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Le norme della nostra Costituzione sono richiamate dalla CEDU, tuttavia il diritto di proprietà è affrontato diversamente dalle due carte. La convenzione per non risultare obsoleta e per aggiungere diritti riconosciuti nel tempo, prevede la possibilità di adottare Protocolli, che sono vincolanti se vi è l’adesione dello Stato156. In particolare il

primo protocollo, firmato a Parigi nel 1952, sancisce tre diritti fondamentali che la Carta non aveva esplicitato: il diritto di proprietà, il diritto all’educazione e il diritto a libere elezioni, a votazioni segrete, alla libertà di espressione politica157.

Analizziamo adesso il primo protocollo addizionale alla CEDU. L’art.1158 è rubricato “Protezione della proprietà” e dispone che

“ogni persona fisica e giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni”159.

Da ciò deriva che nessun soggetto può essere privato della sua proprietà se non per pubblica utilità e nei modi previsti dalla legge. La privazione della proprietà sussiste anche se non si ha un provvedimento formale di esproprio, ma le misure adottate dall’autorità interferiscono col bene fino a essere considerate al pari di una espropriazione160. Si parla in tal caso di “espropriazione di fatto”.

Dunque, se il singolo Stato aderente alla Carta vuole interferire nel diritto di proprietà di un soggetto, lo può fare solo nel rispetto della legge e per esigenza di pubblica utilità.

156 P. Gianniti “La CEDU..”, op. cit., p. 231. 157 P. Gianniti “La CEDU..”, op. cit., p. 232.

158 Art.1 del Protocollo addizionale alla CEDU - Protezione della proprietà- “Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale. Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende.”

159 A. Riccio, “Beni giuridici e proprietà” in P. Gianniti “La CEDU e il ruolo delle corti”, Zanichelli, Bologna, 2015.

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Tre sono in particolare i principi da rispettare per il diritto di proprietà161:

1) Principio di effettività;

2) Principio del margine di apprezzamento; 3) Principio di proporzionalità.

Analizzando il principio di effettività, vediamo che la Corte intende con esso “un obbligo positivo di protezione” da parte dello Stato. Obbligo che lo Stato deve garantire operando un bilanciamento tra gli interessi in gioco. Lo Stato deve infatti garantire le libertà che la convezione disciplina attraverso un atteggiamento positivo, deve cioè concretamente attuare ciò che il diritto sostanziale stabilisce162. Deve

rendere efficace nel caso concreto la tutela del diritto.

Spetta infatti al legislatore nazionale individuare i margini dell’utilità pubblica e dell’interesse generale. La Corte specifica solamente che la disciplina deve avere una “base ragionevole” 163. Occorre notare che il

concetto di pubblica utilità non è enucleato nella Carta. La nozione dell’art.1 è infatti molto ampia. La corte EDU deve così controllare se vi sono state all’interno dello Stato forme dirette o indirette di espropriazione. Lo Stato deve infatti astenersi dal turbare il godimento del diritto di proprietà da parte del singolo, ma deve altresì proteggerlo164. Come dicevo, l’art.1 ha un ambito operativo molto

esteso, esso comprende infatti i diritti assoluti, relativi, su beni mobili o immobili, materiali o immateriali, che siano in godimento reale o personale, della persona fisica o giuridica165. Ma quando, allora,

l’espropriazione da parte dell’autorità è lecita? Quando la proprietà viene sacrificata per un interesse pubblico che sia considerato

161 A. Riccio, “Beni giuridici e proprietà..” op. cit., p. 1300.

162 R. Conti “Diritto di proprietà e CEDU. Itinerari giurisprudenziali europei. Viaggio fra Carte e Corti alla ricerca di un nuovo statuto proprietario” Exeo

edizioni, 2012.

163 R. Conti “Diritto di proprietà e CEDU…” op. cit.,. p. 28. 164 A. Riccio, “Beni giuridici e proprietà..” op. cit., p. 1302.

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superiore al diritto del singolo166. Per citare Roberto Conti “la

questione del rispetto del giusto equilibrio fra l’interesse generale della comunità ed il rispetto dei diritti umani fondamentali diventa rilevante solo quando si è stabilito che l’interferenza soddisfa il requisito della legalità e non risulta arbitraria167.”

