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La nascita dei partiti politici e delle associazion

Nel documento Il caso di Okinawa, un'isola in protesta (pagine 34-37)

La popolazione nell’immediato dopoguerra, oltre ad avere il problema del reperire il cibo per la sopravvivenza, si rese conto che nulla si stava facendo in campo economico per la ricostruzione e lo sviluppo per potersi riprendere dalle conseguenze del conflitto.

Iniziarono a formarsi diversi partiti politici necessari per organizzare il malcontento della popolazione. Nel 1947 si formò la Lega Democratica di Okinawa, partito conservatore che perseguiva l’idea di cooperare con gli americani, per proteggere gli interessi economici dei suoi membri. Nel corso degli anni cambiò più volte nome, nel 1950 divenne il Partito Repubblicano e nel 1952 Partito Democratico delle Ryūkyū. Si costituirono, sempre in quegli anni il Partito del Popolo di Okinawa (OPP), composto soprattutto da impiegati, tra cui Senaga, della testata giornalistica locale Uruma Shimpō avviata dagli americani, ed il Partito Socialista di Okinawa. L’OPP inizialmente molto vario ideologicamente, solo in un secondo momento divenne il principale target di repressione americana in quanto influenzato da un’ideologia marxista-leninista e apertamente collegato al Partito Comunista Giapponese (JCP). In un primo momento questo partito accolse favorevolmente la presenza statunitense sul territorio in quanto pensavano potesse essere d’aiuto alla causa dell’indipendenza dal Giappone. Sempre in quegli anni, 1950, un gruppo di laureati all’Università di Tokyo ritornati ad Okinawa e appartenenti all’élite dell’Isola, fondarono il Partito Socialista di Massa di Okinawa (OSMP), basato su ideologia socialiste senza però dare enfasi alla lotta di classe per evitare problemi con le autorità.

Negli stessi anni le condizioni del settore dell’istruzione erano pessime. Non c’erano né edifici scolastici né materiali didattici poiché erano andati distrutti durante la guerra. I maestri organizzarono una scuola sui generis, recuperando ciò che poterono tra le macerie, spesso facendo lezione all’ombra di un albero o sotto una tenda e talvolta utilizzando un bastoncino per scrivere sulla sabbia. Date le condizioni di lavoro a cui erano sottoposti fu il gruppo che iniziò per primo a sollevare il desiderio di tornare a far parte del Giappone facendo leva anche su studenti e genitori per arrivare ad avere lo stesso trattamento usato nei confronti dei colleghi nelle isole principali. Già nel 1951 danno ufficialmente voce a questo desiderio durante un incontro dell’Okinawan Principals’

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Organization e l’anno successivo formarono l’Associazione degli Insegnanti di Okinawa,

abbreviata in OTA, con la quale riescono anche ad ottenere il permesso di andare in Giappone per sostenere dei corsi di aggiornamento, mettersi in contatto coi colleghi, rendendosi così conto di com’era la situazione nelle isole principali.

Altro fronte importante fu quello dei lavoratori. Per costruire velocemente le basi militari, le imprese edili dovettero utilizzare largamente la manodopera locale, assumendo di conseguenza moltissimi abitanti. Per sfruttare però il maggior numero di lavoratori possibili ed ottimizzare i tempi di spostamento casa-lavoro, vennero costruiti direttamente a fianco ai cantieri dei capannoni eretti direttamente sul terreno, privi di pavimento, servizi igienici e con tetti da cui si infiltrava l’acqua, in cui venivano stipati più di 250 lavoratori alla volta. Dalle persone del luogo venivano chiamate “porcili”, butagoya.32 Ai

poveretti veniva anche richiesta una quota per l’alloggio, il cibo ed il mantenimento di questi edifici che gli veniva direttamente detratto dal salario e quel che rimaneva spesso veniva trattenuto arbitrariamente. Questo fu possibile per la mancanza di leggi sulla tutela e sui diritti dei lavoratori. Infatti, anche le condizioni lavorative erano pesantissime in quanto costretti a turni lunghissimi e dovendo mantenere comunque alto il rendimento. Questa situazione portò nel 1948 i lavoratori, che si occupavano della costruzione del lato sul mare del porto militare di Naha, ad organizzare uno sciopero. L’allora ancora RYCOM, come risposta, decise di chiudere tutti i negozi di alimentari e minacciò di bloccare agli abitanti la distribuzione delle razioni di cibo, le quali già scarseggiavano. Queste minacce però ebbero un effetto inaspettato. Le proteste aumentarono ulteriormente grazie anche all’intervento dell’OPP che organizzò azioni collettive facendo comizi e incontri nei piccoli villaggi oltre che nelle città opponendosi alle restrizioni sul cibo. Proprio riguardo alle condizioni lavorative il leader dell’OPP Senaga durante uno dei suoi comizi affermò: ‘They are treated like domestic animals’, ‘How much money do they make, I wonder?’, ‘There are no toilets and at night they can’t sleep because of the mosquitoes’, ‘We must save the workers from the pigsty!’, ‘Let the workers breathe fresh air!’33

Tra il 1952 e il 1953 i lavoratori che si occupavano della costruzione di strade ed edifici organizzarono una serie di scioperi spinti dal desiderio di migliorare le condizioni delle cosiddette butagoya e di ricevere il salario che era stato sospeso dai datori di lavoro. A loro sostegno, anche questa volta, si schierarono i due partiti più vicini ai lavoratori

32Naguno e Senaga in Myth, protest and struggle in Okinawa di Miyume Tanji, Taylor & Francis e-Library, 2007, ch. 5,

p. 58.

