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2. EDIPO A COLONO

2.4 Terzo stasimo (vv 1211-1248)

ὅστις τοῦ πλέονος μέρους χρῄζει τοῦ μετρίου παρεὶς ζώειν, σκαιοσύναν φυλάσσων ἐν ἐμοὶ κατάδηλος ἔσται. ἐπεὶ πολλὰ μὲν αἱ μακραὶ ἁμέραι κατέθεντο δὴ λύπας ἐγγυτέρω, τὰ τέρπον- τα δ᾽ οὐκ ἂν ἴδοις ὅπου, ὅταν τις ἐς πλέον πέσῃ τοῦ δέοντος· ὁ δ'ἐπίκουρος ἰσοτέλεστος, Ἄϊδος ὅτε μοῖρ᾽ ἀνυμέναιος ἄλυρος ἄχορος ἀναπέφηνε, θάνατος ἐς τελευτάν. μὴ φῦναι τὸν ἅπαντα νι- κᾷ λόγον· τὸ δ᾽, ἐπεὶ φανῇ, βῆναι κεῖσ'ὁπόθεν303 περ ἥκει πολὺ δεύτερον, ὡς τάχιστα. ὡς εὖτ᾽ ἂν τὸ νέον παρῇ κούφας ἀφροσύνας φέρον, τίς πλάγχθη πολύμοχθος ἔξω; τίς οὐ καμάτων ἔνι; φόνοι, στάσεις, ἔρις, μάχαι καὶ φθόνος· τό τε κατάμεμπτον ἐπιλέλογχε πύματον ἀκρατὲς ἀπροσόμιλον γῆρας ἄφιλον, ἵνα πρόπαντα κακὰ κακῶν ξυνοικεῖ.* 1215 1220 1225 1230 1235

Colui che desidera vivere di più avendo trascurato la misura, a mio giudizio è chiaro che coltiva un desiderio ottuso.

Poichè i lunghi giorni riservano molti eventi più vicini

al dolore, non vedresti dove siano i piaceri,

quando qualcuno va oltre rispetto al necessario: la soccorritrice uguale per tutti,

quando si mostra il destino dell'Ade senza nozze, senza musica e senza danza, è la morte alla fine.

Non essere nato vince ogni

guadagno: ma, una volta che si è nati, il tornare il prima possibile là da dove si giunge è di gran lunga la seconda cosa migliore. Come lascia passare la giovinezza che porta leggere follie, quale pena molto travagliata è tenuta lontano? Quale tra le fatiche non c'è? Uccisioni, lotte, discordia, battaglie e odio: si aggiunge in sorte

la disprezzata vecchiaia estrema, inetta, solitaria, senza amore, in cui tutti quanti i mali accompagnano i mali.

303 Accolgo la congettura di Blaydes a differenza del testo critico di Avezzù (2008).

* 1211-2. τοῦ et χρῄζει add. L1 exiliore ductu 1212. παρεὶς codd., edd. pler.: παρὲκ Badham, Dawe πάρος

Bothe προθεὶς «fort.» Jebb πέρα Schneidewin 1213. αἰεὶ post σκαιοσύναν add. T 1218-9. ὅπου ὅταν Lsγρ:

ὁπότ' ἄν lr ὁπόταν azT 1219. πέσῃ: προβῇ Nauck 1220. τοῦ: οὐ R | δέοντος Reiske (cf. ΣL ἀντὶ τοῦ

μετρίου, τοῦ ἱκανοῦ), edd. pler.: θέλοντος codd., Campbell πρέποντος Blaydes2 | ὁ δ' Hermann, edd. pler.:

οὐδ' codd., Wunder, Hartung (def. Serra) fort. recte | ἐπίκουρος QacR, coni. Hermann, edd. pler.: ἔπι κοῦρος L

ἔπι κόρος Yz, Wunder, Hartung (def. Serra) fort. recte (cf. οἶμαι κόρος Ls in m., τότε γὰρ ὁ τοιοῦτος κόρος

λαμβάνει τέλος, ὅτε ἄν ὁ Ἅιδης ἐπέλθῃ, ΣL, οὐ παύσονται τοῦ κόρου πρὶν εἰς θάνατον ἔλθωσιν ΣLRM)

ἐπίκορος KqpcT ἐπὶ κόρος A ἐπικόρος U 1224. τὸν ἅπαντα codd., edd.: τινα πάντα Dawe τιν'ἅπαντα

Blaydes 1225. φανῇ codd.: φυῇ Mähly, Blaydes 1226. κεῖθεν LraT: κἀκεῖθεν Kz κεύθε' Dawe κεῖσ'ὅθεν ἄν (mox περ ἥκῃ) Dobree κεῖσ'ὁπόθεν Blaydes, Pearson, Dawea «fort.» κεῖσέ γ'ὅθεν Ll.-J.-W. (sed cf. Ll.-J.-

W.2) 1229. παρῇ codd. (et uid. Campbell1): παρεὶς Hartung, prob. Jebb 1230. φέρον: φέρων l 1231.

