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La lunga storia della statistica ufficiale

Nel documento ATTIRoma, 22-24 giugno 2016 (pagine 137-157)

Buon giorno a tutti, tra coloro che parleranno io sono il più anziano. Sono entrato nell’Istat nel 1992, mi ha assunto il professor Rey.

In realtà c’è gente che ha dieci/venti anni di esperienza precedente alla mia, ma ab-biamo invece fatto parlare tutte persone che sono entrate successivamente, sostanzial-mente intorno agli anni 2000. Non sanno nulla del passato, lo guardano con occhio migliore, valorizzeranno le cose migliori e non guarderanno quelle peggiori.

L’idea che abbiamo avuto - nella presentazione preparata con Barbara Corvisieri, che ha anche curato la ricerca archivistica e delle fonti per l’intera sessione - che è un po’ un’anticipazione, è quella di fare un volume o qualcosa di più ampio sull’organiz-zazione dell’Istituto nei suoi novant’anni, sull’organizsull’organiz-zazione, i processi, i metodi e come sono cambiate tante cose all’interno dell’istituto.

La mia relazione verte sull’organizzazione, su come è cambiata. C’è anche il presiden-te Biggeri qui presenpresiden-te, che ha fatto un bel cambiamento, a un certo punto.

Questa è la prima mappa dell’Istituto, del 1936. Le abbiamo lasciate tutte com’erano, quindi vedrete anche le differenze grafiche. L’Istituto a quel tempo aveva sei reparti, di cui uno amministrativo, quello degli affari generali, quindi aveva una struttura molto semplice, per certi aspetti, molto articolata in sezioni e sotto-sezioni.

Nel 1936 c’erano una sola direzione generale e sei reparti, di cui uno amministrativo, circa 50 sezioni e poi 150 ulteriori suddivisioni, in tutto 2330 dipendenti. Il modello è militare, con il doppio controllo, sia sull’orario che a cottimo. Questa cosa dell’orario è particolar-mente carina perché se “tardi un minuto te ne togliamo due, se tardi 10 te ne togliamo 20”. Ci sono poi queste relazioni dei presidenti dei primi anni che sono molto interessanti per-ché mostrano tutta una serie di atteggiamenti, in cui il presidente faceva il direttore gene-rale, faceva di tutto, fino al controllo, ad esempio, delle persone che entravano, che poteva-no entrare solo in un certo orario e in un certo modo. Era veramente un modello militare. Nel 1966-68, siamo nel dopoguerra, la struttura è più burocratica semplice, una dire-zione amministrativa e una diredire-zione tecnica. Nascono gli uffici territoriali, gli uffici di corrispondenza sul territorio.

Questa è una struttura apparentemente abbastanza semplice, in questo grafico, nella so-stanza è una struttura impressionante, perché se si va a guardare dentro la struttura vera e propria ci sono due direzioni generali - il termine è importante - 16 servizi tecnici centrali, 5 amministrativi, 50 reparti, 12 uffici di corrispondenza, 150 sezioni e poi ulteriori sotto-sezioni, fino a 300. Complessivamente si arriva quasi a 600 posizioni organizzative, con 1900 dipendenti, il che dà proprio la sensazione di una micro-strutturazione delle singole posizio-ni, dei singoli lavori e delle singole strutture. In quei periodi comincia la stabilizzazione del personale avventizio attraverso i concorsi e sono istituiti gli uffici di corrispondenza regionali. L’86-89, c’era il Presidente Rey: qui ci sono una direzione generale e tre direzioni cen-trali, statistiche sociali, statistiche economiche ed una amministrativa.

È carino notare il tratteggio che dalla direzione generale va alle direzioni centrali e la linea diretta dal presidente alle direzioni. Non ci soffermiamo su questo particolare, ma questo particolare attraversa tutto l’Istituto nei suoi novant’anni.

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Vincenzo Lo Moro

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Che cosa c’è nel 1986? Una direzione generale e tre direzioni centrali. Anche qui ci sono parecchie posizioni organizzative, ma non più tante quante ce n’erano nel 1966. Nascono qui le direzioni centrali, scompaiono le sotto-sezioni e poi nel 1989 viene rinominata la casella di coordinamento. In pratica tra il 1986 e il 1989 c’è pochissimo cambiamento, tranne la rinomina di una casella che nel precedente organigramma era questa qui in alto, che era “Coordinamento per la collaborazione con gli altri enti” e diventa “Collaborazione per il Sistema statistico nazionale”. C’è dunque questo primo passaggio nel 1989.

