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IL SEQUESTRO E LE SUE FINALITÀ NELLA LOGICA DEL CODICE VASSALL

1. La posizione della giurisprudenza – L’orientamento

giurisprudenziale affermatosi primariamente, negli anni

immediatamente successivi all’adozione del nuovo codice, ruotava attorno alla considerazione che le misure cautelari reali hanno un oggetto diverso da quelle personali; partendo da questo presupposto, viene tratta la conseguenza per la quale non è possibile servirsi dell’analogia nella materia in questione e, di conseguenza, non si possono estendere anche alla cautela reale quei “gravi indizi di colpevolezza” che l’art. 273 c.p.p. prevede, relativamente alle cautele personali, quale condizione generale di applicabilità della misura. Il ragionamento dei giudici fa poi leva sul fatto che l’art. 321 c.p.p. parli

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di “cosa pertinente al reato” per sostenere come sia necessario, per poter disporre la misura, che risulti la sussistenza di un fatto di reato; secondo tale orientamento, il provvedimento che dispone il rinvio a giudizio è elemento sufficiente per sancire la sussistenza del fumus, recando in sé una “positiva delibazione di sussistenza dell’ipotizzata

fattispecie di reato, che è più intensa della mera valutazione sommaria compiuta in sede di emissione della misura cautelare”49. La valutazione circa la configurabilità del reato deve essere fatta – si dice – su un piano astratto: le stesse Sezioni Unite50 hanno sostenuto che “è preclusa ogni valutazione sulla sussistenza degli indizi di colpevolezza e sulla gravità degli stessi” e che il controllo del giudice, non potendo

investire la concreta fondatezza dell’accusa, debba invece limitarsi “all’astratta possibilità di sussumere il fatto attribuito ad un soggetto

in una determinata ipotesi di reato”.

Successivamente, anche la Corte Costituzionale è intervenuta ad avallare simile orientamento, ritenendo infondata la questione di legittimità degli artt. 321 e 324 c.p.p., rispetto agli artt. 24, 42, 97 e 111 Cost. In particolare, un profilo che si contestava era proprio il mancato rinvio all’art. 273 c.p.p., che la Corte ha negato essere una violazione del diritto di difesa, sostenendo come esso abbia una morfologia diversificata a seconda degli istituti processuali considerati e che, quindi, “non vi è un obbligo costituzionale ad assegnare uguale

contenuto difensivo a rimedi che, pur se identici per denominazione […] si distinguono nettamente sul piano strutturale e dei soggetti che possono essere coinvolti”51; ancora: la Consulta evidenziava come le diverse misure cautelari vadano ad incidere su libertà che hanno un diverso rango costituzionale. Alla luce di tutte queste considerazioni, si riteneva dunque legittima una differente configurazione del “potere” del giudice e, dunque, una differente tipologia di controllo in sede di gravame; si invocava inoltre, a sostegno della posizione in questione, il fatto che le misure reali attengano, per loro natura, a “cose” che, nell’ipotesi del sequestro preventivo, sono caratterizzate da una propria “pericolosità”, giustificante l’imposizione della cautela, la quale può benissimo essere avulsa da qualsiasi profilo di colpevolezza soggettiva. L’orientamento della Corte Costituzionale è stato poi, negli anni successivi, dalla stessa confermato: i giudici della Consulta hanno ritenuto infondate le questioni di costituzionalità presentate riguardo l’art. 34 c.p.p., nella parte in cui non prevede che fra i casi nei quali un

49 Cass., Sez. V, 17 aprile 2009.

50 Cass., Sez. Un., 23 aprile 1993, Gifuni. 51 Corte Cost., 9 febbraio 1994, n. 48.

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giudice non può partecipare al giudizio, vi siano anche quelli in cui si è pronunciato relativamente al sequestro preventivo di cose pertinenti al reato. In linea con il pensiero già precedentemente manifestato, si è infatti ritenuta mancante “quella incisiva valutazione prognostica sulla responsabilità dell’imputato, basata su gravi indizi di colpevolezza, che potrebbe rendere, o far apparire, condizionato il successivo giudizio di merito da parte dello stesso giudice”, aggiungendo inoltre che non “vi

è, per le due diverse misure cautelari, personali o reali, una identità di presupposti in ordine alla valutazione rimessa al giudice”52.

Le prese di posizione di Corte di Cassazione e Corte Costituzionale hanno fortemente influenzato la giurisprudenza successiva, che ha continuato a muoversi della direzione del giudizio “astratto”, fino a giungere a ritenere sufficiente la semplice enunciazione (che non sia del tutto arbitraria) di un’ipotesi di reato in relazione alla quale si renda necessario limitare od escludere la libera disponibilità di cose a quel reato pertinenti, per cui il giudice del riesame sarebbe tenuto a disporre la revoca della misura solo nel caso in cui la configurabilità del reato appaia manifestamente impossibile.

