Il primo incontro272 con il sistema dei casi si ha nella Running Grammar, che corre parallelamente al testo di lettura. S’introduce qui un’equivalenza che sarà relativizzata solo più avanti: il nominativo è il caso del soggetto, l’accusativo quello dell’oggetto. Per comprendere la frase ὁ Ἡγέστρατος ὁρᾷ τὸν ἄνθρωπον non è indicativo l’ordine delle parole – che potrebbe variare273 – ma la marca del loro caso274.
Le nozioni di soggetto e oggetto presuppongono una base di analisi logica tradizionale, ma le preziose Teachers’ Notes275 invitano a non dare per scontato che i discenti la possiedano, specialmente se digiuni di latino ed esperti di sole lingue moderne apprese con metodo attivo (globale, diremmo noi): un ulteriore esempio del fatto che il binomio grammatica tradizionale – analisi logica è soltanto una delle chiavi di lettura di una lingua, e affatto universale.
Il nominativo è dunque il caso del soggetto e degli elementi che ad esso si riferiscono; la concordanza con il verbo – si legge nella Reference Gramamr276 – definisce sintatticamente questo rapporto.
L’accusativo – come abbiamo visto – viene presentato in prima istanza come il caso che esprime la funzione di oggetto. Successivamente viene fatto riferimento ad altri usi: soggetto nelle costruzioni con infinito; accusativo assoluto; accusativo di relazione.
272 RG 1978, II pp. 13-14.
273 Pedante la riserva avanzata da USHER 1980 A, p. 73, il quale rileva che delle centoventi potenziali
sequenze in cui possono combinarsi le parole di questa frase soltanto sei corrispondono all’uso greco: la formulazione degli autori è evidentemente concepita in chiave di utilità didattica e da intendersi in quanto tale.
274 Si tratta dunque, anche in questo caso, di una semplificazione volta a schematizzare l’apprendimento
della funzione di questi due casi. Se – tuttavia – per fini didattici è lecita una temporanea equivalenza tra morfema accusativo e funzione oggetto, essa crea problemi se accettata in sede di riflessione linguistica: cf. supra pp. 28-29 a proposito della sintassi di Martinet.
275
RG 1986, p. 17.
276
81 È indicativa del metodo e in particolare della didattica della sintassi di RG la presentazione della costruzione dell’accusativo con l’infinito.
Questa costruzione è descritta teoricamente nell’undicesima sezione277 a proposito dei verbi di dire, pensare etc., ma è stata proposta molto prima278 in dipendenza dalle forme impersonali δεῖ e ἀνάγκη: “ἀνάγκη and δεῖ put the person who must into the accusative case”. È questo l’unico caso di accusativo e infinito menzionato fino alla sezione 11.
Nelle grammatiche tradizionali invece questa spiegazione viene data precocemente279 proprio in virtù di quella naturale progressione d’apprendimento che RG ricerca. Questa discrasia denuncia sia la difficoltà di applicazione del metodo globale allo studio di lingue che hanno perso la loro funzione pragmatico-comunicativa, sia la scarsa attenzione che RG riserva alla sintassi tout court280.
Una considerazione analoga si potrebbe fare per l’accusativo di relazione, presentato soltanto nella penultima delle diciannove sezioni281, dopo l’uso assoluto282, che invece è ben più raro.
La sistemazione dei Language Surveys283 spiega che l’accusativo è il caso che da più vicino definisce e specifica il significato del verbo, e che, indicando l’oggetto, in inglese corrisponde al nome che si lega direttamente al verbo, senza preposizione.
Le premesse teoriche, come si vede, sono quelle della grammatica tradizionale, in parte puramente sintattiche (rapporto immediato verbo-“accusativo”), in parte rischiosamente perentorie nell’indurre l’identità tra accusativo e oggetto .
277
RG 1978, II pp. 160-161. Le sezioni sono complessivamente 19.
278
RG 1978, II p. 83.
279 Cf. BOTTIN et alii 2003, II p. 60; CALABRESE DE FEO 2007, II p. 120; CITTI et alii 2000, II p. 39;
BIONDI – PULIGA 1997, II pp. 81-82. Non in CURTIUS 1921, che non disponendo di un volume di esercizi non può anticiparne la trattazione. Se osserviamo un manuale basato sulla grammatica della dipendenza – SEITZ et alii 1983 – constatiamo che le proposizioni infinitive sono trattate addirittura nella terza di trentaquattro lezioni, vale a dire molto precocemente, testimoniando dell’importanza che questo modello linguistico attribuisce alla sintassi.
