Si tratta di un manuale che adotta una tipologia didattica integrata, con una prospettiva totalmente ricettiva: il testo d’autore riveste un ruolo centrale, ed è posto in primo piano in modo che all’inizio di ogni capitolo “la regola grammaticale può essere vista in azione e quindi colta nella sua problematica dinamicità”195. Proprio una “più stretta e dinamica correlazione e interdipendenza” è il fine che ha condotto le autrici ad intrecciare i tradizionali ambiti di studio linguistico di fonetica, morfologia e sintassi, dando luogo a un percorso didattico integrato e articolato per unità, ognuna delle quali si apre con testi letterari cronologicamente progressivi. Un indice analitico è stato programmaticamente allestito “per costituire eventualmente elemento di un percorso autonomamente stabilito dall’insegnante e dagli alunni”. In questo contesto la sintassi è affidata in parte al volume di grammatica, in parte a quello di esercizi: il primo ne propone progressivamente gli argomenti, il secondo presenta schede sintattiche che nella maggior parte sono di riepilogo, ma possono essere anche di anticipazione o indipendenti196. L’esposizione dei vari complementi, infine, è affidata a sole schede sintattiche indipendenti197, o è presente in entrambi i volumi198, e anticipa in maniera progressiva la trattazione della sintassi dei casi.
195 BIONDI – PULIGA 1997, Prefazione p. III. 196
In questi due casi le schede non corrispondono a un tema trattato nell’unità di grammatica parallela. La situazione è analoga a quella riscontrata in Astrea, con due differenze: nel caso di schede di anticipazione ne La parola dal testo viene esplicitato il rimando alle sezioni di grammatica corrispondenti – cosa che non succede in Astrea –; d’altro canto manca un indice delle schede sintattiche, che invece è presente in
Astrea.
197 Che di conseguenza non presentano rimandi al volume di grammatica: cf. BIONDI – PULIGA 1997,
II Unità 4, p. 63, scheda sintattica sul complemento di argomento.
198
Cf. BIONDI – PULIGA 1997, I pp.229-231; II pp. 196-197, complementi di mezzo, modo e compagnia.
60
La sintassi dei casi nei manuali analizzati
La sintassi dei casi conosce nelle trattazioni scientifiche199 presentazioni organiche che puntano anzitutto ad enucleare la o le funzioni fondamentali di ogni caso: “encore qu’on doive être très prudent dans toute tentative pour dégager des cas du grec les principes qui font l’unité de chacun d’entre eux sous des aspects divers et parfois irréductibles en apparence, il est possible, et peut-être même nécessaire, de se faire au moins une idée du système qu’ils constituent”200. Le parole dell’Humbert, così come quelle dello Schwyzer citate in esordio del capitolo201, evidenziano la necessità e insieme la difficoltà di uno studio il più possibile comprensivo, sistematico, organico.
Proprio questa difficoltà, probabilmente, ha comportato l’orientamento che caratterizza la maggior parte delle grammatiche scolastiche, che a tale approccio sintetico hanno preferito una prospettiva più analitica202. Lo studio dei casi è affrontato in maniera “ascendente”, ovvero a partire dalle varie determinazioni semantiche – o complementi – che essi assumono. Si rinuncia in tal modo a risalire alle funzioni sintattiche e semantiche fondamentali dei casi – il rapporto immediato per l’accusativo, il concetto di destinazione per il dativo etc. –, verosimilmente perché percepite di non immediata perspicuità, con il risultato di una ossimorica sintassi frantumata in un numero notevolissimo – e potenzialmente infinito – di complementi.
Tale parcellizzazione analitica comporta necessariamente una notevole difficoltà nell’identificazione degli attributi di sistema della sintassi dei casi.
Il nominativo (ἡ ὀἡ ὀνομαστικἡ ὀἡ ὀνομαστικνομαστικνομαστικὴὴὴὴ πτπτῶπτπτῶῶσιςῶσιςσιςσις)
Per il nominativo, che ha applicazioni sintattiche limitate, rinunciamo a un’osservazione dettagliata dei singoli manuali, limitandoci a raccogliere in una valutazione panoramica le osservazioni più significative.
