4. L'EDIPO A COLONO E LA PRODUZIONE DRAMMATICA DI SOFOCLE
4.1 Le opere precedenti all'Edipo a Colono
L'integrazione del gruppo corale nella vicenda drammatica non è una peculiarità propria dell'Edipo a Colono, ma può essere considerata una caratteristica condivisa nel teatro sofocleo. Già nell'Aiace, la tragedia più antica (tra quelle sopravvissute) all'interno della produzione del tragediografo, il Coro prende parte all'azione attivamente, sebbene senza un intervento fisico nella vicenda. Il Coro del dramma in questione è formato da marinai della nave dell'eroe, che fin dalla parodo si mostrano agli ordini dell'eroe413 e schierati dalla sua
parte, anche di fronte alla ignominosa sciagura che si è abbattuta sul loro comandante. Il loro legame al protagonista del dramma è rivelato non solo dal conforto e dal sostegno che i marinai gli riservano, ma anche dalle parole con cui Aiace si rivolge a loro: “compagni marinai, soli tra i miei cari, soli aggrappati alla legge retta” (v. 349), e ancora “siete la mia famiglia, abile nerbo della mia nave... tu sei unico scudo al dolore” (vv. 357-8 e 360). Nel primo episodio la partecipazione del Coro al canto intonato dal protagonista è ulteriore prova del suo coinvolgimento nella vicenda: i suoi interventi si alternano a quelli dell'eroe e di Temessa, mostrandogli apprensione e tentando di farlo ragionare. Anche nel resto della vicenda i coreuti continuano a intervenire in modo partecipe nei dialoghi con i personaggi, con Tecmessa, con Teucro, con il messaggero che riferisce l'accoglienza che i Greci hanno riservato al fratello dell'eroe. In particolare, la sua partecipazione emotiva ai fatti scenici si realizza soprattutto nel kommos intonato insieme a Tecmessa all'inizio del quarto episodio, nel momento in cui viene scoperto il cadavere di Ariace. Per quanto riguarda gli stasimi, gli interventi corali sono sempre attinenti alla vicenda rappresentata: nel primo stasimo, quando l'episodio di follia di Aiace da diceria si scopre realtà, il Coro rivolge il pensiero a Salamina, la patria di Aiace, e al dolore che proveranno i genitori dell'eroe, prima glorioso nei duelli, ora colpito da infamia. Nel successivo intervento lirico, i coreuti intonano un canto di gioia per l'apparente rinsavimento di Aiace, allentando la tensione prima del tragico sviluppo dell'azione. In luogo del terzo stasimo si trova una seconda parodo (vv. 866-78): il Coro, che prima si era allontanato per andare alla ricerca di Aiace, rientra sulla scena diviso in due
semicori, lamentando la fatica vana perchè l'eroe non è stato trovato. L'ultimo stasimo, infine, è un lamento privo di speranza per la morte di Aiace, in cui i marinai dimostrano ancora una volta lo stretto legame che li unisce all'eroe, “torre contro il panico buio” (vv. 1211-12). Nell'Antigone, anch'essa collocata nella fase di produzione meno recente del poeta tragico, i vecchi tebani che formano il Coro hanno il ruolo di consiglieri del re Creonte414, che infatti
ordina loro di essere “custodi degli ordini” (v. 215). I vecchi infatti mostrano rispetto verso il sovrano obbedendo alle sue decisioni e di fronte ai comportamenti del re il loro giudizio resta implicito. Solo in seguito alle profezie di Tiresia, nel quinto episodio, quando Creonte sconvolto chiede al Coro consiglio su cosa fare, i coreuti invitano il re a tenersi a saggezza e a rivedere la sua posizione liberando la fanciulla per non incorrere in sventure più grandi. Nel resto della vicenda la partecipazione del Coro è perlopiù limitata agli stasimi, che si presentano come riflessioni o approfondimenti concettuali sulle tematiche che muovono la vicenda: la saggezza nei primi due stasimi, l'amore nel terzo stasimo, la punizione degli dei contro chi supera il limite nel quarto e quinto intervento, mostrandosi perciò sempre legati ai fatti scenici. Tuttavia il Coro dell'Antigone sembra avere un minor grado di coinvolgimento rispetto ai coreuti dell'Aiace, ma tutto è rapportabile all'identità che mantengono all'interno del dramma.