τίς: τί r | πλάγχθη lazT: πλάχθη r πλαγὰ Herwerden3, Dindorf – Mekler, Jebb, Dawe, Ll.-J.-W., | πολύμοχθος:

πολὺ μόχθος Hermann 1233-4. φόνοι...φθόνος codd. pler.: φόνοι...φόνος K φθόνοι...φθόνος R φθόνος...φόνοι Faehse, Dindorf - Mekler, Jebb, Pearson, Dawe (obl. Wilamowirtz1) 1234. κατάμεμπτον z,

ἐν ᾧ τλάμων ὅδ᾽, οὐκ ἐγὼ μόνος, πάντοθεν βόρειος ὥς τις ἀκτὰ κυματοπλὴξ χειμερία κλονεῖται, ὡς304 καὶ τόνδε κατ᾽ἄκρας δειναὶ κυματοαγεῖς ἆται κλονέουσιν ἀεὶ ξυνοῦσαι, αἱ μὲν ἀπ᾽ἀελίου δυσμᾶν, αἱ δ᾽ἀνατέλ- λοντος, αἱ δ᾽ἀνὰ μέσσαν ἀκτῖν᾽, αἱ δ᾽ἐννυχιᾶν ἀπὸ Ῥιπᾶν.* 1240 1245

In questa situazione è questo sventurato, non io solo. Come un promontorio rivolto a nord battuto dalle onde esposto a tempeste è sconvolto da ogni parte, così anche quello completamente sconvolgono sempre assidue terribili sciagure che si spezzano come onde, alcune da occidente, altre da

oriente,altre da sud, altre ancora dai bui Ripei.

2.4.2 Analisi metrica

1211-1223 strofe = 1224-1238 antistrofe 1211/1224 _ _ _ ͜ ͜ _ ͜ _ glyc 1212/1225 _ ͟͝_ _ ͜ ͜ _ ͜ _ glyc 1213/1226 _ _ _ ͜ ͜ _ ͜ _ _ hipp 1214/1227 ͜ ͜ _ ͜ ͜ _ ͜ _ ͟͝_ || 2ionma 1215/1229 ͜ ͜͞ _ _ ͜ ͜ _ ͜ _ || glyc 1216/1230 _ ͜ _ ͜ ͜ _ ͜ _ glyc 1217/1231 _ _ _ ͜ ͜ _ ͜ _ _ hipp 1218/1232 ͜ _ ͜ ͜ _ ͜ ͜ do2 1219/1233 ͜ _ ͜ _ ͜ _ ͜ _ 2ia 1220a/1234 _ ͜ _ ͜ ͜ ͜ ͜ _ ͜ 2tr 1220b/1235 ͟͝ __ ͟͝ ͜ ͜ ͜͞ ͜͞ ͜ ͜ tr305 1221/1236 ͜ ͜ ͜ ͜ ͜ ͟͝_ ͜ ͜ ͜ _ ͜ ͜͞ 2tr

304 Accolgo la lezione tramandata dai codici perchè è usuale trovare nelle comparazioni la correlazione ὥς...ὡς o viceversa.

* 1242. ὡς codd., Campbell, Jebb, Ll.-J.- W. (prob. Kamerbeek): ὣς post Brunk edd. pler. | κατ'ἄκρας: κατὰ κρὰς Wilamowitz1 1244. ἆται raT: αἵ τε lz 1247. μέσσαν lQUY, A s. l.: μέσαν RzT, A in l. 1248.

δ'ἐννυχιᾶν Lachmann, Hermann (cf. ΣLRM λέγει δὲ αὐτὰ ἐννύχια), edd.: δ'ἐννυχίαν K δὲ νυχίαν Lra δὲ νυχιᾶν

zT | ἀπὸ lQRpcaZnT: ὑπὸ RacZo.

305 Per il verso in questione lo schema metrico è diverso da quello proposto da Lomiento, che segue il testo critico dell'edizione di Avezzù e pertanto accetta la congettura di Hermann misurando ͜ ͜ ͜ _ ͜ .

1222/1237 ͜ ͜͞ ͜ ͜ ͜ ͜ ͜ ͜ ͜ ͜ _ ͜ 2tr 1223/1238 ͜ ͜ ͜ _ ͜ _ _ ||| ithyph 1239-1248 epodo 1239 ͜ _ _ _ ͜ _ ͜ _ ͜ _ ba cr ia 1240 _ ͜ _ ͜ _ ͜ _ ͜ _ _ cr ia ia^ 1241 _ ͜ ͜ _ _ ͜ ͜ _ ͜ _ _ || cho cho ia^ 1242 _ _ _ ͜ ͜ _ _ pher 1243 _ _ _ ͜ ͜ _ _ pher 1244 _ _ ͜ ͜ _ ͜ ͜ _ ͜ _ _|| prosa ia ^306 1245 _ ͜ ͜ _ ͜ ͜ _ hemm 1246 _ _ _ ͜ ͜ _ hemm307 1247 _ ͜ _ ͜ ͜ _ _ pher 1248 _ _ _ _ ͜ ͜ _ ͜ ͜ _ _ ||| 2an hypercat

Per quanto riguarda la coppia strofica, Pohlsander308 interpreta i primi due periodi coriambici

