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La cautela reale nel sistema penale: storia e vicende del sequestro, vecchi problemi e nuove prospettive applicative nella lotta alla criminalità a sfondo economico.

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA’ DI PISA

Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di laurea magistrale in Giurisprudenza

Tesi di laurea

LA CAUTELA REALE NEL SISTEMA PENALE: STORIA E VICENDE DEL

SEQUESTRO, VECCHI PROBLEMI E NUOVE PROSPETTIVE

APPLICATIVE NELLA LOTTA ALLA CRIMINALITÀ A SFONDO

ECONOMICO

Il Relatore:

Prof. Marzaduri Enrico

Il candidato:

Ronzini Matteo

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A chi mi è stato vicino, a chi non ha voluto, a chi non ha potuto. Perché, comunque sia, mi avete portato qui oggi.

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Introduzione

La misura cautelare del sequestro nel procedimento penale nasce storicamente per soddisfare due esigenze tipiche di tale processo: quella di non perdere le prove utili a dimostrare la responsabilità dell’indagato e quella di non permettere all’imputato di disperdere il proprio denaro, sicché egli possa poi far fronte agli obblighi di natura economica che l’accertamento della responsabilità medesima porta con sé.

Ed infatti, fino alla fine del secolo scorso il sequestro si è sempre articolato sostanzialmente nelle forme del “sequestro per il procedimento penale”, che oggi conosciamo come “sequestro probatorio”, e del “sequestro conservativo”.

Tali modelli, col passare del tempo, iniziarono tuttavia a rivelarsi insufficienti a contrastare i fenomeni criminali, soprattutto con l’affermarsi di quella c.d. “criminalità del profitto”, la quale si collocava primariamente nell’ambito dell’imprenditoria, e che consisteva in comportamenti illeciti realizzati al solo fine di un maggior guadagno e nei quali il guadagno stesso era fine ultimo e “movente”; i giudici avevano a disposizione strumenti cautelari reali assolutamente inadatti a combattere efficacemente il fenomeno criminoso, essendo sprovvisti di misure che potessero agire sin dalla fase delle indagini preliminari, su quei beni collegati al fatto di reato, per evitare che essi restassero nella disponibilità dell’indagato.

L’avvento del nuovo Codice di Procedura Penale, nel 1988, segna un punto d’arrivo e, allo stesso tempo, l’inizio di un futuro percorso evolutivo delle cautele reali.

Il punto d’arrivo è ravvisabile nell’introduzione della figura del sequestro preventivo, che finalmente permette di apprendere i beni dell’indagato, sin dalla fase, appunto, delle indagini preliminari, qualora tramite questi possano essere aggravate le conseguenze del reato, o perpetrati ulteriori illeciti, nonché quando i beni sono passibili di confisca.

Il sequestro preventivo viene tuttavia modellato in due forme diverse, nel nuovo codice; la seconda di esse, è quella a fini di confisca, mediante la quale si permette al giudice di disporre il sequestro di quei beni che, a norma di legge, siano confiscabili, ed essa sarà il catalizzatore dell’importante fenomeno evolutivo che interesserà le misure cautelari reali.

L’avvento del nuovo millennio segna infatti il susseguirsi di interventi legislativi che portano ad una significativa evoluzione della misura della confisca, la quale vede moltiplicarsi le ipotesi applicative, fino alla nascita della misura “di valore”, che si rivelerà poi uno dei più efficaci strumenti di lotta a fenomeni come quello del crimine organizzato, permettendo l’apprensione – tramite il sequestro preventivo – già in fase processuale di beni di valore equivalente a quel profitto che l’attività criminale ha portato all’organizzazione stessa, quando esso sia impossibile da rintracciare.

Le considerazioni appena riportate rispecchiano l’oggetto di questa trattazione: l’intento è dunque cercare di ripercorrere le tappe e i mutamenti strutturali che hanno interessato i sequestri nel procedimento penale e, più in generale, la concezione che il legislatore aveva, ed ha, rispetto alle misure cautelari reali, al loro ruolo nel procedimento, ed alle garanzie loro correlate.

Il nostro percorso inizierà dunque da una trattazione delle figure “storiche” del sequestro, per poi verificare cosa è cambiato all’arrivo del nuovo codice, nel 1988, sino a prendere in considerazione alcuni problemi (più o meno risolti) emersi in tempi recenti e recentissimi, cercando di fornire uno sguardo d’insieme su una materia che pure si presenta assai frammentata.

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INDICE SOMMARIO

I. IL SEQUESTRO E LE SUE FINALITÀ NELLA LOGICA DEL CODICE ROCCO

1.1 – Le ipotesi di sequestro nell’ambito della disciplina codicistica ... 10

1.2 – Il sequestro conservativo penale: a) Condizioni di applicabilità; b) Soggetti; c) Aspetti procedimentali; d) Il provvedimento di diniego ... 11

1.2.1 – Il sequestro conservativo ex art. 622, 2° co., c.p.p ... 24

1.2.2 – Vicende: a) La custodia dei beni; b) Le spese; c) Danni alle cose custodite; d) Dopo la sentenza ... 26

1.2.3 – Estinzione: a) L’opposizione ex art. 618 c.p.p.; b) Sentenza di proscioglimento; c) Fallimento ... 32

1.3 – Il sequestro penale: a) Condizioni di applicabilità; b) Morfologia giuridica; c) Soggetti; d) Legittimità ... 38

1.3.1 – Evoluzione delle finalità del sequestro penale ... 45

1.3.2 – Profili processuali ... 46

1.3.3 – Il problema della comunicazione giudiziaria ... 50

1.3.4 – Iter formativo e morfologia del sequestro penale ... 51

1.3.5 – Conservazione dei beni e vicende ... 54

1.3.6 – Estinzione del sequestro ... 54

II. IL SEQUESTRO E LE SUE FINALITÀ NELLA LOGICA DEL CODICE VASSALLI 2.1 – Le ipotesi di sequestro e la loro disciplina nel codice di procedura penale ... 57

2.2 – Il sequestro probatorio ... 58

2.2.1 – Il giudizio di riesame (cenni)... 61

2.3 – Il sequestro conservativo ... 62

2.3.1 – Il requisito del periculum in mora ... 64

2.3.2 – Morfologia giuridica e soggetti ... 67

2.3.3 – Esecuzione ... 72

2.3.4 – Custodia della cosa sequestrata ... 73

2.3.5 – Effetti ... 74

2.4 – Il sequestro preventivo ... 75

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2.4.1.1 – Il problema della pericolosità della res ... 82

2.4.2 – Il periculum in mora: a) Le caratteristiche; b) Più sequestri sullo stesso bene?; c) La “cosa pertinente al reato” ... 86

2.4.3 – Soggetti e procedimento dispositivo ... 89

2.4.4 – Esecuzione della misura ed amministrazione dei ben ... 91

2.4.5 – La revoca del sequestro preventivo ... 93

2.4.6 – Estinzione ... 95

III. IL SEQUESTRO A FINI DI CONFISCA 3.1 – Considerazioni introduttive ... 97

3.2 - La confisca nella disciplina dell’art. 240 c.p.: a) Uno sguardo d’insieme; b) La confisca facoltativa; c) La confisca obbligatoria ... 98

3.2.1 – L’evoluzione della confisca ed il declino della forma “classica”: l’art. 322-ter c.p. ... 102

3.2.2 – Cercando una definizione di “profitto del reato” ... 105

3.3 – La confisca di valore ... 110

3.3.1 – Riforma dei reati societari e nascita di nuove ipotesi di confisca: a) Il d.lgs. 61/2002; b) Il d.lgs. 231/2001; c) L’art. 12-sexies del d.l. 306/1992 ... 113

3.4 – Il sequestro a fini di confisca: una panoramica ... 121

3.4.1 – Fumus commissi delicti nel sequestro finalizzato alla confisca ... 122

3.4.1.1. – La pericolosità delle cose confiscabili ... 124

3.4.2 – Il periculum in mora ... 125

3.4.3 – Il sequestro funzionale alla confisca per equivalente ... 126

3.4.4. – Compatibilità del sequestro dell’equivalente con i principi di proporzionalità, adeguatezza e gradualità ... 128

3.4.5 – Beni sequestrabili: il caso dei frutti civili ... 130

3.4.6 – Procedimento dispositivo e soggetti coinvolti ... 132

3.4.7 – Una questione specifica: la sostituibilità dei beni sequestrati ... 134

3.4.8 – Revoca ... 136

3.5 – Profili applicativi: il concorso di persone ed il problema del profitto sequestrabile ... 137

