Attraverso gli interventi lirici il Coro si dimostra partecipe all'azione drammatica, anticipando gradualmente il destino del protagonista e accompagnandolo nel suo percorso. Tuttavia il coinvolgimento del gruppo corale non si limita solamente alle sezioni dei canti, dal momento che il suo ruolo drammaturgico gli permette di partecipare attivamente ai fatti scenici404 in
virtù della propria identità sociale e politica: il Coro dell'Edipo a Colono è formato da cittadini di Colono che si distinguono per autorità, in quanto non solo sono consiglieri del re, ma detengono anche il potere di prendere decisioni sull'ospitalità dello straniero. Per questo motivo il Coro si presenta come uno degli interlocutori principali con cui il protagonista e la figlia Antigone interagiscono. I vecchi abitanti di Colono, grazie alla loro autorità, vengono subito chiamati da parte del Coloniate a deliberare riguardo all'accoglienza da concedere ad Edipo, in quanto “non del luogo” (οὐδ'ἔγχωρος405, v. 125) e “straniero” (ξένος, v. 161, 184). Il
protagonista infatti, dopo un lungo errare lontano dalla patria, giunge a Colono con la figlia e in qualità di supplice si rivolge ai vecchi abitanti per ottenere asilo, secondo le convenzioni del rituale di supplica. L'intervento dei vecchi si dimostra indispensabile ai fini dello sviluppo della vicenda drammatica, sia dal momento che la loro presenza permette al protagonista di raccontare la sua storia, inserendo così la vicenda rappresentata all'interno del proprio contesto mitologico, sia perchè dalle loro decisioni dipende la sorte di Edipo e della figlia. Inizialmente i vecchi cittadini si presentano indisposti e intimoriti dalla presenza dell'uomo contaminato, ma presto l'ostilità lascia il posto al sentimento di pietà dopo aver ascoltato i discorsi dei due stranieri. L'evoluzione psicologica del Coro nel corso del primo episodio dimostra il suo coinvolgimento dinamico nell'azione, tanto che i vecchi, accogliendo gli stranieri, divengono garanti del rito di supplica, intervenendo anche fisicamente contro le violenze tentate da parte del re tebano nei confronti di Edipo (vv. 856-7). Il rispetto del rito di supplica è parte della funzione rituale del Coro: come osserva Kitzinger, “the Chorus’ connection to ritual in Oedipus at Colonus is more explicit and varied than in any of Sophocles’ other plays”406. Alla stessa funzione è connesso anche il ruolo svolto dai coloniati
404 Gardiner 1987, p. 109; Markantonatos 2007, p. 27. Non mancano però opinioni diverse: cfr. Falkner 1995, p. 177: "the chorus typically does not interfere with the stage action”.
405 Congettura di Bothe, accettata dalla maggior parte degli editori, per la lezione tradita ἐγχώριος. 406 Kitzinger 2012, p. 402.
di guardiani del boschetto delle dee Eumenidi: essi infatti hanno il compito di assicurare il corretto svolgimento dei riti in onore delle divinità. Per questo motivo, dopo che Edipo, contaminato, entra nel luogo consacrato alle Eumenidi, i vecchi abitanti forniscono le istruzioni dettagliate per il rito di purificazione, che verrà compiuto da Ismene fuori scena. La funzione rituale è svolta da parte dei coreuti anche presentando la sacralità del territorio attraverso la descrizione dello sfondo in cui si sviluppa la vicenda, allo scopo di inserire in un contesto ieratico la trasformazione in eroe di Edipo. Infatti, nel primo stasimo, il Coro, attraverso la descrizione del luogo come dimora degli dei, trasforma il territorio in uno spazio che contiene ed allo stesso tempo trascende la realtà storica, rendendo presente il divino nello spazio civico attraverso il canto e la danza407. Nella parodo i vecchi coloniati presentano il
