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La frattura fra scuola e contemporaneità letteraria

TOZZI NEI MANUALI DI LETTERATURA E NELL'EDITORIA

III.1 La frattura fra scuola e contemporaneità letteraria

Almeno nelle istituzioni scolastiche il canone dovrebbe sempre essere esplicito, perché solo così potrebbe essere contestato o cambiato; in esso si sintetizza il bisogno di identità culturale di una comunità che esprime, attraverso la lista dei classici da cui non si può prescindere, la propria memoria storica.

La questione dei canoni non riguarda tanto i problemi dell’estetica e dell’etica, quanto piuttosto quelli delle istituzioni sociali delegate a trasmettere la cultura, e quindi anzitutto, nella nostra società, di istituzioni come scuola ed università.142

La complessa questione del canone letterario si configura come un aspetto preminente nella realizzazione della nostra identità culturale, per questo appare indispensabile che le nuove generazioni approfondiscano o almeno conoscano determinati autori e le loro opere più note.

È infatti spesso inspiegabile l'esclusione o la forte limitazione di alcuni scrittori all'interno delle antologie scolastiche, sebbene questi siano riconosciuti e apprezzati in sede critica; è il caso di Tozzi, autore di opere che hanno sancito la nascita del romanzo moderno, fondamentale nella comprensione del primo Novecento italiano eppure regolarmente ostracizzato o tralasciato 142 R. CESERANI, Cannonate, in «Inchiesta», 1995, p. 71.

nell'educazione scolastica e, di conseguenza, nella cultura comune.

Tale dato conferma il forte divario che sussiste da decenni tra il canone proposto dalla critica letteraria e quello scolastico, ricavato dai manuali che – in mancanza di valori condivisi – influenzano e stabiliscono il bagaglio di conoscenze dei giovani lettori e rafforzano sempre più un canone imposto dall'editoria scolastica, parallelamente alla perdita di autorevolezza della critica accademica.

Romano Luperini imputa il distacco che si è creato tra l'istituzione scolastica e la contemporaneità letteraria al progressivo disinteresse della società alla letteratura:

L’aggiornamento sul Novecento che è in corso nella scuola negli ultimi anni rivela il bisogno dei docenti di far fronte all’esigenza di superare questo distacco che si è verificato negli anni del fascismo e poi si è ancora più approfondito. Questa esigenza è avvertita ormai come inderogabile, ma è anche vero che questo aggiornamento appare tumultuoso e confuso, in quanto in larga misura lasciato all’improvvisazione.143

L'insegnamento della letteratura ha sempre avuto un ruolo fondamentale nel panorama italiano, poiché la cultura umanistica può essere considerata punto di forza e motivo di orgoglio nazionale, e questo dato porta inevitabilmente a interrogarci se nel nuovo millennio sia ancora importante e abbia un senso.

Il cammino iniza dai programmi della nota Riforma Gentile del lontano 1923, che la scuola ha in parte – ma non del tutto – superato, i quali sancivano la necessità del metodo storico nello studio della letteratura italiana. La centralità del disegno storico è il punto intorno cui si concentra l'insegnamento della letteratura. La volontà era quella di costruire un'identità nazionale forte, in cui le generazioni dovevano formare i propri valori. E la letteratura sembrava essere la base unificante di tale processo.144

143 R. LUPERINI, Insegnare la letteratura oggi, Lecce, Piero Manni, 2000, p. 128.

144 L'educazione letteraria – da Foscolo a De Sanctis fino allo storicismo novecentesco – è stata fondata su valori patriottici e civili in senso strettamente nazionale, che oggi non sono più proponibili. Attualmente la tendenza all'ermeneutica in Europa – e in America – si indirizza sempre più sul motivo etico della responsabilità individuale e collettiva dell'atto interpretante e sul nesso fra democrazia e conflitto delle interpretazioni. Sono valori che hanno un carattere sovranazionale, grazie ai quali si può coniugare interesse per la testualità letteraria e costruzione di una civiltà del dialogo (ivi, pp. 9-11).

Nei confronti della storiografia letteraria sono possibili oggi due diversi atteggiamenti riassumibili nelle citazioni di Gargiani – che ben sintetizza il clima culturale nel quindicennio 1976-1990 – e di Bodei, il quale esprime un'altra posizione, rappresentativa della fine degli anni Novanta.