(eccetto la clausola al v. 1214/1227) ed il terzo periodo giambo-trocaico. La colometria dello studioso corrisponde a quella proposta da Dale ed entrambe divergono da quella suggerita da Lomiento in alcuni casi: in primo luogo il v. 1213/1226, interpretato come un gliconeo perchè l'ultima sillaba del verso viene unita al verso successivo (quindi Dale e Pohlsander considerano il v. 1213/1226 fino a φυλασ- e ηκ-). Di conseguenza il v. 1214/1227 presenta una sillaba in più rispetto alla divisione di Lomiento e viene considerato un decasillabo alcaico (con schema metrico _ ͜ ͜ _ ͜ ͜ _ ͜ _ _) con fine di verso indicata dalla presenza dello iato e sillaba anceps. Per questi due versi, nonostante la diversa colizzazione del testo critico di Avezzù, ritengo che debba essere seguita l'interpretazione di Pohlsander e Dale, dal momento che essa permette di superare la difficoltà creata dalla lettura di Lomiento per il v. 1214, considerato dalla studiosa uno ionico a maiore. Il v. 1217/1231 viene analizzato come un gliconeo da Dale e Pohlsander, perchè misurano il verso fino alla penultima sillaba τερ- ed

306 La sigla prosa è quella adottata per lo schema x _ ͜ ͜ _ ͜ ͜ _ .

307 Schema modulante, tra hemiepes maschile e ferecrateo. 308 Pohlsander 1964, p. 82.

ἔ- rispettivamente della strofe e antistrofe, considerando il verso successivo 1218/1232 un altro gliconeo con cesura, indicata dallo iato nella strofe e dalla sillaba anceps. Nella sezione dell'epodo, invece, anche se la scansione metrica segnata da Pohlsander e Dale rispecchia quella di Lomiento (eccetto gli ultimi quattro versi che sono colizzati in modo alternativo), l'interpretazione dei versi è differente: il v. 1239 è analizzato come un trimetro giambico sincopato, v. 1240 un trimentro giambico sincopato catalettico, v. 1241 un trimetro coriambico catalettico, v. 1244 e 1245 (misurato fino a δυσμᾶν) un prosodiaco enopliaco, v. 1246 (considerando solo αἰ δ'ἀνατέλοντος) un dimetro giambico con spondeo contratto, v. 1247 (fino a ἀκτῖν') un dimetro coriambico A309 e v. 1248 un enneasillabo coriambico (con

schema metrico _ _ ͜ ͜ _ ͜ _ _ _).

2.4.3 Commento filologico

Al v. 1212 la lezione παρείς tramandata dai codici può essere costruita (1) con τοῦ μετρίου, con il senso di “avendo trascurato la misura”, sottintendendo χρῄζειν e considerando ζώειν infinito epesegetico di ὅστις τοῦ πλέονος μέρους χρῄζει, come propone Jebb310 e come ritengo

che debba essere interpretato il passo; (2) con ζώειν, facendo dipendere τοῦ μετρίου da un χρήζων sottinteso, come vuole Hermann311; (3) in modo assoluto, come interpreta

Kamerbeek312, con il senso di “avendo lasciato passare”, intendendo τοῦ μετρίου come

genitivo di paragone unito a τοῦ πλέονος μέρους e sottintendendo τὸ μέτριον μέρος come oggetto di παρείς. In questo modo χρῄζει reggerebbe τοῦ πλέονος...τοῦ μετρίου e ζώειν sarebbe da considerare epesegetico; Kamerbeek313 dunque traduce: “chiunque desideri la parte

di vita che è più grande della misura – avendola lasciata andare via da sè- per vivere”. Dawe314

invece considera la situazione disperata e crocifigge παρείς.

Al v. 1220 la lezione dei codici τοῦ θέλοντος, che Campbell ha tentato di difendere315, non è

opportuna a livello contestuale: la difficoltà viene risolta accettando il suggerimento di Reiske, τοῦ δέοντος, accolto dalla maggior parte degli editori moderni. Nello stesso verso la tradizione riporta concorde οὐδ'ἔπι κόρος, la vulgata antica dai tempi dell'edizione aldina del 1502, oppure οὐδ'ἔπι κοῦρος (presente solo in L). Riguardo a questa seconda forma bisogna osservare che il sostantivo κοῦρος non trova giustificazione in questo contesto ed è stato interpretato come una sostituzione da parte di uno scriba di κόρος, inteso nel senso di “figlio” come lo ionico e poetico κοῦρος. La lezione οὐδ'ἔπι κόρος invece non solleva problemi a livello grammaticale e potrebbe essere mantenuta senza ricorrere necessariamente alla correzione del testo: infatti si potrebbe coordinare οὐδ'ἔπι κόρος a τὰ τέρποντα δ᾽ οὐκ ἂν ἴδοις ὅπου, seguendo Elmsley, intendendo “non vedresti dove siano i piaceri (…) né c'è sazietà”. Tuttavia contro questa lezione tradita possono essere sollevate due obiezioni: in primo luogo, dal punto di vista metrico bisognerebbe accettare la responsione libera tra οὐδ'ἔπι κόρος, un trocheo con il secondo elemento lungo soluto, e τε καταμέμπτον nell'antistrofe (v. 1235), un trocheo con il primo elemento lungo soluto. In secondo luogo, per salvare οὐδ'ἔπι κόρος il

310 Jebb 1885. 311 Hermann 1825. 312 Kamerbeek 1984. 313 Kamerbeek 1984, pp. 170-1. 314 Dawe 1979. 315 Campbell 1907, p. 269.

senso del periodo diverrebbe oscuro: l'aggettivo seguente, ἰσοτέλεστος, propriamente “che ha lo stesso τέλος”, dovrebbe essere inteso riferito alla morte e di conseguenza dovrebbe essere esteso l'iperbato di ὅτε per inserire il termine all'interno della proposizione temporale. In alternativa, potrebbe essere mantenuto l'ordine tramandato unendo ἰσοτέλεστος con κόρος, intendendo, come propone Serra, che non c'è sazietà “che abbia lo stesso τέλος” non della morte, ma della vita316, ma anche in questo caso sfuggirebbe il significato della frase.