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l’OPP e l’OSMP che iniziarono una lunga campagna in parlamento per la creazione di leggi a tutela dei lavoratori. Dopo una lunga lotta riuscirono a farne approvare tre la cui applicazione però venne limitata dall’USCAR. Quest’ultimo organo infatti emise due ordinanze al riguardo: la n.116, in cui veniva affermato che le leggi appena approvate in Parlamento potevano esser applicate solo nei casi in cui i lavoratori non fossero impiegati all’interno delle basi americane, e la n.145, in cui veniva limitata la libertà di tutti i lavoratori di creare un qualsiasi gruppo, unione o associazione in quanto bisognava prima ottenere il permesso direttamente dall’USCAR stesso. Negli anni successivi l’abolizione di queste due ordinanze fu al primo posto come punto chiave delle lotte intraprese dai partiti politici e dal movimento dei lavoratori, diventato il più attivo e forte movimento in ambito politico negli anni ’50.

Contemporaneamente, nella parte centrale dell’isola, dove erano avvenute le maggiori confische di terreni, i proprietari terrieri iniziarono ad organizzare un’azione politica per riuscire a farsi pagare gli affitti dagli americani per le loro proprietà occupate dalle basi. Su consiglio del Parlamento venne formato un comitato in ogni villaggio adibito al controllo del territorio e nel 1953 convesero tutti nel Tochiren, l’unione di tutti i proprietari terrieri.

Dato che contrastare le politiche americane per i terreni confiscati era considerato un atto di ribellione comunista e condannato, i membri del parlamento ed il Tochiren furono sempre cauti nel rifiutare il pagamento una tantum degli affitti ed anche nella lotta per proteggere i diritti di proprietà.

Sempre a questi anni si deve l’inizio del dibattito sull’indipendenza di Okinawa, come auspicata dalla Lega Democratica di Okinawa (ODL), o sul ritorno al Giappone. La preferenza all’indipendenza era supportata, secondo i membri dell’ODL, dalla possibilità di esser tenuti sotto l’ala protettrice degli Stati Uniti con conseguenti vantaggi economici. Di tutt’altro avviso erano, come già visto in precedenza, gli insegnanti, i più grandi fautori del ritorno al Giappone, ed i partiti politici OPP e OSMP. Nel febbraio del 1950, addirittura, il leader dell’OPP, Senaga Kamejirō, fece diventare l’autodeterminazione razziale e la democrazia l’obiettivo del partito, affermando che la popolazione delle Ryūkyū era giapponese e quindi per questo motivo dova tornare a far parte del Giappone.34 Per contrastare queste spinte unioniste l’amministrazione americana cercò di

promuovere la cultura locale in contrapposizione a quella giapponese. Un semplice

34Okinawa Jinminto 1985 in Nakachi 1996: 34 citato in Myth, protest and struggle in Okinawa di Miyume Tanji, Taylor

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esempio può essere la predilezione nell’utilizzo del termine “Ryūkyū”, evocante il glorioso passato dell’impero, al posto dell’odierno “Okinawa”. Furono riportate in auge anche la produzione di abiti e ceramiche tradizionali. Si favorirono le rappresentazioni teatrali e si crearono inoltre riviste locali che promuovevano tutto ciò che era parte della tradizione.

Questo però rese ancora più diffidenti quelle forze che avevano già delle perplessità nei riguardi dell’amministrazione americana, come i membri dell’OPP, dell’OSMP, dei proprietari terrieri, degli insegnanti e dei lavoratori, facendogli percepire la possibilità dell’indipendenza come ad un errore.35 Nell’aprile del 1951 venne formata

una coalizione, chiamata Consiglio Preparatorio per la Promozione della Reversione (Nihon Fukki Sokushin Kiseikai) dai membri dell’OPP e dell’OSMP, con lo scopo di una raccolta firme a sostegno del ritorno al Giappone. Come riporta Tōyama, furono raccolte ben 276677 firme, pari al 72,1% della popolazione totale di Okinawa. Nonostante la dimostrazione di questo larghissimo consenso popolare, la petizione non influenzò minimamente il Trattato di Pace firmato alla Conferenza di San Francisco poco dopo, nel quale si lasciava agli Stati Uniti il “right to exercise all and any powers of administration, legislation and jurisdiction over the territory and inhabitants of these islands (arcipelago delle Ryūkyū n.d.r.)”.36 Con questa mossa Okinawa si vide privata “from the entitlement to constitutional democracy, freedom of expression, local autonomy, gender equality, protection of basic human rights, and the renunciation of war, as stipulated in the new Japanese Constitution”.37 Venne introdotta inoltre la figura di Alto Commissario, il quale aveva il potere di rimuovere dal servizio funzionari pubblicamente eletti, bloccare leggi promulgate dal GRI e revocare decisioni prese nei tribunali.38

Nel documento Il caso di Okinawa, un'isola in protesta (pagine 34-37)