199 Cf. SCHWYZER 1934, II pp. 52-272; HUMBERT 1960, pp. 247-297; TUSA MASSARO 1993, pp.
35-83.
200 HUMBERT 1960, p. 406. 201 Cf. supra p.51.
202
Esistono anche manuali che adottano una prospettiva razionale, che evidenzia anzitutto le funzioni fondamentali dei casi: cf. CALABRESE DE FEO 2007.
61 “Il nominativo è il caso del soggetto e delle sue determinazioni”: questa, nella sostanza, la formulazione iniziale da cui muove la presentazione della materia in un manuale impostato secondo la modalità tradizionale. All’equivalenza “nominativo = soggetto e determinazioni” segue generalmente una breve riflessione sul ruolo del soggetto.
Esso – al di là delle definizioni nozionali fornite dall’analisi logica, “chi compie l’azione” o “ciò di cui parla il verbo”203–, può essere costituito non solo da un sostantivo, ma da diversi elementi linguistici204: pronomi, aggettivi, verbi, avverbi, intere frasi, anche congiunzioni o preposizioni, in virtù del potere sostantivante dell’articolo greco.
Tali osservazioni dimostrano che la valutazione del soggetto ha una valenza sintattica, poiché esso viene – per quanto implicitamente – inteso come una posizione dell’ “asse sintagmatico”205 che può essere occupata da elementi differenti.
Il Curtius206, benché imposti lo studio dei casi in maniera tradizionale e nozionale, compie una notazione importante quando osserva207 che l’equivalenza del soggetto con il nominativo non è assoluta, perché il primo può essere marcato anche da altri casi: l’accusativo, nelle proposizioni infinitive; il genitivo, nel suo costrutto assoluto.
D’altra parte il nominativo – continua il Curtius – si usa nelle esclamazioni, talvolta dove ci si aspetterebbe un vocativo.
Si tratta di rilievi che denotano una particolare sensibilità sintattica, poiché viene privilegiata la funzione espressa rispetto al caso, che può variare a seconda dei diversi costrutti.
Calabrese De Feo osserva che il nominativo “è dotato di una funzione logica autonoma rispetto agli altri termini della frase, ed è legato da un rapporto di interdipendenza con il solo predicato”208. Ne consegue il particolare status sintattico del nominativo209, che stringe un unico rapporto con il verbo, rapporto che si manifesta attraverso la concordanza.
203 Cf. supra p. 7 e PROVERBIO 1979, p. 11.
204 Cf. CURTIUS 1921, p. 206; CALABRESE 2007, I p. 338; CITTI et alii 2000, I pp. 29-30. 205 Cf. supra p. 23 e HAPP 1979, p. 200. 206 CURTIUS 1921, pp. 206-207 e 221. 207 CURTIUS 1921, p. 206. 208 CALABRESE DE FEO 2007, I p. 337. 209
Cf. HUMBERT 1960, p. 250: “tandis que les autres cas impliquent un rapport de deux terms […], le nominatif ne comprend qu’un terme”.
62
L’accusativo (ἡ ἡ ἡ ἡ ααααἰἰἰἰτιατικτιατικτιατικτιατικὴὴὴὴ πτπτῶπτπτῶῶσιςῶσιςσιςσις)
La grammatica tradizionale considera l’accusativo il caso-oggetto per eccellenza210 e la sua funzione fondamentale quella di caratterizzare ed indicare l’oggetto diretto, ovvero il complemento che si trova in dipendenza da un verbo transitivo. Diversi altri complementi si esprimono in accusativo, in virtù di proprietà semantiche più o meno organicamente riconosciute, tra cui le nozioni di estensione, relazione e direzione. L’uso dell’accusativo si riscontra anche in costrutti sintatticamente diversi da quelli dell’italiano, che in diversa maniera “sfuggono” alla funzione fondamentale di complemento oggetto in dipendenza da verbo transitivo, e sono solitamente spiegati in maniera nozionale.