bosco circostante riferendo ad esso l'aggettivo ἀστιβές (v. 126), che deriva dalla stessa radice del verbo verbo στείβω, “calpestare”: il termine indica pertanto un luogo “non calpestato” in quanto consacrato ad una divinità e quindi “sacro”. Oltre a questo aggettivo, il successivo tricolon di avverbi (vv. 129-30) accostati in asindeto contribuisce ad intensificare il valore ieratico dello sfondo, scandendo i divieti rituali riguardanti il culto delle dee: ἀδέρκτως, “senza guardare”, ἀφώνως e ἀλόγως, “senza parlare”. Allo stesso scopo occorre notare l'anadiplosi dell'avverbio περᾷς (vv. 154-5), che insiste sul fatto che Edipo sia andato troppo “oltre” rispetto a quanto sia consentito, e l'utilizzo di termini composti attraverso il prefisso negativo, ἀφθέγκτῳ (v. 156) e ἀβάτων (v. 166) (che riprendono i divieti già espressi ai vv. 129-30), che concorrono ad evocare l'inviolabilità del territorio. Inoltre, i verbi al modo imperativo esortano ad allontanarsi dal luogo (v. 156, 162, 166) e il cratere pieno d'acqua mescolato con il miele (vv. 157-60) assume valore rituale, costituendo un riferimento alle libagioni da rapportare al culto delle Eumenidi. Dunque, la funzione rituale del Coro consiste anche nel rappresentare l'atmosfera religiosa dello sfondo e permette di attribuire un significato rituale agli eventi: la sacralità si trasmette dal paesaggio all'azione e inserisce la vicenda in una cornice religiosa che accompagna e dà senso alla trasformazione di Edipo. La partecipazione del Coro è maggiore nella prima parte del primo episodio, prima dell'arrivo di Teseo, perchè in assenza del re esso rappresenta l'autorità del luogo. Tuttavia, anche dopo la comparsa del sovrano ateniese, il Coro mantiene un ruolo attivo assicurando il proprio sostegno al protagonista, in particolare al momento dello scontro con Creonte. Dalla prima minaccia a venire alle mani dei vecchi (τάχ'εἰς βάσανον εἶ χερῶν, vv. 834-5), dalla loro
esortazione al re tebano a fermarsi (ἐπίσχες αὐτοῦ ξεῖνε, v. 856a) e dalle parole di Creonte che
ordina al Coro di non toccarlo (μὴ ψαύειν λέγω, v. 856b) sembra che l'intervento degli abitanti
di Colono a difesa di Edipo non sia solamente verbale, ma che esso si concretizzi fisicamente. In seguito allo scontro, il ruolo del Coro è connesso perlopiù all'aspetto emozionale della vicenda rappresentata. I commenti rispetto agli eventi scenici provocano la risonanza delle emozioni suscitate dall'azione, in un riflesso narrativo della situazione tragica. Il Coro si mostra sempre più partecipe alle sventure patite dal protagonista: dopo l'episodio di Polinice, i vecchi intonano un kommos con cui lamentano l'amara vicenda del figlio di Edipo e il destino penoso che lo attende, quando odono rimbombare un tuono, che temono indichi l'approssimarsi di una nuova sciagura. Ancora una volta l'intervento del Coro permette lo sviluppo dell'azione, perchè il tuono si rivela il segnale della trasformazione di Edipo in eroe. Nell'ultima parte del dramma i vecchi coloniati prendono parte agli eventi scenici dialogando prima con il messaggero che racconta la fine misteriosa di Edipo e poi con Ismene ed Antigone che piangono la morte del padre. Insieme a Teseo, il Coro dà conforto alle fanciulle e le esorta a cessare il lamento per la morte dell'eroe, perchè con essa “tutti i patti sono siglati” (πάντως γὰρ ἔχει τάδε κῦρος, v. 1779): la sorte di Edipo è voluta dagli dei ed occorre sottomettersi al volere divino. Con queste ultime parole, poste a suggello della vicenda tragica, il Coro rivendica un'ultima volta il proprio ruolo di garante dell'ordine sacro e conferma la sua partecipazione all'azione drammatica408.
Una parte degli studi critici più recenti riguardo al Coro dell'Edipo a Colono si concentra sulla sua valenza politica. I vecchi cittadini, consiglieri di Teseo e suoi sottoposti, assumono una posizione di supporto nei confronti del potere politico, impersonato dal re Teseo, che si manifesta con particolare evidenza nel canto celebrativo di Colono. L'elogio alla città è giustificato dalla decisione di accogliere e proteggere lo straniero da parte del re, secondo le norme dell'ospitalità. L'intervento del Coro ha dunque la funzione di presentare Atene come città pia nei confronti delle leggi umane e divine. A questo proposito, Markantonatos409 ritiene
che il Coro, essendo formato da cittadini di Colono, abbia la funzione di rappresentare l'importanza del demo per Atene, in quanto, con il suo suolo sacro, garantisce il successo della città. Inoltre, lo studioso pensa che la voce corale presenti la polis come modello politico positivo, in quanto città giusta ed onesta, in opposizione al modello negativo di Tebe, dilaniata dalle discordie intestine: il contrasto tra le due città appare evidente soprattutto nel contesto
408 Markantonatos 2007, pp. 167 ss. 409 Markantonatos 2002, p. 84 e 182.
degli scontri con Polinice e Creonte.
