2.5: Parametri λ e µ utilizzati in casi di età inferiore ai 65 anni.

Parametro Valore λ 0.08 µ 0.02

Terapia adiuvante

La presenza di una precedente terapia adiuvante può avere molteplici ragioni: abbiamo ipotizzato che essa sia dovuta ad una operazione chirurgica pre-cedente seguita da un ciclo di terapia. Abbiamo dunque associato questo fattore a dei valori più bassi della variabile Nstart dato che le masse tumorali residue in seguito ad un’operazione chirurgica sono solitamente di dimen-sioni minori. Abbiamo quindi ripetuto le simulazioni Montecarlo variando la randomizzazione della variabile Nstart da 2 · 10unif [8,11] a 10unif [8,9]. In questo caso i valori delle mediane ottenute sono 9.3 per il solo 5-FU e 11.2

(34)

28 CAPITOLO 2. RISULTATI QUANTITATIVI

Tabella 2.6: Parametri utilizzati in caso di ipoalbuminemia.

Parametro Valore NF U unif [1, 4]

CF U unif [5, 20]

Nbeva unif [1, 7]

Cbeva→V unif [0, 1]

con l’aggiunta di bevacizumab indicando quindi che questi pazienti hanno una risposta migliore al trattamento, in accordo con [14].

Livello di albumina

I valori regolari della concentrazione di albumina nel sangue variano da 3.5 a 5 g/dl. I pazienti con livelli inferiori a 3.5 si dicono affetti da ipoalbuminemia. Una delle conseguenze di un livello basso di albumina è la diminuzione della concentrazione di bevacizumab nel plasma dopo la somministrazione, si veda [18], [7]. Abbiamo dunque associato l’ipoalbuminemia con valori ridotti dei parametri Nbevae Cbeva→V. Lo stesso si verifica nel caso del fluorouracile, [2]. Abbiamo quindi ripetuto la simulazione Montecarlo alterando le aleatorietà dei parametri relativi all’azione del 5-FU e del bevacizumab come riportato nella tabella 2.6. Le nuove mediante ottenute sono 7.5 in entrambi i regimi di chemioterapia. Nel caso di trattamento basato sul solo 5-FU il valore ottenuto è peggiore di quello relativo all’intera popolazione, risultato che si sposta rispetto al caso base nella stessa direzione di quella riportata in [14].

(35)

Capitolo 3

Un modello per l’angiogenesi

Questo capitolo è interamente dedicato ad un modello per il fenomeno del-l’angiogenesi. Come vedremo nel capitolo successivo relativo alle simulazioni numeriche l’impronta di questo modello è fortemente simulativa. Il feno-meno dell’angiogenesi è di per se molto complesso: esso è caratterizzato dalla crescita di nuovi vasi sanguigni con lo scopo di aumentare l’apporto di ossigeno alle cellule tumorali. I capillari che già si sono formati si svilup-pano quindi in lunghezza protendendosi dove la concentrazione di VEGF è maggiore. Contemporaneamente, a partire dai vasi sanguigni preesistenti, si creano nuove diramazioni e se ne formano di nuovi. La struttura vascolare è quindi soggetta a continue modificazioni durante l’evoluzione temporale del sistema. Il nostro scopo è descrivere, tramite misure aleatorie, ove si vanno a creare le diramazioni dei vasi sanguigni nella crescita angiogenica. Per far ciò abbiamo a disposizione la teoria delle Poisson random measure, una cui breve trattazione è contenuta nell’appendice A, che permettono di compiere tale operazione una volta fissato lo spazio e una misura su di esso. La teoria delle Poisson random measure non si può quindi applicare direttamente alla nostra situazione in quanto in ogni istante temporale il dominio spaziale, su cui costruire una opportuna random measure, è in continua evoluzione. Per ovviare a questo problema abbiamo quindi deciso di adottare una strategia di suddivisione in sottointervalli temporali e considerare una struttura spaziale fissata in ciascuno di questi. Per quanto il caso che più ci interessa sia quello tridimensionale per rendere la trattazione più generale presenteremo ogni argomento in dimensione d.

3.0.1 Struttura di base

Sia D ⊆ Rd un aperto limitato e sia τ = [0, T ] l’intervallo temporale in cui intendiamo studiare il fenomeno. Sia inoltre V : D × τ → R+la funzione che descrive la concentrazione di VEGF nel dominio D. In generale la funzione V non è nota a priori: alcuni modelli presenti in letteratura, si veda [12], considerano la concentrazione di VEGF come soluzione di una equazione

(36)

30 CAPITOLO 3. UN MODELLO PER L’ANGIOGENESI

differenziale alle derivate parziali di tipo diffusivo. In questo caso, non essendo la modellizzazione del VEGF lo scopo principale, abbiamo deciso di assumerla come dato. Supporremo inoltre che la funzione V abbia derivate prime uniformemente lipschitziane nella variabile spaziale: questa condizione tornerà utile in seguito dove il gradiente della funzione V sarà uno dei coefficienti in una equazione differenziale stocastica. Sia inoltre (Ω, F , Ft, P, Bt) una

base stocastica dove Bt è un moto Browniano d-dimensionale rispetto alla

filtrazione Ft.