La storia non è la nostra realtà, perché la nostra realtà è la presenza del nostro proprio problema che non è un problema declinato nel tempo, bensì è l'istantaneità, specifica e assoluta, del nostro sguardo, che noi non vediamo.145

Siamo sicuri che sia possibile pensare o scrivere una storia priva di assi di riferimento? [...] In fondo non siamo affatto tenuti a scegliere fra storie asettiche, depurate da ogni presupposto, e filosofie e utopie a disegno, quanto, semmai, a rendere esplicite le premesse nascoste e le conseguenze ipotizzabili di ogni narrazione con pretese di comprensione degli eventi, così da poterle sottoporre a un ragionevole esame critico e comparativo.146

Sappiamo tutti che la visione totalizzante della storia su cui si sono formate le generazioni passate si è definitivamente esaurita, ma questo non può comportare la rinuncia a un orizzonte storico e pragmatico, a indicare degli «assi di orientamento», a individuare percorsi e a tracciare bilanci, mantenendo sempre viva l'esigenza di cercare negli avvenimenti e nei testi un'interpretazione possibile.147

Il momento epocale è segnato dagli anni Settanta, dallo stravolgimento nell'insegnamento della letteratura, in cui entrano nuovi metodi di analisi – come strutturalismo o semiotica – che cambiano la dinamica del lavoro in classe. È nota infatti la polemica sollevata da Carlo Ossola sul «testo in contumacia», ovvero sul fare letteratura senza testi.

Nel 1992 buona parte di questo fervore ha trovato modo di esprimersi nei famosi programmi della Commissione Brocca (di cui in molti oggi tengono conto). Alle soglie del ventunesimo secolo la situazione appare però ancora piuttosto aerea; le indicazioni dei 145 ALDO GIORGIO GARGANI, Il testo nel tempo, Roma-Bari, Laterza, 1992, p. 7.

146 REMO BODEI, La speranza dopo il tramonto delle speranze, in «Il Mulino», 333, 1991, 37.

147 La stagione dello storicismo si è consumata già negli anni Sessanta. L'ultima storia letteraria che vi si ispira è

L'attività letteraria in Italia di Giuseppe Petronio, che è del 1964; nel passaggio che divide il Disegno storico della letteratura italiana di Sapegno dalla Storia della letteratura italiana di Cecchi-Sapegno, si esaurisce il

programmi ministeriali mostrano una rapidità di taglio e di linea in un documento estremamente snello, ma molto ambizioso, in cui si ribadisce la sostanziale immobilità del canone. Le principali novità si registrano nell'aumento esponenziale degli autori antologizzati e nell'imposizione della lettura diretta dei testi.

La presenza elevata di testi antologizzati fa apparire il canone del Novecento estremamente caotico, tanto da sembrare esplodere in seguito alle moltiplicazioni delle direzioni letterarie.

Nella definizione del canone scolastico un ruolo fondamentale è svolto dai libri di testo che forniscono le coordinate da seguire nella costituzione del panorama letterario italiano, ma l'ultima decisione spetta agli insegnanti, che, con le loro scelte e preferenze influenzano il sapere e il patrimonio da trasmettere alle nuove generazioni.

In accordo con Cesare Segre trovo che nella costruzione della lista degli autori paradigmatici sia necessario escludere tre criteri: la facilità del testo, la popolarità o l'aristocratica esclusività dell'opera o dell'artista.

Il primo, dico il primo, criterio, è quello morale. [...] Sono convinto che ogni scrittore abbia una responsabilità verso i lettori, che sono (potenzialmente) tutti gli uomini. [...] Lo scrittore deve riflettere sugli effetti delle proprie opere nella loro vita. Se esse non giovassero, o anzi nuocessero, alla civile convivenza degli uomini, meglio sarebbe che non fossero state scritte.

Un altro criterio è di natura comparatistica [...]. Di grandi scrittori, negli scaffali del Novecento, ce n'è una bella raccolta. Perché valga la pena di aggiungerne un altro, occorre assicurarsi che questo abbia detto qualcosa, in qualche misura nuovo, su noi, sulla nostra vita, sui nostri timori e sulle nostre speranze [...].

L'elemento formale (terzo criterio) non può infine essere trascurato. [...] Uno scrittore che non abbia il senso della finitezza formale è come un artigiano che concepisce ambiziosi progetti ma non sappia usare i propri strumenti.148

È invece fondamentale considerare la responsabilità morale dello scrittore, l'aspetto formale del testo e, last but not least, l'originalità di visione, se l'autore ci fornisce qualcosa di nuovo sul mondo e su di noi.

Ed è proprio quest'ultimo aspetto che merita una riflessione nel nostro discorso intorno alla 148 C. SEGRE, La letteratura italiana del Novecento, Roma-Bari, Laterza, 1998, pp. VI-VIII.

figura di Federigo Tozzi.