GRAMMATICA DELLA LINGUA GRECA (G. Curtius)
“L’accusativo è il caso dell’oggetto diretto (o più vicino), e quindi esprime in generale la persona o la cosa su cui l’azione si estende”211. Le parole che il Curtius spende per aprire la trattazione della sintassi dell’accusativo testimoniano l’identificazione della funzione oggetto nel caso accusativo: non compare la necessaria e fondamentale precisazione che questa funzione può essere espressa anche da casi diversi dall’accusativo212.
L’accusativo dipende nella maggior parte dei casi da un verbo; da qui la tradizionale distinzione tra oggetto esterno (1) e oggetto interno (2).
Il primo, “quantunque stia fuori dell’azione espresso dal verbo, tuttavia viene dalla medesima colpito: τύπτω τὸν δοῦλον”; il secondo è “compreso nell’azione stessa: τύπτω πεντήκοντα πληγάς”. La distinzione, dunque, è di tipo semantico, poiché dipende dal concorso dei significati di verbo e oggetto. Dalla semantica dipende anche la precisazione, apparentemente di tipo sintattico, per cui l’oggetto esterno sta in
210
Cf. HAPP 1979, p. 192.
211 CURTIUS 1921, p. 221. Le citazioni seguenti non altrimenti precisate derivano da CURTIUS 1921,
pp. 221-226.
212
Alla grammatica della dipendenza si deve il chiarimento di questo fondamentale aspetto della sintassi greca: cf. HAPP 1979, p. 192 e infra pp. 86-95.
63 dipendenza da verbi transitivi, mentre quello interno può dipendere anche da verbi intransitivi.
Il terzo uso dell’accusativo, secondo la suddivisione del Curtius, dipende ancora dalla pretesa corrispondenza biunivoca tra accusativo e oggetto, ed è quello dell’“ oggetto doppio” (3): “molti verbi hanno un duplice oggetto e quindi reggono due accusativi”. Fanno parte di questa categoria verbi che devono sempre essere accopagnati da due oggetti (διδάσκειν τί τινα) e altri verbi solo in sintassi particolari (κακὸν λέγειν τινά). Un altro uso con accusativo doppio, ma non con oggetto doppio, è quello dell’“accusativo del predicato” (4), che il Curtius colloca in rubrica a sé stante, e che è definito correntemente complemento predicativo dell’oggetto (il Curtius non fa mai ricorso alla definizione di complemento). L’accusativo – che, dunque, può esprimere qualcos’altro oltre all’oggetto – indica comunque un predicato ad esso relativo, in dipendenza dalle note categorie di verbi elettivi, estimativi etc.
L’ultimo uso spiegato dal Curtius è quello dell’“accusativo più libero” (5). Esso, che occorre anche in dipendenza da aggettivi, si utilizza per “indicare con maggiore determinatezza la cosa alla quale si riferisce l’idea del verbo o dell’aggettivo, ed in riguardo a che cosa vengono enunciati”: κάμνω τὴν κεφαλήν. Precisando che a tal proposito si parla di accusativo di relazione, il Curtius aggiunge che è da quest’uso che deriva quello dell’accusativo avverbiale: τὸ πλῆθος, τοῦτον τὸν τρόπον.
Un’altra sfumatura semantica dell’uso “più libero” dell’accusativo è data dai rapporti di spazio o tempo, dove viene espressa la nozione di estensione: βασιλεὺς καὶ Ἕλληνες ἀπεῖχον ἀλλήλων τριάκοντα στάδια.
I poeti, termina il Curtius, esprimono anche la direzione in accusativo, mentre in prosa è sempre presente la preposizione εἰς. Questa osservazione fornisce lo spunto per sottolineare come l’autore analizzi dell’accusativo – così come del genitivo e del dativo – soltanto gli usi del caso semplice, senza preposizioni, non prendendone in considerazione il valore in maniera unitaria e globale. È soltanto in sede di introduzione
64 al capitolo sulla sintassi delle preposizioni213 che vengono messi in parallelo il valore semantico del caso semplice e quello che assume con le preposizioni, lasciando intendere che queste ultime ne orientano il significato fondamentale.
L’osservazione è importante ma tardiva, giungendo quando la sintassi dei casi semplici è stata completamente trattata.
