Homelessness: origini e antropologia
1.1 La Romania socialista (1945-1965)
La storia del XX secolo rumeno è una storia di dittature e collusioni politiche. Dalla graduale salita al potere delle guardie di ferro di Codreanu (anni '30), all'instaurazione di un regime antidemocratico guidato da Antonescu (anni '40), all'affermarsi prima del socialista Gheoghiu- Dej (anni '50) e poi del più noto Ceauşescu (anni '60), la Romania ha conosciuto non solo frequenti cambi di governi reazionari, ma pure tanto rapide quanto spiazzanti virate ideologico- economiche che ne hanno confuso e limitato lo sviluppo. Dalle ceneri di uno stato fascista sconfitto dalle bombe e dai proiettili russi è inizialmente sorto un baluardo del socialismo di fedelissimo impianto stalinista, che ha successivamente permesso a Ceauşescu di dominare come capo di partito prima e come pater familias poi, su una nazione nascosta agli occhi dell'occidente dalla coltre di ferro della guerra fredda.
Ma procediamo con ordine. La sconfitta della Romania fascista nel 1945 aprì le porte all'invasione militare da parte della Russia, orientata fin da subito ad imporre agli sconfitti la propria ideologia sovietica. All'occupazione militare e alla fucilazione del Conducâtor Antonescu, seguirono concreti atti di assimilazione culturale tra i due paesi che presero la forma di iniziative come la “diffusione di testi; la creazione nel 1947 dell'istituto di studi rumeno- sovietico; nel 1948, l’inaugurazione del museo rumeno-sovietico e dell'istituto Massimo Gorki; l’obbligo di studio della lingua russa a partire dai sette anni di età fino all'università; la valorizzazione delle influenze slave nella lingua rumena...”(Pirzio Ammassari G., D'Amato M.,
56
Montanari A. 2001, p. 49). Ma l'ingerenza russa non si limitò alle influenze politiche, scolastiche e istituzionali, giunse ad alterare le stesse fondamenta culturali del paese. “Lo stile sovietico si impose, non solo nell'insegnamento della storia ma anche nell'architettura. Se la Bucarest dell'anteguerra era stata considerata una piccola Parigi, ora i nuovi quartieri vennero costruiti seguendo lo stile del realismo socialista: grandi blocchi in cemento al posto dei palazzi
liberty” (Pirzio Ammassari G., D'Amato M., Montanari A. 2001, p. 49). La monumentalità di
questi edifici, solide vestigia di una fase storica ancora recente, è stata alla base della prima forma di spaesamento che ho provato al mio arrivo in Romania. Ai palazzi di chiara ispirazione russa costruiti nei primi anni del socialismo, sono infatti seguite costruzioni tanto monumentali (su tutti il centro civico rivisitato da Ceauşescu) da eccedere in dimensioni e portata ideologica gli stessi edifici sovietici, restituendo così uno skyline cittadino che porta i segni non solo di un passato multiforme, ma pure di una multiforme idea di socialismo.
Socialismo che agli albori degli anni '50 era al centro di una disputa ideologica tra correnti di pensiero filosovietiche. Dalla lotta emerse vincitore il “Gruppo Nazionale” il quale, grazie alla rimozione degli oppositori politici guidati da Ana Pauker (leader de facto del partito comunista dell'immediato secondo dopoguerra e della frangia “moscovita”) inaugurò un periodo di attenta collaborazione politica con l’URSS. L‘intenzione dei “nazionalisti” componenti questa frangia maggioritaria, era quella di mantenere una certa autonomia politica pur restando fedeli ai precetti sovietici stalinisti, soprattutto in tema economico. Fu questa volontà a plasmare la politica degli anni seguenti. Questi sono gli anni della prima forma di transizione che vide protagonista la Romania, entrata ufficialmente “in a transition from capitalism to socialism” (Popa C. in Pop I.A., Bolovan I. 2006, p.626). Lo stesso periodo fece inoltre da sfondo all’affermazione politica di Gheorghe Gheorghiu-Dej, militante di lunga data della frangia dei comunisti nazionalisti. Già nel 1952 Dej era infatti sia a capo del consiglio dei ministri che segretario generale dell’unico partito del paese, e la sua intelligente politica rese ben presto la Romania l'alleato più importante della Russia nei Balcani. La fiducia di cui godeva tra i sovietici gli permise così di attuare le politiche nazionaliste che il suo partito pianificava da già tempo. Infatti: “convinced that socialism was superior to any other political system, and that he had
discovered the perfect potion of communism, Dej combined the “peaceful distancing” form Moscow with a mixture of restrictive and liberal policies inside the country. His greatest desire was to hold on to power, not to stay away from Moscow and change Romania into an independent country” (Popa C. in Pop I.A., Bolovan I. 2006, p.646).