Mantenere la lezione dei codici a testo, dunque, comporta problemi a livello metrico e di senso, ai quali non sono state trovate soluzioni completamente soddisfacenti. Per questo motivo preferisco accogliere la forma ἐπίκουρος tramandata dalla famiglia romana, ottenuta dalla congiunzione di ἔπι κοῦρος, e accolta già da Musgrave317. Hermann318 aveva accettato

questa lettura e per salvare la responsione interna aveva corretto la negazione οὐδ' in ὁ δ'. L'intervento dello studioso permette di inserire nel v. 1220 ὁ δ'ἐπίκουρος, che deve essere considerato, insieme all'aggettivo ἰσοτέλεστος, una determinazione di θάνατος (v. 1224) e permette di realizzare una responsione perfetta con l'antistrofe.

Al v. 1226 la forma κεῖθεν tradita dai codici LraT si spiega come risultato dell'attrazione di κεῖσε da parte del relativo ὄθεν. D'altra parte, i paralleli che si riscontrano per tale fenomeno sono scarsi e non permettono di difendere la lezione tramandata: per questo motivo al suo posto accolgo la congettura di Blaydes319 κεῖσ'ὁπόθεν.

Per i vv. 1233-4 si riscontra confusione nell'ordine dei termini all'interno della tradizione manoscritta: φθόνος...φόνοι è l'ordine presente nella maggior parte dei codici, mentre in R si trova φθόνοι...φθόνος, in K φόνοι...φόνος. Faehse pertanto corregge il testo tramandato tramite trasposizione dei termini in φόνοι...φθόνος. L'intervento dello studioso è accettato da Jebb320, Pearson321, Dawe322 e giustificato, oltre che dalla confusione interna alla tradizione,

dall'effetto della climax, dalla logica dell'enumerazione e dall'alternanza di sostantivi astratti plurali e concreti plurali. Ad ulteriore sostegno della lettura di Faense, Kamerbeek323 osserva

che la sua correzione ristabilisce alcuni parallelismi testuali altrimenti non realizzati: infatti le στάσεις sono la manifestazione del φθόνος, μάχαι di ἔρις e φόνοι il risultato culminante di entrambi. In questo modo l'ordine dei termini così come stabilito da Faehse si dimostra

316 Serra 1999, p. 100: “non c'è sazietà che si compia nel momento in cui la vita finisce”. 317 Musgrave 1800. 318 Hermann 1825. 319 Blaydes 19042. 320 Jebb 1885. 321 Pearson 1917. 322 Dawe 1979. 323 Kamerbeek 1984, ad v. 1233 ss.

corretto a livello grammaticale, stilistico e metrico e pertanto la congettura viene accolta a testo.

Per il v. 1242 viene mantenuta la lezione dei codici ὡς, che in corrispondenza dell'ὥς al v. 1240 permette di completare il paragone. Per quanto riguarda il v. 1248, la correzione di Lachmann ed Hermann, δ'ἐννυχιᾶν, è necessaria a ristabilire il senso del periodo.

2.4.4 Commento testuale

La strofe e l'antistrofe sono caratterizzate da una struttura simmetrica, composta da tre periodi metrici e da tre movimenti sintattici, con il confine tra il secondo e il terzo movimento in distonia rispetto al confine tra secondo e terzo periodo metrico324:

una gnome generale ad apertura della stanza; sviluppo della gnome;

– una coda in cui compaiono due frasi l'una subordinata all'altra, un sostantivo con cinque determinazioni (la morte nella strofe, la vecchiaia nell'antistrofe) che realizza il culmine della climax sviluppata nella stanza e che è posto come chiusa fulminante del periodo.325

In apertura della strofe (vv. 1211-23) si trova la sentenza gnomica tradizionale μηδὲν ἄγαν, riferita in questo caso alla giusta lunghezza della vita326: non è vantaggioso voler vivere più a

lungo del dovuto, perchè i piaceri, τὰ τέρποντα (vv. 1217-8), svaniscono presto e sono sostituiti dal dolore. Vivere più a lungo significa andare incontro a più dolori e nemmeno alla fine della sua esistenza l'uomo può riscattarsi, dal momento che l'Ade è il “soccorritore” (ἐπίκουρος, v. 1220) che non può essere fuggito perchè “comune a tutti” (ἰσοτέλεστος, v. 1220). La morte priva l'uomo dei piaceri della vita, le nozze, la musica e la danza (ἀνυμέναιος, ἄλθρος, ἄχορος, vv. 1221-2): gli aggettivi ad essa riferiti, accostati in tricolon, insistono sull'idea di morte come totale privazione, come indica il prefisso privativo che li compone.