280Risulta pertanto difficile dar credito alla rassicurazione per cui “the sentence-structure has not been
anglicised” (RG 1978, I, Foreward p. VIII). Se non è stata anglicizzata è stata perlomeno “degrecizzata”. Cf. anche PIOVAN 2002, p. 65, che definisce “notevolmente semplificata” la sintassi della frase.
281 RG 1978, II p. 247. 282
RG 1978, II p. 211.
283
82 Il doppio accusativo greco, viene notato, è cosa diversa dal doppio oggetto diretto inglese: I gave John the book richiede in greco accusativo e dativo.
Il legame col verbo è meno stretto – si continua – quando l’accusativo indica estensione nello spazio o nel tempo, o ricopre funzione avverbiale o di relazione.
Segue l’unico cenno di RG al valore di direzione che è proprio dell’accusativo e che in prosa richiede solitamente l’accompagnamento di una preposizione.
Il genitivo
“The genetive case has a wide range of functions, but is often equivalent to the English of ”284.
Tale introduzione al genitivo – esplicitamente provvisoria – è da considerarsi un ulteriore esempio del “pragmatismo didattico” di RG285.
Le considerazioni di tipo semantico proprie della grammatica tradizionale – che parla anzitutto di complemento di specificazione, e poi di quelli di possesso, materia, misura, causa etc. – sono per il momento trascurate, poiché il procedimento avanza su un piano esclusivamente traduttivo.
Più avanti286 è proposto uno specchietto relativo agli usi del genitivo: il primo è quello di cui si è detto, che lo lo mette in parallelo con le espressioni inglesi introdotte da “of ”, con sfumature semantiche che vanno dal possesso, alla descrizione e all’origine.
I Language Surveys spiegheranno che nel cosiddetto genitivo adnominale tali sfumature dipendono dal significato delle parole piuttosto che dalla funzione del caso genitivo: una precisazione che potrebbe apparire banale, ma che è in realtà importante ed estremamente razionale, poiché evita di moltiplicare a dismisura i “complementi”287. Gli altri usi sono distinti in base all’elemento da cui dipende il genitivo: “with certain adjectives […], prepositions […], verbs”.
Spetta ancora alla sistemazione dei Language Surveys spiegare che in dipendenza da verbi la funzione del genitivo è partitiva o ablativale (quest’espressione in realtà non 284 RG 1978, II p. 30. 285 Cf. supra p. 43, nota 151. 286 RG 1978, II p. 102. 287
83 compare, e la funzione è chiarita con una rapida descrizione del sincretismo dei casi): “with verbs which mean to eat, to take etc. the genetive indicates that a part only of what the noun refers to is taken, eaten etc. […] but […] also the genetive can indicate origin, cause, movement from”.
In funzione partitiva il genitivo caratterizza nomi in stretta connessione col verbo, che si possono trovare “in the grammatical slot normally reserved for the accusative”: si parla dunque di una posizione grammaticale normalmente riservata all’accusativo – la posizione-oggetto – che tuttavia può essere ricoperta anche da nomi al genitivo. Se si proseguisse su questa strada sintattica – ma non succede – si arriverebbe a parlare, come fa la grammatica della dipendenza, di oggetto-genitivo.
Alla funzione partitiva si rifà anche il genitivo di tempo, mentre soprattutto al significato dei verbi reggenti sono da ascriversi le determinazioni di prezzo, colpa, pena etc.
Con le preposizioni il genitivo assume “a number of functions”. Tutte le volte che viene espressa l’idea di separazione o “movimento da” la preposizione regge il genitivo. Il cambio di prospettiva – ci si aspetterebbe di leggere che il significato più frequente assunto dal genitivo con preposizione è quello ablativale – testimonia una volta in più il pragmatismo degli Autori di RG, i quali a prescindere dalla consequenzialità teorica, “care most about what works best”288.
