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Sommario: 3.1 - Considerazioni introduttive; 3.2 - La confisca nella disciplina dell’art. 240 c.p.: a) Uno sguardo d’insieme; b) La confisca facoltativa; c) La confisca obbligatoria; 3.2.1 - L’evoluzione della confisca ed il declino della forma “classica”: l’art. 322-ter c.p.; 3.2.2 - Cercando una definizione di “profitto del reato”; 3.3 - La confisca di valore; 3.3.1 - Riforma dei reati societari e nascita di nuove ipotesi di confisca: a) Il d.lgs. 61/2002; b) Il d.lgs. 231/2001; c) L’art. 12-sexies del d.l. 306/1992.; 3.4 – Il sequestro a fini di confisca: una panoramica; 3.4.1 – Fumus

commissi delicti nel sequestro finalizzato alla confisca; 3.4.1.1 – La pericolosità delle

cose confiscabili; 3.4.2 – Il periculum in mora; 3.4.3 – Il sequestro funzionale alla confisca per equivalente; 3.4.4 – Compatibilità del sequestro dell’equivalente con i principi di proporzionalità, adeguatezza e gradualità; 3.4.5 – Beni sequestrabili: il caso dei frutti civili; 3.4.6 – Procedimento dispositivo e soggetti coinvolti; 3.4.7 – Una questione specifica: la sostituibilità dei beni sequestrati; 3.4.8 – Revoca; 3.5. – Profili applicativi: Il concorso di persone ed il problema del profitto sequestrabile; 3.5.1 – (segue) Il sequestro a fini di confisca nel procedimento a carico degli enti; 3.5.2 – (segue) Il sequestro a fini di confisca “per sproporzione” nel d.l. 306/1992.

3.1 – Considerazioni introduttive

L’ipotesi disciplinata al secondo comma dell’art. 321 c.p.p. si distingue nettamente da quella che troviamo al comma precedente dello stesso articolo. Stante la finalità preventivo-interdittiva del sequestro preventivo ex art. 321, comma 1, infatti, il sequestro a fini di confisca ha un fine puramente cautelare; lo si potrebbe quasi pensare come una sorta di “confisca provvisoria”.

Che questa figura di sequestro sia diversa ed autonoma dall’altra rinvenibile nello stesso articolo, è piuttosto evidente già semplicemente soffermandosi ai presupposti applicativi: la misura di cui al comma 2 non richiede alcun tipo di prognosi di pericolosità legata alla libera disponibilità della res ma, molto più semplicemente, permette di disporre il sequestro di tutti quei beni che siano (a norma di legge) confiscabili. Tale presupposto comprende sia la confisca facoltativa che quella obbligatoria, previste all’art. 240 c.p. e nelle leggi speciali, con la sola differenza che, nel primo caso, il giudice è tenuto a spiegare le ragioni che lo hanno indotto ad esercitare il potere cautelare.

Dunque il sequestro che qui ci si accinge ad analizzare è del tutto peculiare e legato a doppio filo con quella misura di natura sostanziale

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che è la confisca, le cui vicende giocoforza saranno anche vicende del sequestro stesso.

Pare opportuno allora avviare la nostra analisi proprio dall’istituto della confisca, prendendone in considerazione le ipotesi principali.

3.2 – La confisca nella disciplina dell’art. 240 c.p.: a) Uno sguardo d’insieme; b) La confisca facoltativa; c) La confisca obbligatoria

a) Uno sguardo d’insieme – Il codice penale Rocco disciplina l’istituto della confisca nel Capo II del Titolo VIII del Libro Primo, fra le misure di sicurezza patrimoniali.

La dottrina, tuttavia, ha via via nel tempo sottolineato come siffatta collocazione non fosse del tutto appropriata, stante la discussa natura dell’istituto in discorso, non facilmente riconducibile alle misure di sicurezza, focalizzandosi soprattutto sulle rilevanti differenze fra la disciplina della confisca e quella “generale” delle misure di sicurezza1.