I vecchi cittadini di Tebe compongono anche il Coro dell'Edipo Re, che all'inizio della vicenda, nel primo episodio, prende parte al dialogo con il protagonista per bocca del corifeo, non tacendo i suoi pareri e consigliando il re su cosa fare. Successivamente l'intervento dei coreuti nell'azione diviene circoscritto e spesso funzionale all'annuncio dell'entrata e uscita dei personaggi, per poi riacquistare importanza nella parte finale del dramma. Nell'epodo infatti i vecchi tebani, dopo aver parlato con il messaggero, intonano un canto insieme al protagonista, lamentando la sventura che ha colpito Edipo e mostrando di avere cura del re, che infatti si rivolge al Coro come “amico” (v. 1321, 1329). Già nella prima comparsa in scena il Coro si mostra integrato nella situazione, rivolgendo una preghiera agli dei affinchè intervengano a protezione del popolo tebano. Nel primo stasimo, poi, sotto la spinta delle impressioni contrastanti derivate dal colloquio con Tiresia riguardo all'uccisore di Laio, il Coro dapprima immagina la fuga del colpevole sconosciuto, poi riconsidera le parole di Tiresia e sceglie di credere in Edipo. I vecchi infatti si mostrano partecipi alle angosce del re e il loro
414 Nel discorso ad apertura del primo episodio Creonte dichiara che i vecchi hanno sempre rispettato il potere del trono di Laio (vv. 165-66) e di averli convocati in disparte dagli altri cittadini (vv. 164-65) per rendere nota a loro la sua volontà riguardo alla sepoltura di Polinice.
coinvolgimento emotivo si esprime nel kommos che intrecciano con Edipo e Giocasta (vv. 649-96), in cui i coreuti appaiono lacerati dal dolore per la rovina della città. Per quanto riguarda il secondo stasimo, la ragione del canto è offerta dalla situazione scenica: la sfida di Giocasta agli oracoli che suscita la rivendicazione dell'onnipotenza divina da parte del Coro. L'intervento corale si presenta in questo modo integrato nella vicenda drammatica in relazione alla scena precedente quanto agli eventi successivi, rivelandosi un presago indizio di ciò che accadrà. Con il terzo stasimo i vecchi cittadini dimostrano ancora la loro dipendenza rispetto al protagonista: il presupposto per il canto è infatti offerto dall'esultanza di Edipo, che pensa di aver vinto il destino. Si tratta però di un'effimera illusione, perchè subito dopo il re tebano apprende la verità. Nell'ultimo stasimo, dunque, il Coro lamenta la sorte dei mortali, in particolare quella di Edipo, che sembrava essere felice mentre si è rivelato il più misero degli uomini per le disgrazie che lo affliggono. Il supporto incondizionato che il Coro prima offriva al sovrano sembra ora vacillare: da una parte i vecchi vorrebbero non averlo mai conosciuto a causa della contaminazione che attira su chi gli sta attorno, dall'altra provano pietà per lui, non dimenticando che grazie ad Edipo hanno ritrovato la vita, quando la città fu liberata dalla sfinge.
Nell'Elettra il Coro è formato dalle donne di Micene: la sua identità è appropriata per questa tragedia, dal momento che la protagonista è una donna. Già nella parodo il Coro mostra lo stretto rapporto che lo lega ad Elettra: la struttura commatica del canto rivela il coinvolgimento delle donne nella vicenda della fanciulla, come il modo in cui il Coro si rivolge a lei, chiamandola “figlia”415 (παῖ al v. 121, 251; τέκνον al v. 154, 174) e
indirizzandole frequenti esortazioni su come comportarsi416, tanto da assumere il ruolo di
madre nei suoi confronti, come le donne stesse dichiarano di essere (v. 234). Il supporto dato alla protagonista è totale: il Coro è pronto a seguirla (v. 253) e consiglia alla sorella Crisotemi di fare lo stesso. All'inizio del primo episodio, il Coro dialoga con la protagonista, che confessa alle donne compagne le angosce che la tormentano. In seguito, in modo simile alla situazione dell'Edipo Re, gli interventi del Coro negli episodi divengono sporadici; tuttavia non viene meno la sua partecipazione emotiva alla vicenda della fanciulla, che viene espressa nelle parti liriche e soprattutto nel secondo stasimo, in cui sotto forma di canto alterno ad Elettra le donne lamentano la morte di Oreste. Anche gli altri interventi corali sono pertinenti agli eventi scenici: con il terzo stasimo, il Coro deplora l'atteggiamento morale di Crisotemi,
