• Non ci sono risultati.

2. Literature review.

2.8. La prevedibilità dei rendimenti.

Yang et al.57(2006) hanno approfondito l’analisi sulla prevedibilità dei rendimenti. I primi test fondati sulla prevedibilità dei rendimenti passati delle azioni hanno fallito nel rifiutare la teoria del “random walk”, una teoria che considera l’andamento dei prezzi azionari non legato ad alcuna variabile o fattore predeterminabile. I titoli seguono un percorso imprevedibile58 confermando la teoria semi-forte dei mercati efficienti59. Dalla ricerca è emerso che i rendimenti delle azioni growth possano essere considerati più prevedibili di quelli prodotti dalle azioni value. Il confronto si riferisce a 13 indici nazionali nel periodo 1975-2004. Probabilmente, le azioni growth hanno un pattern più prevedibile, come dimostrato da Campbell et al.60(2004), perché le azioni value sono più sensibili agli shock nei tassi di sconto, che hanno solo un effetto temporaneo sui prezzi azionari.

Lakonishok61(1994) suggerisce che i rendimenti delle azioni growth e value siano prevedibili a causa della correzione attesa dovuta al mispricing: inizialmente, le azioni growth tendono ad essere overpriced mentre sono underpriced le azioni value. L’autore ha voluto dimostrare come il value premium e quindi il maggiore rendimento delle strategie value non sia riconducibile al rischio ma al fatto che queste strategie sfruttano le lacune nel giudizio degli investitori. La ricerca ha preso in considerazione diverse metriche per valutare i rendimenti nel periodo 1963-1990:

- Il livello book value/market value(B/M). Un basso valore potrebbe essere originato da molti assets intangibili che vengono iscritti a conto economico e non in stato patrimoniale, oppure dalla presenza di molte opportunità di crescita non incluse nei dati contabili ma riflesse nel valore di mercato. Ancora, una azione il cui rischio è basso e i flussi di cassa futuri sono scontati ad un tasso inferiore alla media avrà un basso rapporto B/M oppure semplicemente si tratta di una azione sopravvalutata.

57 Yang, J., and X. Su, 2006, “Are Value and Growth More Predictable than the Market?”, March

58 Malkiel, B.G., 2005. Reflections on the Efficient Market Hypothesis: 30 Years Later Financial Review

40,1-9

59 Chordia, T., Roll, R., and Subrahmanyam, A., 2005. Evidence on the speed of convergence to market

efficiency. Journal of Financial Economics 76, 271-292.

60 Campbell, J., and Vuolteenaho T., 2004. Bad Beta, Good Beta, American Economic Review 94, 1249-

1275

61 Lakonishok, J., Sheleifer, A., and Vishny, R.W., 1994. Contrarian investment, extrapolation, and risk.

79 - Il valore cash flow/price(C/P). Un valore elevato comporta un tasso di crescita dei cash flow basso mentre un valore basso rappresenta un alto tasso di crescita atteso dei flussi di cassa. Lo stesso può dirsi per il rapporto earnings/price(E/P) in relazione al tasso di crescita degli utili. Quindi differenze nei valori dei rapporti considerati dipendono dai tassi attesi di crescita.

- Il valore dell’ultimo anno di crescita delle vendite (GS).

In relazione al rapporto C/P il rendimento differenziale medio annuale nei successivi 5 anni dalla costituzione dei portafogli tra azioni value e growth è positivo e pari all’11%. Per il rapporto E/P il differenziale è stato del 7,6%. Il valore inferiore è stato originato probabilmente dal fatto che alcune azioni con utili temporaneamente in calo siano rientrate nei portafogli di azioni growth con bassi E/P. Queste azioni essendo in realtà considerabili value non registrano nei periodi futuri bassi rendimenti come quelli registrati dalle azioni growth e quindi hanno aumentato indirettamente le performance dei portafogli growth riducendo il valore differenziale. Il rendimento differenziale dalla classificazione delle azioni in base al B/M tra value e growth è stato del 10,5% mentre considerando i valori di crescita passati delle vendite questo valore è pari al 6,8%. Questa elencazione dimostra come sia possibile ottenere rendimenti superiori investendo nelle azioni che, nel momento di analisi, verrebbero escluse a causa dei loro fondamentali “scarsi” ovvero una crescita passata delle vendite inferiore alla media di mercato o addirittura in calo e un basso tasso di crescita atteso di utili e flussi di cassa assieme a poche opportunità di crescita future scontate nel valore di mercato dimostrato da alti valori di B/M.