L’idea alla base del modello è quella di suddividere τ in tanti sottointervalli temporali e considerare ciascuno di questi come un unità a se stante in cui si separano i fenomeni di creazioni dei nuovi capillari e lo sviluppo di quelli già esistenti. Così facendo la struttura spaziale risulta fissa e si può applicare la teoria delle Poisson random measure (con dipendenza temporale) con media fissata. Sia quindi N > 0 un intero positivo e sia h = T /N . Definiamo quindi ti= h · i i = 0, . . . , N e sia τi l’intervallo temporale [ti, ti+1].

Il nostro scopo è descrivere la regione di spazio occupata dai vasi sanguigni in via di sviluppo in ciascuna fase dell’evoluzione temporale. Consideriamo quindi una curva continua Ct0

0 : [0, 1] → D e definiamo H

0 t0 = C

0

t0(1). Tale

curva descriverà il diametro longitudinale di un vaso sanguigno in via di evoluzione e in particolare il punto Ht0

0 sarà l’estremo verso il quale proseguirà

il suo sviluppo.

Osservazione. Dal punto di vista della regolarità per la curva Ct0

0 abbiamo

richiesto solamente la continuità. Vedremo nella sezione successiva come tutte le curve che andremo a considerare per descrivere il diametro longitudinale dei vasi sanguigni si ottengono tramite la soluzione di una SDE. La loro regolarità sarà dunque pari a quella del moto Browniano.

Consideriamo quindi l’ingrassamento di raggio δ del supporto di Ct0

0

Ct0,δ0 = {x ∈ Rd| ∃y ∈ C0

t0([0, 1]) d(x, y) < δ} ∩ D

L’insieme ingrassato Ct0,δ

0 rappresenta la regione di spazio occupata da un

singolo vaso sanguigno. Dopo un singolo passo temporale questa regione subirà una evoluzione: la curva che descrive il suo diametro verrà rimpiaz-zata dalla curva Ct0

1 ottenuta dalla precedente tramite prolungamento verso

l’estremo Ht0

0. La regione di spazio ottenuta tramite ingrassamento sarà

de-notata con Ct0,δ

1 . Si andranno inoltre a formare numerosi nuove diramazioni:

queste saranno denotate con Ctj

1 ove l’indice j scorre in modo progressivo sui

numeri naturali ed è associato all’ordine in cui nascono le diramazioni. Nel caso generale la curva che descrive il diametro del vaso sanguigno j-esimo nell’intervallo temporale τi sarà denotata con Ctji e l’ingrassamento del suo

supporto con Ctj,δ

i .

Procediamo dunque a descrivere nel dettaglio il primo intervallo temporale, vedremo successivamente la descrizione nell’intervallo τi generico. Senza

(37)

3.1. PRIMO INTERVALLO TEMPORALE 31

perdita di generalità, come condizione iniziale, supponiamo che al tempo 0 sia presente un solo vaso sanguigno descritto dalla curva Ct0

0 il cui estremo vero

il quale avviene la crescita sarà indicato con Ht0

0. L’evoluzione del sistema in

ogni intervallo si articola in due sottofasi, la fase statica e la fase dinamica.

3.1

Primo intervallo temporale

Isoliamo la descrizione del primo intervallo temporale per rendere più chiara l’esposizione. In ogni intervallo τi è infatti necessario introdurre un nuovo spazio di probabilità, indicato con Ωti, e considerare lo spazio prodotto

Ω ×

i

Y

k=0

Ωtk

munito di una opportuna σ-algebra e di una opportuna filtrazione. Questo è necessario dovendo considerare molteplici eventi e variabili in condizioni di indipendenza.

3.1.1 Fase statica

Sia Ut0 = C0,δ

t0 la regione di spazio occupata dalla rete vascolare nell’istante

iniziale: questo rappresenta il dominio ove andremo a considerare una oppor-tuna misura aleatoria. Su di essa consideriamo la σ-algebra dei boreliani che indicheremo con B(Ut0) e sia µ la misura di Lebesgue ristretta a B(Ut0). Sia

inoltre m la misura di Lebesgue ristretta ai boreliani di R+e sia (Ωt0, Gt0, Pt0)

uno spazio di probabilità. Consideriamo quindi lo spazio di misura

(E, E , ν) = (Ut0 × R+, B(Ut0) ⊗ B(R+), µ ⊗ m).