Una seconda massima apre l'antistrofe (vv. 1224-38): “non essere nati vince ogni guadagno”,

324 Neri 2019 p. 62, Burton 1980, pp. 285 ss.

325 Come osserva Neri 2019 (p. 63-4), questa interpretazione comporta due difficoltà: a) Ἄϊδος non è un aggettivo e perciò potrebbe essere considerato un tutt'uno con Μοῖρ', b) far gravitare anche ἰσοτέλεστος su Μοῖρα comporta un accentuato iperbato di ὄτε con doppio salto (oltre sia ἰσοτέλεστος sia Ἄϊδος). Tuttavia queste difficoltà sono solo apparenti, perchè la forma trisillabica del genitivo Ἄϊδος occorre in tragedia anche in Aesch. Pers. 433, dove sembra funzionale all'omoteleuto κελΑΙΝΟΣ ΑΙΔΟΣ); anche in questo caso, la sua scelta appare funzionale all'assimilazione agli altri epiteti, ἀνυμέναιος, ἄλυρος e ἄχορος, dal momento che Ἄϊδος richiama gli aggettivi ἀϊδής, ἀϊδνός (“invisibile, buio”), ponendosi così sullo stesso piano

contenutistico degli altri attributi. D'altra parte, per quanto riguarda l'iperbato con doppio salto della

congiunzione, lo stesso costrutto si trova anche nell'epodo, al v. 1240, e sempre nell'OC al v. 87, ma anche in

Phil, 1312. Attraverso l'iperbato sarebbe dunque possibile mantenere la corrispondenza anche nel numero

delle determinazioni, ma in questo modo ἰσοτέλεστος dovrebbe essere collegato necessariamente a Μοῖρα, mentre potrebbe far parte della frase precedente: cfr. commento filologico.

326 Tema già esplorato dalla lirica arcaica: Mimnermo (fr. 11 Gentili-Prato) colloca la giusta misura a sessant'anni, Solone (fr. 26 Gentili-Prato) la sposta a ottanta.

e una volta nati, il rimedio migliore è tornare quanto prima da dove si è venuti. Tale affermazione ricorda la risposta data da Sileno alla domanda, da parte di Mida, su quale fosse la cosa migliore per l'uomo (Hdt. I 131, Hes. Theog. 425, Bacch. V 160). Il contesto in cui la sentenza viene nominata in questo caso è ancora la perdita dei piaceri della vita una volta passata la giovinezza e nell'avvento delle sofferenze dell'uomo, questa volta precisate: φόνοι, στάσεις, ἔρις, μάχαι, φθόνος, dunque “uccisioni, lotte, discordia, battaglie, odio” (vv. 1233-4) e infine τὸ γῆρας, “la vecchiaia” (v. 1237). Essa, in significativo parallelismo con il concetto della morte nella stanza precedente, occupa l'ultima posizione della climax in cui è strutturata questa stanza, allo scopo di presentarla come il male più grande per l'uomo. Il tricolon di aggettivi ad essa riferiti, composti con prefisso negativo, ἀκρατὲς, “senza forza”, ἀπροσόμιλον “solitaria”, ἄφιλον “senza amici” (vv. 1236-7), insiste sull'idea di inettitudine ed isolamento che la vecchiaia comporta. Viene rielaborato in questo modo un tema tradizionale e caro alla letteratura greca327, la riflessione sull'aspra vecchiaia. Essa è presente già nei poemi

omerici, dove si trova il sostantivo γῆρας accompagnato dall'aggettivo λυγρόν, “misera” (Il. XIX 336), e χαλεπὸν (Od. XI 196), “gravosa”:

Il. XIX 335-7 [...] ἤ που τυτθὸν ἔτι ζώοντ' ἀκάχησθαι

γήραΐ τε στυγερῷ καὶ ἐμὴν ποτιδέγμενον αἰει λυγρὴν ἀγγελίην, ὅτ' ἀποφθιμένοιο πύθηται. “oppure trascina un resto di vita, afflitto dall'odiosa vecchiaia e dall'attesa continua della fatale notizia mia, che morto mi sappia”328.

Od. XI 195-6 ἔνθ’ ὅ γε κεῖτ’ ἀχέων, μέγα δὲ φρεσὶ πένθος ἀέξει

σὸν νόστον ποθέων· χαλεπὸν δ’ ἐπὶ γῆρας ἱκάνει. “Qui giace afflitto, e nel cuore accresce la sua pena

perchè piange il tuo destino luttuoso, e in più gravosa vecchiaia lo ha raggiunto”329.

Una simile concezione della vecchiaia si trova anche in Esiodo che, pur non sviluppando

327 La vecchiaia è considerata talvolta secondo una visione negativa, talvolta positiva, come in Od. XI 136, XIX 368, in cui τὸ γῆρας, “la vecchiaia” è accompagnato dall'aggettivo λιπαρόν, “splendida”. Si tratta di una tematica che ricorre soprattutto nella lirica: cfr. Pind. N. VII 99 e corpus Theognideum, vv. 425-8. 328 Traduzione a cura di Calzecchi Onesti 1950.

ampiamente il motivo della vecchiaia, nella Teogonia la definisce οὐλόμενον, “rovinosa”:

Th. 225 […] μετὰ τὴν δ᾽ Ἀπάτην τέκε καὶ Φιλότητα

Γῆράς τ᾽ οὐλόμενον, καὶ Ἔριν τέκε καρτερόθυμον. “[...] Dopo quella generò Inganno e Amore

e la Vecchiaia rovinosa, e generò Discordia violenta”.