3.5.1 – (segue) Il sequestro a fini di confisca nel procedimento a carico degli enti ... 139

(7)

IV. I MEZZI DI IMPUGNAZIONE DELLE MISURE CAUTELARI REALI: MORFOLOGIA E PROFILI PROBLEMATICI, ALLA LUCE DELLE RECENTI RIFORME

4.1 – I mezzi di impugnazione avverso le cautele reali nella disciplina codicistica ... 149

4.2 – Il procedimento di riesame ... 150

4.2.1 – I provvedimenti impugnabili ... 152

4.2.2 – Soggetti legittimati: a) L’interesse ad impugnare; b) L’indagato/Imputato (e suo difensore); c) La persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla restituzione; d) altri soggetti ... 153

4.2.3 – Termini per impugnare e modalità di presentazione ... 157

4.2.4 – I motivi ... 159

4.2.5 – Gli atti del riesame: composizione del fascicolo e trasmissione ... 160

4.2.6 – Udienza e decisione: a) Gli avvisi alle parti; b) I termini per la decisione alla luce della l. 47/2015; c) Poteri del Tribunale del riesame; d) Svolgimento dell’udienza ... 162

4.3 – L’appello ... 175

4.3.1 – Provvedimenti appellabili ... 176

4.3.2 – Soggetti legittimati: a) Rinvio; b) L’appello del pubblico ministero; ... 177

4.3.3 – Termini (rinvio) ... 178

4.3.4 – Cognizione e poteri del giudice d’appello: a) Il principio devolutivo; b) Giudicato cautelare; c) Poteri del giudice ... 179

4.3.5 – Gli atti dell’appello ... 183

4.4 – Il ricorso per Cassazione ... 185

4.4.1 – Provvedimenti impugnabili ... 185

4.4.2 – Soggetti legittimati ... 186

4.4.3 – Termini e modalità ... 187

4.4.4 – Vizi deducibili: il limite della “violazione di legge” ... 188

4.4.5 – Procedimento ... 189

4.4.5.1 - Qualche riflessione sulla sentenza delle Sezioni Unite “Maresca”, alla luce del panorama normativo europeo e nazionale in materia di pubblicità delle udienze e partecipazione al processo ... 192

V. SEQUESTRO E CONFISCA PER EQUIVALENTE NEI REATI TRIBUTARI 5.1 – Considerazioni introduttive ... 203

5.2 – Sequestro e confisca per reati tributari ai sensi della l. 244/2007 ... 204

5.3 – La nozione di profitto confiscabile ... 206

5.3.1 - Le “società schermo” ai sensi del d.lgs. 231 del 2001 e la responsabilità degli enti per reati tributari ... 208

(8)

5.4 – Le novità introdotte dal d.lgs. n. 158 del 2015 ... 209

5.5 – Il “rovesciamento” della regola: la centralità della confisca (e del sequestro) per equivalente, la residualità delle misure dirette ... 210

5.6 - Problemi specifici: la “sanatoria” della posizione tributaria ed il mantenimento del sequestro, le modifiche introdotte con l’art. 12-bis d.lgs. 74/2000 ... 211

5.6.1 – Segue: Le possibili letture del “non operare” della confisca in presenza dell’impegno: a) La confisca non disposta; b) La confisca “condizionalmente sospesa” ... 214

5.6.1.1 – Gli effetti sul sequestro preventivo ... 216

5.6.2 – Termini per il raggiungimento dell’accordo... 218

5.6.3 – Ancora su impegno e sequestro ... 219

5.7 – Confisca e patteggiamento ... 221

5.8 – La confisca in caso di prescrizione del reato ... 222

5.9 – Custodia dei beni sequestrati ... 223

BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA ... 227

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I

IL SEQUESTRO E LE SUE FINALITÀ NELLA LOGICA DEL CODICE ROCCO

Sommario: 1.1 – Le ipotesi di sequestro nell’ambito della disciplina codicistica; 1.2 – Il

sequestro conservativo penale: a) Condizioni di applicabilità; b) Soggetti; c) Aspetti procedimentali; d) Il provvedimento di diniego; 1.2.1 – Il sequestro conservativo ex art. 622, 2° co., c.p.p.; 1.2.2 – Vicende: a) La custodia dei beni; b) Le spese; c) Danni alle cose custodite; d) Dopo la sentenza; 1.2.3 – Estinzione: a) L’opposizione ex art. 618 c.p.p.; b) Sentenza di proscioglimento; c) Fallimento; 1.3 – 1.3 – Il sequestro penale: a) Condizioni di applicabilità; b) Morfologia giuridica; c) Soggetti; d) Legittimità; 1.3.1 – Evoluzione delle finalità del sequestro penale; 1.3.2 – Profili processuali; 1.3.3 – Il problema della comunicazione giudiziaria; 1.3.4 – Iter formativo e morfologia del sequestro penale; 1.3.5 – Conservazione dei beni e vicende; 1.3.6 – Estinzione del sequestro.

1.1 – Le ipotesi di sequestro nell’ambito della disciplina codicistica

Il sequestro si colloca nel novero delle misure cautelari e, in specie, fra le misure cautelari reali. Il codice attuale prevede tre tipologie differenti di sequestro (preventivo, conservativo, probatorio), con differenti finalità.

Il codice del 1930 prevedeva due sole forme differenti di sequestro: il sequestro per il procedimento penale, disciplinato, assieme alle prove, nel Titolo II del Libro II e il sequestro conservativo, il quale si collocava invece nel Titolo II del Libro V, dedicato all’esecuzione civile in materia penale. Il primo dei due tipi di sequestro aveva finalità istruttorie, mentre il secondo era essenzialmente deputato a garantire il pagamento dei debiti di giustizia previsti dall’art. 189 c.p.

Poste queste premesse, si deve invero notare che, nella prassi applicativa, la giurisprudenza prese ad utilizzare il sequestro penale anche con finalità preventive, per far fronte alle esigenze di evitare l’aggravamento o la protrazione delle conseguenze del reato, ovvero l’agevolazione della commissione di altri reati (che il codice stesso menzionava per il caso di sequestro operato dalla polizia giudiziaria), fatto che portò alla creazione di una figura ibrida, caratterizzata dalla coesistenza di interessi ed obiettivi diversi fra loro.

L’analisi della regolamentazione del sequestro nel codice ormai abrogato, rende palese come un certo vacuum normativo sia da sempre connaturato alla misura, che anche prima del 1988, sotto la vigenza del

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vecchio testo, era caratterizzata da tutta una serie di silenzi del legislatore. Proprio questa laconicità legislativa, a causa della quale non si trovavano normativamente esplicitate le finalità del sequestro delle “cose pertinenti al reato” ex art. 337 c.p.p. abr., portò ad individuare, secondo molti, un “vuoto di fini” della suddetta figura; da questa considerazione, unita alla lettura combinata degli artt. 337 e 219 c.p.p. abr., si individuava – confortati da quella funzione del sequestro operato dalla polizia giudiziaria, di evitare che il reato venisse portato a conseguenze ulteriori – una finalità preventiva che si affiancava alle finalità probatorie e di garanzia di attuazione della confisca.

Il Codice Rocco, per quanto netto nel fissare la natura di coercizione reale del sequestro penale, era poi confuso nello stabilirne la funzione, tanto che, di fatto, si aveva uno strumento unico di apprensione processuale, che poi si poteva “piegare” a differenti fini, a seconda delle circostanze, fra le maglie – larghissime – che la legge lasciava.

1.2 - Il sequestro conservativo penale: a) Condizioni di applicabilità; b) Soggetti; c) Aspetti procedimentali; d) Il provvedimento di diniego

Del sequestro conservativo penale si parlava in varie norme del codice penale (artt. 189 - 190 - 191) e dell’abrogato codice di procedura penale. Nessuna delle norme che si occupavano di questa figura ne forniva la definizione; questa carenza definitoria – una delle tante carenze in materia – veniva per lo più colmata riferendosi al significato “tradizionale” dell’istituto, proprio di ogni tipo di sequestro, consistente in una situazione di giuridica indisponibilità del bene su cui questo grava.

L’elemento che caratterizzava il sequestro conservativo penale, distinguendolo dalle altre forme, era la funzione – per l’appunto – di

conservazione, riferita, nello specifico, ai crediti correlati ad alcune

obbligazioni nascenti dal reato; funzione che veniva espletata tramite l’immobilizzazione di beni idonei a permettere la realizzazione dei crediti in questione.

