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La posizione della dottrina – Il pensiero dottrinale, a differenza di quello giurisprudenziale, molto “pragmatico” e orientato

IL SEQUESTRO E LE SUE FINALITÀ NELLA LOGICA DEL CODICE VASSALL

2. La posizione della dottrina – Il pensiero dottrinale, a differenza di quello giurisprudenziale, molto “pragmatico” e orientato

al risultato processuale, è mosso da una logica maggiormente garantistica. La dottrina, infatti, sin dalla emanazione del nuovo codice di procedura penale, ha aspramente criticato l’eccessiva genericità con cui il legislatore ha delineato i presupposti applicativi delle misure cautelari reali, richiedendone a gran voce una maggiore specificazione e lavorando proprio su questo fronte59. Uno dei punti su cui più si è

insistito è stato il fatto che le misure reali non necessariamente hanno un contenuto afflittivo inferiore a quelle personali: la stessa relazione al progetto preliminare del codice dice testualmente come questi provvedimenti realizzino “un’indisponibilità di cose e beni con

un’incisività analoga a quella che nasce dalla custodia cautelare e da altre forme di misure cautelari personali”, lasciando ben pochi dubbi

sul fatto che esse incidano su libertà costituzionalmente garantite della

58 Ibidem

59 Balducci, Il sequestro preventivo nel processo penale, Milano, 1991, 152 ss.;

Loffredo, Procedimento decisorio e controlli in tema di sequestro preventivo, in

Giur. It., 1991, II, 257; Bertocchi, Il sequestro penale preventivo: delimitazione dell’ambito di operatività; presupposti; conseguenze peculiari dell’autonomia funzionale; tutela dei soggetti passivi, in Riv. ita. Dir. proc. pen., 1983, 970 ss.;

Ramaioli, Il sequestro preventivo nel nuovo codice: oggetto, presupposto area di

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persona, seppur per il tramite di una cosa. A ben vedere, per mezzo del sequestro preventivo si possono andare a comprimere una nutrita serie di libertà costituzionalmente garantite, in via diretta o di riflesso: libertà di domicilio, libertà di iniziativa economica privata, proprietà privata, ecc.; questi risvolti del provvedimento cautelare non potevano certo essere trascurati, motivo per cui la dottrina ha cercato una soluzione che consentisse di delimitare gli effetti pregiudizievoli derivanti dal sequestro, tramite una definizione precisa della sua cornice operativa.

Sebbene si registrino sfumature differenti nel pensiero dottrinale, c’è accordo unanime per quanto riguarda la necessità di quei “gravi indizi di colpevolezza” richiesti dall’art. 273 c.p.p.; in base a questa posizione, sebbene tale condizione non sia espressamente richiamata dal codice all’art. 321, il giudice non potrebbe comunque disporre il provvedimento, qualora non sussistano i “gravi indizi” in questione, così come sono previsti per le misure cautelari personali. Per alcuni60, il requisito di cui si parla emergerebbe implicitamente dalla locuzione “cosa pertinente al reato”, contenuta nell’art. 321 c.p.p., e sarebbe da accertare solo nel corso delle indagini preliminari, giacché, se viene formulata l’imputazione, i gravi indizi devono essere necessariamente presupposti ad essa. Tuttavia, lo strumento più utilizzato è il metodo analogico, con cui la dottrina ha cercato di portare in luce l’affinità, sia di struttura che di ratio ispiratrice, fra l’istituto del sequestro preventivo e le misure cautelari personali; si è inoltre operata una separazione fra le due ipotesi di sequestro regolate all’art. 321 c.p.p., ossia quello non finalizzato alla confisca (comma 1) e quello ad essa preordinato (comma 2), in quanto le due forme presentano caratteristiche diverse: il sequestro a fini di confisca, infatti, è espressione di una tutela cautelare in senso stretto, a differenza del sequestro non finalizzato ad essa, il quale presenta una fisionomia preventivo-interdittiva, pensata per scongiurare un deterioramento del quadro criminoso. Per quanto qui ci interessa, i “gravi indizi di colpevolezza” sono stati ritenuti necessari per poter disporre il sequestro non preordinato alla confisca; per la forma di cui al comma 2 si richiedono invece i “gravi indizi di commissione del fatto” che l’art 312 c.p.p. pone come presupposto per l’applicazione provvisoria di misure di sicurezza (locuzione che è di fatto un “adattamento” del requisito richiesto all’art. 273 c.p.p.).