Ogni ordinamento infatti, come sottolineavo precedentemente, lo individua sulla base dei valori politici, sociali e economici del suo Stato. La Corte EDU applica per la pubblica utilità la teoria del “margine di apprezzamento statale”, rispettando le diversità e le peculiarità che caratterizzano gli ordinamenti interni. Il margine di apprezzamento può essere definito come quello spazio in cui la Corte riconosce agli Stati libertà di azione prima di dichiarare che la misura statale adottata sia in contrasto con una libertà garantita dalla CEDU e che configuri dunque una concreta violazione della Convenzione stessa. La Corte controlla solo che il comportamento adottato dal legislatore non sia irragionevole. Infatti, possiamo dire che il limite della pubblica utilità, più che nel contenuto, vada considerato con riferimento alla razionalità dell’operato dell’autorità nell’attuare l’espropriazione168.

Comunque sia, la Corte per dare una linea da seguire agli Stati, ha disciplinato in modo più specifico il concetto di proporzionalità tra interesse pubblico e diritto di proprietà individuale, stabilendo che occorra trovare un giusto equilibrio tra i due interessi in gioco sulla base dei mezzi utilizzati e dello scopo perseguito da ogni misura applicata dallo Stato. L'articolo 1 del Protocollo n.1 esige che un’ingerenza dell'autorità pubblica che interferisca con il godimento del diritto del privato possa avvenire soltanto "nelle condizioni

previste dalla legge” e che sia proporzionata ai mezzi impiegati e allo

166 A. Riccio, “Beni giuridici e proprietà..” op. cit., p. 1316. 167 R. Conti “Diritto di proprietà e CEDU…” op. cit., p. 28. 168 A. Riccio, “Beni giuridici e proprietà..” op. cit., p. 1317.

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scopo della misura169. Ciò che occorre è un bilanciamento tra

l’interesse generale e l’interesse dominicale170. Il giusto equilibrio sarà

raggiunto ogni volta che l’espropriazione sarà proporzionata rispetto all’interesse generale tenendo conto del sacrificio che il singolo subisce nel caso concreto. Roberto Conti dice infatti che “il concetto

di proporzionalità tra interesse pubblico e ragioni del diritto dominicale” deve essere inteso “proprio in un’ottica protesa a circoscrivere il margine di discrezionalità dell’art.1 del protocollo171”.

La Corte di Strasburgo è stata chiamata a giudicare sulla compatibilità delle disposizioni nazionali con l’art.1 del Protocollo n.1 addizionale alla CEDU. In diversi procedimenti l’Italia è stata condannata al pagamento delle spese di giudizio e al risarcimento danni derivanti ai proprietari che avevano fatto ricorso alla Corte EDU. In particolare l’art.41 della Convenzione stabilisce che, in presenza di una

violazione della CEDU o dei suoi protocolli, qualora il diritto interno dello Stato non permetta se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda un’equa soddisfazione della parte lesa.

169 A. Riccio, “Beni giuridici e proprietà..” op. cit., p. 1324. 170 R. Conti “Diritto di proprietà e CEDU…” op. cit., p. 30. 171 R. Conti “Diritto di proprietà e CEDU…” op. cit., p. 31.

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i.

Espropriazione per pubblica utilità – disciplina italiana

Il Testo unico sulle espropriazioni per pubblica utilità (D.P.R n.327/2001) stabilisce una procedura ad hoc per l’espropriazione. L’espropriazione è un istituito in base al quale un soggetto viene privato della proprietà su di un certo bene, per una causa di pubblico interesse. Lo scopo di tale procedura è quello di trasferire coattivamente la proprietà di un bene da un privato all’ente espropriante. Tale istituto negli anni è stato regolato da diverse leggi, la più importante delle quali è la legge n.2359/1865. Tale legge, considerata la legge fondamentale dell’espropriazione, ha subito nel corso degli anni notevoli modifiche ed erosioni relative a: l’ampliamento della nozione di “opera di pubblica utilità”, la maggiore autonomia del sub-procedimento che dichiara la pubblica utilità, la modifica dei criteri di stima per la determinazione dell’indennità di esproprio172.

Solo con il D.P.R. 8 giugno 2001, n.327, la disciplina sull’esproprio è stata riunita in un atto normativo recante il nome di "Testo unico delle

disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità", rivisitato dal D.Lgs. 27 dicembre 2002, n.302 e

integrato dal D.Lgs. 27 dicembre 2004, n.330 che in attuazione della Legge 27 ottobre 2003, n.290 ha dettato norme speciali relative alle infrastrutture lineari energetiche, e da ultimo, con le modifiche apportate dal D.L. 12 settembre 2014, n.133, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 novembre 2014, n.164.