Questa è l’organizzazione, invece, che fa il Presidente Rey e che eredita il Presidente Zuliani. Si allarga il numero di direzioni centrali, le direzioni centrali più piccole si chiamavano dipartimenti e avevano una funzione trasversale. La direzione generale ha un ruolo di coordinamento e alcune posizioni di staff, come il servizio studi, il ser-vizio studi economici, econometrici e così via.

Ci sono tre dipartimenti nuovi: il dipartimento diffusione banche dati, contabilità na-zionale e informatica. Questa era una struttura che allarga la situazione precedente, creando situazioni di competenze trasversali.

Questa struttura è del 1996 e qui si ripete il discorso: circa 205 unità operative e 45 servizi. È istituita qui la direzione centrale del Sistan - è la ristrutturazione del 1993-1994 - tre dipartimenti, eccetera.

La direzione centrale amministrativa svolge compiti amministrativi, con personale tecnologo: questo è un cambiamento che ci sarà poi successivamente, verrà modificato questo tipo di struttura.

Questa è la struttura che invece crea Zuliani e che eredita Biggeri. Fu la struttura che nacque dopo le Bassanini, quindi la dipartimentilizzazione dei ministeri. Il Presidente Zuliani si ispira a quel tipo di struttura, creando cinque dipartimenti e una direzione generale. C’era un dipartimento per il Sistan, un dipartimento economico, un diparti-mento sociale, uno trasversale e poi quello del personale. C’era un dipartidiparti-mento am-ministrativo, personale e amministrazione, che condivideva con la direzione generale quella che poi è diventata la direzione amministrativa.

Successivamente, nel 2003-2009, con la presidenza Biggeri, si semplifica molto il mo-dello. Ci sono vari cambiamenti ma sostanzialmente c’è una direzione generale e un unico dipartimento. Mediamente ci sono 15 direzioni centrali e 2400 dipendenti. Nel 2011 Giovannini eredita la struttura di Biggeri, con una direzione generale ed un solo dipartimento. In realtà, però, si modifica l’organizzazione, perché la direzione generale diventa totalmente amministrativa e con la 166 la direzione generale è vera-mente amministrativa, nel senso che è composta da dirigenti amministrativi.

Dopo il 2011, in realtà Giovannini allarga di nuovo il numero dei dipartimenti. Tor-niamo ai quattro dipartimenti, invece dei cinque di Zuliani.

L’ultima struttura, nel 2016, con Giorgio Alleva: qui si semplifica di nuovo l’organiz-zazione con due dipartimenti tecnici, un dipartimento di produzione, un dipartimento trasversale, una direzione di governance e la direzione generale amministrativa. Qui ho sintetizzato, cercando di dare dei nomi alle strutture. Ho chiamato la prima per monadi, la seconda gerarchica, è molto forte la gerarchia nel 1966, un modello classico nel 1986, sistemico nel 1996, senz’altro dipartimentale quello del 2001, con le strutture dipartimentali, più compatto nel 2006, di integrazione verticale quello di Giovannini, e un modello industriale, come abbiamo spesso nominato, l’ultimo, con produzione e servizi comuni.

Qual è la differenza sostanziale tra questi modelli? La trovate in questo numero, nella penultima riga: il numero di dipendenti per posizioni organizzative. Noi siamo giunti, a

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un certo punto, con un numero di dipendenti per posizioni organizzative che variava tra 3,5, nel 1966, quando avevamo 535 posizioni organizzative, intorno a 9-10. Nell’ultima ristrutturazione abbiamo 34,5 dipendenti per posizione organizzativa, perché sono state abolite le unità operative. Questo è il grande cambiamento di quest’ultima organiz-zazione. In pratica con l’abolizione delle unità operative quest’ultima organizzazione tenta di lavorare effettivamente per lavori trasversali, per progetti trasversali, a matrice. Qui ci sono alcune conclusioni, i vari modelli che si sono susseguiti. In genere si cerca di aderire alle esigenze di servizio e a fattori esogeni, per esempio limitazione della spesa, riduzione delle posizioni dirigenziali, a volte anche un po’ alle mode del periodo della pubblica amministrazione. A volte studi, rapporti consulenze, Moser, BSP

(Busi-ness Statistic Program) e Politecnico di Milano hanno supportato le scelte.