Gli articoli 189 e 190 c.p. identificavano l’oggetto del sequestro conservativo nei beni mobili. Peraltro, dovendosi eseguire la misura nelle forme previste per il pignoramento dei beni mobili (così diceva l’art. 617, 4° co.), ne derivava la impossibilità di sequestrare quei beni che, ai sensi del c.p.c., fossero assolutamente impignorabili.

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a) Condizioni di applicabilità – Perché si potesse disporre il sequestro conservativo dovevano, ovviamente, presentarsi determinate condizioni.

Anzitutto doveva essere giunta al titolare del potere di sequestro una

notitia criminis: siccome si vanno a garantire crediti nascenti dal reato,

deve esserci stato un reato o, perlomeno, vi devono essere sospetti al riguardo e la relativa notizia deve essere giunta al titolare del potere. Il procedimento vero e proprio di sequestro conservativo prendeva però avvio dalla richiesta di sequestro da parte del pubblico ministero, al quale non competeva disporre la misura, ma solo prendere l’iniziativa per attivare l’iter procedurale; il potere di disporre il sequestro spettava infatti – e spetta anche secondo il nuovo codice – ad un giudice, sollecitato, appunto, dall’istanza del pubblico ministero. In merito giova sottolineare la circostanza che fosse prevista una eccezione relativamente al pretore, il quale era autorizzato a provvedere anche d’ufficio (art. 617, 3°co.); eccezione che si spiegava alla luce della funzione “ambivalente” ch’egli aveva, non di rado assommando in sé caratteristiche proprie sia del giudice, che del pubblico ministero.

Proseguendo l’esame dei requisiti necessari per poter disporre il sequestro conservativo, incontriamo due condizioni “tipiche” di questa figura: il fumus boni iuris ed il periculum in mora.

Del periculum si trovava espressa menzione nel codice penale all’ art. 189, 3° co., c.p., laddove si stabiliva che il sequestro fosse da disporsi “se vi è fondata ragione di temere che manchino o si

disperdano le garanzie delle obbligazioni per le quali è ammessa l’ipoteca legale”; la formula era interpretata nel senso di doversi

svolgere una valutazione del patrimonio volto a garantire le obbligazioni; l’eventualità della mancanza stava ad indicare, sostanzialmente, tutte quelle situazioni legate allo stato presente del patrimonio (al momento in cui si svolge la valutazione, si evince un rischio di non poter soddisfare le obbligazioni, quindi si procede al sequestro), mentre il concetto di dispersione era legato ad una previsione negativa circa l’evolversi del patrimonio stesso (si teme che, in conseguenza della condotta tenuta dal titolare del patrimonio, quest’ultimo, sebbene sufficiente al momento in cui è operata la valutazione, possa vedersi diminuito in modo tale da non essere più idoneo a garantire le obbligazioni da reato).

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Per quanto riguarda invece il fumus boni iuris, tale requisito non era menzionato dal codice, ma se ne desumeva la necessità dall’appartenenza del sequestro conservativo penale alla categoria dei provvedimenti cautelari, di cui presupposti generali sono per l’appunto il fumus boni iuris e il periculum in mora. Vari orientamenti si erano sviluppati, i quali riconducevano l’esistenza di questo requisito a dati testuali differenti: un orientamento piuttosto diffuso andava a trovare un aggancio testuale nell’art. 189, 3°co., c.p. laddove esso parlava di “beni mobili dell’imputato”, sottolineando appunto come questo articolo richieda espressamente una situazione di imputazione del soggetto colpito dal provvedimento1; sulla scia di questa posizione, altro orientamento, più rigoroso, riteneva necessario il compimento di almeno un atto di persecuzione penale da parte del magistrato2; una posizione ulteriore, poi, riteneva che il fumus non fosse da ritenersi sussistente a seguito dell’imputazione in sé e chiedeva invece l’esistenza di quei sufficienti indizi di reità che erano necessari per il compimento di determinati atti (mandati, decreti di citazione a giudizio, ecc.)3; infine, all’esito di una disamina critica delle posizioni

precedenti, un altro orientamento ritenne di surrogare il fumus con la pendenza del processo penale, così da avere la certezza assoluta della nascita di almeno alcuni dei crediti tutelabili, con però il grave problema conseguente del restringimento dell’ambito di operatività del sequestro in spazi processuali molto angusti, visto che se ne precludeva l’utilizzo prima della contestazione dell’accusa4.

All’esito di questo breve excursus sui requisiti del sequestro conservativo, risulta evidente come il problema della indefinitezza di alcune condizioni e, soprattutto, del fumus boni iuris, sia un qualcosa di tutt’altro che recente; la storia delle misure cautelari reali è segnata, negli anni, da una costante incertezza di alcuni aspetti, i quali si è tentato di definire in via dottrinale o giurisprudenziale ma che, a quanto pare, nonostante il cambiare dei tempi, non si è mai riusciti a delineare in modo soddisfacente in via legislativa, lasciando anzi spazi di

1 Tesi sostenuta soprattutto da Amodio, Le cautele patrimoniali nel processo penale,

1971, 47-50 e 149-150.

2 Per dottrina e giurisprudenza dettagliate si veda P. Ferrone, Il sequestro nel processo penale, II, Milano 1975, 24, nota 29.

3 Bellavista, Revocabilità della domanda di sequestro conservativo penale, in Riv. it. Dir. pen., 1953, 19; A. Candian, Il sequestro conservativo penale, 1955, 69;

Carnelutti, Appunti sul sequestro conservativo penale, in Riv. dir. proc., 1952, II, 832 e seg.

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incertezza e indefinitezza piuttosto ampi, che hanno creato e tutt’ora creano problemi a livello applicativo.

Prima di passare ad altri aspetti del sequestro, è utile menzionare un ultimo, presunto, requisito: la costituzione di parte civile e l’intervento o chiamata in giudizio del responsabile civile. Nella vigenza del codice Rocco, era disputato, in dottrina e giurisprudenza, se per il perfezionamento del potere di sequestro fosse necessaria la costituzione di parte civile del danneggiato dal reato e, quando il sequestro vada a colpire il responsabile civile, il suo intervento o la sua chiamata in giudizio. In merito la dottrina era sostanzialmente oscillante fra la risposta positiva e quella negativa, arrivando poi ad una sorta di tesi “intermedia”, che vedeva la necessità di soddisfare questo requisito solo qualora il sequestro dovesse agire nei confronti del responsabile civile. Tale requisito è stato soprattutto oggetto di discussioni dottrinali, stante il suo peso piuttosto modesto a livello applicativo, anche in considerazione del fatto che il testo del codice (artt. 190 e 191 c.p.) facesse riferimento a “danneggiato” e “persona civilmente responsabile”, piuttosto che a parte civile e responsabile civile5.

b) Soggetti - Per quanto riguarda i soggetti attivi, erano legittimati a disporre il sequestro solamente i magistrati che esplicassero funzioni giudicanti all’interno del processo, cioè i giudici in senso proprio. L’intervento del giudice era “stimolato” dalla richiesta promossa dal Pubblico Ministero, il cui potere però qui si esauriva.

Ci si è domandati quale veste processuale assumesse il pubblico ministero che avanzava la richiesta. In proposito, si delineò una tendenza quasi generale, in dottrina, nel richiamare istituti processual-civilistici, ravvisando nel pubblico ministero richiedente un sostituto processuale, cioè un soggetto che agisce nell’interesse proprio (in questo caso rappresentato dall’interesse dello Stato, in quanto egli ne è organo) e di terzi (proteggendo tutti quei crediti derivanti dal reato e facenti capo a soggetti diversi dallo Stato), ovvero un legittimato in via surrogativa, che opera quindi solo nell’interesse di terzi (i titolari dei summenzionati crediti)6. Altra dottrina faceva invece perno sulla rilevanza pubblicistica degli interessi tutelati dal sequestro

5 Per un elenco dettagliato di dottrina e giurisprudenza si veda P. Ferrone, op. e vol.

cit., 28-29.

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conservativo penale, asserendo che la titolarità dell’iniziativa cautelare sarebbe giustificata semplicemente alla luce di tale caratteristica7.

Circa i soggetti passivi, gli artt. 189, 3°co. e 190 c.p. li individuano rispettivamente nell’imputato e nella persona civilmente responsabile. L’art. 78 c.p.p. abr. (così come novellato dalla legge 932 del 1969) definiva imputato “chi, anche senza ordine della autorità giudiziaria,

è posto in stato di arresto a disposizione di questa ovvero colui al quale in un atto qualsiasi del procedimento viene attribuito il reato”.