Essendo sia µ che m misure σ-finite è immediato verificare che (E, E , ν) è a sua volta uno spazio di misura σ-finito. Sia quindi

(Ω0, F0, P0) = (Ω × Ωt0, F

t0 ⊗ G

t0, P ⊗ Pt0)

e sia

Yt0 : Ω0× (B(Ut0) ⊗ B(R+)) → N

una Poisson random measure di media µ ⊗ m. In particolare Yt0 si può

rappresentare come

Yt0 =X

k≥1

δ(Sk,Tk)

dove per ogni k (Sk, Tk) è una variabile aleatoria, rispetto a F0, a valori nello

(38)

32 CAPITOLO 3. UN MODELLO PER L’ANGIOGENESI

Osservazione. In questa situazione lo spazio (Ωt0, Gt0, Pt0) non può essere

completamente arbitrario: deve essere possibile costruire su di esso una Poisson random measure con media assegnata. Per far ciò deve essere sufficientemente “ricco” da poter costruire una successione di variabili i.i.d. a valori in (E, E , ν) con distribuzione assegnata , si veda l’appendice A per una dimostrazione costruttiva dell’esistenza di tale misura aleatoria.

Le variabili aleatorie Sk e Tk indicano i punti del dominio e gli istanti temporali associati ove nasceranno le nuove diramazioni. È però necessario restringere le variabili Tk al sottointervallo temporale [t0, t1]. Durante il

susseguirsi degli intervalli temporali τi il sistema subisce numerose evoluzioni:

non ha quindi senso considerare diramazioni originatosi in un passo precedente ove lo stato del sistema era differente. Per far ciò dobbiamo quindi considerare solamente i valori Si che sono legati ad un istante temporale più piccolo di

h: nello stato attuale stiamo descrivendo quanto avviene al tempo t0 e, al

fine di considerare solo le diramazioni che avvengono in [t0, t1], dobbiamo

quindi restringerci a Tk ≤ h. Consideriamo quindi l’insieme (aleatorio)

Ht0 = {Sk| Tk ≤ h} e denotiamo con H

j

t0 i suoi elementi. Abbiamo quindi

ottenuto insieme di variabili aleatorie a valori in U che stabiliscono ove si andranno a creare le nuove diramazioni. Si veda la figura 3.1 per una raffigurazione della costruzione fatta. Nella successiva fase dinamica, sempre relativa all’intervallo [t0, t1] descriveremo la loro evoluzione.

3.1.2 Fase dinamica

Descriviamo quindi l’evoluzione spaziale dei capillari: nella situazione attuale questi sono descritti da:

• la curva C0

t0 che descrive le condizioni iniziali del sistema. Associata a

questa vi è la variabile Ht00 che indica l’estremo verso il quale il capillare proseguirà il suo sviluppo.

• Le variabili aleatorie F0-misurabili Htj

0 che indicano le coordinate

spaziali ove si formeranno nuove diramazioni.

In entrambi i casi si utilizzano le variabili Htj

0 come dato iniziale per una

opportuna equazione differenziale stocastica. È quindi necessario riportare i vari elementi che comporrano tale equazione al medesimo spazio di probabilità. Consideriamo quindi lo spazio di probabilità Ω × Ωt0 con la σ-algebra F ⊗ Gt0

e la misura P ⊗ Pt0. Si consideri inoltre la filtrazione su di esso data da

Ft⊗Gt0. Ricordiamo inoltre che abbiamo indicato con Btun moto Browniano

su (Ω, F , P) rispetto alla filtrazione Ft: consideriamo quindi

˜

Bt: Ω × Ωt0 → Rd

(ω, ωt0) 7→ B

(39)

3.1. PRIMO INTERVALLO TEMPORALE 33 Ht20 Ht21 H1 t0 H 1 t1 Ht01

Figura 3.1: Raffigurazione dello stato al tempo t1. Le curve Ctj1 sono

rappre-sentate in nero, l’insieme Ut1 ottenuto tramite ingrassamento in colore grigio.

Le frecce, associate alle variabili Htj

1, indicano la direzione di crescita.

È immediato verificare che ˜Bt è un moto Browniano, definito su Ω × Ωt0,

rispetto alla filtrazione Ft⊗ Gt0.

Ricapitolando abbiamo ottenuto la seguente base stocastica

(Ω × Ωt0, F ⊗ Gt0, F

t⊗ Gt0, P ⊗ Pt0, ˜Bt)

Per ogni j consideriamo quindi la seguente equazione differenziale stocastica ( dXtj 0,t= ∇xV (X j t0,t, t)dt + σd ˜Bt t ∈ [t0, t1] Xtj0,t0 = Htj0 (3.1) con σ ∈ Rd×d. Al fine di verificare l’esistenza è l’unicità forte della soluzione, avendo supposto la lipschitzianità delle derivate per la funzione V , dobbiamo solo verificare che il dato iniziale sia Ft0 ⊗ Gt0 misurabile. In questo caso la

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