Ci sono infine alcune analogie. Il 1936 e il 1996 hanno lo stesso numero di reparti, sei, di cui un amministrativo. Per certi versi il 1996 assomiglia al 1936.

Il 1936 e il 2016 hanno anch’essi una analogia: come nel 1936, nel 2016 si fa una struttura di servizi comuni, nel 1936 le strutture dei servizi comuni erano quelle sotto il presidente, cioè l’ufficio copia, l’ufficio tecnico, l’ufficio meccanografico, l’ufficio spoglio, cioè tutta una serie di strutture molto significative. Se si guardano gli ordini di servizio in quegli anni sono strutture importanti, ma ovviamente erano completamen-te diverse da quelle di adesso. Spogli meccanici, servizi completamen-tecnici e così via.

Anche il 1986 e il 2016 si assomigliano per numero di strutture, cioè hanno una strut-tura molto simile.

Il 2001 e il 2010 per i dipartimenti, il 1966 e il 2006 perché sono quelli che adottano il modello più semplice: due strutture, una tecnica e una amministrativa.

Si tratta solo di una piccola fotografia di novant’anni di storia, ma potrebbe essere utile per riflettere. Grazie.

L’unica cosa che nego è di aver avuto alle mie dipendenze gli spogli meccanografici. In quei due anni era comune l’idea di avere dei servizi comuni.

Era soltanto per dire che in effetti dovremmo un attimo riflettere sul fatto che fino agli anni ’80 c’era il problema di ricevere tonnellate di carta da dover trattare ed era un problema vero, era fisicamente un problema, non era soltanto un’ipotesi. Forse una riflessione anche su questi elementi va fatta.

Per esempio i magazzini Lo Moro non li ha citati, ma in effetti erano oggettivamente un problema di spazio, di costo, di logistica e di sicurezza,(una tanica di benzina e miliardi di lire andavano in fumo).

Passiamo alla prossima relazione, confesso che ho fatto un salto sulla sedia quando ho letto “Il Sistan dall’Unità d’Italia”.

Vorrei cominciare con una breve carrellata dei punti chiave della storia del Sistema statistico dalla nascita dell’Istituto al 2010, ovvero all’adozione del Codice delle stati-stiche ufficiali e il decreto di riordino n.166.

Vorrei specificare che la relazione non è sull’intera dimensione del Sistan, ma prende-rà in esame un punto di vista particolare, quello degli uffici di statistica, quindi il

rap-Guido Maria Rey Vincenzo Lo Moro Guido Maria Rey Monica Attias

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porto fra il centro e la periferia, le difficoltà interne agli uffici di statistica e il discorso sul personale e la sua professionalità che, da sempre, è stato un il punto critico dello sviluppo del Sistema.

Con la legge del 1926, di istituzione dell’Istituto centrale di statistica, gli uffici mu-nicipali di statistica vengono posti alle dirette dipendenze del podestà. Il Presidente Gini racconta che fin da subito si intravede il problema del loro sviluppo attraverso personale adeguato.

Già nel 1929, quindi solo tre anni dopo, si va verso una riforma perché ci si accorge che il modello non funziona. Più che il modello, è la rispondenza a questo e la colla-borazione tra uffici di statistica che risultano essere molto faticose. Si cerca dunque di costruire una gabbia normativa per “costringere” gli uffici periferici a collaborare. Questo processo di accentramento durerà ancora diversi anni, fino allo scoppio della Seconda guerra mondiale. Le statistiche del lavoro rimangono comunque sotto il con-trollo dei singoli dicasteri.

Uno spunto interessante si ritrova nell’auspicio del Presidente Gini: “Se fosse possibile, per tutto il personale addetto alle statistiche presso l’Istituto centrale e le altre ammi-nistrazioni statali istituire un ruolo unico, lasciando che il personale addetto alle ri-levazioni speciali delle altre amministrazioni rimanga distaccato presso di queste, ma possa far carriera passando da un’amministrazione all’altra”. È un’idea di personale messo a disposizione dell’intero Sistema statistico, come se fosse inserito in un ruolo astratto dal resto della pubblica amministrazione.

Nel 1933 abbiamo i primi dati sul Sistema. Dagli annali si evince che all’inizio esistono una decina di uffici di statistica comunali, una settantina di provinciali e poche deci-ne di uffici sindacali, altrimenti detti uffici provinciali dell’economia corporativa. Nel giro di due o tre anni il Sistema cresce in maniera cospicua.