Questa situazione viene spiegata in parte da Kahneman et al.62(1982): uno dei principi alla base della previsione statistica, che è anche il meno intuitivo, è relativo al fatto che gli estremi delle previsioni devono essere moderati dalla considerazione della stessa prevedibilità. Minore sarà la prevedibilità e il più vicino possibile dovrà essere la previsione ai valori della classe media tra quelli considerati. Previsioni estreme spesso vengono costruite sulla base di informazioni la cui credibilità e previsione sono conosciute per essere basse.

62 Kahneman, D., and A. Tversky, 1982, Intuitive prediction: Biases and corrective procedures, in D.

Kahnema, P. Slovic, and A. Tversky, Eds.: Judgment under Uncertainty: Heuristics and Biases (Cambridge University Press, Cambridge, England).

80 Per spiegare l’applicazione pratica, gli investitori contrari al mercato dovrebbero vendere azioni con alta crescita passata e alta crescita attesa futura(azioni growth) e comprare azioni con bassa crescita passata e bassa crescita attesa (azioni value). I prezzi di queste azioni saranno i più prossimi a riflettere il fallimento degli investitori nell’imporre l’attrattività dei prezzi ai loro valori medi nelle previsioni di crescita.

I portafogli creati dalle società più grandi dei campioni considerati nello studio, mantenendo la distinzione tra value e growth, hanno prodotto rendimenti differenziali simili a quelli complessivamente raggiunti a dimostrazione che l’effetto dimensionale risulta limitato e non rilevante.

Per essere considerate più rischiose delle azioni growth, le azioni value dovrebbero avere qualche caratteristica peggiore delle precedenti ad esempio rispondere più negativamente agli shock legati a periodi di recessione. Tuttavia considerando le 4 fasi di recessione avvenute durante il tempo di analisi del campione, il value premium si è mantenuto leggermente positivo tranne solo in un periodo dove è stato negativo. Inoltre, considerando i mesi peggiori i portafogli value hanno sovraperformato quelli growth e nei 25 mesi peggiori in media i primi hanno registrato una contrazione dell’8,6% mentre i secondi del 10,3%. Quindi strategie value non espongono a un maggior rischio di perdite rispetto a quelle growth. Tuttavia la deviazione standard media value è stata del 24,1% mentre quella growth del 21,6%. Non ci sono differenze nei beta dei portafogli(0,1 tra i due). A causa del rendimento medio più elevato per la strategia value, la più alta deviazione standard non si traduce in un più ampio rischio di perdite. Questo maggior valore dipende anche dalla più bassa capitalizzazione media delle azioni value, dato che la deviazione standard aggiustata per capitalizzazione è virtualmente la stessa tra value e growth. In conclusione, il value premium è eccessivo rispetto al rischio sostanzialmente sopportato. Secondo l’autore l’unica spiegazione per comprendere il motivo di una cosi stabile permanenza del value premium negli anni è attribuibile alla mancata conoscenza del fenomeno o la sua mancata considerazione dagli investitori, i quali hanno preferito altre strategie più provate statisticamente. Altre considerazioni sulla permanenza del value premium riguardano:

- Gli investitori individuali, i quali pongono maggiore attenzione ai rendimenti recenti e alla crescita recente delle società growth anche se una tale crescita difficilmente potrà perdurare. Alternativamente, essi possono paragonare

81 l’acquisto di azioni di società gestite al meglio come un buon investimento, a prescindere dal prezzo pagato.

- Gli investitori istituzionali, preferiscono le azioni growth perché appaiono più prudenti e più facilmente giustificabili con meno pericoli finanziari rispetto alle azioni value. Tuttavia lo studio ha dimostrato che le azioni growth non sono più sicure di quelle value e nemmeno generano un rendimento atteso superiore.

- Un orizzonte temporale breve, che non consente alle azioni value di dimostrare effettivamente i loro rendimenti superiori nel lungo termine.

Si è dunque evidenziato il fenomeno del value premium considerato in termini di rendimenti e deviazione standard. Le ricerche hanno portato a considerare le azioni di valore come titoli che generano rendimenti superiori in relazione al rischio assunto. I titoli growth al contrario non generano tali rendimenti ma sono più facilemnte collocabili presso il pubblico di investitori data la loro performance recente. È emerso che una strategia migliore è quella di acquistare titoli con recenti performance inferiori al mercato e vendere titoli con performance superiori. Si pone quindi troppa enfasi sui rendimenti recenti e non si considera invece il futuro delle società che incorporano nei prezzi la sfiducia del mercato. Probabilmente gli analisti falliscono nel considerare i fattori legati alla competizione e ad altri elementi che riducono i rendimenti attesi dei titoli growth e portano all’equilibrio quelli dei titoli value.