Qualche incertezza interpretativa sorgeva in dottrina, per cui ci si domandava se fosse sufficiente la nozione di imputato fornita dal codice o se si dovesse richiedere anche la formulazione dell’accusa; i dati testuali non fornivano tuttavia grossi appigli per questa seconda ipotesi8.

c) Aspetti procedimentali - Il procedimento con cui era disposto il sequestro conservativo si poneva in una posizione di autonomia formale e funzionale rispetto al processo in sé: formale, perché l’iter dispositivo del sequestro si caratterizzava per una sequenza di atti a sé stante, specifica, che non andava ad inserirsi nello schema del processo penale, ma rappresentava una sorta di “diramazione” separata dello stesso; funzionale, in quanto tale procedimento era preordinato alla tutela di interessi specifici rispetto a quelli che trovano posto nel procedimento penale.

Il procedimento in questione era incidentale a forma contratta, quindi con contraddittorio non essenziale per l’emanazione del provvedimento finale; si trattava inoltre di un procedimento de plano, non soggetto alla regolamentazione relativa agli incidenti di esecuzione e non soggetto ad impugnazioni; gli artt. 630 e segg. c.p.p. abr. garantivano il ristabilirsi del contraddittorio, in una fase successiva all’emanazione del provvedimento stesso: in particolare, con l’opposizione alla misura ex art. 618 c.p.p. abr.

Non chiara e, di conseguenza, dibattuta in dottrina e giurisprudenza, era la definizione del momento a partire dal quale fosse possibile ricorrere alla misura cautelare in questione, considerato che il codice non disponeva nulla di specifico in merito. Solitamente, nell’affrontare la questione, si usava richiamarsi all’art. 616, 2°co. c.p.p. abr., il quale si occupava di ipoteca ed affermava che “l’iscrizione può essere

7 Ibidem

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richiesta dopo il primo atto del procedimento”; tuttavia, il problema

transitava poi sull’individuazione dell’atto suddetto: la tesi maggioritaria lo individuava nell’inizio dell’istruzione, sommaria o formale, o nella presentazione dell’imputato in dibattimento per il giudizio direttissimo9; non mancava chiaramente chi, contestando tale posizione, riteneva legittimo disporre il sequestro conservativo sin dal primo atto di polizia giudiziaria10, ma la prassi applicativa seguiva la

lettura precedente.

Per quanto riguarda il sequestro disposto in una fase anteriore all’inizio dell’istruzione o all’instaurazione del giudizio direttissimo, si riteneva che tale atto fosse affetto da inammissibilità, in quanto inibito in via assoluta11.

Chiarito dove collocare il termine iniziale, per quanto riguarda invece il termine ultimo entro cui poter disporre la misura, esso era legato alla circostanza che il procedimento penale fosse ancora in essere e, quindi, non si poteva disporre il sequestro di un bene nel momento in cui la sentenza diveniva irrevocabile. Anche in merito al termine finale non era dato rinvenire una statuizione esplicita del legislatore, ma la conclusione appena prospettata risulta evidente, in quanto la distribuzione della competenza a disporre la misura si esaurisce al momento in cui la sentenza passa in giudicato12.

A monte, a dare impulso al procedimento, si collocava la richiesta avanzata dal pubblico ministero. In proposito, al di là della disputa dottrinale circa la veste processuale del p.m., su cui si è avuto modo di

9 Tesi molto seguita, valutata positivamente, e ripresa dopo l’entrata in vigore della

legge 932 del 1969, che aveva operato una estensione alla fase preistruttoria di istituti propri di quella istruttoria. Si disse, in proposito, che tale estensione non era espressione di una voluntas legis di equiparazione delle due fasi, ma piuttosto sintomo dell’intento di salvaguardare i diritti dell’indiziato, cosicché l’appartenenza della preistruzione al processo sarebbe solo in bonam partem, non potendo mai giustificare provvedimenti in danno dell’imputato (così Amodio, op. cit.).

10 Dinacci, Contributo allo studio del sequestro conservativo nel processo penale,

1972.

11 In proposito P. Ferrone, op. e vol. cit., 82-83, il quale, facendo leva su quegli

articoli del codice che parlavano di “inammissibilità” indicando una proibizione od un divieto (e citando gli artt. 67, 8, 2°co. e 136, 3° co.), ha sostenuto come fosse legittimo ricomprendere nella sfera dell’inammissibilità quei divieti che, caratterizzati da assolutezza, non fossero tuttavia assistiti da sanzione, escludendo così che il principio di tassatività previsto dall’art.184 c.p.p. abr. fosse valido in tema.

12 P. Ferrone, op. cit. e dottrina ivi citata, specifica come il criterio sia stato

giustificato con la considerazione che successivamente alla definizione del processo penale il sequestro sarebbe superfluo: in caso di proscioglimento non potrebbe fornire titolo all’esecuzione civile e, in caso di condanna, disponendo circa le obbligazioni civili previste all’art. 189 c.p., sarebbe direttamente eseguibile con le forme stabilite per l’esecuzione delle sentenze civili.

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soffermarsi e che, comunque, aveva una scarsa rilevanza sul piano applicativo, ben più importante si presentava un’altra questione: se ed in quali limiti fosse revocabile, da parte dello stesso pubblico ministero, la richiesta di sequestro da lui avanzata.

In merito, come per molti aspetti legati alla figura del sequestro, non era rinvenibile una disciplina organica di matrice legislativa e, per conseguenza, si avevano sia fautori della risposta affermativa, sia di quella negativa, con entrambe le posizioni sostenute da argomenti piuttosto solidi.

Coloro che propendevano per la risposta negativa – quindi per la non revocabilità della domanda – facevano perno soprattutto sull’operare del pubblico ministero non solo per interessi propri (meglio: dello Stato), ma anche per interessi di terzi, ond’egli non potrebbe avere alcuna disponibilità del diritto azionato con la richiesta di sequestro13, ovvero si soffermavano sul carattere pubblicistico degli interessi tutelati, il quale precluderebbe la disponibilità – e quindi la revocabilità – della richiesta14. Altre posizioni, poi, ricavavano la irrevocabilità da quella propria dell’azione penale, vedendo un legame fra questa e la richiesta di sequestro, che ne sarebbe manifestazione15.

I fautori della revocabilità, facevano notare come non vi fosse alcuna disposizione legislativa che vietasse al sostituto processuale di rinunciare alla domanda da lui formulata16, od anche come la legge fornisca al pubblico ministero il potere, in materia di sequestro, di agire sempre secondo ciò che la convenienza gli suggerisce, anche se questo significhi revocare la domanda da lui stesso presentata17.

A prescindere dalla ricostruzione che si ritenesse più valida – considerando che, come spesso accade, a ciascuna di queste posizioni era possibile replicare, con argomenti più o meno convincenti – un limite indiscutibile esisteva, oltre il quale era sicuramente preclusa ogni possibilità di revoca della domanda: l’avvenuta emissione del provvedimento di sequestro, che, ovviamente, faceva immediatamente venir meno la possibilità di revoca; dal momento in cui veniva ad esistenza un provvedimento del giudice, infatti, il rimedio predisposto dal legislatore era l’opposizione ex art. 618 c.p.p. abr., che non tollerava altri rimedi “paralleli”, tanto più se si considera che fornire al

13 Così Dinacci, op. cit., 115-116. 14 Amodio, op. cit., 46.

15 P. Ferrone, op. cit., dottrina citata 115, note 7-8. 16 Così Carnelutti, Appunti cit., 263

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pubblico ministero il potere di revocare il provvedimento già venuto ad esistenza, avrebbe significato sostanzialmente esautorare il giudice dell’opposizione18.

Ma cosa succedeva se mancava del tutto la richiesta del pubblico ministero? Che il provvedimento di sequestro fosse viziato, non è mai stato in discussione; in discussione era, invece, il tipo di invalidità che conseguiva alla mancanza di intervento del pubblico ministero e, quindi, all’emissione di un provvedimento che non prendesse avvio dall’iniziativa di questi (o che seguisse all’iniziativa di un pubblico ministero rivelatosi incompetente, in quanto l’art. 616, 1°co., c.p.p. abr. richiedeva che l’iniziativa fosse presa dal p.m. “presso il tribunale o presso la corte dinanzi a cui è in corso il procedimento”).