Qui emergono altri nodi. Siamo sotto la presidenza di Savorgnan: gli uffici di statistica devono avere funzioni organicamente distinte da quelle degli altri servizi, perché si riscontra già il problema della polifunzionalità dell’ufficio di statistica, un problema che, ancora con le ultime peer review sugli uffici di statistica del 2014, costituisce una costante di tutta la storia del Sistema. È il la questione della doppia o triplice funzione degli uffici di statistica, non esclusivamente dedicati all’attività statistica.

Ma qual è il “grado” di sistema durante il periodo fascista? Ci sono alcuni punti forti, quali, ad esempio, l’approvazione dei piani statistici degli enti: infatti, era già previsto un parere obbligatorio da parte dell’Istituto centrale anche se questo obbligo spesso non veniva rispettato nel senso che i ministeri non sottoponevano all’Istituto i loro piani. L’obbligo di collaborazione per le amministrazioni centrali e locali, in effetti, era ancora solo un obbligo “morale”; non c’era un potere sanzionatorio. Il tallone d’Achille del Sistema erano gli organi periferici, perché l’Istituto non aveva una diretta amministrazione della statistica degli enti periferici.

Veniamo ora all’immediato dopoguerra: dopo il trasferimento a nord del governo fa-scista, nel 1943, nell’estate del 1944 l’Istituto ricomincia a funzionare sotto l’ammi-nistrazione alleata. Gli alleati avevano vinto la guerra e controllavano il rubinetto degli aiuti dei quali l’Italia aveva bisogno per la ricostruzione e lo sviluppo e, come si legge negli annali, gli amministratori erano influenzati nelle loro decisioni dalla produzione di statistiche economiche affidabili e trasparenti. È di questi anni la par-tecipazione dell’Istituto agli organismi interministeriali, come ad esempio il Comitato per la ricostruzione.

Il dopoguerra è una finestra, sembrerebbe, collaborativa. A dire il vero è l’unica nota positiva del rapporto tra centro e periferia che abbiamo trovato in questa piccola

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cerca, negli annali. Il direttore generale Barberi, il primo direttore generale, dopo la guerra, dice: “Salvo qualche sporadica eccezione, le altre amministrazioni ed enti non vedono più nell’Istituto un geloso e sospettoso custode dei diritti, ma un organo tecni-co attivo e tecni-competente”.

Nel 1946 viene istituita una commissione di studio per includere all’interno del Con-siglio anche esponenti di altre amministrazioni. Il processo di formazione del sistema democratico liberale in cui è impegnata la classe politica segnava una forte discon-tinuità con il passato ma mostrava anche forti elementi di condiscon-tinuità nel riproporre una struttura amministrativa ancora rigida. Il Sistema, in pratica, dunque continua a funzionare sull’esempio della legge del 1929.

Nel 1949 si avvia un disegno di una riforma organica del servizio statistico, ma ci sono due visioni opposte: quella del Presidente Maroi e quella di un deputato del partito comunista, Fortunati, che vorrebbe porre l’Istituto alle dirette dipendenze del Parla-mento, quindi collegando maggiormente la funzione statistica all’azione legislativa. Nel frattempo, in attesa di questo processo di riforma, l’Istat continua a concentrarsi su una ricostruzione innovativa. Dal punto di vista della produzione in questi anni si com-pie il delicato passaggio dal calcolo del reddito privato al sistema dei conti nazionali. Negli anni ’50 l’idea di Sistema che si profila è quella di un decentramento presso i Comuni e le Camere di Commercio dei servizi statistici. È di questi anni anche la col-laborazione con l’Anci e i ministeri per la legge anagrafica, che vede la luce nel 1954. In realtà sul campo i problemi permangono. Negli Annali è riportato un commento del Presidente: “Questi uffici funzionanti nell’ambito delle Camere di Commercio do-vrebbero teoricamente sottostare a tre padroni: la Camera di Commercio, che li paga, il Ministero dell’Industria e Commercio, che controlla le Camere, e infine l’Istituto centrale di statistica, con il solo argomento della legge del 1929. È facile indovinare a chi, tra i tre padroni, tendono a obbedire più prontamente ai dirigenti. Ad un’idea di decentramento si oppone quindi un discorso di difficoltà nei rapporti”.