LINGUA GRECA (L. Bottin et alii)
“L’accusativo è il caso del complemento oggetto; il soggetto compie un’azione che si estende direttamente sull’oggetto”214. Le prime parole dedicate dal Bottin all’accusativo ne indicano la funzione primaria e più ricorrente.
Alle schede sintattiche215 collocate nell’eserciziario è affidato il compito di esporre gli altri complementi espressi in accusativo: la nozione di estensione nello spazio e nel tempo dà luogo ai complementi di distanza, estensione e tempo continuato, mentre con alcune categorie di verbi, qui indicate, è presente il costrutto del complemento predicativo dell’oggetto.
Un’altra applicazione è data dall’accusativo di relazione, che “equivale in italiano al complemento di limitazione”.
Il paragrafo deputato alla spiegazione organica della sintassi dell’accusativo ne riassume rapidamente gli usi, elencandoli. Con alcuni verbi – si aggiunge – transitivi in greco ma intransitivi in italiano, si può trovare quello che si definisce, su base semantica, “accusativo dell’oggetto interno”.
L’uso dell’accusativo con le preposizioni è trattato molto oltre216, nel capitolo finale del manuale dedicato alle preposizioni, che dei casi “arricchiscono e specificano il significato”. Il loro valore semantico viene enfatizzato, se è vero che “in ogni espressione composta da preposizione più nome si deve distinguere il valore della preposizione da quello del caso”, e che “la preposizione conserva sempre una sua propria sfumatura di significato, che la distingue da altre che reggono lo stesso caso”. Si 213 CURTIUS 1921, p. 243-244. 214 BOTTIN et alii 2003, I p. 73. 215 BOTTIN et alii 2003, I p. 59, 161. 216 BOTTIN et alii 2003, I pp. 357-363.
65 insiste dunque sulla varietà semantica delle preposizioni piuttosto che sulla funzione unificante espressa dal caso.
CORSO DI GRECO. LINGUA E CIVILTÀ (M. R. Calabrese De Feo)
Le schede di sintassi distribuite nel primo volume di esercizi anticipano analiticamente i diversi e numerosi complementi espressi dai casi, mentre la trattazione organica così dell’accusativo come degli altri casi segue un criterio funzionale: prima di elencare i vari complementi espressi dal caso sono evidenziate le sue funzioni semantiche e sintattiche fondamentali, che permettono di raggrupparne gli usi sotto un numero limitato di categorie.
Tra i manuali analizzati è quello che, privilegiando un’ottica di studio ragionata, più organicamente evidenzia le prerogativa sintattiche e semantiche proprie del caso, alle quali sono ancorate le diverse determinazioni di significato – i complementi – in maniera da evitare una facile e perniciosa dispersione della materia.
Dell’accusativo217 viene evidenziata anzitutto la funzione sintattica: “l’accusativo esprime essenzialmente un rapporto diretto e immediato” 218. L’accento è posto dunque sul tipo di relazione che lega l’accusativo al termine che lo regge, ancor prima che sulla sua portata semantica.
Detto questo, sono esposte le funzioni fondamentali dal punto di vista del significato: indicare “l’oggetto sul quale si esercita l’azione del verbo transitivo” – e dunque il complemento oggetto e le sue determinazioni – ed esprimere le nozioni di relazione, di estensione nello spazio e nel tempo e di direzione.
All’interno di queste limitate categorie semantiche generali si analizzano occorrenze particolari: l’accusativo dell’oggetto interno, il complemento di distanza, quello di età etc.
Segue – ed è un unicum nei manuali oggetto d’analisi – la trattazione dell’accusativo con preposizione, che completa in maniera didatticamente efficace la panoramica delle
217 CALABRESE DE FEO 2007, I pp. 341-347.
218 Cf. HUMBERT 1960, p. 253, per il quale l’accusativo indica “un rapport immédiat entre deux termes,
don’t le premier est essentiellement un verbe et le second un nom […]. Il rend sans spécification particuilière la relation de verbe à nom”.