Molti componimenti sopravvissuti del poeta lirico Mimnermo riguardano il rimpianto per la giovinezza sfuggente e si caratterizzano per una struttura narrativa antitetica, che oppone la lode della giovinezza al biasimo della vecchiaia, riguardo alla quale il poeta afferma che rende l'uomo brutto e spregevole e la definisce ὀδυνηρόν e ἀργαλέον, “dolorosa” e “odiosa”:

Fr. 1 W Τίς δὲ βίος, τί δὲ τερπνὸν ἄτερ χρυσέης Ἀφροδίτης; τεθναίην, ὅτε μοι μηκέτι ταῦτα μέλοι, κρυπταδίη φιλότης καὶ μείλιχα δῶρα καὶ εὐνή, οἷ᾿ ἥβης ἄνθεα γίνεται ἁρπαλέα ἀνδράσιν ἠδὲ γυναιξίν· ἐπεὶ δ᾿ ὀδυνηρὸν ἐπέλθῃ γῆρας, ὅ τ᾿ αἰσχρὸν ὁμῶς καὶ κακὸν ἄνδρα τιθεῖ, αἰεὶ μιν φρένας ἀμφὶ κακαὶ τείρουσι μέριμναι, οὐδ᾿ αὐγὰς προσορῶν τέρπεται ἡελίου, ἀλλ᾿ ἐχθρὸς μὲν παισίν, ἀτίμαστος δὲ γυναιξίν· οὕτως ἀργαλέον γῆρας ἔθηκε θεός.

“Che vita, che dolcezza senza l'aurea Afrodite? Che io muoia quando non avrò più care queste cose, l'amore segreto e il letto e i dolcissimi doni,

quali sono i dolci fiori della giovinezza

per gli uomini e le donne. Quando viene la dolorosa vecchiaia che rende brutto l'uomo bello,

sempre tristi ansie lo tormentano nel cuore, né più gode a guardare la luce del sole;

ma è odioso ai giovani e disprezzato dalle donne: tanto odiosa Zeus rese la vecchiaia”.

Fr. 2 W Ἡμεῖς δ' οἷά τε φύλλα φύει πολυάνθεμος ὥρη ἔαρος, ὅτ' αἶψ' αὐγῇσ' αὔξεται ἠελίου, τοῖς ἴκελοι πήχυιον ἐπὶ χρόνον ἄνθεσιν ἥβης τερπόμεθα, πρὸς θεῶν εἰδότες οὔτε κακὸν οὔτ' ἀγαθόν· Κῆρες δὲ παρεστήκασι μέλαιναι, ἡμὲν ἔχουσα τέλος γήραος ἀργαλέου,

ἡ δ' ἑτέρη θανάτοιο· μίνυνθα δὲ γίγνεται ἥβης καρπός, ὅσον τ' ἐπὶ γῆν κίδναται ἠέλιος. αὐτὰρ ἐπὴν δὴ τοῦτο τέλος παραμείψεται ὥρης, αὐτίκα δὴ τεθνάναι βέλτιον ἢ βίοτος· πολλὰ γὰρ ἐν θυμῷ κακὰ γίγνεται· ἄλλοτε οἶκος τρυχοῦται, πενίης δ' ἔργ' ὀδυνηρὰ πέλει· ἄλλος δ' αὖ παίδων ἐπιδεύεται, ὧν τε μάλιστα ἱμείρων κατὰ γῆς ἔρχεται εἰς Ἀΐδην· ἄλλος νοῦσον ἔχει θυμοφθόρον· οὐδέ τίς ἐστιν ἀνθρώπων, ᾧ Ζεὺς μὴ κακὰ πολλὰ διδοῖ. “Noi, come le foglie che genera la fiorita stagione

di primavera, quando a un tratto crescono ai raggi del sole, simili a quelle, godiamo dei frutti della giovinezza per il tempo di un cubito, senza sapere da parte degli dei né il male

né il bene. Ma le nere Chere ci stanno vicine, l'una tenendo il termine di vecchiaia dolorosa, l'altra di morte: ma dura un attimo il frutto di giovinezza, quanto sulla terra si effonde il sole. Ma quando questo termine di tempo sia trascorso, subito morire è meglio che vivere.

Infatti molti mali nascono nell'animo: talora la casa

va in rovina, nascono le conseguenze penose della povertà; uno poi è privo di figli, rimpiangendo moltissimo i quali scende nell'Ade;

un altro ha un morbo che gli tormenta l'animo; e non c'è alcuno tra gli uomini, a cui Zeus non dia molti mali”.

I versi dell'Edipo a Colono riecheggiano il disprezzo per la vecchiaia (τὸ κατάμεμπτον γῆρας in Sofocle richiama gli aggettivi riferiti all'uomo vecchio da Mimnermo, ἐχθρὸς e ἀτίμαστος) e l'associazione tra quest'ultima e la morte: nel fr. 1 v. 2 si trova τεθναίην, ὅτε μοι μηκέτι ταῦτα μέλοι, nel fr. 2 v.10 αὐτίκα δὴ τεθνάναι βέλτιον ἢ βίοτος: l'eco di queste parole è evidente nella massima ad apertura della seconda stanza. Oltre a livello contenutistico, il legame morte-vecchiaia in questo stasimo è evidente anche sul piano stilistico. Le due strutture formate dal tricolon di aggettivi (vv. 1221-2 e vv. 1236-7) si corrisponde sia nel numero sia nella forma, dal momento che gli attributi sono formati entrambi per mezzo del prefisso privativo, ma disposti con leggera variatio. Nel primo caso infatti si susseguono in asindeto, mentre nell'antistrofe il termine a cui si riferiscono viene inserito all'interno del tricolon. Grazie alla loro corrispondenza viene ancor più messa in rilievo la proporzione tra la morte e la vecchiaia, le quali in questo modo concludono la climax su cui sono costruite entrambe le stanze e costituiscono l'apice negativo della vita dell'uomo, una volta passata la