E, in effetti, le differenze riscontrabili nella regolamentazione della confisca, rispetto alle altre misure di sicurezza, non sono trascurabili.

Basti pensare che l’art. 236 c.p. non opera alcun richiamo agli artt. 202, 203 e 204, rispettivamente concernenti l’applicabilità delle misure di sicurezza, la pericolosità sociale e l’accertamento della suddetta pericolosità, comportando di conseguenza la non necessarietà di un accertamento della pericolosità del condannato per il giudice che volesse infliggere la misura della confisca.

Ulteriore conseguenza di quanto appena detto si sostanzia “nell’assottigliamento del carattere specialpreventivo proprio di una

misura di sicurezza e nell’esplicazione immediata dei suoi effetti ablatori, tale da rendere la confisca incompatibile con il regime della revoca”2.

La relazione ministeriale sul progetto del codice ci dice che la misura in parola ha il fine di privare il reo di “cose che, provenendo da

fatti illeciti penali, o in altra guisa collegandosi alla loro esecuzione, mantengono viva l’idea e l’attrattiva del reato”3, configurandone

1 Prendendo in considerazione opere non eccessivamente risalenti: A. Alessandri,

voce Confisca nel diritto penale, in Dig. disc. pen., III, Torino, 1989; T.E. Epidendio,

La confisca nel diritto penale e nel sistema delle responsabilità degli enti, Padova,

2011.

2 Così si esprime F. Vergine, Il contrasto all’illegalità economica: confisca e sequestro per equivalente, Cedam, 2012, 53.

3 Relazione sul libro I del progetto, in Lavori preparatori del codice penale e del codice di procedura penale, V, Progetto definitivo di un nuovo codice penale con la relazione del Guardasigilli On. Alfredo Rocco, parte I, Roma, 202.

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quindi una finalità schiettamente preventiva, di “neutralizzazione” della vis attrattiva del reato.

Si distingue tradizionalmente il guadagno derivante dal reato in profitto e prezzo, categorie che configurano una differente relazione fra il guadagno conseguito e il reato stesso: mentre il prezzo consiste in quella utilità economica “pattuit[a] e consegnat[a] da una persona

determinata, come corrispettivo dell’esecuzione dell’illecito”4, la

quale costituisce la spinta motivazionale a commettere il reato, il profitto è nozione più complessa, ricomprendente, grossomodo, tutto quanto il lucro che deriva dalla fattispecie criminosa, oltre quindi la nozione di prezzo5.

Sulla nozione di profitto si tornerà in seguito, in quanto tale categoria ha rappresentato il cuore dell’espansione della confisca negli ultimi anni, quale mezzo di lotta alla criminalità.

Posta questa prima – per quanto semplificata – distinzione fra prezzo e profitto, e proseguendo l’esame dell’art. 240 c.p., il legislatore ha sancito la facoltatività della confisca per quanto riguarda profitto del reato, mentre è obbligatorio disporla per ciò che ne costituisce il prezzo, e per tutte quelle cose “la fabbricazione, l'uso, il porto, la

detenzione e l'alienazione delle quali costituisce reato, anche se non è stata pronunciata condanna”6.

La legge 15 febbraio 2012, n. 12, recante disposizioni per il contrasto alla criminalità informatica, ha poi aggiunto un numero 1- bis) al comma 2, nel quale si prevede l’obbligatorietà della confisca di beni e strumenti informatici o telematici utilizzati per la commissione di tutta una serie di reati specificamente individuati7.

b) La confisca facoltativa – Quando la confisca è facoltativa, la sua adozione deriverà necessariamente dall’esercizio di un potere discrezionale del giudice, i contorni del quale non sono però definiti dal legislatore (fermo restando l’obbligo motivare idoneamente la propria decisione), anche se la possibilità di disporre la misura è comunque legata all’esistenza di presupposti fissati dalla legge; recita

4 Così Cass., Sez. Un., 15 dicembre 1992, n. 1811, in Cass. Pen., 1993, 1388. In

merito anche Cass., Sez. Un., 3 luglio 1996, n. 9149, ivi, 972.