La legge n.2359/1865 concilia due principi tra loro opposti: la tutela della proprietà privata da un lato e la necessità dell’amministrazione di realizzare un’opera dietro corresponsione di un indennizzo pari al

172 G. Alpa, M. Bessone, G. Morbidelli, D. M. Traina, “Il privato e l’espropriazione”, Giuffrè, Milano, 1998.

86 valore del bene espropriato dall’altro173.

Sia il codice civile (art.834), sia la Costituzione (art.42) hanno previsto che la proprietà privata possa essere espropriata. L’art.42 della Costituzione è sicuramente il pilastro fondamentale di tutto il sistema. Dall’ordinamento si ricavano due principi cardine in materia di espropriazione: la riserva di legge, che impone al legislatore di determinare i presupposti, l’oggetto e i soggetti sottoponibili al procedimento di espropriazione, e l’obbligo d’indennizzo, considerato come elemento essenziale.

Il procedimento di espropriazione, proprio per la delicatezza della sua funzione, è particolarmente rigido e dettagliato. Esso prevede un presupposto obbligatorio e indispensabile: la dichiarazione di pubblica utilità del bene, che deve essere dichiarata espressamente da un atto dell’autorità competente e che degrada i diritti che il soggetto privato ha su di esso174. L’azione dell’amministrazione deve essere

trasparente e deve rispettare i principi costituzionali di uguaglianza e di giusto indennizzo.

Una problematica rilevante affrontata dalla giurisprudenza è costituita dalla controversa questione di calcolo dell’indennizzo dovuto a seguito di espropriazione. Si è assistito infatti a molteplici pronunce che hanno dichiarato l’incostituzionalità di parametri troppo lontani dal valore di mercato del bene. Il rapporto tra l’interesse del proprietario e quello pubblico è problematico. Infatti il primo cerca di avere corrisposto il maggiore ristoro possibile, mentre il secondo cerca di attribuire l’indennizzo attraverso il minor impegno finanziario. Ecco allora che alla luce di ciò si può capire su cosa il dibattito legislativo e dottrinale si sia incentrato. Occorre notare che la Corte Costituzionale ha più volte messo in evidenza che il ristoro non deve essere simbolico.

Se ci guardiamo indietro, lo Statuto Albertino all’art.29 affermava che

173 N. Centofanti, “L’espropriazione per pubblica utilità”, Giuffrè, 2009. 174 N. Centofanti, ibidem.

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tutte le proprietà erano inviolabili e che solo l’interesse pubblico accertato con la dichiarazione di pubblica utilità poteva giustificare l’espropriazione. Viene anche fissato l’indennizzo nel valore venale del bene o del suo giusto prezzo in una libera contrattazione175.

La nozione di pubblica utilità è stata ampliata nel corso degli anni, andando a comprendere anche gli interventi della pianificazione comunale. Si sono susseguite infatti numerose modifiche ad opera del legislatore e della giurisprudenza che hanno messo in evidenza la difficoltà di operare un bilanciamento tra l’interesse del privato e quello pubblico.

L’espropriazione è stata considerata parte integrante di funzioni che sono state attribuite alla competenza regionale, quali l’urbanistica o i lavori pubblici. L’art.106 del dpr n.616/1977 ha trasferito alle Regioni la potestà espropriativa nelle materie oggetto di trasferimento, e le regioni a sua volta hanno attribuito la funzione espropriativa ai comuni e agli enti locali176.

Come già messo in evidenza il Consiglio dei Ministri il 31 maggio del 2001 ha approvato il dpr177 sul TU delle disposizioni legislative in

materia di espropriazioni. L’intento del legislatore era quello di riunire il materiale normativo disseminato nelle varie disposizioni di legge. Viene in particolare definito un unico procedimento espropriativo per l’esecuzione di opere pubbliche o di pubblica utilità. La modifica maggiore riguarda l’introduzione dell’occupazione d’urgenza preordinata all’espropriazione.