Il codice del 1930 non prevedeva una sanzione ad hoc per il caso in esame; tanto per cambiare, quindi, si erano sviluppati tutta una serie di orientamenti discordanti, che via via qualificavano il provvedimento viziato come abnorme19 od inesistente – similmente alla sentenza pronunciata senza l’iniziativa del pubblico ministero –20 o nullo in

senso generico21, o nullo ex art. 185, n.2, c.p.p.22.

C’era poi chi contestava tutti questi inquadramenti, considerando che: i provvedimenti abnormi od inesistenti sono, rispettivamente, quelli che si collocano al di fuori dell’ordinamento giuridico (e sono quindi con esso incompatibili), o che mancano di quel minimum contenutistico che permetta di contraddistinguerli come tali, situazioni non ravvisabili nell’ipotesi in esame; il richiamo all’art. 185 non è da ritenersi coerente, attenendo solo alla “iniziativa del pubblico ministero nell’esercizio dell’azione penale”; la nullità in senso generico non è ravvisabile, non essendovi alcuna comminatoria esplicita in merito ed essendo tassative le nullità in materia di atti processuali (v. art. 184 c.p.p. abr.). All’esito di queste confutazioni, la posizione in analisi ravvisava nel vizio del provvedimento di sequestro una inammissibilità, afferente l’istanza di sequestro non promanante dal pubblico ministero e che, per conseguenza, si riverberava sugli atti

18 Anche se si rileva qualche opinione contraria, per cui rimando a P. Ferrone, cit.,

118, nota 16.

19 Al. Candian, Il sequestro conservativo penale, 1955, 128. 20 G. Leone, Trattato di diritto processuale penale, III, 1961, 566. 21 Cass., 20 ottobre 1964, in Riv. Pen., 1966, II, 1446.

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successivi per il principio della invalidità derivata che – si diceva – ha portata generale, anche se stabilito solo per le nullità23.

Avanzata la richiesta da parte del pubblico ministero, sorgeva nel giudice un dovere di pronunciarsi su di essa. Due questioni sono da definire in merito:

1) Quanto è ampio il potere d’indagine del giudice?

2) Quali sono le forme di esteriorizzazione di questo potere?

1) Il potere di indagine del Giudice – Come su molti altri aspetti

di questo controverso istituto che è il sequestro, sull’ampiezza dei poteri di indagine spettanti al giudice si sono sviluppate varie correnti dottrinali. Un filone di pensiero24 riteneva che l’esame, svolto dal giudice al fine di valutare se fosse necessario il ricorso al sequestro conservativo, dovesse consistere essenzialmente nella verifica circa la sussistenza delle condizioni di legittimazione della misura, cioè nell’accertare che la domanda provenisse da un pubblico ministero competente e che la misura fosse diretta nei confronti dell’imputato o del responsabile civile25. L’impostazione appena esposta veniva

rifiutata da altri26, facenti perno soprattutto su quell’obbligo di motivazione che era sancito dall’art. 617, 4°co. c.p.p. abr. (“il giudice

provvede […] con decreto motivato”), il quale, si diceva, avrebbe poco

senso se fosse imposto sulle condizioni di legittimazione, le quali devono essere semplicemente verificate e non danno adito ad alcun tipo di motivazione; si affermava inoltre che aderire alla tesi esposta in precedenza, avrebbe sostanzialmente significato svuotare di contenuto il potere decisionale del magistrato, il quale sarebbe divenuto una sorta di “passacarte”, lasciando, nei fatti, il potere di disporre il sequestro nelle mani del pubblico ministero. Concludevano i sostenitori del potere di indagine del giudice che, in mancanza di un diniego legislativo, fosse privo di senso negare al giudice un potere istruttorio

23 P. Ferrone, op. cit. e dottrina ivi citata, Vol. II, 120-121. 24 Dottrina citata in P. Ferrone, op. cit., Vol. II, 122.

25 Tale impostazione fu spiegata in chiave critica da Amodio, op. cit., il quale faceva

notare come essa fosse figlia di un eccesso di zelo nel recepire gli schemi del sequestro civile, nel quale il giudice si limita a concedere una autorizzazione, coerentemente con il principio dell’impulso di parte, dominante nel processo civile, spettando poi al creditore istante promuovere l’esecuzione della cautela, nelle forme del pignoramento.

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che avrebbe potuto esercitarsi con i normali mezzi previsti dal codice a tal fine.

2) Forma di manifestazione del potere del giudice – Da un punto

di vista formale, l’art. 617, 4°co., c.p.p. abr. stabiliva che il giudice decidesse circa il sequestro “in camera di consiglio con decreto motivato”. In conformità con la normativa prevista per i provvedimenti adottati in camera di consiglio (art. 151, 2°co., c.p.p. abr.), la decisione doveva essere depositata entro cinque giorni dalla deliberazione, salvo quando fosse pronunciata in dibattimento, caso in cui la lettura in udienza rende il deposito superfluo.

Da un punto di vista dell’integrazione del contraddittorio, il sequestro era – ed è – un provvedimento adottato inaudita altera parte, essendo frutto di un dialogo che si svolge esclusivamente fra giudice e pubblico ministero, rimanendone escluso il destinatario della misura; situazione che, fra l’altro, era molto più “mite” se il sequestro veniva disposto in udienza, considerando che l’art. 443 c.p.p. abr. consentiva all’imputato di “fare tutte le dichiarazioni che ritiene opportune,

purché si riferiscano alla sua difesa”, norma che ben poteva permettere

a questi di esporre le sue ragioni anche in merito ad una richiesta di sequestro avanzata dal pubblico ministero. Questa situazione non mancò comunque di sollevare critiche, tanto che una parte della dottrina27 ravvisava nell’art. 617 c.p.p. abr., nella parte in cui non prevedeva il dovere del giudice di sentire l’imputato o il responsabile civile anteriormente all’emanazione del provvedimento di sequestro, profili di incostituzionalità, soprattutto in relazione al fatto che si verificasse questa disparità di trattamento fra la fase delle indagini preliminari e quella del dibattimento: se davvero, si diceva, l’assenza di contraddittorio con l’imputato (o il responsabile civile) si giustifica in ragione del fatto che si vogliono evitare i problemi che la conoscenza dell’iniziativa cautelare intrapresa porterebbe con sé (si pensi all’imputato che occulta i beni una volta venuto a sapere del sequestro), tale esigenza dovrebbe essere ugualmente avvertita sia in fase di indagini preliminari, che in dibattimento, non giustificando quel diverso trattamento che ha il contraddittorio nelle due fasi.

Infine, si è detto che il provvedimento del giudice doveva essere motivato. Stante la disposizione dell’art. 148, 3°co., c.p.p. abr., il quale recitava “i decreti devono essere motivati a pena di nullità”, la

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mancanza di motivazione – che si sostanzia sia nell’ipotesi di mancanza materiale dei motivi, sia in quella in cui essi si riducano a meri richiami all’opportunità o convenienza dell’adottare il provvedimento, non confortati da elementi concreti – comportava la nullità del provvedimento di disposizione della misura cautelare. La nullità in questione, non essendo menzionata dalla legge fra quelle assolute, era da ritenersi relativa28, sebbene non soggiacente alle

sanatorie previste dall’abrogato codice di procedura penale (artt. 377, 401, 422, 471, 515, 525), le quali erano esplicitamente riferite agli atti appartenenti al procedimento principale e non a quelli integranti procedimenti incidentali29. Soccorreva semmai, in merito, l’art. 187 c.p.p. abr., il quale prevedeva al primo comma il potere di sanatoria del giudice (“Il giudice che rileva una causa di nullità provvede

immediatamente ad eliminarla”) che, quindi, poteva ben provvedere

ad integrare la motivazione, evitando la conseguente nullità del provvedimento, con il limite posto dalla deduzione del vizio in opposizione ex art. 618 c.p.p. abr., in considerazione del fatto che l’opposizione, una volta presentata, precludeva qualsiasi possibilità di sanatoria al magistrato autore del provvedimento.

Ove la sanatoria in questione non fosse intervenuta, la nullità si sarebbe verificata, travolgendo tutti gli atti successivi al decreto di sequestro (come previsto dall’art. 189, 1°co., c.p.p. abr.).

Ultimo aspetto del decreto di sequestro che merita essere analizzato è se questo fosse o meno revocabile da parte del giudice che l’aveva emesso. Come sempre accade in queste situazioni, in cui la legge non viene in soccorso con disposizioni precise e circostanziate, sia le argomentazioni a sostegno della revocabilità, che quelle contro di essa, avevano appigli piuttosto validi.