5 In merito, ex multis: Cass., Sez. III, 30 giugno 1980, Cirelli, in Cass. Pen. mass. ann., 1981, 1863; Cass., Sez. Un., 24 maggio 2004, curatela del fallimento s.r.l. “Promodata Italia”, in Dir. Giust., 2004, n. 34, 80.

6 Così il comma 2, al punto 2).

7 Sono i reati previsti agli artt. 615 ter, 615 quater, 615 quinquies, 617 bis, 617 ter,

617 quater, art. 617 quinquies del c.p., 617 sexies, 635 bis, 635 ter, 635 quater, 635 quinquies, 640 ter e 640 quinquies c.p.p., tutti in ambito informatico.

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infatti l’art. 240: “Nel caso di condanna, il giudice può ordinare la

confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato, e delle cose che ne sono il prodotto o il profitto”.

Dunque la prima condizione è certamente l’intervenire di una sentenza che accerti positivamente l’esistenza di una responsabilità penale del soggetto destinatario della misura.

La legge non precisa oltre, ma in dottrina è stato notato, a margine di una sentenza delle Sezioni Unite che ha escluso l’operatività della confisca obbligatoria in caso di prescrizione del reato8 come si debbano certamente escludere le sentenze di condanna per delitti colposi, e contravvenzioni commesse con colpa giacché, mancando il dolo del condannato, vengono meno le esigenze specialpreventive che giustificano la misura, oltre al fatto che nessuno può “servirsi di” o “destinare” qualcosa per il compimento di un evento che non ha voluto. È stato invece ritenuto equivalente alla sentenza, ai fini della possibilità di ordinare la confisca, il decreto penale di condanna, in virtù del fatto che l’art. 495, comma 5 c.p.p. non vieta l’applicazione delle misure patrimoniali, ma solo di quelle personali9, anche se si è registrata dottrina contraria10, facente leva soprattutto sulla estrema sommarietà del procedimento per decreto, ritenuta incompatibile con qualsiasi possibile valutazione prognostica di pericolosità sociale del condannato e/o di opportunità di adozione della misura.

La legge 12 giugno 2003, n. 134 ha poi modificato il primo comma dell’art. 445 c.p.p. ed introdotto il c.d. “patteggiamento allargato”, prevedendo espressamente che la confisca, anche facoltativa, possa essere disposta all’esito del procedimento di applicazione della pena su richiesta delle parti.

La seconda condizione richiesta perché possa disporsi confisca del profitto del reato è che i beni da colpire siano appartenenti al reo, vista la enunciazione del comma terzo dell’art. 240, il quale afferma che la confisca facoltativa non si applica “se la cosa appartiene a persona

estranea al reato”11.

8 Cass., Sez. Un., 15 ottobre 2008, De Maio, in Cass. Pen., 2009, 1392, con nota di

P. Ielo, Confisca e prescrizione, nuovo vaglio delle Sezioni Unite, e in Riv. Pen., 2009, 10, 1143, con note di A. Giordano e M.G. Imbesi, Prescrizione del reato e

confisca dei beni del corrotto: dopo la sentenza delle S. U. n. 38834/08 il dibattito è ancora aperto.

9 F. Vergine, op. cit. e dottrina ivi riportata, 57.

10 A. Alessandri, Confisca nel diritto penale, in Dig. disc. pen., III, Torino, 1989. 11 In proposito: R. Fuzio, Commento all’art. 240 c.p., in Codice penale. Rassegna di giurisprudenza e di dottrina, G. Lattanzi – E. Lupo, IV, Milano, 2000, 859.

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Peraltro il concetto di “appartenenza” in diritto, è storicamente tormentato e tutt’ora non pacifico.

