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Analisi traduttologica

1. Analisi generale del testo

1.5. La macrostrategia traduttiva

«知者不言,言者不知»226

Molteplici e differenti sono le teorie sulla traduzione così come i metodi del tradurre. Ciò che la maggioranza dei traduttologi e filologi cerca di comunicare viene riassunto da Schleiermacher, secondo il quale per evitare di ridurre la traduzione di un testo letterario a una “finzione” che tenta di ripristinare l’impressione dell’originale sarebbe più adeguato adottare quel metodo straniante che segnali al lettore il necessario mutamento delle condizioni di comprensione.227

Nel suo saggio Sui differenti modi di tradurre, Schleiermacher sostiene che la traduzione è un movimento che può essere tentato in due direzioni opposte: o si porta l’autore al linguaggio del lettore, in questo caso imitando e parafrasando il “primo testo” o, per usare la terminologia di Popovič228, il prototesto, traducendolo impropriamente, o si porta il lettore del “secondo testo” – metatesto – al linguaggio dell’autore, strappandolo dalle sue abitudini linguistiche e persuadendolo a muoversi verso quelle dell’autore; solo allora si potrà parlare di traduzione in senso proprio.

224 Osimo, 2011, op. cit., pp. 118-19. 225 Ivi, p. 137.

226 «Chi sa tace, chi non sa parla». Citazione di Lao Zi (老子), contenuta nel Daode Jing 道德经 (“Classico

dei precetti morali”).

227 Apel, 1993, op. cit. p. 42. 228

93 In base al metodo scelto si avrà un diverso effetto estetico del testo su coloro che lo recepiscono, misurato secondo la percezione che ne avrò, io lettore, o io scrittore. Nell’ambito di un’estetica della traduzione il concetto di effetto rappresenta sia il completamento di un principio fondamentale, sia un elemento decisivo di compiutezza, spiega Ladmiral.229 Si riferisce più nello specifico alla contrapposizione di fondo tra

sourciers e ciblistes da lui introdotta.

Come è stato mostrato in precedenza, secondo alcuni dei più grandi linguisti e traduttologi, tradurre equivarrebbe esattamente ad allontanarsi dalla propria lingua per andare verso le altre e non il contrario, in modo da far trasparire e rendere manifesti i modi di parlare propri dell’autore tradotto e mantenere intatta l’alterità del testo di partenza. Ad esempio per Berman, una buona traduzione dovrebbe essere una “bella straniera”. Questo è l’approccio tipico dei cibliste. I sourcier, invece, vogliono che il testo da loro tradotto venga percepito esattamente come fosse l’opera originale e non una traduzione; calando il prototesto nella cultura ricevente, essi adattano lo stile, i segni e il senso al sistema linguistico ed extralinguistico della propria lingua. La finalità del traduttore sourcier, la cui trasparenza risulta palese e la capacità di manipolazione della lingua forte, è quella di facilitare la lettura e la comprensione dell’opera attraverso un assottigliamento se non appiattimento dello stile e della parola dell’autore, dando priorità alla scorrevolezza letteraria, alla leggibilità, alla continuità sintattica, alla precisione di significato e a quella che Nida chiama “naturalezza d’espressione”.230

Venuti parla di “invisibilità” del traduttore231 per intendere che questi, partendo dall’analisi degli assetti linguistici ed extralinguistici del primo testo, se ne allontana successivamente nell’atto traduttivo, quasi rifiutando ogni elemento dell’originale. Non fa percepire la sua mano, la sua presenza e il suo lavoro, come se lui stesso fosse l’autore di un testo non sentito più come straniero ed estraneo, in quanto perfettamente addomesticato alla lingua traducente.232 Pertanto, se i

229 Ladmiral J.R., Della Traduzione. Dall’estetica all’epistemologia. A cura di Antonio Lavieri, Mucchi,

Modena, 2009.

230

Venuti L., 1999, op. cit., p. 46.

231 Ivi, p. 21.

232 Meschonnic critica fortemente l’invisibilità del traduttore sostenendo che “la nozione di trasparenza col

suo moralizzato corollario, la modestia del traduttore si annulla – appartiene all’opinione come ignoranza teorica e disconoscimento caratteristico dell’ideologia che non si autoriconosce” e che “l’affermazione

94 primi sono quei traduttori che si soffermano maggiormente sul significante della lingua di partenza, i secondi pongono invece l’accento sul senso della parola da tradurre, scomodando il lettore e facendogli percepire il testo d’arrivo come estraneo. D’altro canto, citando il compianto Moskowitz, professore all’ESIT (École Supérieure d’Iinerprètes et de Traducteurs, Sorbonne nouvelle), Ladmiral ricorda che nelle scuole di traduzione “non si traducono parole ma idee” e che la traduzione non è questione di lingua, bensì di senso delle parole. La lingua, essendo prodotto della mimesi, è distante dalla verità, la quale deve essere ricercata direttamente nel mondo platonico delle idee, ossia da ciò che le cose sono “in sé”.233