L’ultima notazione rimanda all’uso del genitivo nel periodo, ovvero alla sua costruzione assoluta, presentata come sempre in maniera rapida e mirata all’immediata traduzione: “when a noun + participle stand together in the genetive, they must often be translated by a clause beginning with when, as, since, after, because” 289.
288 RG 1978, I Foreward p. VIII.
289 RG 1978, II p. 147. La riserva avanzata da USHER 1980 A, p. 73, appare superflua: “the information
on the genetive absolute is adequate for translation into English, but it would not hurt to have added that the genetive is someone or something other than the subject of the sentence (scil. della principale)”. Se l’obiettivo è comprendere, non serve sapere che il soggetto di tale subordinata è diverso da quello della principale: tale precisazione non si riscontra infatti in nessuna delle grammatiche esaminate precedentemente.
84
Il dativo
Come l’accusativo corrisponde al nome che si lega direttamente al verbo, e il genitivo al nome introdotto da “of ”, così il dativo esprime “english indirect object phrase introduced by to”290. Il dativo è dunque il caso dell’oggetto indiretto per il metodo globale quanto per il metodo tradizionale.
Il dativo di possesso e di vantaggio completano le sfumature di questa nozione fondamentale che la grammatica tradizionale è solita definire “di termine” o “di destinazione”, e che qui non trova invece una propria denominazione.
La trattazione prosegue con gli usi che il dativo ha ereditato per via del sincretismo dei casi, “since the Greek dative continues an ancient dative but also two other cases wich have merged with it, the instrumental and the locative”291.
Non solo la funzione strumentale propriamente detta, ma anche quella comitativa è appannaggio del dativo greco. Quella locativa inoltre consente che in poesia il dativo semplice possa indicare spesso il luogo e il tempo in cui si svolge un’azione, mentre in prosa “the normal construction calls for ἐν”.
Si aggiunge infine che alcuni verbi, catalogati su base semantica, sono costruiti con il dativo “where English would have a non-prepositional phrase in equivalent sentences”.
Il vocativo
Come il metodo tradizionale, anche quello globale non riconosce al vocativo la dignità di vero e proprio caso della flessione nominale. La motivazione è duplice: anzitutto spesso non è morfologicamente distinto dal nominativo, e in secondo luogo non fa propriamente parte della frase, poiché “can be used on its own”292.
290 RG 1978, II p. 113. 291 RG 1978, II p. 325. 292 RG 1978, II p. 322.
85
Alcune considerazioni
Dalla breve esposizione ora presentata emerge chiaramente che il metodo globale applicato allo studio del greco non riserva particolare attenzione alla didattica della sintassi dei casi. Essa risulta trattata in maniera frazionata e poco incisiva, in una progressione teorica che non risponde alle esigenze reali dell’apprendimento, essendo mirata esclusivamente alla traduzione immediata.
Tutto ciò trova una spiegazione logica nell’impostazione stessa del metodo, che veicola l’apprendimento attraverso i processi di comunicazione e comprensione, senza sottoporre a riflessione teorica i meccanismi che governano il funzionamento di una lingua.
Laddove le lingue da studiare – come le lingue classiche – hanno perduto la loro funzione comunicativa, ecco che emergono i limiti didattici del metodo293.
293
86
La grammatica della dipendenza
Nell’analizzare le modalità con cui la grammatica della dipendenza tratta la sintassi dei casi, rinnoviamo l’osservazione fatta nel primo capitolo294, ribadendo che la bibliografia disponibile si riferisce in nettissima prevalenza al latino295. Lo squilibrio si accentua sul versante didattico: non esistono, a quanto mi risulta, corsi di greco basati sulla grammatica della dipendenza, a differenza di quanto avviene per il latino296.
Non è questa la sede per discutere le motivazioni di tale situazione, che va certamente messa in rapporto con il fatto che la sintassi greca in generale è considerata meno organica di quella latina, soprattutto per la mancanza di un sistema regolato di corrispondenze temporali, ovvero della consecutio temporum297.
Ciò che interessa, comunque, richiamando alla mente il quadro generale delineato nel primo capitolo, è focalizzare l’attenzione sulla maniera con cui la grammatica della dipendenza si pone nei confronti della sintassi dei casi.