giovinezza. Questa descrizione dei dolori che affliggono la vita dell'uomo è corrispondente alla condizione in cui si trova Edipo, giunto alla fine della sua esistenza, consumato dalle sofferenze, come lo presenta la parte finale del canto, che, reintroducendo la figura del protagonista, svolge la funzione di inserire lo stasimo nel contesto drammatico. Come un promontorio, esposto da ogni parte alla violenza incessante delle onde, così Edipo è travolto continuamente dalle onde di terribili sventure330. Il pessimismo esistenziale del canto acquista

particolare rilevanza all'interno di questa tragedia, centrata sulla rappresentazione degli ultimi istanti della vita di Edipo. Le sofferenze che seguono la fine della giovinezza, elencate nell'antistrofe, quali uccisioni, lotte, discordia, battaglie, invidia rispecchiano gli stessi dolori patiti da parte di Edipo, e la vecchiaia senza forze e solitaria è la vecchiaia del personaggio, costretto a vagabondare lontano dalla sua patria. Di fronte ai mali che tormentano l'uomo, la morte appare come l'unico rimedio, l' “estrema medicina”331. In questo modo, nel terzo

stasimo la tematica della morte, già introdotta nei canti precedenti, viene ulteriormente sviluppata e diventa l'oggetto principale della riflessione del Coro. Di fronte ai mali che tormentano l'uomo la morte giunge come soccorritrice: è la svolta promessa da Apollo ad Edipo per la sua vita infelice (v. 89). Una tale presentazione della morte come liberatrice si mostra perfettamente in linea con il percorso del protagonista del dramma verso la fine della propria esistenza: consumato dalle sventure che lo hanno trascinato fino a Colono, dall'inizio della tragedia Edipo è pronto ad andare incontro al suo destino, mettendo fine alle sue sofferenze.

330 La similitudine delle onde che battono contro la roccia richiama Ant. 586-93. 331 Soph. fr. 698 Radt.

2.5 Quarto stasimo (vv. 1556-1578)

2.5.1 Testo e traduzione

εἰ θέμις ἐστί μοι τὰν ἀφανῆ θεὸν καὶ σὲ λιταῖς σεβίζειν, ἐννυχίων ἄναξ, Αἰδωνεῦ Αἰδωνεῦ, λίσσωμαι μὴ 'πι πόνῳ332 μήτ' ἐπὶ βαρυαχεῖ333 ξένον ἐξανύσαι μόρῳ τὰν παγκευθῆ κάτω νεκρῶν πλάκα καὶ Στύγιον δόμον. πολλῶν γὰρ ἂν καὶ μάταν πημάτων ἱκνουμένων πάλιν σφε δαίμων δίκαιος αὔξοι. ὦ χθόνιαι θεαὶ σῶμά τ᾽ ἀνικάτου θηρός, ὃν ἐν πύλαισι ταῖσι πολυξένοις εὐνᾶσθαι κνυζεῖσθαί τ᾽ ἐξ ἄντρων ἀδάματον φύλακα παρ᾽ Ἁίδᾳ λόγος αἰὲν ἔχει· ὅν, ὦ Γᾶς παῖ καὶ Ταρτάρου, κατεύχομαι, ἐν καθαρῷ βῆναι ὁρμωμένῳ νερτέρας τῷ ξένῳ νεκρῶν πλάκας·σέ τοι κικλήσκω τὸν αἰένυπνον.* 1560 1565 1570 1575

Se mi è lecito onorare con le preghiere la dea occulta e te, signore degli avvolti nelle tenebre, Aidoneo, Aidoneo, ti supplico che senza pena né con dolore lo straniero giunga con la morte alla pianura dei morti che nasconde tutto sottoterra e alla casa di Stige. Dopo molti e vani dolori la

giustizia divina lo ricompensi a sua volta.

O dee ctonie e bestia invincibile, che da sempre si dice che giaccia sulle porte visitate da molti ospiti e che latri dalla grotta come guardia indomita nell'Ade:

te, figlio della Terra e di Tartaro, io imploro di lasciare libero il passo allo straniero che scende alle pianure sotterranee dei morti: invoco te sonno eterno.

332 Diversamente da Avezzù 2008 accolgo a testo la congettura di Bergk, Blaydes e Dain. Cfr. apparato critico. 333 Forma dorica per βαρυηχεῖ.

* 1559. Αἰδωνεῦ bis Hermann, edd. pler.: Ἀϊ- bis codd., Pearson | λίσσομαι codd., edd. pler.: δίδου μοι nouit ΣLRM

αἰδοῦμαι Erfurdt δός μοι Heath, Pearson, alii alia 1560. locus varie temptatus; crucibus adf. Dawe | μήτ'1secl.