Dopo aver “osservato” i capitoli in questione e prima di procedere alla loro traduzione mi sono proposta di adottare una strategia traduttiva che fosse “coraggiosa” e che facesse di me ciò che Ortega Y Gasset designa come il “buon utopista”, cioè quel traduttore che pensa che sebbene sia auspicabile liberare gli uomini dalla distanza imposta loro dalle lingue, non è probabile che ci si possa riuscire; e quindi ci si deve limitare a un risultato approssimativo. Si impegna innanzitutto con se stesso a essere un inesorabile realista. Solo quando è sicuro di aver visto bene la realtà nella sua più aspra nudità e senza essersi fatto la minima illusione, si ribella decisamente contro di essa e si sforza di modificarla nel senso dell’impossibile, che è l’unica cosa ad avere senso.”234

Ho assunto un atteggiamento “centripeto”235

, cercando di esprimere nella mia lingua madre, l’italiano, ciò che in lingua cinese è stato taciuto, mostrando l’alterità linguistica, culturale e storica come una specificità. Ho tentato, in altre parole, di accompagnare il lettore a confrontarsi con l’“altro mondo”, a indurlo a immedesimarsi in quella realtà straniera, provando a edificare un ponte di comunicazione e comprensione tra due culture totalmente difformi non sempre facile da percorrere. Questo mi porta ad affermare che ho tentato di modernizzare236 la lingua

secondo cui una traduzione non deve dare l’impressione di essere una traduzione [vuol dire essere] nell’illusione della trasparenza [vista come] scrittura ideologica passiva e traduzione culturale”. In Nergaard, 1995, op. cit., pp. 267-268. Vedi anche “Foreignizing Fluency: Lawrence Venuti, The Translator's Invisibility”, in Robinson D., 1997, op. cit., pp. 97-112.

233

Lavieri, 2004, op. cit. p. 98.

234 J. Ortega y Gasset,1937, op.cit., p. 68.

235 Termine estrapolato da Osimo, 2011, op. cit., p. 87.

236 Termine estrapolato da Eco U., Dire quasi la stessa cosa, Esperienze di traduzione, Bompiani, Milano,

95 d’arrivo adottato quella strategia ampiamente conosciuta come straniamento o

foreignization237 a discapito di quella addomesticante (domesticating238). Usando la terminologia di Newmark, volevo che la mia risultasse una semantic translation239, la quale

tenesse in considerazione il livello estetico del prototesto e mirasse a mediare il significato voluto dall’autore riproducendolo nel metatesto e rimanendo perciò nell’ambito della cultura originale. Questo tipo di strategia traduttiva ha come pilastro portante quella che Philip Lewis vede come una “fedeltà abusiva”240

del testo tradotto nei confronti del testo straniero. Questa “abusività” porta il traduttore ad assumere un atteggiamento talmente ribelle nel riprodurre tutte quelle caratteristiche del testo straniero che non si adeguano al valori culturali tanto che si parla di una sorta di resistenza alla cultura d’arrivo.

Nida fa corrispondere alla strategia traduttiva straniante un’equivalenza formale – contrapposta a quella dinamica – che tende ad avvalorare oltre alla forma anche il contenuto dell’opera originale. Questo tipo di orientamento presuppone un’attenta aderenza al source text, il quale deve essere analizzato, interpretato e riprodotto nella minima accuratezza, rendendo la sua traduzione così lucida tanto che il lettore deve essere in grado di specchiarsi nella parola straniera e di percepirla allo stesso modo del lettore originale241. La tecnica dello straniamento presuppone la volontà del traduttore di stimolare nel ricevente le stesse sensazioni che l’autore aveva provocato nel suo, di permetterli di penetrare nell’opera per poi perdersi in quella sensazione di diverso che potrebbe perfino aiutarlo a conoscere se stesso.

Text and reader no longer confront each other as object and subject, but instead the "division" takes place within the reader himself. In thinking the thoughts of another, his own individuality temporarily recedes into the

237 Venuti L., 1999, op. cit., p. 44. 238 Ibid.

239

Newmark P., A textbook of translation, Prentice-Hall International, New York , 1988, p. 46; Newmark, Milano, 1988, op. cit., pp. 51, 79-82.

240 Lewis P.E., “The Measure of Translation Effects”, in Graham J. F., Difference in Translation, , Cornell

University Press, Ithaca NY, 1985, p. 41; pubblicato anche in Robinson D., 1997, op. cit., pp. 132-178; Pym A., “On indeterminacy in translation. A survey of Western theories”, Intercultural Studies Group, Universitat Rovira i Virgili, Tarragona, Spain, 2008, http://usuaris.tinet.cat/apym/on- line/translation/2008_%20Indeterminacy.pdf 19/09/2017.

241 Nida E., “Principles of correspondence”, in Venuti L., The Translation Studies Reader, Routledge, Taylor

96 background, since it is supplanted by these alien thoughts, which now

become the theme on which his attention is focused. As we read, there occurs an artificial division of our personality, because we take as a theme for ourselves something that we are not . . . Thus, in reading there are two levels—the alien "me" and the real, virtual ''me"—which are never completely cut off from each other. Indeed, we can only make someone else's thoughts into an absorbing theme for ourselves, provided the virtual background of our own personality can adapt to it.242

We expect approximate truth in a translation…. What we want to have is the truest possible feel of the original. The characters, the situations, the reflections must come to us as they were in the author’s mind and heart, not necessarily precisely as he had them on his lips.243