La peculiarità deriva dallo statuto di modello formale, in quanto la grammatica della dipendenza non opera su base semantica, come spesso accade in quella tradizionale, ma su base sintattica. Gli elementi linguistici vengono analizzati per il ruolo sintattico che ricoprono nella frase o nel periodo, e tale ruolo sintattico dipende – concetto cardine analizzato nel primo capitolo – dal loro rapporto con il verbo. Alcuni elementi sono legati necessariamente al verbo (i complementi obbligatori), altri sono elementi semanticamente e sintatticamente accessori (i complementi facoltativi), altri infine non dipendono direttamente dal verbo (i complementi di secondo livello).
Sulla base di questa distinzione si procede all’analisi linguistica, e dunque anche all’esame della sintassi dei casi. Si prende in considerazione come punto di partenza la posizione sintattica in cui si trova l’elemento contrassegnato dalla marca del caso, e non il caso in sé: “un’analisi veramente sintattica dei casi deve essere un’analisi discendente,
294 Cf. supra p. 18. 295
Per la sintassi dei casi nel modello dipendenziale cf: almeno HAPP 1979; DRESSLER 1979; LAVENCY 1979; ANDREONI FONTECEDRO 1988; SCARPA 1995 (per il latino) e TORCHIO 2000, unico riferimento teorico indirizzato alla sintassi dei casi del greco.
296
SEITZ et alii 1983.
297
87 inclusa in una grammatica in primo luogo del testo e in secondo luogo della frase. Le funzioni dei casi non possono costituire l’argomento principale di questo tipo di analisi, in quanto tali funzioni non sono altro che fatti derivati dalla disponibilità dei casi (con o senza preposizione) nell’ambito di una costruzione più ampia, e cioè nell’ambito di un enunciato”298.
È questo, dunque, che contraddistingue la sintassi dei casi nel modello dipendenziale, a fronte dell’analisi “ascendente” della grammatica tradizionale, che ragiona a partire dal caso e prescindendo dal ruolo sintattico dell’impletivo che esso marca299. La sintassi dei casi e la sua didattica sono pertanto articolate secondo la triplice distinzione di complemento obbligatorio, complemento facoltativo e complemento di secondo livello300.
Come abbiamo visto, la posizione-oggetto, che esprime il primo subordinato del verbo dopo il soggetto, può essere ricoperta tanto da un sostantivo quanto da un altro impletivo (pronome, infinito, proposizione oggettiva o completiva). Quando si tratta di un sostantivo o di un pronome esso può essere marcato non soltanto dall’accusativo – il caso più frequente –, ma anche dal genitivo, dal dativo o da un’espressione preposizionale (in latino anche dall’ablativo).
È dunque evidente che una stessa funzione può essere espressa da marche di casi differenti: se ne ricava che il contributo semantico e sintattico della marca del caso è in questo contesto secondario, se non ininfluente. È la componente semantica del verbo la protagonista da cui ricavare la funzione del suo primo subordinato.
Consideriamo il seguente esempio senofonteo:
εἰς καιρὸν ἥκεις, ἔφη, ὅπως τῆς δίκης ἀκούσῃς (Cyr. III 1, 8)
Il complemento oggetto del verbo ἀκούω è espresso dal sostantivo al genitivo τῆς δίκης.
298
DRESSLER 1979, p. 170.
299 Cf. HAPP 1979, pp. 189-190: “la grammatica tradizionale […] invece di cercare gli impletivi a partire
dalla posizione ha posto in primo piano gli impletivi stessi […] e così marcatamente che le posizioni della frase quasi scompaiono dietro ad essi”.
300
88 La grammatica tradizionale – almeno nelle formulazioni più attente – spiega l’occorrenza di questo genitivo riconducendolo alla sua funzione partitiva301 (ascolto la “voce” del processo, e dunque il processo), altrimenti lo rubrica semplicemente come “genitivo retto da particolari verbi”.
La grammatica della dipendenza al contrario focalizza l’attenzione sul verbo e sul suo significato302, che, attraverso la valenza, seleziona un complemento – il primo subordinato dopo il soggetto – a prescindere dalla marca del caso che lo contraddistingue. Il verbo ἀκούω, che significa “ascoltare”, unito al sostantivo δίκη, che qui significa “processo”, seleziona necessariamente un complemento oggetto. Il caso che lo marca è di importanza secondaria.