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Entrambe le posizioni, sia quella dottrinale che quella giurisprudenziale, presentano tuttavia aspetti criticabili e sono, difatti, state oggetto di critiche61.

La posizione della giurisprudenza, infatti, seppur mossa dall’intento di non gravare il giudice di una indagine eccessivamente meticolosa, soprattutto se si è nella fase delle indagini preliminari, nella quale il quadro indiziario è poco più che “abbozzato”, pare sottovalutare l’impatto che il sequestro preventivo può avere su aspetti di rilievo costituzionale, fatto che probabilmente imporrebbe una maggior cautela applicativa. La misura in discorso, infatti, può avere sulla vita di una persona un impatto più forte di alcune misure cautelari personali: si pensi, ad esempio, a quanto blando è, per un imprenditore, l’effetto della misura (personale) di divieto di espatrio, rispetto al sequestro preventivo dello stabilimento in cui si svolge la sua attività d’impresa. Se l’eccessiva “disinvoltura” della giurisprudenza non è da condividere, non per questo la posizione della dottrina è esente da critiche, parendo essa troppo guidata da un rigore garantista, che rischia di tramutarsi in un inutile appesantimento procedimentale, risultante nel rischio di frustrazione delle esigenze per cui il sequestro preventivo è pensato.

2.4.1.1 - Il problema della pericolosità della res

Analizzando le varie sentenze in tema di presupposti per l’applicazione del sequestro, nonostante le differenze di opinione, risulta comune a tutti i giudici (o quasi) il ritenere inestensibile il presupposto dei gravi indizi di colpevolezza, basando questo assunto su una serie di motivi ricorrenti: nel testo delle norme al Titolo II del Libro IV manca un qualsivoglia rinvio all’art. 273 c.p.p.; i diritti che risultano limitati dai due tipi di sequestro hanno diverso rango costituzionale; se si richiede l’accertamento della “gravità” indiziaria, si rischia di instaurare un “processo nel processo”; le cose su cui è disposto il vincolo reale presentano una pericolosità intrinseca.

Proprio in relazione alla pericolosità delle cose, è stata fatta un’analisi più articolata, che ha portato ad ipotizzare una diversa ricostruzione del

fumus62.

61 Fiore, commento a Cass. Pen., sez. feriale, 6 agosto 1992, Consoli, Grassi, in Riv. ita. Dir. e proc. pen., 1995, II, 539 ss.

62 F. Porcu, variazioni cromatiche del fumus commissi delicti nel sequestro

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Secondo la linea di pensiero portata avanti dalla giurisprudenza, le misure cautelari reali, incidendo su una res pericolosa, non su una persona, non dovrebbero presupporre la riferibilità della condotta penalmente rilevante ad un soggetto specifico; la stessa Corte Costituzionale ha detto che “La misura cautelare attiene, per sua

stessa natura, a cose che, nell’ipotesi di sequestro preventivo, presentano un tasso di pericolosità che giustifica l’imposizione della cautela: da qui il rilievo che la cautela […] può prescindere totalmente da qualsiasi profilo di colpevolezza, proprio perché la funzione preventiva non si proietta necessariamente sull’autore del fatto criminoso […]”63. I giudici della consulta, dunque, vengono ad identificare la fonte del pericolo nel rapporto di pertinenzialità fra cosa e reato, senza ulteriori considerazioni; ciò che non convince di questo ragionamento è il fatto che, a ben guardare, spesso accade che beni, magari di uso comune, siano “pericolosi” nel caso specifico (la dottrina ha fatto notare come “si può cagionare la morte di un uomo anche con

un piccolo ago”64) e che dunque si creino situazioni in cui non è la libera disponibilità della cosa in sé a costituire il “pericolo” in questione, stante l’estrema fungibilità del bene considerato. Risulta dunque evidente come l’accertamento circa la pertinenzialità non possa assorbire quello relativo alla pericolosità che dalla res deriva. Analizziamo i due tipi di accertamento: quello sulla pertinenzialità verifica l’esistenza di un nesso di causalità consumata fra l’oggetto della misura ed un illecito che è già stato commesso (io apprendo il bene in quanto usato per commettere un reato), mentre l’accertamento inerente la pericolosità si pone su un piano di causalità potenziale, di indagine su quei possibili sviluppi criminosi che potrebbero essere agevolati dalla libera disponibilità del bene (il bene è pericoloso perché, se resta in circolazione, potrà essere usato per commettere reati o comunque aggravare il quadro criminoso).