Il procedimento di espropriazione consta di 4 fasi:

1. La sottoposizione del bene al vincolo preordinato all’esproprio; 2. La dichiarazione di pubblica utilità;

3. La determinazione dell’indennità di esproprio; 4. Il decreto di esproprio.

175 N. Centofanti, “L’espropriazione per pubblica utilità” ..op. cit., p. 23. 176 N. Centofanti, “L’espropriazione per pubblica utilità” ..op. cit., p. 32

177 Dpr 8.6.2001, n.327, pubblicato nel suppl.ord.n.211/L, della GU, 16/8/2001,

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Vengono in particolare stabiliti casi in cui l’amministrazione può estinguere il diritto del singolo per esigenze temporanee della produzione o per cause di forza maggiore. Il bene viene sottoposto a un vincolo preordinato all’esproprio. Entro 5 anni dall’espropriazione deve essere emanato l’atto che dichiara la pubblica utilità del bene. Lo Stato non viola l’art.1 del Protocollo quando l’espropriazione è operata con un sacrificio compensato in modo adeguato178.

Il pagamento dell’indennizzo deve avvenire senza ritardo. Il comma 1 dell’art.20 del dpr n.327 del 2001 prevede che “Divenuto efficace

l’atto che dichiara la pubblica utilità, entro i successivi trenta giorni il promotore dell’espropriazione compila l’elenco dei beni da espropriare, con una descrizione sommaria dei relativi proprietari e indica le somme che offre per le loro espropriazioni”.

Infatti, nel caso ciò non avvenga, lo Stato può essere condannato dalla corte EDU.

Per quanto riguarda la modalità di calcolo dell’indennizzo, si tengono conto dei possibili vantaggi che comunque il singolo può trarre. La Corte ha messo in evidenza il fatto che un atto della pubblica autorità che incide sul diritto di proprietà deve realizzare un giusto equilibrio tra l’interesse generale e l’esigenza della salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo.

Occorre precisare che la Corte ha elaborato propri parametri per valutare la legittimità dell’espropriazione del diritto di proprietà operata dai singoli stati:

- La restrizione al diritto dell’individuo deve essere conforme alla legge o prescritta da essa;

- L’obiettivo della restrizione deve essere riconducibile ad uno degli obbiettivi specificati dalla norma rilevante nel caso di specie;

- La restrizione deve essere considerata necessaria in una società

178 F. Manganaro, “La Convenzione europea dei diritti dell’uomo e il diritto di proprietà” in Dir. Amm. 2008, 327.

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democratica e la misura deve essere proporzionata all’obbiettivo perseguito.

Da ultimo vorrei sottolineare che per un certo tempo la Corte EDU ha assunto posizioni che lasciavano agli Stati un margine di apprezzamento in ordine alla determinazione della disciplina in base alle norme interne, ma negli ultimi anni essa sembra orientata verso soluzioni più radicali, che privilegiano la tutela piena del proprietario e che finiscono quindi con l'ammettere solo in via eccezionale o in quanto dettata da evenienze del tutto particolari, la previsione di criteri di determinazione dell'indennità che si discostino da quello del valore venale del bene.

ii.

Calcolo dell’indennità di esproprio

Punto problematico e oggetto di numerosi interventi è come dicevo precedentemente il calcolo dell’indennità di esproprio, che rappresenta uno dei passaggi necessari del procedimento espropriativo.

La legge n.2359 del 1865 prevedeva un sistema di calcolo che era basato sul giusto prezzo stimato liberamente dai periti secondo il valore venale del bene. L’indennità in particolare era riferita al prezzo di mercato che il bene avrebbe assunto in una libera contrattazione tra privati179.

Tale meccanismo viene poi sostituito dalla legge di risanamento per la città di Napoli n.2892/1885, la quale era stata emanata per l’esproprio di fabbricati fortemente degradati. Infatti era scoppiata una forte epidemia di colera che aveva colpito tutta la città e che era stata causata dall’affollamento abitativo e dalle pessime condizioni sanitarie. Il piano di risanamento prevedeva dunque ampie zone di

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demolizione e ricostruzione. Era però necessario modificare la legge fondamentale del 1865, in quanto altrimenti lo Stato avrebbe dovuto pagare ingenti indennizzi ai proprietari espropriati. Si assiste così a un momento evolutivo fondamentale per la legislazione urbanistica sul tema dell’esproprio e del calcolo dell’indennità. Viene introdotto un sistema correttivo al valore venale del bene tenendo conto delle locazioni avvenute negli ultimi dieci anni. Siccome la maggior parte di questi edifici degradati erano dati in locazione era necessario al fine del calcolo dell’indennizzo, tenere conto del reddito che i proprietari percepivano con gli affitti.