Le parole di Dressler sono perentorie: “ogni complemento obbligatorio è per principio una dipendenza grammaticale sprovvista di senso autonomo” e pertanto “la funzione di un caso in un complemento obbligatorio, qualora tale funzione esista, non deve assolutamente essere annoverata in una classificazione tassonomica delle funzioni dei casi, ma deve essere ricavata dalle componenti semantiche del verbo reggente”303. Per tutti i complementi obbligatori, e dunque per tutti i casi che li marcano, è operativo nella grammatica della dipendenza questo tipo di ragionamento.
Ampliando l’orizzonte del discorso al sistema del periodo, si osserva che vi è una stretta corrispondenza con il sistema della frase: ai complementi obbligatori corrispondono le proposizioni completive, ai complementi facoltativi le proposizioni circostanziali, ai complementi di secondo livello le proposizioni aggettive (le relative).
Ciò trascende la trattazione specifica di questo capitolo, che si concentra sul ruolo dei casi e dunque sul sistema della frase, ma sarà teoria imprescindibile nell’applicazione pratica della verbodipendenza che verrà proposta nel prossimo capitolo.
301 Cf. HUMBERT 1960, p. 272. La funzione partitiva, in casi come questi, appare a mio avviso alquanto
sbiadita.
302 Parlando di attenzione per la semantica nel modello dipendenziale ci riferiamo alle versioni più
moderne e complete, che superano i limiti affrontati nel primo capitolo: cf. DRESSLER 1979; PIAZZI 2002.
303
89 Data la mia preferenza per il modello Tesnière-Sabatini-Fontecedro304 sul modello Tesnière-Happ, e non avendo a disposizione una trattazione scientifica organica della sintassi dei casi del greco in base a questo modello dipendenziale, prendo come riferimento la sintesi che Emanuela Andreoni Fontecedro ha realizzato per la sintassi dei casi del latino305 e in questo schema incrocio i “dati” ricavati dal contributo di M. C. Torchio306, che ha realizzato una mappa delle funzioni dei casi del greco in base al modello dipendenziale Tesnière-Happ.
Ho pertanto redistribuito – e, dove mi è parso necessario, adeguato307 – la materia offerta dal lavoro di M. C. Torchio, adattandola al modello Sabatini-Fontecedro, ma partendo dalla posizione sintattica (A1, A2, A3) e non dal caso. Se la Fontecedro, per esempio, tratta l’accusativo e le sue occorrenze nelle diverse posizioni sintattiche, a me è sembrato più coerente con il modello mettere al centro queste ultime, e da lì analizzare quali casi le possono occupare.
Il lavoro di Andreoni Fontecedro ha per oggetto la sola dipendenza verbale obbligatoria – che è d’altronde il motivo di massimo interesse della verbodipendenza –, limitandosi dunque al ruolo sintattico che qui trattiamo, quello di complementi obbligatori.
Se ne recupera anche la revisione dei concetti di transitività e intransitività: esistono verbi impersonali (valenza zero), intransitivi assoluti (valenza uno), intransitivi parziali o transitivi indiretti308 (valenza due o tre, con oggetto indiretto come secondo subordinato, ovvero corrispondente a un’espressione italiana preposizionale), e transitivi diretti (valenza due o tre, con oggetto diretto come secondo subordinato). Alla luce di ciò possiamo dire che per la prospettiva “discendente” della grammatica della dipendenza, in regime di complementi obbligatori, i casi occupano le varie posizioni sintattiche nella maniera seguente:
304 Cf. supra pp. 25-27, dove sono spiegati i motivi di tale preferenza. 305
ANDREONI FONTECEDRO 1988.
306 TORCHIO 2000.
307 P. es. il “complemento di distanza” in accusativo, rubricato da Torchio come complemento facoltativo
e in questa sede come complemento obbligatorio.
308
La grammatica tradizionale, che distingue in base all’eventuale reggenza del complemento oggetto, non riconosce la differenza tra intransitivi assoluti e intransitivi parziali (altrimenti detti transitivi indiretti): i primi necessitano del solo soggetto (“senex mortuus est”), i secondi anche di un oggetto, espresso in forma indiretta (“Caesar pervenit ad castra”); cf. ANDREONI FONTECEDRO 1988, pp. 52- 53.
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