Chiarita la differenza di “piani”, c’è da dire come le affermazioni della consulta non siano prive di validità: esse sono certamente valide ed indiscutibili per tutti quei beni che presentano una pericolosità intrinseca, tale a prescindere da chi ne abbia la disponibilità (es: banconote false, sostanze adulterate destinate al consumo, ecc.); ma occorre chiedersi: è ciò che accade nella maggioranza dei casi? Davvero la pericolosità è sempre intrinsecamente legata alla cosa in sé?

63 Corte Cost., 9 febbraio 1994, n. 48. 64 F. Porcu, ivi.

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Non sembra possibile affermare, in assoluto, di poter sempre prescindere dalla posizione soggettiva del destinatario per valutare la pericolosità di una res; quindi, se tale linea di pensiero è sicuramente valida in alcuni casi, non può essere assunta come “regola generale”, perché vi sono altrettanti casi in cui la cosa è pericolosa in quanto nella disponibilità dell’indagato o imputato, non per sua intrinseca natura.

Un esempio emblematico di tale situazione lo si ritrova in un caso affrontato dalla giurisprudenza di legittimità, in cui era disposto il sequestro di un albergo utilizzato per ospitare attività di meretricio65; l’immobile, di per sé, evidentemente non presenta profili di illiceità, in quanto non costruito abusivamente e/o in violazione di norme in materia di edilizia, né di pericolosità; tale immobile è tuttavia sequestrabile legittimamente, in quanto diviene “pericoloso” nel momento in cui ne dispone chi possa impiegarlo per le finalità illecite di cui sopra.

Simile lettura è stata, in dottrina, proposta66 partendo da una sentenza della Cassazione67, con la quale la corte affermava come il decreto che dispone il giudizio rappresenti un limite invalicabile per la possibilità di riesame circa la sussistenza del fumus commissi delicti, in quanto l’accertamento compiuto dal G.u.p. al fine di decidere se rinviare o meno a giudizio l’indagato sarebbe più approfondito di quello, sommario, necessario per disporre lecitamente la misura cautelare ed avrebbe quindi potere assorbente su quest’ultimo. Come ovvia conseguenza del ragionamento appena esposto, una volta intervenuto il decreto di rinvio a giudizio il soggetto colpito dal sequestro non potrà più proporre censure riguardanti la valutazione del

fumus da parte del Giudice per le indagini preliminari68.

La posizione dottrinale in analisi prende le mosse da una valutazione della “oggettività” o meno della misura del sequestro preventivo, cioè del suo essere o meno legata esclusivamente alla res che va a colpire, ovvero anche al soggetto che si presume essere l’autore del reato. Se è vero, si dice, che nella stragrande maggioranza dei casi la funzione preventiva si realizza a prescindere dalla appartenenza o meno del bene all’imputato, ci sono ipotesi in cui anche il “chi”, non solo il “cosa”, è rilevante.

65 Cass., Sez. III, 2 febbraio 2001, Giorgetti.

66 Caneschi, Connotazione “oggettiva” o “soggettiva” del sequestro preventivo e valutazione del fumus commissi delicti dopo il rinvio a giudizio, in Cass. Pen., 2011,

II, 595 ss.

67 Cass., sez. V, 17 aprile 2009, n. 30596.

68 Per una esposizione più dettagliata dell’iter seguito dalla corte, si veda Caneschi,

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Il caso più eclatante è sicuramente riferibile al sequestro a fini di confisca del profitto del reato; tale cautela è prodromica, come il nome stesso suggerisce, alla futura confisca dei beni sequestrati, misura che ha una indubbia connotazione soggettiva: simile rimedio sarà disposto esclusivamente nei confronti di coloro che abbiano partecipato alla commissione del reato; sarà, a tali fini, necessario vagliare la ipotesi di responsabilità dell’imputato (o indagato). Come sostenuto anche da altri autori69, non è possibile procedere con una simile misura quando, ad esempio, sia evidente sin dalle indagini preliminari che il profitto del reato non è mai stato incamerato dall’imputato, pena l’incappare in “vistosi problemi di costituzionalità”; si dice, ancora, che “se la misura

reale viene disposta non già per far cessare una situazione di

periculum direttamente riconducibile alla disponibilità per l’imputato

delle risorse derivategli dal fatto illecito, ma nella sola prospettiva della anticipata esecuzione di una sanzione pecuniaria aggiuntiva […], la norma processuale finisce inevitabilmente per confliggere con la fondamentale regola di trattamento dell’imputato statuita dall’art. 27, comma 2, Cost.”70.