Parte della dottrina vorrebbe che tale concetto fosse più ampio di quello del diritto di proprietà puro e semplice, e vi ricomprende anche i diritti reali di garanzia che, determinando l’assoggettamento diretto del bene in capo al terzo titolare del diritto, rendono il bene stesso indisponibile al proprietario e, dunque, dovrebbero secondo tale orientamento essere ritenuti idonei a paralizzare la confisca12.

Dall’altra parte sta invece chi restringe il campo proprio al solo diritto di proprietà, dal momento che – si dice – l’altruità della cosa è di per sé garanzia sufficiente della irripetibilità del fatto di reato, che è proprio il fine a cui la confisca mira13.

I sostenitori di questa posizione la vedono come più fedele alla

voluntas legis e sottolineano come, diversamente opinando, si

consentirebbe la circolazione di beni potenzialmente pericolosi, mentre, aderendo all’impostazione in commento, semplicemente lo stato subentrerà nella proprietà del bene, nei limiti dei vincoli reali preesistenti e, dunque, tutelando le ragioni dei terzi.

Al fine di tutelare il terzo in buona fede che subentri nella proprietà del bene fra il tempus commissi delicti e il tempo in cui viene disposta la misura, l’appartenenza si accerterà in tale ultimo momento14.

c) La confisca obbligatoria – Abbiamo già detto che l’art. 240, perentoriamente, stabilisce che “È sempre ordinata la confisca” di quelle cose che costituiscono il prezzo del reato o sono intrinsecamente pericolose.

In tale situazione l’applicazione della misura non è rimessa alla discrezione del giudice, che deve limitarsi ad accertare la sussistenza dei presupposti fissati dalla legge.

È chiaro che ciò si riflette anche sull’obbligo di motivazione gravante sul magistrato, che non dovrà argomentare circa l’opportunità di disporre il provvedimento, visto che la valutazione in merito non gli compete ma, viceversa, sarà ridotto all’identificazione giuridica della

res che la misura andrà a colpire ed alla constatazione della sua

riconducibilità ad una delle categorie legittimanti la confisca obbligatoria.

12 Così: M. Massa, voce Confisca, (dir. e proc. pen.), in Enc. dir., VIII, Milano, 1961;

F. Chiarotti, Sulla tutela dei diritti delle persone estranee al reato in materia di

confisca, 639, il quale peraltro ricomprendeva nell’appartenenza anche la vendita con

patto di riservato dominio e la vendita con patto di riscatto in favore del venditore.

13 Sostiene questa tesi A. Alessandri, op. cit., 54.

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La disciplina differenziata stabilita dall’articolo di cui si sta discutendo non è di facile comprensione, anche per la scarsezza delle indicazioni rinvenibili in merito nei lavori preparatori del codice Rocco, ed ha causato difficoltà interpretative in dottrina, nell’ambito della quale sono state avanzate una pluralità di ipotesi, nessuna delle quali risolutiva15.

Anzitutto, dalla funzione specialpreventiva pacificamente

riconosciuta alla confisca, si è dedotto che il presupposto per la sua applicazione sia la “pericolosità reale” della cosa, la quale può avere sia connotazione soggettiva (idoneità della res ad influenzare il comportamento del soggetto se lasciata nella sua disponibilità), sia oggettiva (potenzialità di reimpiego in successivi reati).

Dunque, se così stanno le cose, essendo piuttosto difficile pensare che mantenere un profitto illecitamente conseguito non contribuisca a convincere il reo che “il crimine paga”, pare insensato rendere la sua confiscabilità meramente facoltativa.

C’è stato poi chi, vanamente, ha cercato di legare la facoltatività del profitto alla sua entità, non avendo però alcun appiglio normativo in merito.

In generale si può dire che ogni sforzo finalizzato a trovare una spiegazione logica alla scelta del legislatore non è andato a buon fine, perciò ci si deve necessariamente limitare a prendere atto della scelta.

3.2.1 – L’evoluzione della confisca ed il declino della forma “classica”: l’art. 322-ter c.p.