415 In questo modo il Coro continua a rivolgersi ad Elettra nel corso del dramma (v. 829, 1231-32).
che non tributa affetto e culto al padre, valori sacri. Il quarto stasimo, invece, è immediatamente precedente al compimento della vendetta contro la madre da parte di Oreste: il Coro rievoca il tema della strofe del primo stasimo, la profezia di una divina sanzione contro i colpevoli, e descrive l'immagine di Oreste mentre entra nel palazzo ed impugna la spada insanguinata, accrescendo la tensione della scena successiva.
Le Trachinie derivano il titolo dal Coro del dramma, formato da donne originarie di Trachis, dove si svolge la vicenda tragica. Il ruolo delle donne è quello di offrire un sostegno a Deianira, consumata dal dolore, come è chiaro dalle prime parole che la protagonista rivolge al Coro (vv. 141-2): “essendo venuta a sapere del mio dolore, come è evidente, giungi”. Le donne sono le confidenti di Deianira, che confessa loro le sue sofferenze e le mette a conoscenza del suo proposito di riconquistare l'amore del marito attraverso un filtro. La protagonista chiede il giudizio del Coro rispetto alla sua decisione prima di agire: per quanto le donne non intervengano in modo effettivo nell'azione, risultano determinanti per lo sviluppo della vicenda, dando il loro consenso al piano di Deianira. Nel corso della vicenda Deianira continua a fare affidamento sui consigli delle donne. Infatti, quando l'araldo rivela alla donna la passione di Eracle per Iole, Deianira, sconvolta, si rivolge direttamente al Coro per chiedere un suggerimento sul da farsi. Di fronte alla lucidità del Coro, la protagonista non esita a seguire il consiglio delle donne senza controbattere (vv. 385-89). Legato in questo modo alla donna, il Coro partecipa alle emozioni provate dalla sovrana: quando il messaggero annuncia alla protagonista l'arrivo imminente del marito, le donne condividono la gioia di Deianira con il canto e la danza. L'integrazione corale si estende anche i suoi interventi lirici: la materia del primo stasimo è l'amore ed il canto si inserisce opportunamente nel contesto, venendo intonato in seguito alla notizia dell'amore del marito per Iole. Il secondo stasimo è un canto di gioia per l'arrivo di Eracle annunciato nell'episodio precedente: le donne, al pari della protagonista, si mostrano impazienti per il ritorno dell'eroe, che finalmente placherà le angosce di Deianira, se il filtro magico avrà effetto. Il terzo stasimo segue la notizia della rovina di Eracle a causa del chitone avvelenato: le donne fanno riferimento alla profezia che l'eroe ricevette a Dodona, decifrando dolorosamente il senso del presagio, per poi descrivere lo stato pietoso in cui si trova la protagonista, responsabile involontaria della morte del marito. Il Coro resta partecipe anche nelle parte iniziale del quarto episodio, dove dialoga con la Nutrice, che rivela la morte di Deianira. Di fronte alla nuova sventura il Coro intona il quarto stasimo, un lamento per le morti dell'eroe e della moglie, mostrandosi straziato dagli
eventi funesti appena avvenuti. A questo punto, con la scomparsa di Deianira, anche la presenza del Coro si eclissa, dimostrando anche in questo modo il suo legame alla protagonista.
L'integrazione del Coro come personaggio drammatico e la pertinenza dei suoi interventi lirici sono elementi comuni dei gruppi corali della produzione sofoclea presa in esame. Infatti, dall'analisi di questi drammi il Coro partecipa all'azione drammatica dando supporto ai personaggi a cui è legato e condividendo le loro emozioni. Tuttavia, il coinvolgimento corale si mantiene a livello emotivo, mentre nelle due ultime tragedie la partecipazione del gruppo corale sembra concretizzarsi anche a livello fisico.