Afferma dunque, il pensiero in analisi, che, all’esito di quanto sopra esposto, si deve ritenere di poter distinguere fra sequestro preventivo a connotazione “oggettiva” od a connotazione “soggettiva”. Nel secondo caso, in virtù del fatto che l’accertamento compiuto in sede di udienza preliminare non è tanto incentrato sui profili di colpevolezza soggettiva dell’imputato, quanto piuttosto sulla sostenibilità della prospettazione accusatoria in dibattimento alla luce degli elementi presentati e, quindi, sulla opportunità di passare a tale seconda fase del processo, non sia da ritenersi accettabile il prospettato “assorbimento” dell’accertamento richiesto da parte del decreto di rinvio a giudizio, il quale non costituisce quella “valutazione di merito di tale incisività da assorbire

l’apprezzamento dei gravi indizi di colpevolezza”71 che la Corte

Costituzionale, in riferimento alle misure personali, richiedeva nel ’96 perché una simile preclusione potesse sostanziarsi. Oltretutto, il decreto che dispone il giudizio è un provvedimento non motivato, il quale, si dice, ha la forma tipica degli atti interlocutori.

Ciò che l’autrice in questione propone, dunque, è una posizione più “mediata”, che distingue i casi in cui l’autore del reato è rilevante per i fini del sequestro preventivo, da quelli in cui non lo è, graduando di

69 Ceresa-Gastaldo, Garanzie insufficienti nella disciplina del sequestro preventivo,

in Cass. Pen., 2010, XII, 4443.

70 Ibidem.

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conseguenza l’accertamento del fumus e, quindi, anche l’intervenire o meno della preclusione al riesame dello stesso; lettura che si ritiene qui di condividere.

2.4.2 – Il periculum in mora: a) Le caratteristiche; b) Più sequestri sullo stesso bene?; c) La “cosa pertinente al reato”

a) Le caratteristiche – L’art. 321 c.p.p., al suo primo comma, ci dice che è compito del sequestro preventivo impedire che “una cosa

pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolare la commissione di altri reati”.

Dunque, il periculum giustificante l’applicazione della misura in discorso si sostanzia nella probabilità di un danno futuro conseguente alla disponibilità materiale o giuridica della cosa pertinente al reato, che può derivare, come ha specificato la giurisprudenza72, anche dalla semplice idoneità della cosa a contribuire al perfezionamento del reato, non solo da una sua potenzialità direttamente lesiva dell’interesse protetto da una norma penale.

Anzitutto, quindi, è necessario che vi sia un nesso di pertinenzialità fra la res ed il reato, per cui essa sia intrinsecamente collegata al reato stesso in modo specifico, e non in una relazione di semplice collegamento occasionale con questo73, sebbene la pertinenzialità in discorso possa esistere anche a seguito di un legame indiretto fra la cosa ed il reato74.

Dottrina e giurisprudenza sono concordi nell’asserire che non si possa ritenere esistente un periculum se esso non sia concreto ed attuale. Per quanto riguarda la commissione di nuovi reati, questi non devono essere necessariamente della stessa specie di quello per cui si procede, considerando che manca all’art. 321 una previsione analoga a quella presente all’art. 274, lett. c), c.p.p.; il giudice, in merito, dovrà ovviamente procedere con la necessaria cautela e, soprattutto, con un rigore argomentativo tale da evitare che il giudizio in questione si risolva in una mera astratta prognosi di commissione di nuovi reati75.

72 Cass., Sez. VI, 28 aprile 2006, F., CED 234764.

73 Come specifica, fra molti, Cass., Sez. V, 30 ottobre 2014, B., CED 262164. 74 Anche qui, fra molti, Cass., Sez. II, 19 giugno 2013, P., CED 256100.

75 E. Selvaggi, sub art. 321, in Commento al codice di procedura penale, coordinato

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La concretezza e l’attualità sono condizioni necessarie per entrambi i “tipi” di pericolo che giustificano la misura, quindi anche per il caso di rischio di commissione di reati ulteriori.

Giurisprudenza recente, seguendo una linea di pensiero che è ad oggi maggioritaria, ritiene che il sequestro preventivo debba rispettare quei principi di proporzionalità, adeguatezza e gradualità che l’art. 275 c.p.p. sancisce in materia di misure cautelari personali e che, quindi, il giudice abbia l’obbligo di motivare circa la impossibilità di pervenire allo stesso risultato tramite l’applicazione di misure cautelari meno invasive76.