La revocabilità veniva dedotta dal fatto che il potere cautelare avesse come sottostante un interesse pubblico, che esso fosse concepito come strumentale al potere punitivo dell’ordinamento, e che fosse regola generale nel processo penale che i decreti siano revocabili; da ciò venne dedotto come “non può non ritenersi che al giudice che emise il provvedimento e comunque al giudice al quale è attribuita la

28 Nullità relative sono tutte quelle ipotesi non rientranti fra le nullità assolute, cioè

non previste esplicitamente dalla legge come tali. Si caratterizzano, normalmente, per la rilevabilità da parte del giudice solo su eccezione di parte e per essere sanabili; il giudice può rilevarle ex officio solo se questo potere è a lui esplicitamente attribuito dalla legge.

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competenza funzionale ad emettere il provvedimento di sequestro conservativo penale, sia riconosciuto il potere di revocare o modificare d’ufficio o su richiesta del p.m. il provvedimento già emesso”30.

Era chiaramente facile replicare a questa posizione, facendo notare come, in caso di sopravvenienza di una opposizione ex art. 618 c.p.p. abr., il permettere una revoca del provvedimento avrebbe, di fatto, esautorato il giudice dell’opposizione del proprio potere; mentre se l’opposizione non era ancora intervenuta, risultava comunque difficile concepire la revoca di un provvedimento concernente una vicenda ormai risolta, in quanto, come recita un noto brocardo, iudex post

sententiam desinit esse iudex. Oltretutto, ad ulteriore conforto di questi

argomenti, stava il fatto che il decreto di sequestro provoca il sorgere di una situazione soggettiva di potere in vantaggio di tutti i creditori da reato e che, quindi, revocare il sequestro avrebbe significato ledere i diritti dei creditori inutilmente, considerando che chi subiva il provvedimento aveva già a disposizione il rimedio dell’opposizione per tutelarsi.

Comunque sia, l’orientamento consolidato che si affermò in merito fu quello di ritenere la questione della revocabilità da valutare caso per caso, con il punto fermo che revocabilità ed impugnabilità (in senso lato, intesa come la possibilità di servirsi di un mezzo di gravame) fossero, fra loro, in rapporto di reciproca esclusione: se il decreto è impugnabile, non è revocabile e viceversa. Ovvia conseguenza fu che, essendo prevista l’opposizione al decreto di sequestro, questo fosse da ritenersi non revocabile da parte del giudice che l’ha emesso.

d) Il provvedimento di diniego – Era possibile che l’organo competente a disporre il sequestro conservativo penale, al momento di dover effettuare le necessarie valutazioni, non riscontrasse gli estremi per giustificare la misura. Quando si verificava una situazione simile, il giudice provvedeva ad emanare il c.d. provvedimento di diniego (così chiamato in dottrina, anche se, più che di diniego, si sarebbe dovuto parlare di rigetto della domanda, in un caso simile). È quasi superfluo sottolineare come una situazione simile avrebbe ben potuto verificarsi in concreto ma, nonostante ciò, la legge non si era premurata di dare una regolamentazione esplicita di questa ipotesi.

Pacificamente accettato in dottrina era il fatto che il c.d. provvedimento di diniego dovesse avere la stessa forma di quello di

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sequestro, cioè essere un decreto, applicando analogicamente l’art. 617, 4°co.31.

Avvenuto il rigetto da parte del giudice, sicuramente era possibile per il pubblico ministero rinnovare la richiesta di sequestro (punto questo non discusso in dottrina), non essendovi alcun impedimento legislativo al riguardo, mentre non era unanime l’opinione circa la possibilità di servirsi dell’incidente di esecuzione; alcuni autori negavano questa eventualità32, sostenendo come il rinnovo della richiesta fosse l’unico mezzo possibile per “contrastare” il diniego da parte del giudice. Invero, la tendenza che si era affermata nella dottrina maggioritaria33, seguita dalla giurisprudenza34, era quella di ravvisare nell’incidente di esecuzione un rimedio di ordine generale, non limitato ad una tipologia specifica di atto, fondandosi sull’art. 628 c.p.p. abr., che parlava genericamente di “provvedimenti del giudice”.

L’istituto dell’incidente di esecuzione venne dunque esteso a tutti i provvedimenti emanati nel corso del processo di cognizione, eccezion fatta per le sentenze passate in giudicato, rappresentando questa condizione il limite ultimo di utilizzabilità di tale rimedio, che altrimenti diverrebbe un mezzo per violare una sentenza già definitiva35. Alla luce di queste considerazioni, si ritenne di potersi servire del rimedio dell’incidente di esecuzione ex art. 628 anche nei confronti del decreto del giudice che rigetti la domanda di sequestro da parte del pubblico ministero e, addirittura, ci furono autori36 che si spinsero ad affermare come, in virtù del comma secondo dell’art. 628, si dovesse ritenere che la legittimazione ad introdurre l’incidente potesse spettare, oltre al pubblico ministero, a chiunque altro avesse interesse all’adozione della misura cautelare.

31 P. Ferrone, op.cit. e dottrina ivi riportata, 143. In senso parzialmente discordante,

Manzini, Trattato di diritto processuale penale italiano, III, 1956, 462, sosteneva come, in caso di mancata determinazione legislativa della forma del provvedimento, ci si dovesse riferire ai criteri di elaborazione dottrinale per distinguere fra sentenza, ordinanza e decreto.

32 Gius. Sabatini, op. cit., 560; Dinacci, op. cit., 153; G. Leone, op. cit., 569. 33 Gianzi, Incidenti di esecuzione, in Enciclopedia del diritto, XXI, pag. 6, e tutti gli

altri autori da questo citati.

34 Cass. 5 ottobre 1965, in Giustizia Penale, 1966, III, 581, 654; Cass. 25 settembre

1964, ivi, 1964, III, 175, p. 187; Cass. 7 marzo 1959, ivi, 1960, III, 560, p. 624 ed altre.

35 In proposito: Ferrone, op. cit., 145, e dottrina e giurisprudenza citate alla nota 75. 36 Ibidem

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1.2.1 – Il sequestro conservativo ex art. 622, 2°co. c.p.p.

Nel codice Rocco esisteva, oltre a quella esaminata fin qui, una ipotesi di sequestro conservativo che si differenziava da quella “ordinaria”, in quanto non nascente da un procedimento ad hoc e non sancita da alcun provvedimento formale. Infatti, l’art. 622, 2°co. c.p.p. abr. stabiliva che, terminato il procedimento penale, delle cose sequestrate appartenenti al condannato, che non debbono soggiacere alla confisca, venisse mantenuto il sequestro a garanzia del pagamento dei crediti di cui all’art. 189 c.p., salvo prestazione da parte del condannato di idonea cauzione o malleveria.

Quello che l’articolo delineava era un sequestro che nasceva come sequestro penale e si trasformava poi in sequestro conservativo penale (anche se alcuni autori, in dottrina, e parte della giurisprudenza ipotizzavano una diversa natura della misura37), al concorrere di tre condizioni:

a) Che il procedimento penale fosse stato definito;

b) Che esso si fosse concluso con una sentenza di condanna; c) Che il condannato non avesse prestato idonea cauzione o

malleveria.

Peraltro, ulteriore requisito su tale forma di sequestro lo forniva l’art. 625, 4°co., il quale faceva intendere come la misura potesse insistere solo su beni mobili, stabilendo che “nei casi in cui il sequestro è mantenuto a garanzia di obbligazioni pecuniarie, si applicano le disposizioni concernenti l’esecuzione sui mobili sottoposti a sequestro per la garanzia degli interessi patrimoniali”.

La forma di sequestro conservativo così delineata, era ispirata ad un evidente automatismo; nonostante le tesi che prospettavano la necessità di un provvedimento apposito di valutazione del periculum

in mora, da parte del giudice, prima di poter disporre la misura in

esame38, la norma risultava impostata su una sorta di automatismo, stante un periculum in re ipsa originato dalla situazione creatasi con l’intervenire della sentenza di condanna (e cioè il rischio che, pur avendo un titolo esecutivo, non ci fosse poi un patrimonio da aggredire per soddisfare i crediti conseguenti alla stessa), tanto più che l’unico modo per ottenere la restituzione delle cose era prestare adeguata

37 C’erano una serie di autori che ritenevano che tale istituto si qualificasse come uno ius retentionis in favore dello stato, conseguente a crediti ex delicto (in dottrina, fra

gli altri: Aloisi, Manuale pratico di procedura penale, IV, 1943, 210; G. Leone, op. cit., 584; in giurisprudenza: Cass. 20 maggio 1966, in Giustizia Penale, 1967, III, pag. 122, 126) ed altri che propugnavano invece la trasformazione del sequestro penale in pignoramento (Amodio, op. cit., 183).