Negli anni ’60 c’è l’importante svolta dell’istituzione degli Uffici regionali dell’Istitu-to. Scrive il Presidente Di Meo: “Il nuovo provvedimento assicurerà l’osservanza delle direttive impartite dal centro, unità di indirizzo e uniformità di criteri”. Questi sono anche gli anni della nuova cultura della programmazione economica: nel 1967 nasco-no il Ministero del bilancio, il Cipe e l’Ispe.

Passiamo agli anni ’70, anni in cui proliferano diversi progetti di riforma del Sistan. L’istituzione delle Regioni a statuto ordinario pone in primo piano il problema del rap-porto con le strutture degli enti locali e camerali. Nel 1977 inizia un complesso e lungo dibattito sui contenuti dello schema del disegno di legge denominato “Riordinamento del Servizio statistico nazionale”. Per la prima volta viene definito come servizio pub-blico di rete per il reperimento delle informazioni statistiche nelle sedi in cui venivano prodotte e conservate. L’idea prevedeva che tutti gli organismi sarebbero stati vigilati da un Consiglio nazionale di statistica, con 75 componenti, che sembra, nella forma, molto simile al Conseil national de la Statistique (Cnis), francese.

Finalmente giungiamo agli anni ’80 con la realizzazione di un programma fattivo. Il secondo Convegno sull’informazione statistica in Italia diventa un’occasione di gran-de dibattito. Il Presigran-dente Rey annuncia un programma di mogran-dernizzazione che si incentra sul pianificare l’attività statistica nella pubblica amministrazione in modo da consentire un controllo sull’intero Sistema statistico nazionale e sul ripartire la responsabilità fra gli enti che producono statistiche, operando in modo da avvicinare le rilevazioni alle istituzioni che prioritariamente fruiranno dei risultati. E un nodo, questo, che si riemergerà in tutto il dibattito successivo: coordinare l’attività della rete

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informativa nazionale anche con un collegamento stabile tra le banche dati esistenti. Questo rappresenta un grande elemento di modernità.

Negli anni ’80 c’è anche il rapporto Moser. Nel 1981 è istituita la Commissione statisti-ca internazionale, presieduta da sir Claus Moser, per decreto del Ministro delle politi-che comunitarie. Del rapporto Moser, politi-che ha una grande importanza, analizziamo qui solamente l’aspetto relativo alla forma del Sistema.

Moser dice: “L’esistenza di un buon Sistema statistico sta nel coordinamento e nell’in-tegrazione dei dati”. Si tratta quindi di un approccio sostanziale all’idea di Sistema, al coordinamento dei dati e alla loro possibilità di integrazione. In passato si riteneva che il compito di un ufficio di statistica fosse quello di produrre dati in molti campi, pre-stando scarsa attenzione alle loro interconnessioni. Vengono quindi presentate alcune raccomandazioni. Al governo, quella di non lasciare la statistica fuori dalle decisioni pubbliche - ed è un richiamo forte, questo - e all’Istat quella di un coordinamento sostanziale, perché con la legge del 1929 era sì previsto un coordinamento forte, ma solo formale, che non corrispondeva poi però ad un reale potere di coordinamento. Moser parla di accentramento delle funzioni statistiche di Regioni, Province e Comuni e valorizzazione dei patrimoni informativi del ministeri, quindi argomenti decisamen-te molto attuali.

Queste raccomandazioni del rapporto Moser si inserivano in un contesto politico e isti-tuzionale italiano in cui si andava affermando l’idea di sistema, di rete. Moser stesso ammette che ci sono delle incompatibilità sotto il profilo organizzativo. Ad esempio: la necessità di efficienza, di integrazione e coordinamento richiede un’organizzazio-ne completamente accentrata, mentre la un’organizzazio-necessità di analisi e di vicinanza ai centri di elaborazione delle politiche richiede che gruppi di statistici vengano collocati nei diversi ministeri, in modo che divengano maggiormente consapevoli delle necessità di disporre dei dati, ecc.

Si è citato prima anche il gruppo di studio Business System Planning, su cui non mi soffermerò oltre, comunque l’idea principale che viene fuori da questo gruppo di studio è quella della programmazione, di una forte attività programmatoria a medio termine.

Infine, arriviamo al 1989, anno della riforma. Sempre dal punto di vista degli uffici di statistica, tra i compiti prioritari loro assegnati leggiamo nel D.Lgs. 322 che questi hanno accesso a tutti i dati statistici in possesso dell’amministrazione di appartenenza.

Nel documento ATTIRoma, 22-24 giugno 2016 (pagine 137-157)