57
Iniziò quindi per la Romania un pianificato e intelligente percorso di allontanamento dall'Unione Sovietica che l'avrebbe vista impegnata per almeno un decennio, attuato al fine di soddisfare non solo i piani politici di Dej e del suo partito, ma pure quelli di una popolazione che già da qualche anno si era professata contraria a molte delle ingerenze russe nella nazione, ricorrendo talvolta alla violenza. Pretesto perfetto per la separazione fu offerto dalla fuga di informazioni che vide Khrushchev, l’erede di Stalin, al centro di uno scandalo internazionale. L’intenzione del nuovo leader sovietico era infatti quella di avviare una destalinizzazione dell’intero apparato ideologico ed economico sovietico, inaugurando in questo modo un corso nuovo per la storia dell’URSS. Inutile dire che questo importante tentativo di quasi- liberalizzazione dei precetti sovietici trovò un grande numero di oppositori tra le nazioni socialiste. Man forte alle mire indipendentiste della Romania giunse così dalla Cina di Mao, anch'essa contraria al revisionismo di Khrushchev, la quale accusava l'URSS di aver perso di vista i valori della rivoluzione in seguito ai contatti con gli USA. Di fatto, l’avvenimento che suggellò l'allontanamento della Romania dal blocco sovietico fu quello della crisi dei missili cubani, in cui il governo Dej comunicò ufficialmente che in caso di guerra aperta tra i due schieramenti la Romania sarebbe rimasta neutrale.
L’ufficialità della separazione avvenne appena un anno dopo, nel 1964, quando l'indebolimento dell'URSS dovuto alla deposizione di Khrushchev, permise alla Romania di poter pronunciarsi finalmente indipendente senza il timore di ripercussioni. Facendo appello al diritto “of every
communist party to independence, equality of rights and noninterference in internal affairs”
(Bulei I. 1997, p.144), per la prima volta in più di un decennio la Romania poteva dirsi di nuovo padrona del proprio destino. L'opinione pubblica accolse tale avvenimento con soddisfazione e speranza, e le conseguenze furono inizialmente felici; “in 1965, a series of Romanian-Soviet
institutions with the unmistakable role of creating propaganda were dismantled, Russian was removed from the mandatory curriculum, and the names of some famous boulevards and buildings became romanian again” (Popa C. in Pop I.A., Bolovan I. 2006, p.652). Nello stesso
anno anche gli ufficiali del KGB presenti nel Securitate dovettero lasciare il paese e Brezhnev, il successore di Khrushchev, desiderando oltre ogni cosa l'instaurazione di rapporti amichevoli con le forze socialiste, non poté che confermare le volontà rumene.
Liberatasi definitivamente dal giogo sovietico, la Romania poté finalmente proseguire in quelle politiche autonomiste che le avrebbero permesso di crescere internamente. Nel 1965 al restaurato orgoglio nazionale si accompagnò però il lutto; infatti, nel marzo di quello stesso
58
anno Dej cadde vittima di un tumore ai polmoni. Al suo posto venne eletto in veste di segretario generale del partito il più giovane membro del suo gabinetto, il pluri-ministro Nicolae Ceauşescu, futuro ultimo dittatore di Romania.