A proposito dei contrasti tra Edipo ed il figlio e il re tebano, Murnaghan connette tali episodi al ruolo civile del Coro e propone di considerare i coreuti al pari di uditori di dispute verbali, affermando che nella tragedia in questione il gruppo corale evoca la partecipazione di gruppi di cittadini a contesti giuridici e deliberativi410. Nell'interpretazione della studiosa, i membri
del Coro, assumendo il ruolo di cittadini-giudici, creerebbero una connessione la realtà extrascenica come partecipanti alla vita civile fuori dal teatro: in questo modo l'autoreferenzialità corale sarebbe un mezzo per legare la performance drammatica della festa in onore di Dioniso alle circostanze della vicenda tragica. Tuttavia, dal momento che negli episodi di scontro a cui fa riferimento Murnaghan il Coro svolge il ruolo di partecipante piuttosto che quella di uditore e giudice, l'ipotesi della studiosa non sembra trovare riscontro nel testo riguardo l'evocazione da parte dei coreuti di dibattiti giuridici.
Recentemente anche Ieranò411 ha riflettuto sul valore civico del Coro dell'Edipo a Colono e
del Coro sofocleo più in generale. Lo studioso infatti afferma che in Sofocle il Coro sembra più propenso ad identificarsi con una voce cittadina ed in particolare sostiene che il tragediografo sembra attribuire ai Cori di anziani, come quello della tragedia in questione, una valenza civica più accentuata rispetto a Eschilo o Euripide. Ieranò dimostra la sua posizione osservando le occorrenze del vocativo πολῖται, di cui Sofocle fa un uso più frequente e coerente: per tre volte, nei drammi sofoclei, un personaggio usa questa allocuzione ed ogni volta risponde direttamente il Coro. Il primo caso si riscontra nell'Antigone al v. 806, nel contesto di un canto alternato con il Coro che, per quanto non rappresenti tutti i cittadini di Tebe, evidentemente fa parte della comunità dei πολῖται. Nell'Edipo Re (v. 514) Creonte avvia il suo discorso con la formula propria della retorica assembleare ateniese: ἄνδρες πολῖται, e anche questa volta il Coro risponde direttamente. La stessa situazione si ritrova nell'Edipo a
Colono, dove il messaggero si rivolge in questo modo al momento del suo ingresso in scena
(v. 1579) e risponde ancora una volta il Coro. A queste occorrenze lo studioso oppone il caso dei Sette contro Tebe di Eschilo, dove ad apertura del dramma Eteocle si rivolge a dei non identificati Κάδμου πολῖται: a differenza che in Sofocle, il πολῖται in questo caso resta sospeso, non apre un canale di dialogo con il Coro. L'altra ricorrenza individuata da Ieranò in Eschilo si trova nell'Agamennone, nell'esordio del discorso di Clitennestra, che informata del ritorno del re dalla guerra troiana si rivolge agli argivi chiamandoli ἄνδρες πολῖται (v. 855). Il
410 Murnaghan 2012, p. 228-9. 411 Ieranò 2012, pp. 25-33.
Coro risponde a questa allocuzione, ma lo studioso evidenza la singolarità del caso rispetto ai passi sofoclei con la solita formula: nell'Agamennone, dal momento che è una donna a chiamare gli uomini a raccolta, la dimensione civica del Coro si trova costretta e limitata dall'innaturalità della situazione tragica, dominata da una donna che usurpa il ruolo dell'uomo. Dunque, nei Sette contro Tebe il re rivolge l'allocuzione a un destinatario non preciso, ma comunque non al Coro; nell'Agamennone c'è una comunità politica di cittadini che però viene convocata da una figura che non avrebbe la facoltà di farlo, in quanto donna. Infine, in Euripide l'unica occorrenza del vocativo πολῖται è controversa: si trova nel finale delle
Fenicie (v. 1758), dove il messaggero entra in scena rivolgendosi ai “cittadini della patria
gloriosa” (ὦ πάτρας κλεινῆς πολῖται), tra cui però non può essere compreso il Coro, formato da donne fenicie. Dunque, se il passo non fosse spurio, come invece ritengono molti commentatori, la situazione che descrive apparirebbe comunque diversa rispetto a quella di Sofocle. Da queste osservazioni Ieranò conclude proponendo di prendere in considerazione una possibile dimensione civica del Coro sofocleo, assente negli altri poeti tragici412.
412 Non mancano tuttavia opinioni contrarie, tra cui quella di Gould che sostenendo la marginalità sociale del Coro afferma che nell’Edipo Re e l’Antigone, per quanto i membri del Coro siano apostrofati come πολῖται, d’altra parte la loro anzianità non rende un “civic discourse” le loro affermazioni. Cfr. primo capitolo per un'analisi più approfondita.