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Come abbiamo visto, la censura sull'art.32, secondo comma della legge regionale citata è stata sollevata sia dal Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, sia dal Tribunale di Massa con ordinanza del 17 marzo 2016. La Corte Costituzionale riuniva i due giudizi in quanto sollevanti questioni analoghe. In via preliminare la corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo l’intervento dei soggetti privati nel giudizio promosso dal Presidente dei Ministri sull’art.32 della l. regionale, in quanto il giudizio di costituzionalità delle leggi promosso in via d’azione (art.127 della costituzione e artt.31 e seguenti della legge 11 marzo 1953, n.87), si svolge solo tra soggetti titolari di poteri legislativi.

La Corte accoglie la questione di legittimità costituzionale dell'art.117, comma due, lettera l, dichiarandola fondata, in quanto la Regione avrebbe ricondotto la disciplina dei beni estimati sotto la disciplina dei beni del patrimonio indisponibile del comune, attraverso una “interpretazione autentica” dell'editto di Maria Teresa. Tale tipo di interpretazione, dice la Corte, può essere condotto solo dallo Stato. Ciò è stato in particolare precisato dalle sentenze n.232 del 2006 e n.290 del 2009 della Corte Costituzionale che hanno stabilito che “la

potestà di interpretazione autentica spetta a chi sia titolare della funzione legislativa nella materia in cui la norma è riconducibile.”

La regione non ha, dunque, il potere di operare un’interpretazione autentica, in quanto essa spetta a chi sia titolare della funzione legislativa nella materia cui la norma è riconducibile e nel nostro caso l'individuazione della natura pubblica o privata dei beni appartiene alla materia “ordinamento civile”, che è di competenza esclusiva dello Stato. Nel preambolo della legge regionale leggiamo che essa ha lo

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scopo di salvaguardare le “particolarità storiche, giuridiche ed economiche che caratterizzano i beni compresi nel suo territorio”, tra i quali anche i beni estimati. La regione ha ecceduto così i limiti della propria competenza, non in ragione degli interessi pubblici che ha inteso tutelare, “ma perché a tale tutela la Regione deve, se lo ritiene,

provvedere con le competenze che possiede, non con competenze che costituzionalmente non le spettano.”

Non può infatti stabilire la natura pubblica o privata dei beni, che è materia di ordinamento civile e dunque dello Stato.

La Corte, dopo aver operato una breve ricostruzione storica, mette in luce come, dopo l’emanazione dell’editto del 1751 e fino ad oggi, le inefficienze dell’amministrazione siano state tali da non aver messo ordine alla materia. L’editto del 1751, infatti, scrive la Corte, “si

limitava a cancellare l’obbligo del livello per le cave per le quali esso non fosse stato pagato da più di venti anni. Le cave così identificate vennero definite “beni estimati”. La Corte non esclude che i beni

estimati appartengono al patrimonio indisponibile del comune, in quanto ciò era anche ribadito dallo statuto di Alberico I Cybo Malaspina nel 1574 “tutti gli agri marmiferi erano di proprietà delle

antiche vicinanze, da chiunque fossero detenuti e utilizzati, e i detentori erano perciò tenuti al pagamento alle vicinanze dell’annuale livello”.

La Corte però sottolinea che, nonostante ciò, è incontrovertibile il fatto che il comune non abbia mai considerato i beni estimati come beni del patrimonio indisponibile del comune e che nemmeno il regolamento del 1994 del comune di Carrara li abbia inclusi. Così come nemmeno la legge regionale n.104 del 1995 tratta specificamente i beni estimati. Alla stregua di ciò, la Corte ritiene che la regione includendoli nella nuova legge regionale abbia operato una novazione. Il regime giuridico di questi beni, dunque, non è mai stato definito in modo sicuro e certo. Da sempre, a causa delle inefficienze

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dell’amministrazione, non si è mai riusciti a porre una disciplina chiara e ordinata. Dunque, la riconduzione che la legge regionale del 2015 fa all’art.32 comma 2, si pone come dicevo prima come “interpretazione autentica” ed è in contrasto con la prassi precedente. La regione avrebbe così bypassato la sua competenza ed ecceduto i limiti alla propria potestà legislativa.