Inoltre, dopo alterne vicende giurisprudenziali, è ad oggi senza dubbio ritenuto irrilevante, ai fini della valutazione di pericolosità del bene, che la fattispecie criminosa si sia o meno realizzata in toto77.

b) Più sequestri sullo stesso bene? – Discutendo sul periculum in

mora, ci si è domandati se, qualora esso sussista in tutte le sue

caratteristiche, sia possibile disporre un sequestro preventivo su beni già gravati da altra forma di sequestro78.

Di fatto il caso più frequente è quello della cosa già sottoposta a sequestro probatorio.

Peraltro la questione non è recente, essendo stata portata innanzi le Sezioni Unite della Cassazione più di venti anni or sono, ed avendo ricevuto da queste risposta affermativa: è possibile disporre un sequestro preventivo su beni già gravati da sequestro probatorio purché

76 Cass., Sez. III, 7 maggio 2014, K., CED 261509; Cass., Sez. Un., 29 gennaio 2015,

Fazzo e altro, CED 264089, che ha ritenuto legittimo il sequestro preventivo di un sito web o singola pagina imponendo al fornitore di servizi internet, anche in via d’urgenza, di oscurare una determinata risorsa o di impedire l’accesso degli utenti alla stessa, per evitare la protrazione delle conseguenze dannose del reato. Contra, meno recentemente: Cass., Sez. III, 16 gennaio 2007, R. ed altri, CED 234690.

77 In particolare la vicenda si è consumata relativamente al caso della costruzione

abusiva ormai ultimata. Un orientamento più risalente, ormai superato, riteneva invero che, una volta completata la costruzione e, quindi, consumatosi il reato, non fosse più ammissibile il sequestro preventivo dell’immobile, essendo impossibile che la libera disponibilità dello stesso fosse idonea ad aggravare o protrarre le conseguenze del reato stesso (Cass., Sez. III, 3 luglio 2001, Minopoli ed altro, CED 220174). Viceversa, ad oggi è pressoché pacifico ritenere che, stante la necessità della concretezza ed attualità del pericolo, l’essersi il reato già perfezionato non è condizione ostativa alla disposizione del sequestro preventivo (Cass., Sez. Un., 29 gennaio 2003, P.M. in proc. Innocenti, CED 223721). La corrente interpretativa avviata dalle Sezioni Unite ha trovato ampio seguito nella giurisprudenza successiva, la quale ha precisato ulteriori aspetti, come l’inidoneità a scongiurare il sequestro della semplice presentazione della richiesta di permesso di costruire in sanatoria (Cass., Sez. III, 28 settembre 2011, P.M. in proc. R. ed altro, CED 251304).

78 A. Bassi, La cautela nel sistema penale: misure e mezzi di impugnazione, 2016,

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– in linea con quanto detto a proposito del periculum – vi sia un pericolo concreto ed attuale di cessazione del vincolo già imposto sul bene, con il conseguente rischio della restituzione del bene stesso79.

La decisione in commento ha fra l’altro chiarito anche che concretezza ed attualità sono caratteristiche essenziali del periculum e che esse devono essere valutate con riguardo alla situazione in essere al momento della disposizione della misura; è chiaro che, allo stesso tempo, non si richiederà, perché il periculum effettivamente sussista, che sia già avvenuta la restituzione, ma la possibilità di un tale evento dovrà essere reale ed imminente al momento in cui si richiede il sequestro preventivo80.

La posizione delle Sezioni Unite è stata accolta con favore. È infatti pacificamente condiviso dalla giurisprudenza l’assunto secondo il quale le due forme di sequestro assolvano a funzioni totalmente differenti, ragione per la quale è ben possibile che, soddisfatta una delle due esigenze – quella probatoria – resti non tutelata l’altra e sia, quindi, giustificata la disposizione di un’ulteriore misura sullo stesso bene.

c) La “cosa pertinente al reato” – Con una formulazione analoga a quella rinvenibile all’art. 253 c.p.p., in materia di sequestro probatorio, l’art. 321 ci dice che oggetto del sequestro è la cosa pertinente al reato.

La norma – ancora una volta analogamente a quanto fa l’art. 253 – non fornisce tuttavia una definizione di cosa debba intendersi per “pertinenza” al reato e, inoltre – stavolta a differenza di quanto accade per il sequestro probatorio – non fa nessun riferimento al “corpo del reato”.

Dunque la formulazione dell’art. 321, comma 1, a prima vista delinea un ambito oggettivo più ristretto di quello disegnato dall’art. 253.

Tuttavia, sia la giurisprudenza81, sia la dottrina82 ritengono che il “corpo del reato” sia in sostanza una specificazione della più ampia

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