Su questa situazione, in cui il giudizio sul fumus si configurava come qualcosa di estremamente evanescente, sono intervenute di nuovo, dopo appena tre anni, le Sezioni Unite, tentando di chiarire meglio quali fossero i parametri di questo giudizio e di correggere in parte l’orientamento precedente, seppur non discostandosi in maniera netta dalla sentenza Gifuni. La nuova pronuncia53 cerca di fornire una “ulteriore e più netta chiarificazione” della questione, spiegando come il giudice debba “accertare la sussistenza del c.d. fumus commissi

delicti, che, pur se ricondotto nel campo dell’astrattezza, va sempre riferito ad un’ipotesi, ascrivibile alla realtà effettuale e non a quella virtuale”: ciò che si cerca di fare è, evidentemente, arginare il

fenomeno dello “sganciamento” progressivo della valutazione dagli elementi concreti della singola fattispecie di cui si deve valutare. Da una successiva affermazione delle stesse Sezioni Unite risulta, poi, evidente il tentativo di operare queste “chiarificazioni” senza abbandonare la strada maestra tracciata dal precedente del ’93: parlando dell’accertamento del fumus, si dice che esso “va compiuto

sotto il profilo della congruità degli elementi rappresentati, che non possono essere censurati sul piano fattuale […], ma che vanno valutati così come esposti, al fine di verificare se essi consentono di sussumere

52 Corte Cost., 12-21 marzo 1997, n.66. 53 Cass., 20 nov. 1996, Bassi ed altri.

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l’ipotesi formulata in quella tipica”54. L’intento della Cassazione, con

la sentenza appena considerata, era di evitare che la garanzia giurisdizionale offerta dalla necessità di sussistenza del fumus

commissi delicti si trasformasse, nei fatti, in un’operazione puramente

formale, priva di valenza concreta.

La variazione di rotta impressa dall’intervento del ’96 ha avuto le sue conseguenze: una serie di interventi successivi, culminati in una sentenza delle Sezioni Unite del 200855, hanno ritenuto che l’accertamento “in astratto” non fosse accettabile, ma che piuttosto dovesse effettuarsi una delibazione in merito alla sussistenza della fattispecie di reato che è sì sommaria, ma non astratta, bensì ancorata alla situazione di fatto. La summenzionata sentenza delle SS.UU., occupandosi della non applicabilità dell’art. 273 c.p.p., precisa infatti come questo non possa comportare che il sindacato giurisdizionale operato sulla compatibilità fra fattispecie concreta e fattispecie legale “debba essere meramente astratto e puramente cartolare, disarticolato

da ogni valutazione della effettiva situazione concreta”. Questa

sentenza non si spinge a richiedere che esistano indizi di colpevolezza, come invece sostenuto da altre posizioni56 , ma chiede comunque al giudice di effettuare la sua valutazione tenendo conto “delle effettive

risultanze processuali e della effettiva situazione emergente dagli elementi forniti dalle parti”.

La situazione del sequestro preventivo è indubbiamente peculiare: è stato affermato che, in tale forma di sequestro “più che altrove […], il

presupposto del periculum in mora in certa misura si sovrappone ed orienta l’esegesi del requisito del fumus delicti”57, proprio a

sottolineare come il nocciolo di questa forma di sequestro sia costituito dall’esigenza di impedire che una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze dell’illecito, o favorire la commissione di altri reati. Conseguenza importante di quanto appena detto è che, in materia, viene ad essere rilevante più la cosa in sé considerata, che la persona: se fosse possibile disporre il sequestro preventivo solo nei confronti dell’autore del reato, sarebbero frustrate quelle esigenze di prevenzione cui esso è informato, tutte le volte che la res si trovi nella materiale disponibilità di un soggetto terzo, ma sia comunque idonea a protrarre, aggravare ecc.

54 Ibidem.

55 Cass., Sez. Un., 25 settembre 2008, n.1152. 56 Cass., Sez. I, n. 1415 del 2003.

57 G. Todaro, Il fumus delicti richiesto per il sequestro preventivo: un’ipotesi ricostruttiva, in Cass. Pen., 2009, 10, 3887 e seg.

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D’altra parte, ciò non può certo significare che il giudice possa prescindere, al momento di valutare i presupposti applicativi della misura, da qualsiasi considerazione relativa alla antigiuridicità ed all’elemento soggettivo del reato, pena la svalutazione totale di un requisito, quello del fumus, che è pur sempre imprescindibile. Quindi, volendo restare sulla linea tracciata dalla Cassazione, che non richiede gli indizi di colpevolezza di cui si parla all’art. 273 c.p.p., ma allo stesso tempo vuole un accertamento non avulso dalla realtà, si può ipotizzare una valutazione dei presupposti applicativi che si svolge in due momenti che possono essere idealmente separati: la verifica concreta della sussistenza di precisi elementi che testimonino la commissione del fatto di reato, inteso in senso stretto come fatto materiale, non come astratta possibilità che si possa configurare un illecito e, risolto positivamente questo accertamento, sul piano astratto si andrà ad acclarare la – astratta, appunto – antigiuridicità della condotta che si assume tenuta e la configurabilità dell’elemento soggettivo del reato58.

2. La posizione della dottrina – Il pensiero dottrinale, a

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