66 applicazioni sintattiche del caso219. Nella varietà dei significati possibili, che consiglia un’attenta consultazione del vocabolario, il valore più ricorrente è quello di direzione, che si articola in vari complementi (moto a luogo, tempo – πρὸς ἑσπέραν –, fine)220. Dopo la trattazione del doppio accusativo con verbi di particolari categorie viene trattato l’uso dell’accusativo nel periodo, il che rappresenta un altro dato esclusivo di questo manuale all’interno del campione di studio. Viene istituito in tal modo l’utile e corretto parallelo tra microcosmo della frase e macrocosmo del periodo221, con le opportune specificità relative.
ASTREA (Citti et alii)
Questo Corso non presenta un capitolo organicamente dedicato alla sintassi dei casi, distribuita in maniera progressiva, secondo la modalità integrata della sua impostazione. Lo spazio dedicato alla sintassi dell’accusativo è molto esiguo222, e l’esposizione tradizionale: “l’accusativo è il caso che esprime il termine in cui si compie e in cui si estende l’azione espressa dal verbo”, per cui si hanno da un lato i complementi oggetto e predicativo e dall’altro di estensione nel tempo e nello spazio e di relazione.
Con alcuni verbi – si aggiunge – sono presenti due accusativi, della persona e della cosa.
I “lineamenti di sintassi” presenti nel terzo volume offrono una sintesi che nulla aggiunge alle scarne spiegazioni proposte nei primi due volumi del Corso.
219 La presentazione contestuale degli usi dell’accusativo con preposizione è agevolata dal fatto che in
questo manuale lo studio delle invariabili è trattato precocemente (I cap. 7, pp. 83-97), all’interno della morfologia nominale. Per il valore dei nessi preposizionali è sottolineata l’importanza della reggenza e dunque del caso utilizzato, che orienta il valore del nesso nella direzione delle proprie prerogative sintattiche e semantiche. Queste pagine rappresentano dunque un utile presupposto per la trattazione della sintassi dei casi, semplice e con preposizione.
220 Si intravede in questa sottolineatura, e alla luce de lla maniera in cui vengono esposti in questo Corso i
valori degli altri casi, un’eco della concezione localistica dei casi, che li vede esprimere in prima istanza determinazioni locali (cf. TUSA MASSARO 1993, p.38, che rimanda alla Grammatica di Teodosio Alessandrino, ed. Teubner 1822, p. 23: κατὰ τινὰ φυσικὴν ἀκολουθίαν αἱ τρεῖς αὗται ἐρωτήσεις τὸ πόθεν, τὸ ποῦ, τὸ πῇ τὰς τρεῖς πλαγίας ἐκληρώσαντο πτώσεις, τὸ μὲν πόθεν τὴν γενικήν, τὸ δὲ ποῦ τὴν δοτικήν, τὸ δὲ πῇ τὴν αἰτιατικήν).
221 Questo parallelo costituisce una notazione nitidamente sintattica che semplifica notevolmente lo studio
del periodo. Sullo base dello stesso parallelo opera la grammatica della dipendenza (cf. infra pp. 86-95).
222
67
LA PAROLA DAL TESTO (L. Biondi – D. Puliga)
Anche “La parola dal testo”, espressione della metodologia didattica integrata, distribuisce in più momenti la trattazione dell’accusativo e di tutti i casi, a discapito – bisogna riconoscere – di una consultazione che voglia essere sistematica.
L’accusativo è un caso “retto”, perché nella traduzione italiana si lega “direttamente al verbo”223: formulazione che tradisce la sopra esposta identificazione dell’accusativo esclusivamente con il complemento oggetto e i suoi determinativi. Quando infatti – più avanti224 – vengono prese in considerazione “espressioni che indicano estensione e distanza, età, relazione” le autrici parlano di uso dell’“accusativo come complemento indiretto”, formulazione che da un lato relativizza la precedente, dall’altro evidenzia la concezione di autosufficienza semantica attribuita alla marca del caso, a dispetto della componente semantica dei termini coinvolti.
L’accusativo di relazione non è trattato nella pur presente rubrica di sintassi dell’accusativo, così come non lo sono il complemento di estensione e di distanza, presenti in quella di “complementi espressi con i numerali”225. Siamo in presenza della concezione propria della grammatica più conservatrice226, per la quale la funzione vera dell’accusativo è quella di esprimere il complemento oggetto, mentre le altre sono sentite come funzioni aggiunte.
