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Capitolo II Successo commerciale dell’industria videoludica

2.1 La nascita dell’industria videoludica nel contesto nipponico

Il precedente capitolo ha definito il videogioco come medium, con alcuni accenni delle dinamiche tra l’industria e le sue ramificazioni; in questo capitolo l’industria verrà analizzata mettendo in atto un approccio che privilegia la percezione “emica” giapponese. In Giappone i videogiochi sono un settore di punta della produzione legata al tempo libero ed all’intrattenimento. Esperti in materia tra i quali l’autore e giornalista Blake J. Harris (1982-), sostennero che i videogiochi siano diventati un colosso multimiliardario soprattutto grazie a quel lungo processo che ha visto il Giappone prendere le redini del business planetario durante gli anni ’80 del XX secolo, identificati come “L’Età dell’Oro” dei videogiochi, plasmata da società come Nintendo, SEGA, Taito, Namco, Capcom e Konami.122 Chris Kohler (1980-) nel suo libro

POWER+UP (2004) ha preso in esame le cause e le implicazioni di questo fenomeno; per

comprenderle questo lavoro cerca di isolarle descrivendo alcune fasi importanti nella storia dell’industria mediatica del Giappone contemporaneo.123

Dopo la sconfitta nella Seconda guerra mondiale, già alla fine del 1945, pochi mesi dopo le bombe atomiche e ancora in piena stagnazione economica rinascevano le industrie del manga e del cinema, con la Nuova Animazione Giapponese (Shin Nippon Dogansha) diventata successivamente parte del colosso Toei Doga, che oggi produce e distribuisce alcuni tra i più grandi successi dell’animazione cinematografica e televisiva. A fronte della crescita dell’intrattenimento l’estetica delle produzioni risentiva però dell’occupazione statunitense, terminata nel 1952 influenzò la produzione di questo periodo in diversi modi: portò a dei processi di “occidentalizzazione” degli elementi narrativi, soprattutto attraverso la diffusione del cinema e della musica statunitensi. Su indicazione degli Stati -Uniti vennero scoraggiate le produzioni ritenute “nazionaliste” e il Red Purge124 portò licenziamento e l’incarcerazione di

numerose persone: si pensi che nel solo settore del cinema tra il 1947 ed il 1951 “sparirono” o

121 Blake J. Harris in Jacopo Prisco, How Japan changed video games forever. da “CNN”, 13.11.17

https://edition.cnn.com/2017/11/12/asia/future-japan-videogame-landmarks/index.html Consultato il 30.11.2019.

122 Ibidem.

123 Chris Kohler, POWER+UP … cit.

124 Campagna per arrestare la diffusione del comunismo in Giappone, tra gli effetti vi fu la messa al bando del Partito

furono licenziati almeno centotrentasette lavoratori.125 Questo processo da una parte creò un rapporto privilegiato con gli Stati Uniti ed il blocco capitalista, dall’altra allontanava virtualmente il Paese dai vicini asiatici.126 Terminata l’occupazione militare il Paese cominciò un processo autonomo di rinnovamento dei propri modelli culturali e sociali. Alcuni studiosi di psicologia hanno studiato l’effetto lasciato dall’occupazione sulla cultura nipponica; parlano di un “controllo secondario” che avrebbe modificato alcuni modelli culturali nel Paese.127

Il desiderio di ricostruzione riportò in patria numerosi artisti e creativi emigrati all’estero negli anni precedenti.128 I decenni successivi videro un susseguirsi di film, Manga e animazioni di

grande successo commerciale: durante gli anni 1950 uscì nelle sale il primo film di Godzilla (1954), il Manga iniziò ad affermarsi come forma di comunicazione di grande efficacia, spinto dal lavoro di Tezuka Osamu, oggi conosciuto come “il dio del Manga”. Tra i due decenni 1950/1960 la società Toei produsse alcuni film d’animazione tra cui La Leggenda del Serpente

Bianco (Hakujaden, 1958), Il ragazzo Sarutobi Sasuke (Shōnen Sarutobi Sasuke, 1959) e Viaggio in Occidente (Saiyuki, 1960) presentato in Italia con il titolo Le 13 fatiche di Ercolino.

Questi lavori avevano spesso un’ispirazione estetica disneyana con tematiche legate però alla mitologia e alla storia del Giappone e dell’Asia orientale e fecero nascere un grande interesse per questi temi nei Paesi “occidentali”. Su questa scia l’industria mediatica giapponese si distaccò progressivamente dai modelli nordamericani e aumentando la sperimentazione, anche grazie all’influenza di animazioni di altri paesi come quella Sovietica e Cecoslovacca.129 Si arricchì progressivamente di molti elementi tratti dal folclore giapponese, tra cui divinità e creature del sovrannaturale, poi entrati a far parte anche dei prodotti videoludici.