Col passare degli anni la confisca è diventato uno dei principali mezzi di lotta alla criminalità organizzata che, avendo come scopo finale sostanzialmente il lucro, trova nella sottrazione dei proventi conseguenti ad attività delinquenziali uno dei metodi di contrasto più efficaci.

La forma “classica” di tale misura, così come disciplinata all’art. 240 c.p., opera invero in un ambito piuttosto limitato, avendo un fine precipuamente preventivo, volto ad impedire vuoi la circolazione di cose che sono pericolose per le proprie caratteristiche, vuoi il permanere nel patrimonio del reo di cose che potrebbero fungere da

15 Per una esposizione più dettagliata si veda F. Vergine, op. cit., 61 e seg., e dottrina

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spinta motivazionale per delinquere nuovamente (confisca del profitto e delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato).

Se la nozione di prezzo del reato, mai definita dal legislatore ma delineata dalla giurisprudenza come il compenso dato o promesso per indurre, istigare o determinare un altro soggetto a commettere il reato16, non si prestava a particolari spunti evolutivi, così non era per il “profitto” del reato, che grossomodo si identifica con l’utilità economica derivante dal reato, in via diretta od indiretta17, ma del quale non esiste tutt’ora una definizione unanimemente accolta e che è stato il fulcro delle evoluzioni successive della confisca (l’argomento sarà trattato diffusamente più avanti).

Dagli anni 70 del scolo scorso, infatti, si è assistito al moltiplicarsi delle confische obbligatorie del profitto relativo ad un novero sempre maggiore di reati, con il contestuale e graduale declino dell’art. 240 c.p.

Il primo esempio importante di confisca obbligatoria risale in realtà al 1940, ad opera della legge doganale (anche se nello specifico essa non si riferiva al profitto del reato), ed è significativa perché ha fondato una pronuncia della Corte Costituzionale del 197418, nella quale, per la prima volta, si sottolinea l’importanza di misure ablative, da affiancare alle pene principali, volte a sottrarre al reo la disponibilità delle cose connesse – a vario titolo – al reato19.

Successivamente il legislatore, seppur con interventi non inseriti in un disegno coerente, ma piuttosto disarticolati, ha “coltivato” l’idea della confisca come strumento punitivo-repressivo20, volto a privare il reo di qualsiasi forma di guadagno illecito, a prescindere dalla sua esatta qualificazione formale rispetto al reato.

Lo spostamento verso una logica sanzionatoria e,

contemporaneamente, l’intuizione delle forti limitazioni che caratterizzavano la previsione dell’art. 240 c.p., hanno portato il

16 Così Cass., Sez. Un., 3 luglio 1996, Chabni, in Cass. Pen., 1996, 972.

17 Così Cass., Sez. Un., 24 maggio 2004, curatela del fallimento s.r.l. “Promodata Italia”.

18 Corte Cost., 17 luglio 1974, n. 229, in Giur. Cost., 1974, 2297.

19 Si legge in motivazione: “l’obbligatorietà della confisca trova una ragionevole giustificazione ai fini di una lotta più incisiva ad un’attività penalmente illecita e ritenuta dal legislatore, in base al suo libero apprezzamento, particolarmente lesiva degli interessi finanziari dello Stato […]”.

20 In proposito affermava G. Vassalli, Confisca doganale e cose appartenenti a persone estranee al reato, in Giur. cost., 1971, 421: “Non si può negare che quantomeno nelle due ipotesi del prodotto e del profitto del reato la confisca appaia con un suo inequivocabile connotato punitivo e abbia soprattutto fondamento in criteri di giustizia proprio della pena in senso stretto”.