La mancanza di riferimenti all’uso dell’accusativo con preposizione e dell’accusativo nel periodo denuncia un’asistematicità nella presentazione della materia che si riscontra anche in altre sezioni del corso.
Il genitivo (ἡ ἡ γενικἡ ἡ γενικγενικγενικὴὴὴὴ πτπτῶπτπτῶῶσιςῶσιςσιςσις)
Per la grammatica tradizionale il genitivo è essenzialmente il caso del complemento di specificazione. 223 BIONDI – PULIGA 1997, I p. 48. 224 BIONDI – PULIGA 1997, I p. 289. 225 BIONDI – PULIGA 1997, I pp. 363-366. 226 Cf. HAPP 1979, p. 192.
68 A questo complemento – comprensivo di molte sfumanture semantiche – si aggiungono altri usi, che il genitivo – caso sincretico – ha ereditato da casi presenti nell’indeuropeo e successivamente estintisi.
Tutti gli usi sono generalmente affrontati a partire dall’elemento linguistico che regge il caso in questione: genitivo con sostantivi, verbi, aggettivi, avverbi.
Esiste anche una prospettiva “razionalista”227 che al contrario mette in primo piano le funzioni sintattiche e semantiche del caso, raccogliendone gli usi in poche generali categorie.
GRAMMATICA DELLA LINGUA GRECA (G. Curtius)
Anche per la sintassi del genitivo la Grammatica del Curtius costituisce un autorevole esempio dell’impostazione più tradizionale. Il capitolo228 è suddiviso in base all’elemento che si accompagna al genitivo: con sostantivi, con aggettivi e avverbi, con verbi, e un ultimo paragrafo per il “genitivo di lontana relazione”.
La premessa è nitidamente sintattica: “il genitivo esprime in generale la persona o la cosa che si riferisce ad un’altra”. Descrive pertanto essenzialmente un generico rapporto tra elementi. La lista che il Curtius offre di seguito comprende varie sfumature semantiche di questo rapporto: origine, proprietà, partizione, matera, prezzo etc., ma viene puntualmente ricordato che il tipo di attinenza – vale a dire il complemento – “risulta ordinariamente dal significato dei due sostantivi”229.
Si tratta di una puntualizzazione decisiva che non sempre è presente nella didattica recente, e che permette al discente di non perdere l’orientamento tra i numerosissimi complementi cui può dare luogo il generico rapporto di determinazione tra due elementi. Con ciò il Curtius sembra ricordarci che il significato contestuale – e dunque un complemento di materia piuttosto che uno di posesso – dipende dal concorso del valore sintattico della marca del caso – che qui esprime un generico rapporto adnominale – con i singoli significati dei due termini in questione.
227 Cf. come riferimento teorico HUMBERT 1960; nel nostro campione cf. CALABRESE 2007, CITTI et
alii 2000, e, in parte, BIONDI – PULIGA 1997.
228
CURTIUS 1921, pp. 227-237.
229 Cf. HUMBERT 1960, p. 277: “il est commode de parler d’un génitif possessif, ou causal, ou de
matière (et de contenu), ou de mesure (et de mesure): mais ces distinctions n’ont par elles-mêmes aucune
valeur; il s’agit toujours de deux noms mis en rapport, mais la signification du rapport varie selon la
69 I due paragrafi che seguono nel capitolo indicano con quali categorie semantiche di aggettivi, avverbi e verbi si trovano determinazioni in genitivo230.
Il paragrafo dedicato al “genitivo di lontana relazione” fa cenno a quel valore locale di provenienza che in prosa si riscontra generalmente con preposizione. La stessa rubrica menziona la possibilità che “occasione, tempo e circostanze” siano espresse dal genitivo nella sua costruzione assoluta231.
Quello che manca è una distinzione funzionale delle proprietà del genitivo: il partitivo non è presentato nelle sue vesti di funzione originaria, ma come una semplice sfumatura del rapporto adnominale, che può però trovarsi anche in dipendenza verbale.
Il valore ablativale, inoltre, è ignorato per due motivi: da un lato l’esclusione, consueta nel Curtius, dell’uso con preposizione dall’esame del caso232 – benché il genitivo possa