Oltreoceano Atari, azienda statunitense nata nel 1972, stranamente con un nome giapponese, si impose come guida indiscussa del nascente mercato dei videogiochi grazie al videogioco simulatore di tennis da tavolo PONG. Nel 1974 la Magnavox, società che due anni prima aveva prodotto la prima Console di videogiochi, distribuita originariamente con il nome di Odyssey130 intraprese una causa legale contro Atari, la prima causa legale nell’universo videoludico. PONG fu ritenuto troppo simile al gioco di tennis contenuto nell’Odyssey; Atari perse la causa e

125 Maria Roberta Novielli, Animerama: Storia del cinema di animazione giapponese. Venezia:Marsilio Editori, 2015. 126 Toshio Miyake, Mostri del Giappone. Narrative, figure, egemonie della dis-locazione identitaria, Edizioni Ca’ Foscari -

Digital Publishing, 2014.

127 J.R. Weisz, F.M. Rothbaum, T.C. Blackburn, Standing out and standing in: The psychology of control in America and Japan. In “American Psychologist”, 1984. In Maria Roberta Novielli, Animerama, Venezia:Marsilio Editori, 2015. 128 Maria Roberta Novielli, Animerama…cit. p. 81-105.

129 Ivi pp.107-141.

continuò a produrre e distribuire il gioco, dovendo però dividere gran parte dei propri incassi con Magnavox, società detentrice del brevetto.131 Questa causa focalizzò, forse per la prima volta, l’attenzione dei media e degli attori coinvolti sul tema della proprietà intellettuale nell’industria videoludica, tema trattato diversamente dalle legislazioni di vari Paesi. Questa diatriba legale non impedì ad Atari di raggiungere comunque un grande successo commerciale, non influì sulla fortuna commerciale di PONG né, tantomeno, sulla dilagante diffusione delle sue copie piratate sul mercato. Alla fine degli anni ’70 sempre più società si dedicarono alla produzione di videogiochi e Console domestiche, finché nel 1977 molte aziende iniziarono in perdita pur di sbarazzarsi di decine di titoli troppo simili, che avevano saturato il mercato.132 Sulla scia di

quanto accadeva negli Stati Uniti, anche in Giappone si diffusero società che sviluppavano e distribuivano videogiochi. Alla fine degli anni 1970, vennero commercializzate le prime due

Console di videogiochi, il TV Tennis Electrotennis di Epoch e successivamente il Color TV Game di Nintendo. Nel 1976 SEGA rilasciò Heavyweight Champ, considerato il primo

videogioco di lotta.133

C’era bisogno di novità. Dopo alcuni anni di enorme crescita spinta dal successo di Atari, nel 1977 l’industria ludica conobbe un breve periodo di rallentamento, attenuato dal successo mondiale del già citato Space Invaders l’anno successivo. Negli Stati Uniti Atari comprò la licenza di distribuzione del gioco. In Giappone questo successo portò ad una diffusione capillare degli

Arcade e l’aumento della produzione di titoli ludici rivolti sia al mercato interno che estero. In

questo contesto i videogiochi che al tempo erano ancora senza trama, divennero immediatamente parte di quella strategia di piazzamento sul mercato già descritta precedentemente, di primo piano nel successo commerciale e culturale dell’industria mediatica dell’arcipelago, il Media

mix. Nel 1980 per esempio venne prodotto il primo di una serie di titoli videoludici di Lupin III,

sulla scia del successo del manga che già alla fine degli anni 1970 aveva già ispirato due serie animate, due film per il cinema e un cortometraggio. In quegli stessi anni vennero pubblicati

Galaxian (1979), Pacman (1980) Bosconian (1981), Frogger (1981), Scramble (1981), Jump Bug (1981) e Xevious (1982) che introdussero meccaniche, elementi grafici e sonori, poi

diventati comuni nella produzione successiva. La mania di Space Invaders nel frattempo aveva

131 Sulla questione si veda David Winter, Magnavox Odyssey da “The Pong Story”. http://www.pong-story.com/odyssey.htm.

Consultato il 15.10.2019 e Rudie Obias, 11 times videogames led to lawsuit, da “Mentalfloss”, 19.02.2014.

https://www.mentalfloss.com/article/55078/11-times-video-games-led-lawsuits Consultato il 15.11.2019.