38 Riteneva necessario un provvedimento giudiziale di accertamento del periculum,

fra gli altri: Favalli, La conversione del sequestro penale in sequestro conservativo

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cauzione o malleveria, senza che fosse dato spazio ad ulteriori valutazioni sulla solvibilità del condannato39.

Nonostante l’automatismo della norma in analisi, potevano darsi ipotesi in cui questa forma di sequestro si profilava come illegittima. L’ipotesi di illegittimità era essenzialmente una sola, limitata al caso in cui le cose sequestrate si fossero rivelate non pertinenti al reato, e venne presa in considerazione sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza, le quali giunsero in proposito a conclusioni opposte.

La giurisprudenza40 propugnava la tesi della irrilevanza di un vizio siffatto, traendone quindi la conseguenza di una piena operatività del vincolo in analisi. Il ragionamento portato avanti dai giudici si basava sull’assunto secondo cui non rileva il legame delle cose con il reato, in quanto, dovendosi garantire, mediante questa misura, l’adempimento delle obbligazioni nascenti dal reato stesso, ciò che rileva è solo l’esistenza di un precedente vincolo (il sequestro penale disposto sulle cose), il quale è da solo necessario e sufficiente a giustificare la “trasformazione” ex art. 622, 2°co., indipendentemente dal fatto che le cose sequestrate in precedenza fossero o meno pertinenti al reato; ragionamento che, invero, può risultare quantomeno ardito, se si considera che comunque la disposizione in analisi parla di “cose sequestrate a norma degli articoli 222, 336, 337 e seguenti”, lasciando piuttosto dubbio che possa ritenersi valido presupposto per la sua operatività anche un sequestro penale illegittimo.

La dottrina, non a caso, seguendo sostanzialmente il ragionamento critico da ultimo esposto, propendeva per la impossibilità di azione della garanzia prevista all’art. 622, 2°co. qualora il sequestro penale disposto nel corso del processo fosse risultato illegittimo41.

Per quanto riguarda poi l’esecuzione della misura, non si poneva un problema per la forma di sequestro in esame, considerando che il codice parlava esplicitamente di mantenimento, il che comportava un permanere della situazione di indisponibilità che già era stata creata nel corso del processo, in esecuzione del sequestro penale. Negli altri casi, l’art. 617, 4°co. c.p.p. abr. affermava: “il sequestro è eseguito dall’ufficiale giudiziario con le forme prescritte dal codice di procedura civile per il pignoramento dei beni mobili”; quindi, in sostanza, l’ufficiale giudiziario, sollecitato dall’organo che aveva invocato od ordinato la misura (id est: pubblico ministero o pretore), munito del titolo esecutivo (cioè del provvedimento di sequestro), poneva in essere

39 Così P. Ferrone, op. cit., 134.

40 Cass. 14 ottobre 1964, in Giustizia Penale, 1965, III, 396, 421. 41 In tal senso P. Ferrone, op. cit., 135-136 e dottrina ivi citata.

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tutta quella serie di atti previsti allo scopo dal codice di procedura civile42.

1.2.2 – Vicende: a) La custodia dei beni; b) Le spese; c) Danni alle cose custodite; d) Dopo la sentenza

a) La custodia dei beni – Una volta provveduto all’apprensione dei beni oggetto del provvedimento di sequestro, mediante il metodo specificato nel paragrafo precedente, i beni vanno conservati. In merito, la norma di riferimento era l’art. 520 c.p.c., il quale, distinguendo il danaro e gli oggetti preziosi dalle “altre cose”, disponeva per i primi che “il danaro deve essere depositato dal

cancelliere nelle forme dei depositi giudiziari, mentre […] gli oggetti preziosi sono custoditi nei modi che il pretore determina” e, per le

seconde, il trasporto in un luogo di pubblico deposito43 o l’affidamento ad un custode privato. L’articolo in analisi faceva riferimento, relativamente a danaro e preziosi, alla cancelleria della pretura, cioè al giudice dell’esecuzione, figura che non era presente al momento del sequestro; dunque, la cancelleria deputata a ricevere i beni suddetti, era non quella del pretore, ma quella del magistrato che aveva emanato il decreto di sequestro.

Per tutte quelle cose diverse da danaro ed oggetti preziosi, abbiamo detto che l’alternativa era fra il luogo di pubblico deposito ed il custode privato. Quest’ultimo, a norma dell’art. 520, 2°co. c.p.c., era nominato dall’ufficiale giudiziario. Alcuni autori44 sostenevano che la suddetta

nomina spettasse al giudice, ritenendo come il rinvio, operato dal codice di procedura penale, al codice di procedura civile, avesse natura

42 Nello specifico: ricerca delle cose sequestrate nella casa dell’imputato o del

responsabile civile e negli altri luoghi a lui appartenenti (art. 513 c.p.c.), con l’esercizio di tutte le facoltà in merito previste e nel rispetto dell’art. 519 c.p.c.; scelta delle cose da sequestrare ex art. 517 c.p.c.; ingiunzione come prevista all’art. 492 c.p.c.; consegna al cancelliere del giudice che ha emanato il decreto di sequestro del danaro e degli oggetti preziosi colpiti dalla misura, trasporto in luogo di pubblico deposito delle altre cose sequestrate o affidamento delle stesse ad un custode privato e deposito in cancelleria, unitamente al titolo esecutivo, del c.d. verbale di pignoramento, contenente la menzione di tutte le operazioni compiute ed una descrizione dei beni sequestrati.

43 I luoghi di pubblico deposito sono quelli definiti all’art. 159 disp. att. c.p.c. (istituti

di vendite giudiziarie), i quali, ai sensi dell’art. 19 D.M. 20 giugno 1960, avente ad oggetto il regolamento unico per gli istituti di vendite giudiziarie, possono espletare funzioni di custodia; recita la norma: “L’istituto, previa intesa con l’ufficiale procedente, può essere nominato all’atto del pignoramento custode dei beni mobili pignorati. In tal caso deve essere presente al conferimento dell’incarico un suo dipendente munito della tessera di riconoscimento indicata nell’art. 5 […]”.

44 Sabatini, op. cit., 561; Aloisi, op. cit., 192-193; Amodio, op. cit., 194, nota 149;

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sussidiaria e quindi le disposizioni del secondo dovessero applicarsi solo nei limiti in cui non fossero operanti quelle del primo; tale posizione di pensiero, tuttavia, non trovava solidi appigli testuali: nessuna disposizione nel codice di procedura penale, né in altra sede, sanciva che la nomina del custode fosse operata dal magistrato disponente la misura; altri autori45 poi, soffermandosi sul tenore del quarto comma dell’art. 617 c.p.p. abr., che ho riportato poco addietro (v. par. 1.3), sottolineavano come fosse inopportuno sotto ogni aspetto ritenere il rinvio alle norme del c.p.c. sussidiario.

Il custode, sia esso istituto di vendite giudiziarie o soggetto privato, era ritenuto, da un punto di vista giuridico, un ausiliario del giudice, in

quanto depositario-amministratore agente nell’interesse della

giustizia46.

Il compito del custode è quello classico di tale figura: attivarsi con la diligenza del buon padre di famiglia per la conservazione dei beni a lui affidati; definizione, questa, che racchiude in sé tutti i limiti operativi della figura in analisi, sancendo sia il potere-dovere di porre in essere tutti gli atti conservativi necessari, sia il divieto di usufruire dei beni in custodia, anche se, per questi ultimi, il tenore dell’art. 521, 4°co. c.p.c. lasciava spazio alla possibilità di uso dietro autorizzazione del giudice. Riguardo gli atti di conservazione, poi, c’era chi riteneva che, qualora questi eccedessero l’ordinaria amministrazione, si dovesse ottenere l’autorizzazione da parte del giudice prima di poter agire, in linea coi “principi generali contenuti nel codice e particolarmente nell’art. 685 c.p.c. (norma, questa, propria del sequestro)”47.