Post Seidler plerique edd.: μήτ' lrUYVz, Pearson μήποτ' AT μὴ Bergk, Blaydes, D.-I., Gleiditsch, Colonna | ἐπιπόνῳ uel ἐπὶ πόνῳ post Seidler plerique edd., ἐπὶ πόνω mauult Kamerbeek: ἐπιπόνω LV ἐπὶ πόνω T ἐπὶπονα Kraz ἐπιπόνως Ll.-J.-W. [μήτ'] ἄπονα Jebb ἐπίπονα Pearson 'πιπόνῳ Bergk, Blaydes, D.-I. 'πίπονα Gleditsch, Colonna | μήτ'2 codd.: μήδ' Wecklein, Jebb | ἐπὶ βαρυαχεῖ: ἐπιβαρυαχέα r (βαρυηχεῖ ΣLRM) 1561. ἐξανύσαι

Vauvilliers, edd. pler.: ἐκτανύσαι codd. (κατανύσαι ΣLRM) <ἂρ'εὖ> κατανύσαι Campbell (cf. 1573)

1563. νεκρῶν T: νεκύων rell. 1565. πολλῶν: πολλὸν z 1565-6. ἂν καὶ μάταν: ἂν καὶ καμάτων V ἂν κἀμαχων Martin, Dawe, alii alia 1566. ἱκνουμένων codd., edd. multi (def. Campbell1): ἱκνούμενον dub. Jebb

1567. σφε Reiske, edd. pler. (sed cf. ΣL ἀποστρέφει τὸν λόγον πρὸς τὸν Οἰδίποδα): σε codd., Campbell | δίκαιος:

δικαίως K | αὔξοι: ἀέξοι T 1569. πύλαισι laVz: πύλαις r πύλαισιν T | ταῖσι Bergk, Jebb, Colonna, Ll.-J.-W. (prob. Campbell1): ταῖσδε D.-I. Φασὶ codd. | πολυξένοις Musgrave, edd. pler.: πολυξέστοις codd., Camobell

1570. κνυζεῖσθαι τ' lraV: κνυζᾶσθαί τ' z κνυζᾶσθαί τ' cum ει s. l. T | ἐξ ἄντρων <τ'> uel ἐκ <τ'> ἄντρων Dawe 1571. ἀδάματον Brunck, edd. pler.: ἀδάμαστον lraVT ἀδάμαντος z | φύλακα παρ': φύλακ' T | Αΐδᾳ Lraz, T in l.: Ἀΐδαν KV Ἀΐδην T s. l. 1572. λόγος codd. (ὡς λ- T), edd. pler.: λάχος Martin λόχον Blaydes, Dawe | <ἐσ>αιὲν Campbell | ἔχει T, edd. pler.: ἀνέχει laVz, Hermann, Campbell ἀνέχοι r ἔχειν Marti, Dawe 1574. ὅν codd., D.- I.: τόν Hermann (ad uitandum hiatum, uid. Tessier), edd. pler. | παῖ lazT: παῖς rV 1575. ἐν καθαρῷ: ἐκ καθαροῦ Madvig 1576. βῆναι codd., edd. permulti: del. uel μολεῖν uel κίειν Hermannb 'κστῆναι σ' Blaydes

'κβῆναι <<fort.>> Pearson μεῖναι Dawe 1578. τὸν raVzT: τίν' L τὴν K (-ὸν s. l.), Su. | αἰένυπνον LpcV (ΣLRM

2.5.2 Analisi metrica

1556-1567 strofe = 1568-1578 antistrofe

1556/1568 _ ͜ ͜ _ ͜ _ _ ͜ ͜ _ ͜ _ 2do

1557-8/1569-70 _ ͜ ͜ _ ͜ _ _ _ ͜ ͜ _ ͜ _ _ _ _ || aristoph hemiascl II mol 1559/1571 _ _ _ _ ͜ ͜͞ _ mol cr 1560/1572 ͟͝ __ ͟͝ ͜ _ _ ͜ ͜ ͜ ͜ ͟͝_ _ cr do 1561-2/1573 ͜ ͜ _ ͜ ͜ _ do 1563/1574 ͜ _ _ _ _ _ ͜ _ ba do 1564/1575 ͜ _ ͜ ͜ _ ͜ ͜ _ pros 1565/1576 ͜ ͜͞ ͟͝_ _ _ ͜ _ ba cr 1566/1577 _ ͜ _ _ ͜ _ ͜ ͜͞ _ ͜ _ 2cr ia 1567/1578 ͜ _ ͜ _ _ ͜ _ ͜ _ _ ||| ia cr ia^

Pohlsander334 ritiene che la coppia strofica sia giambo-docmiaca per i primi tre periodi,

giambica nel quarto. La sua suddivisione colometrica è corrispondente a quella di Lomiento solo per i versi 1560/1572335, e 1561/1573, mentre i versi restanti vengono interpretati

diversamente dallo studioso: v. 1557/1569 (considerato fino a σεβίζειν per la strofe e πύλαισι per l'antistrofe), analizzato come un aristofaneo; v. 1558/1569b (fino a ἄναξ nella strofe e

πολυξένοις nell'antistrofe), un docmio; v. 1559/1570 (da Αἰδωνευ a λίσσομαι nella strofe e da εὐνᾶσθαι a ἄντρων nell'antistrofe), un trimetro giambico sincopato oppure due molossi seguiti