132 Don L. Daglow, The Changing Role of Computer Game Designers in “Computer Gaming World”. Agosto 1988, p. 18. 133 Brian Ashcraft, Arcade Mania! The Turbo-Charged World of Japan's Game Centers, Tokyo: Kodansha International, 2008.

conquistato diversi Paesi, rendendo questo gioco, una monetina alla volta, il campione di incassi assoluto dei videogiochi secondo una stima pubblicata nel 2015 sul sito Business Insider.134

Nel 1983 si ebbe la prima grande crisi dell’industria videoludica che durò almeno fino al 1985 e colpì soprattutto l’industria Nordamericana. Le vendite calarono di 2/3 tra il 1982 e il 1985. Simbolo di questa crisi è il clamoroso fiasco del videogioco di E.T. prodotto da Atari: quest’ultima aspettandosi un grande successo grazie ad una grandiosa campagna di marketing legata al film omonimo, produsse cinque milioni di copie riuscendo però a venderne solo un milione e mezzo, spingendo la società a sotterrare migliaia di cartucce invendute in una discarica nel deserto di Alamogordo135 e trascinando in crisi l’intero settore videoludico nordamericano. Questa crisi, nota in inglese come “1983 Video Game Crush” in Giappone, è nota come “Atari

Shock”, dimostrando una differente percezione del fenomeno.

Nella prima metà dei 1980 diverse aziende giapponesi tra cui Casio, Epoch, SEGA, Takara e

Tomy, svilupparono i propri sistemi programmabili. Nintendo, già estremamente popolare

soprattutto grazie a Donkey Kong mise in commercio ad un prezzo di ¥14.800 nel luglio 1983 il

Nintendo Family Computer o Famicom, che ottenne subito ottimi risultati commerciali in patria.

I popolari titoli di Nintendo sviluppati come giochi Arcade furono convertiti per questo hardware. Nintendo voleva esportare la Console negli Stati Uniti ma conoscendo lo stato in cui versava l’industria Nordamericana si mosse con grande cautela. La Console fu distribuita in questo mercato nel 1985 con il nome di Nintendo Entertainment System. Avendo imparato dagli errori di Atari, Nintendo decise di cambiare completamente approccio puntando molto di più alla qualità del prodotto, limitando la circolazione di cartucce troppo simili che avevano saturato il mercato in nord America, portando alla crisi. La società di Kyōto strinse accordi con società terze: per ottenere una licenza di Nintendo e sviluppare giochi per il Famicom queste dovevano impegnarsi a sviluppare massimo 5 giochi all’anno più uno se i precedenti titoli raggiungevano buoni risultati commerciali e di critica. Le società inoltre non potevano realizzarne conversioni per le Console concorrenti per almeno due anni. Particolare importanza fu data al marchio dorato che ancora oggi compare sui giochi per le Console Nintendo, chiamato Nintendo Seal of Quality, introdotto per i giochi distribuiti sul mercato estero per certificare dei precisi requisiti di

134 Matt Weinberger, Top grossing video games of all time, “BusinessInsider”, 15.08.2015.

https://www.businessinsider.com/the-11-top-grossing-video-games-of-all-time-2015-8?IR=T. Consultato il 13.02.2020.

135 M.E. McQuiddy, City to Atari: ‘E.T.’ trash go home in “Alamogordo Daily News”, 27.09.1983. Recuperato da

qualità.136 In Europa e Oceania, considerati mercati secondari rispetto a quello giapponese e nord-americano, la Console arrivò più tardi. Nel 1986 “sbarcò” in alcuni Paesi tra cui la Francia, l’anno seguente in Regno Unito, Italia e Australia. In questi mercati Nintendo perse almeno in parte il proprio vantaggio competitivo su prodotti di società concorrenti come il SEGA Master System (chiamato SEGA Mark III in Giappone).137

Il successo di Space Invaders aveva decisamente proiettato le aziende giapponesi sul mercato mondiale: Atari e le altre industrie statunitensi competevano a fatica con le società nipponiche e il loro ruolo in questo mercato fu ridimensionato mentre altre società tra cui Coleco, Mattel e Magnavox smisero di produrre videogiochi e Console, concentrandosi su mercati differenti.138 Il successo di Nintendo fu tale che nel 1990 Nintendo superò Toyota come azienda giapponese di maggiore successo139 conquistando la guida del mercato, “salvando” un settore in crisi commerciale e plasmando i gusti dei consumatori.140 Le vendite dell’industria videoludica mondiale tornarono ai livelli del 1982 solamente all’inizio del decennio successivo ma il centro dell’industria era cambiato; non erano più gli Stati Uniti, la nuova dimora spirituale di questo genere di intrattenimento era diventata il Giappone. 141