La Corte rigettava l'eccezione sollevata dalla Regione in relazione a: 1. l'erronea ricostruzione del quadro normativo da parte dello Stato, basata sul presupposto che la legislazione estense sia stata abrogata dalla legge mineraria del 1927; la Corte sostiene infatti, che è vero che ha stabilito con sentenza n.488/1995 che solo quando i due comuni di Massa e Carrara avrebbero emesso il regolamento auspicato dal comma 3 dell'art.64 della Legge del 1927, la legislazione estense sarebbe stata superata; ma si ritiene anche che ciò può essere tutt'al più motivo di infondatezza della questione e non di inammissibilità;

2. inammissibilità del ricorso da parte dello Stato in relazione alla genericità delle censure. Infatti la corte rileva come lo Stato abbia messo in luce la controversa natura giuridica dei beni estimati, attraverso una ricostruzione storica completa;

3. alla natura ricognitiva della norma. La giurisprudenza della Corte Costituzionale ha ritenuto che essa si debba “esprimere sul giudizio di rilevanza costituzionale solo accertando l'esistenza di una motivazione sufficiente, non palesemente erronea o contraddittoria senza spingersi fino a un esame autonomo degli elementi che hanno portato il giudice a quo a determinate conclusioni”. Nel caso di specie il Tribunale di Massa ha messo più volte in luce la portata innovativa della norma. L'art.32 della legge regionale ha dettato una disciplina organica dell'attività estrattiva, al fine di salvaguardare il patrimonio naturale, nel quale rientrano i beni estimati, conformandosi al codice dei beni culturali, non

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tenendo però conto del rispetto dell'assetto normativo e giurisprudenziale che classifica i beni estimati come beni privati consolidatosi nel tempo.

Così la riconduzione di tutte le cave al medesimo regime concessorio è in contrasto sia con il diritto vivente, che a causa di una inefficienza continua dell’amministrazione che non ha mai posto certezza su tale questione, sia con il regolamento comunale di Carrara del 29 dicembre 1994, il quale ha abrogato la legislazione estense e sia con la l.reg. Toscana 28 febbraio 1995, n.104.

Pertanto la Corte Costituzionale in data 20 settembre 2016, presieduta da Paolo Grossi, ha emesso la sentenza n.228 dichiarando l'illegittimità dell'art.32, comma 2 della legge regionale Toscana 25 marzo 2015, n.35. Infatti esso “è incostituzionale nella parte in cui

procede ad una qualificazione dei "beni estimati" (cave marmoree di limitate dimensioni territoriali) nel senso della natura pubblica dei medesimi, quali facenti parte del patrimonio indisponibile dei comuni di Massa e Carrara.”

Restano inoltre assorbiti gli ulteriori profili di censura, riferiti agli artt.3, 24, 42, 97, 102, 111, 117, primo comma, Cost., in relazione all'art.1 del Primo Protocollo addizionale alla CEDU, e art.117, terzo comma, Cost.

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CAPITOLO 3

LA GIURISPRUDENZA DELLA CEDU A

CONFRONTO CON LA DISCPLINA

ITALIANA

Il seguente capitolo è volto alla comparazione dei casi esaminati dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo con il caso italiano trattato nei capitoli precedenti. In particolare, prenderò in esame quelle sentenze che a mio avviso più si avvicinano alla dibattuta questione dei beni estimati disciplinati dall’Editto di Maria Teresa Cybo Malaspina. Partirò operando una ricostruzione in linea generale della disciplina della CEDU, sia nel suo rapporto con l’ordinamento italiano, sia analizzandone il Protocollo addizionale n.1 in tema di proprietà privata. Esaminerò anche il procedimento di espropriazione italiano, facendo riferimento in particolare all’evoluzione della disciplina sull’indennità di esproprio. Poi prenderò in esame due sentenze turche (n.37451/97 e n.16150/06) cercando di mettere in luce la legittimità o meno dell’espropriazione operata dallo Stato, nel caso di specie si tratta dello Stato Turco, su beni demaniali, che il privato ha usucapito in buona fede sulla base di atti della pubblica amministrazione idonei a creare un affidamento meritevole di tutela. Dopodiché tratterò due casi italiani, a mio avviso interessanti, il primo riguardante un caso sito nella laguna veneta, con aspetti analoghi a quelli considerati dalle decisioni turche, ma in riferimento al territorio italiano; l’altro, invece, inerente la modifica al regolamento della Polizia Mortuaria operato dal comune di Massarosa in riferimento a concessioni perpetue su loculi mortuari. Infine approfondirò un caso che è stato sottoposto alla Corte EDU nel 1991, il caso Fredin c. Svezia, molto interessante a mio avviso, che concerne la revoca di una concessione per lo sfruttamento

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di una cava non qualificabile come forma di privazione della proprietà. Alla luce di tali sentenze, su casi che hanno interessato l’Italia e la Turchia su cui si è pronunciata la Corte EDU potremo prospettare delle possibili soluzioni applicabili al caso preso in esame dei beni estimati.

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