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Che cosa vuol dire “tradurre”?

2. Scommettere e migliorare

Per quanto due lingue possano essere simili e vicine – perfino i dialetti di una stessa lingua – non potranno mai esprimere interamente lo stesso significato mediante lo stesso segno linguistico. L’impossibilità di fornire una soluzione alla babelica differenziazione delle lingue diventa una condizione di “indeterminatezza”130

della traduzione, che porta il traduttore a immergersi in un vorticoso brainstorming di ipotesi circa l’analisi del testo da tradurre e le strategie da seguire.

Quando ci incarichiamo di questa grande missione che è tradurre, il primo passo che dobbiamo compiere è “osservare” il testo131

che abbiamo di fronte in modo cauto, leggerlo scrupolosamente per capire il sistema interno della lingua di partenza e la struttura testuale, scrutare la parola, disambiguarla contestualmente132, illuminare i passi oscuri e infine farci coinvolgere dal mondo possibile che essa racchiude, ossia immedesimarci in quel contesto che esprime.133 Questo primo approccio analitico – mentale è necessario affinché il traduttore possa disegnare una pista che prima lui stesso deve attraversare e sulla quale poi getterà quelle briciole che sono gli indizi che il lettore a cui si rivolge dovrà cogliere successivamente. 134

129 Mattioli E., Ritmo e traduzione, Mucchi, Modena, 2001, p. 39.

130 Eugene C. E., The Transparent Eye Reflections on Translation, Chinese Literature, and Comparative

Poetics, SHAPS Library of Translation, University of Hawaii Press, Honululu, 1993, p. 155; Torop P., La traduzione totale. Total’nyi perevod, Guaraldi, Modena; trad. it di Bruno Osimo, 2000, p. 58

131 Popovič riduce il prototesto a oggetto della comunicazione traduttiva che, prima di essere riverbalizzato e

ricontestualizzato mediante la traduzione pratica, deve passare il vaglio di un’osservazione puramente analitica che riguarda sia il contesto dell’opera che la struttura del testo. In Popovič A., La scienza della traduzione. Aspetti metodologici. La comunicazione traduttiva; trad. it di Daniela Laudani e Bruno Osimo, Revisione di Bruno Osimo, Milano, Hoepli, 2006, p. 28.

132 Eco, 2003, op. cit., p. 29. 133 Ivi, p. 45.

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70 Tutto ciò per dire che la fase traduttiva ne presuppone un’altra, quella interpretativa, o meglio che la traduzione è una forma di interpretazione.135 Credo che il termine “interpretare” cada a pennello se si parla di traduzione. La sua definizione136

ci induce a pensare la traduzione come un processo decisionale137, cioè una serie di congetture e ipotesi sulla struttura del testo e della parola e su ciò che vogliono comunicare al destinatario, studiando i loro significati e cercando il più possibile di riprodurre in traduzione l’intenzione e il senso originali. Come abbiamo ripetuto più volte, è esclusa la possibilità di tradurre un testo nella sua totalità, non si può certamente mostrare o esprimere “tutto” in traduzione. È quello che intende Eco quando scrive che traducendo, non si dice

mai la stessa cosa138 e si deve scommettere.139

L’esperienza del traduttore non è molto distante da quella dell’autore, come se entrambi partecipassero allo “stesso” atto creativo ma in diversi momenti storici.140

La traduzione è la rappresentazione dell’intimo legame tra due lingue che gravitano intorno allo stesso significato che, come abbiamo visto, rimarrà sempre segreto.141 Se da un lato traducendo non diciamo mai la stessa cosa, dall’altro percepiamo la stessa cosa ma diversamente.142

In virtù dell’esperienza condivisa e del dialogo ermeneutico143

in cui autore, testo e traduttore sono coinvolti, può capitare che, mentre si traduce, il traduttore abbia la sensazione di cogliere perfettamente ciò che l’emittente vuole comunicare ma, nel momento della

135

Ivi, p. 16; Gadamer G., “Dall’ermeneutica all’ontologia. Il filo conduttore del linguaggio”, in Nergaard, 1995, op. cit., p. 343.