Proseguendo, sempre l’art. 521 c.p.c. sanciva l’obbligo del custode la rendiconto ex art. 593 c.p.c.; tale obbligo, tuttavia, non era applicabile al sequestro conservativo penale, a causa del richiamo compiuto dal codice di procedura civile al procedimento di cui agli artt. 263 e seguenti c.p.c. e della inadattabilità di questo agli effetti penali48. Per quanto riguarda, poi, la cessazione del custode dalle sue funzioni, essa può ovviamente coincidere con la fine del sequestro, ma può anche prescinderne, derivando invece da un provvedimento di sostituzione disposto dal magistrato; a seguito della cessazione, le cose dovranno essere consegnate a colui al quale spettano di diritto dopo il dissequestro o, se è stata disposta la sostituzione, al nuovo custode.

Il provvedimento di sostituzione del custode trova il suo fondamento nell’art. 66 c.p.c., il quale afferma che “il giudice […] può disporre in ogni tempo la sostituzione del custode. Il custode che non

45 P. Ferrone, op. cit., 139. 46 Così Dinacci, op. cit., 175.

47 Così si esprimeva Dinacci, ivi, 176. In linea con tale opinione anche Al. Candian,

op. cit., 192.

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ha diritto a compenso può chiedere in ogni tempo di essere sostituito; altrimenti può chiederlo soltanto per giusti motivi” e, in conformità con quanto stabilito dallo stesso articolo, il custode è sostituito con provvedimento avente forma di ordinanza. Fra l’altro l’art. 66 c.p.c. richiede che il giudice, prima di pronunciarsi sulla sostituzione del custode, debba sentire le parti, cosa peraltro normale quando si deve emettere un’ordinanza; una incombenza analoga si riteneva andasse espletata anche in sede penale49.

b) Le spese – Conservare i beni costa. Sovente, quindi, si presenta(va)no problemi di spese.

Quale che sia il metodo di conservazione scelto, la custodia dei beni comporta, innanzitutto, le c.d. spese vive, cioè quelle spese per operazioni di magazzinaggio, facchinaggio, riparazioni, e in genere per tutti quegli atti che sono diretti a salvaguardare l’integrità delle cose sequestrate.

Vi sono poi tutte quelle spese relative al compenso del custode, così come regolamentato agli artt. 65 e 522 c.p.c., articoli che erano validi anche in ambito penale, in virtù del rinvio che l’art. 617, 4°co. c.p.p. abr. operava50. Quindi, appurata la validità anche nell’ambito che stiamo esaminando degli articoli appena richiamati, affinché fosse configurabile un compenso per l’attività di custodia, dovevano ricorrere due condizioni:

1) La prima condizione, attinente esclusivamente ai custodi privati, consisteva nel fatto che il custode non fosse il soggetto passivo del sequestro od una persona della sua famiglia con lui convivente, in quanto l’art. 522 c.p.c. nega(va) il diritto al compenso a tali soggetti, affermando testualmente che “nessun compenso può attribuirsi alle persone indicate nel primo comma dell’articolo precedente”51.

2) La seconda condizione aveva invece carattere generale, riguardando quindi sia i custodi privati che quelli pubblici, ed era rappresentata dalla soggezione del diritto al compenso alla circostanza che esso fosse stato richiesto all’atto della nomina e riconosciuto dall’ufficiale giudiziario o dal magistrato che ad essa aveva provveduto (quest’ultima situazione si verificava solo

49 Così P. Ferrone, op. cit., 153-154.

50 In tal senso P. Ferrone, ivi, 154; Dinacci, ivi, 178 (che parla più sinteticamente di

“diritto al compenso nei limiti stabiliti dalla legge (art. 65 e 522 c.p.c.)”).

51 L’art. 521, 1° co. c.p.c. recita: “Non possono essere nominati custode il creditore o

il suo coniuge senza il consenso del debitore, né il debitore o le persone della sua famiglia che convivono con lui senza il consenso del creditore.”

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in caso di sostituzione del custode; altrimenti, come si è già detto, la nomina spettava all’ufficiale giudiziario).

Relativamente al quantum del compenso in analisi il codice di procedura civile tace(va) e, quindi, ci si doveva appellare all’art. 293 R.D. 23 dicembre 1865 n. 2700 (tariffa civile), il quale stabiliva che il compenso “non potrà mai eccedere le due lire per cadauna giornata e

dovrà ridursi alla metà quando trattasi di un termine che avesse ecceduto i giorni quaranta”. Era peraltro intervenuta la legge 386 del

1965 ad elevare (a trecento lire) l’indennità giornaliera “spettante ai custodi indicati agli articoli 102 e 103 della tariffa penale, approvata con regio decreto 23 dicembre 1865 n. 2701”, ma tale legge non poteva essere applicata in materia di sequestro conservativo, in quanto i custodi contemplati dagli articoli sopra menzionati erano esclusivamente gli affidatari delle cose colpite da sequestro penale.

Tutte le spese di custodia erano liquidate con decreto, costituente titolo esecutivo, da parte del giudice preposto al procedimento penale nel momento in cui sorgeva l’esigenza della liquidazione, salvo che il procedimento fosse giunto in Cassazione, essendo al supremo collegio (che è organo di mera legittimità) inibita la valutazione di merito cui consegue la liquidazione: in tal caso il decreto era pronunciato dal giudice a quo.

Avvenuta la liquidazione, le spese erano anticipate dallo Stato, con diritto di rimborso, a preferenza di ogni altro creditore, sul ricavato della vendita delle cose sequestrate (R.D. 1071 del 1931, art. 7).

Il custode poteva sempre far valere il suo diritto ad ottenere le somme di cui fosse creditore52 e, ove non fosse soddisfatto della liquidazione ricevuta, promuovere incidente di esecuzione avverso il decreto di liquidazione.

c) Danni alle cose custodite – Altro problema che pone la conservazione dei beni, è quello del possibile deterioramento delle cose sequestrate.

Un fenomeno simile può verificarsi in conseguenza della natura stessa delle cose, situazione che non pone grossi problemi di diritto, non essendo ravvisabile responsabilità di alcuno; ben diverso è invece se la degradazione delle cose avviene in conseguenza della modalità di conservazione di queste. Dovendo il custode conservare i beni con la diligenza del buon padre di famiglia, rispettando le norme in materia e le regole prudenziali secondo un principio di neminem laedere, se,

52 Dinacci, op. cit., 179, dice testualmente che “tale diritto permane anche quando il processo siasi concluso”.

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mancando il rispetto da parte di lui di quanto appena detto, si causano danni alle cose, sorge una responsabilità in capo al custode stesso. Circa l’individuazione dei tratti precisi di questa responsabilità, nella vigenza del vecchio c.p.p., si doveva procedere a fare alcune distinzioni.

Anzitutto poteva darsi il caso che la conservazione dei beni fosse curata direttamente dall’organo dell’amministrazione della giustizia (cioè dal cancelliere). In una situazione simile, configurandosi una responsabilità per danni (e cioè fondata sui principi sanciti all’art. 2043 c.c.), era necessario anzitutto accertare la sussistenza del dolo o della colpa; appurata la presenza dei suddetti elementi, si possono fare una serie di considerazioni ulteriori:

 Ex art. 28 Cost.53, la responsabilità si estendeva alla pubblica

amministrazione;

 In base ad un consolidato canone valutativo, la suddetta responsabilità era ritenuta da escludere quando il dipendente avesse agito con dolo, in quanto questo avrebbe configurato una attività che, non essendo espletata nell’interesse dell’amministrazione, né preordinata al raggiungimento dei suoi fini istituzionali, nullificava il rapporto di

immedesimazione organica intercorrente fra

amministrazione e propri funzionari e dipendenti in genere; Ciò portava a concludere che, ove la responsabilità fosse derivata da colpa, essa si sarebbe estesa alla pubblica amministrazione; ove i danni alle cose custodite fossero stati cagionati con dolo, sarebbe sorta solo la responsabilità personale del custode.

Diverso il caso in cui fosse stato nominato un custode, sia pubblico (cioè un istituto di vendite giudiziarie), sia privato. In tale eventualità, ovviamente, il custode rispondeva dei danni alle cose a lui affidate se e nella misura in cui, nella custodia delle stesse, non si fosse attenuto ai propri doveri (id est: osservare le norme previste in materia e rispettare le regole di comune prudenza).

Le cose in custodia possono però, come anticipato più sopra, deteriorarsi od alterarsi non in virtù di comportamenti del custode, ma per loro stessa natura.

In queste situazioni era previsto, per il sequestro penale, che il giudice potesse ordinare la distruzione o l’alienazione delle cose; anche

53 L’art. 28 Cost. recita: “I funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti. In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici”.

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