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legislatore ad introdurre, con legge 20 settembre 2000, n. 300, una nuova forma di confisca nel codice penale, disciplinata all’art. 322-ter. L’innovazione è certamente stata accolta con favore, anche perché la dottrina21 non ha mancato di sottolineare come, nelle moderne forme di criminalità, specialmente organizzata, la distinzione fra prezzo e profitto non abbia più senso d’essere: il profitto non si pone quale conseguenza meramente eventuale del reato, ma, viceversa, ne è spesso il fine ultimo, senza contare che il prezzo risulta difficilmente determinabile, non essendovi un vero “rapporto di scambio” in cui viene promessa un’utilità in cambio di un comportamento illecito, ma piuttosto instaurandosi logiche di tipo associazionistico. Ed è evidente che, in una situazione del genere, la confiscabilità solo facoltativa del profitto era una misura del tutto inadeguata.

L’articolo in questione, in particolare prevede che, per tutta una serie di reati ivi menzionati22, “è sempre ordinata la confisca dei beni

che ne costituiscono il profitto o il prezzo”, di fatto annullando la

distinzione fra le due categorie, “salvo che appartengano a persona

estranea al reato”.

La limitazione relativa all’appartenenza del bene al reo, oltre che giustificata sulla base di generali esigenze di tutela del terzo in buona fede, risulta coerente con le finalità della misura in parola, che, a differenza della forma “classica” ex art. 240 c.p., non mira ad evitare la circolazione di cose intrinsecamente pericolose, ma vuole invece privare il reo del vantaggio conseguito mediante il reato.

La giurisprudenza, piuttosto linearmente con quanto già ritenuto in relazione alla confisca ex art. 240 c.p., sostiene che si debba considerare “terzo” quel soggetto cui non sia imputabile alcun tipo di contributo, diretto o indiretto, alla consumazione del reato, e che non abbia goduto di alcun vantaggio o utilità derivante dall’attività illecita23; è fatto salvo colui che sia in buona fede, intesa come impossibilità, con l’ordinaria diligenza, di conoscere la derivazione della propria posizione di vantaggio dal reato24.

Chiaramente sarà soggetto terzo anche la persona offesa, quale ad esempio il privato che abbia fornito delle utilità al concussore, utilità che saranno restituite in conformità alle previsioni dell’art. 185 c.p.

21 A.M. Maugeri, Le moderne sanzioni patrimoniali tra funzionalità e garantismo,

Milano, 2001, 113.

22 Si tratta di quei reati disciplinati agli artt. 314 – 320 c.p., concernenti tutti fattispecie

tipicamente perpetrate a scopo di profitto, quali il peculato, la malversazione a danno di Stato o privati, la concussione, ecc.

23 Cass., Sez. V, 15 marzo 2005, Azzoni, in Guida dir., 2005, n. 27, 78. 24 Cass., Sez. Un., 28 aprile 1999, Bacherotti e altri, in Riv. Pen., 1999, 633.

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3.2.2 – Cercando una definizione di “profitto del reato”

Come già anticipato, circa il profitto del reato l’unica posizione pacificamente condivisa è quella secondo la quale non è possibile rinvenire una definizione di tale categoria né all’interno del codice penale, né nelle leggi speciali che riguardano la confisca.

Il nostro legislatore, infatti, in tutti i suoi interventi, ha dato questa ed altre nozioni (prezzo, prodotto, ecc.) per presupposte, limitandosi dunque a porle in contrapposizione fra loro od affiancarle, ma senza mai fornirne una definizione.

L’iter definitorio ed interpretativo del profitto del reato è stato compiuto soprattutto in relazione alla forma “classica” di confisca ex art. 240 c.p., gli approdi del quale sono poi stati applicati nell’ambito delle altre ipotesi di confisca, con le variazioni del caso. Nel presente paragrafo si cercherà di fare un riepilogo delle tappe essenziali del percorso ermeneutico compiuto dalla giurisprudenza di legittimità, per capire qual è, ad oggi, l’esito di tale percorso25.

Vent’anni fa, le Sezioni Unite della Cassazione ci dicevano, andando a definire i concetti di prodotto, profitto e prezzo, che il profitto del reato è rappresentato da qualsiasi vantaggio economico costituente un “beneficio aggiunto di natura patrimoniale”, di diretta derivazione causale dalla commissione del reato26.

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