136 Interpretare (tosc. o letter. interpetrare) v. tr. [dal lat. interpretari (lat. pop. interpetrari), der. di interpres -

ĕtis «interprete»] (io intèrpreto o intèrpetro, ecc.). 1. a. Intendere e spiegare nel suo vero significato (o in quello che si ritiene sia il significato giusto o più probabile) il pensiero d’uno scritto o d’un discorso il cui senso sia oscuro o dia luogo a dubbi […] Nella critica letteraria o artistica, intendere i caratteri profondi, i valori essenziali di un’opera, di uno scrittore o artista, e in genere di un processo creativo, estetico, e simbolico. b. Più genericam., capire e spiegare tutto ciò che è espresso o raffigurato in forma simbolica, con segni convenzionali, o comunque con mezzi non accessibili a tutti […] c. ant. Tradurre, dare di una parola o di un testo in lingua straniera il significato corrispondente nella nostra lingua […] 2. a. Attribuire un significato, spiegare la natura, la ragione e il fine di determinati atti o fatti, dedurre da indizi o da parole i pensieri e le intenzioni di una persona […] b. Intendere, indovinare ciò che è nell’animo di una o più persone, sostituendosi a queste nel tradurlo in atto o nel manifestarlo.

http://www.treccani.it/vocabolario/interpretare/

137 Levy J., “La traduzione come processo decisionale”, in Nergaard, 1995, op. cit., p. 63. 138 Eco, 2003, op. cit., pp. 93-94.

139

Eco U., “Riflessioni teorico-pratiche sulla traduzione”, in Nergaard, 1995, op. cit., p. 138.

140 Lavieri A., La traduzione fra filosofia e letteratura, L'Harmattan, Torino-Parigi, 2004, p. 89. 141 Benjamin W., 2007, op. cit., p. 9.

142 Lavieri, 2004, op. cit., p. 109. 143

71 trasposizione del senso, nota come ad un livello linguistico o extralinguistico questo si deformi. Si avrà inevitabilmente il famoso scarto.144 Il traduttore, successivamente alla fase analitica del testo durante la quale avrà individuato gli elementi “invarianti” e quelli “varianti”145

, sarà allora chiamato a decidere quali aspetti conservare e quali “limare via”146, dovrà in qualche modo rassegnarsi amaramente all’idea di rinunciare a qualcosa.

Secondo l’opinione di Schleiermacher, la conoscenza dell’interprete supera quella dell’autore in quanto ha la capacità di comprendere i significati e i sensi più dell’autore stesso nell’istante in cui inconsciamente li ha depositati.147

Seguendo tale ermeneutica della superiorità del traduttore, il metatesto acquisirà nuova vita nella manifestazione delle sue potenzialità di esprimere concetti vecchi e/o distanti148 e conferirli una luce più brillante sia

da un punto di vista linguistico che storico-culturale. Riprendendo la teoria secondo cui la traduzione è, banalmente, confronto di due sistemi e codici linguistici incommensurabili che si rispecchiano in due culture altrettanto lontane, il traduttore manifesterà la sua creatività nella riproduzione dell’originale.

Una simile traduzione irregolare e imprecisa, tuttavia sotto un certo aspetto corrispondente, costituisce uno degli elementi sostanziali di qualsiasi pensiero creativo. Proprio queste convergenze “irregolari” danno l’impulso per la nascita di nuovi legami di senso e testi di nuova concezione.149

Il traduttore, come figura mediatrice che ha il compito di ridimensionare la distanza linguistica e culturale di due realtà150, si trova al centro della comunicazione tra autore e lettore, presente e passato, vive cioè simultaneamente in due mondi diversi151. Tale

144 Lavieri, 2004, op. cit., pp. 96, 104; Gadamer in Nergaard, 1995, op. cit., p. 343.

145 La “variante” è quella parte del metatesto che lo differenzia dal prototesto, mentre l’invariante è la parte

del prototesto che non deve variare in traduzione, ossia la dominante. Vedi il glossario in Osimo, 2011, op. cit. pp. 288, 329.

146 Espressione estrapolata da Eco, 2003, op. cit., p. 93. 147 Lavieri, 2004, op. cit., p. 107.

148 Ivi, p. 112. 149

Lotman in Osimo, 2011, op. cit., p. 72.

150 La concezione del traduttore come mediatore culturale viene ripresa da Osimo parlando di “linguacultura”

in Osimo, 2011, op. cit.., pp. 35-36 e. Vedi anche Morini M., La traduzione. Teorie. Strumenti. Pratiche., Sironi editore, Milano, 2007, pp. 93-97.

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72 condizione di sdoppiamento gli permette di afferrare le lacune e le mancanze di una lingua e di sopperirle con gli elementi dell’altra, dando vita in questo modo a un linguaggio rivoluzionario più ricco152 costituente un terzo testo che esiste al di là degli altri due153, cioè ad un nuovo mondo. Questa supplementarietà linguistica armoniosa e non conflittuale assicura ciò che Derrida, in termini quasi sacri, definisce “santa crescita delle lingue” “fino al fine messianico della storia”.154 Ricollegandosi al tema della “sopravvivenza” dell’opera, Eco pare seguire di pari passo la teoria di Derrida, affermando che nella rilettura dei suoi testi tradotti si era riscoperto un autore perfino migliore.155 “L’opera non vive soltanto più a lungo, vive più e meglio”.156