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La lingua e la sintassi di Josefito Figuraciones

Commento alla traduzione

IV.2 La lingua e la sintassi di Josefito Figuraciones

Il linguaggio utilizzato da Jiménez è il linguaggio che egli sentiva per le strade di Moguer, quello usato dalle persone comuni per le azioni di tutti i giorni. Alcuni termini però più sono ricercati e appartengono a un linguaggio settoriale che fa riferimento a realtà specifiche. Si denota quindi la predilezione da parte dello scrittore per un lessico specialistico, la cui traduzione ha implicato la consultazione di materiali specifici sull’argomento. Esempi per categorie sono: nomi botanici e di insetti (“rosa”, “rosal”, “lirios”, “álamo”, “azucena”, “espiga”, “campanillas”, “pinos”,

“eucaliptos”, “naranjos”, “hortensias”, “biznagas”, “jeranio”, “magnolia”, “viñas”, “olivos”, “dalia”, “gañafotes” e “calentureros”); colloquialismi e forme

verbali di diversa origine (“encaramándose”, verbo più colloquiale rispetto a trepar,

“camelear”, una forma verbale di origine calò, lingua dei gitani spagnoli,“pillo”, “mocilla”, indicante nel linguaggio gergale una giovane ragazza, “romperle la cara”, “jamona ricachona”); neologismi (“verdeoro”, “hormigón”, “preguntón”).

Juan Ramón Jiménez cura anche la scelta dei verbi. Predilige quelli che possono descrivere e contraddistinguere i vari personaggi e le varie situazioni nella migliore maniera possibile. Prendendo come esempio la forma verbale “encobijar”, si può notare come essa, venendo associata a Cinta Marín, la donna colpita dal cancro che Jiménez personifica con lo zaratán, il quale assume varie forme di animali, ne accresca e intensifichi la figura. Vedova da poco, Cinta mantiene un riserbo e una “copertura” totale dal mondo che la circonda. L’autore avrebbe potuto usare un verbo più comune come “tapar”, invece ne adopera uno che indica il riparare, il trovare riparo. Il

Diccionario de la lengua española (DRAE) definisce “cobijar” così: “dar refugio,

guarecer a alguien, generalmente de la intemperie;amparar a alguien, dándole afecto

y protección; encerrar, contener en sí algo que no es manifiesto a todos”49. Jiménez è

come se ci volesse dire che la donna vuole riparare se stessa da tutte le maldicenze e le cattiverie che la attorniano, chiusa nel suo dolore e consapevole di quello che le sta accadendo.

49 Si veda il Diccionario de la lengua española (DRAE) alla voce cobijar. Disponibile all’indirizzo:

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Aspetto particolare della lingua di Juan Ramón e comune a tutti i suoi scritti è la sua ortografia. Nel testo sono visibili i seguenti fenomeni:

- la sostituzione della lettera “g” con la lettera “j” davanti alla “e” e alla “i”:

“májico”, “encojido”, “majistral”, “exagerada”, “jente”.

- il non inserimento della “x” davanti alla consonante che viene sostituita con la “s”: “esquisitos” invece di exquisitos.

La sintassi usata all’interno del libro è prevalentemente di tipo nominale polisindetico ed è caratterizzata da una forte presenza di aggettivi qualificativi: “en

una sonrisa vergonzosa”, “música graciosa”, “dramático rosetón”, “cárcel preciosa”, “resaca briosa”, “tarde lujosa”, “complacencia alegre”, che precedono e

seguono il sostantivo a cui si riferiscono e di aggettivi possessivi, tipici della costruzione sintattica spagnola, “su madre”, “su graciosa edad”, “sus ojos”, “su

padre”, “su no conocida juventud”, “su cuento”, “su confidente único”. Tale sintassi

è inoltre arricchita dalla presenza di marcadores, che sviluppano il discorso in senso argomentativo-illustrativo, quali “primero”, “luego”, “después”, “además”, e anche altri come “es decir”, “mira”, “oye”, che aiutano lo scrittore ad organizzare al meglio il testo, intensificandone il senso. Un marcador che viene ripetuto spesso è “pues”. È utilizzato per rafforzare quanto detto, indicare entusiasmo, come quello provato da Josefito che desidera intesamente che Ciriaca Marmolejo gli suoni qualcosa al piano, esprimere dubbio e, nelle frasi esclamative, contrasto: “pues ahora mismito, ahora

mismito”, “pues así mirará el zaratán”, “¿Pues y cómo iba a dormir Cinta Marín con el zaratán despierto sobre su pecho?”, “pues mi hermana dice que Cinta Marín…”, “¡Pues no se figura que él sólo va a poder nombrarla! ¡Ni que fuera el mismo zaratán!”.

Un ruolo importante è svolto anche dalla punteggiatura che, arricchendo il testo di virgole, punti e virgola, punti esclamativi e punti interrogativi, conferisce alla narrazione, già di per sé ricca di sequenze descrittive, un ritmo lento e offre al lettore un momento di riflessione su quanto detto. Il passo seguente, tratto dal racconto VII intitolato Villegas, ne è un esempio:

era otra vez el día aquél en que Villegas, en uno de sus alardes de forzudo, cojió el enorme macetón recién plantando, entre sus brazos, y lo subió al brocal de mármol del aljibe, entre los

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piropos de todas las criadas, jadeando. Entonces, ahora, no tenía aún, no tenía ya el cancér, no había sido despedido de la bodega por borracho, tenía buen sueldo y fresca salud, y no tenía que mandar a su dulce mujer rubia ni a sus pobres niñas raquíticas a pedir a la cancela a la hora de comer, ni ir él atravesando campos a Fuentepiña, los brazos cruzados, la chaquetilla vieja al hombro, a comer naranjas e higos, ni a las tabernas a escurrir vasos y apurar colillas.

La prima parte del passo, meno ricca di punteggiatura, si limita a riferire l’episodio riguardante lo sfoggio di forza da parte di Villegas; la seconda, invece, con una maggiore presenza della punteggiatura, spinge a riflettere su quanto ci sia di diverso tra la condizione passata di Villegas e quella attuale, in cui lui è malato di cancro ed è costretto a mandare la moglie e le figlie a chiedere l’elemosina. Ogni segno grafico è usato dall’autore con finalità ben determinate: arricchire le descrizioni e aiutare il lettore a immaginarsi in maniera precisa quanto legge.

La punteggiatura non è l’unico elemento che si ripete, vi sono alcune parole che appaiono molto spesso nel libro e che l’autore ha cura di sottolineare: “madre”,

“rosa”, “rosados” e altre varianti, “calidoscopio”, “fantasía”, “cristal” ecc… La

ripetizione non deve essere vista come qualcosa che appesantisce il tutto e lo rende ridondante, ma “se un autore ripete più volte una parola è perché questa parola è importante per la storia che sta narrando; credo si debba fare il possibile per conservare la ripetizione anche in italiano e non impoverire il testo”50. Le stesse parole assumono anche un’accezione differente in base a dove sono collocate. Il termine “piña” per esempio viene utilizzato nello stesso racconto due volte, la prima, metaforicamente, con l’accezione di ammasso, “oscura piña”, la seconda, letteralmente, con l’accezione di ananas nella descrizione delle isole delle Filippine, “que eran islas estraordinarias

llenas de loritos reales, piñas, de las negritas desnudas de las cajas de tabaco, de fuentes de Agua de Florida”.

50 Franca Cavagnoli, La voce del testo: l’arte e il mestiere di tradurre, Milano, Feltrinelli, 2012, cit., p. 29.

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