L’art.13 della legge n.2892/1885 prevedeva infatti che l’indennità dovesse essere calcolata “come media del valore venale e dei fitti

coacervati dell’ultimo decennio, purché essi abbiano data certa, corrispondente di rispettivo anno di locazione. In difetto dei fitti accertati, l’indennità sarà fissata sull’imponibile netto agli effetti delle imposte sui terreni e sui fabbricati. I periti non dovranno tenere conto nella stima dei miglioramenti e delle spese fatte dopo la pubblicazione del Piano”. Dunque un esproprio che si basava sul criterio dell’indennità che sommava il valore di mercato alla reddittività dell’immobile. I proprietari percepivano così un indennizzo molto più alto rispetto a quello calcolato sul solo valore di mercato.

Viene poi introdotto un diverso criterio dalla Legge sulla riforma della casa, l. n.865/1971, che stravolge i precedenti criteri di indennizzo. Essa suddivide i terreni in aree esterne al perimetro urbano e aree interne allo stesso. Per le prime, si fa riferimento alla nomina da parte del Presidente della provincia di una commissione, che sostituisce i periti, la quale deve annualmente determinare il valore agricolo medio del precedente anno solare dei terreni liberi da vincoli di contratti agrari sulla base della coltura in atto al momento

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dell’espropriazione180. Viene così introdotto per la prima volta il VAM

(valore agricolo medio) all’art.16 comma 4 della legge. Se, invece il terreno è in un centro edificato, il valore dell’indennità è commisurato al valore agricolo medio moltiplicato per alcuni coefficienti previsti dalla legge. Si evince da ciò una palese diversità di trattamento tra i due tipi di terreno e tra la tipologia delle colture praticate all’atto dell’espropriazione.

Poi con la legge n.247/1974 si assiste all’unificazione del sistema di indennizzo per tutte le espropriazioni.

La legge n.10/1977, “Legge Bucalossi”, integra e modifica gli artt. 12, 15, 16, 17, 19, 20 della legge n.865/71.In particolare, viene aumentato il coefficiente da applicare al VAM nel caso di area interna al perimetro urbano (art.14 comma 6181).

Il diritto di proprietà non è più commisurato allo ius aedificandi. Occorre tuttavia notare che la legge sulle case per le aree agricole non è ancora stata abrogata. La Corte Costituzionale è stata investita della questione della legittimità costituzionale. Essa è stata chiamata a valutare la possibilità di usare per l’indennità di esproprio un criterio basato sul valore dei terreni agricoli o se all’opposto occorra utilizzare come criterio il valore venale del bene182. La Corte, con sentenza

n.57/1980, ha affermato che un criterio per l’indennità di esproprio basato sul valore del terreno agricolo provoca disparità di trattamento e occorre dunque che l’indennizzo, anche se non deve necessariamente essere pari al valore venale del bene, debba comunque tenerne conto. La Corte dichiara incostituzionale anche la legge del 1974 laddove applica a tutte le espropriazioni il criterio di indennizzo della legge sulla riforma delle case (“Legge Casa”)

180 N. Centofanti, “L’espropriazione per pubblica utilità” .. op. cit., p. 340.

181 Art.14, comma 6, L.10/1977 “Nelle aree comprese nei centri edificati l’indennità

è commisurata al valore agricolo medio della coltura più redditizia tra quelle che, nella regione agraria in cui cade l’area da espropriare, coprono una superficie superiore al 5% di quella coltivata della regione agraria stessa”.

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n.865/1971. La Corte afferma che l’indennizzo deve consistere in un serio ristoro del valore del bene oggetto dell’espropriazione che tenga conto delle sue caratteristiche. Dunque, gli articoli della “Legge casa” (e di conseguenza della “Legge Bucalossi” che li modificava e integrava) che prevedevano il ricorso al VAM per le aree edificabili, vengono ritenuti illegittimi in quanto non considerano “un serio ristoro” per l’indennità.

La dichiarazione di illegittimità ha provocato un vuoto normativo, colmato dalla legge n.385/1980 (Legge tampone). Tale legge ha ripristinato gli stessi criteri di commisurazione dell’indennità.

La normativa è stata allora impugnata nuovamente di fronte alla Corte Costituzionale e dichiarata illegittima con sentenza n.223/1983, in quando eludeva ciò che la Corte aveva stabilito precedentemente con la sentenza di illegittimità costituzionale. Infatti, il legislatore non può reiterare norme che la Corte ha dichiarato incostituzionali183. Si è

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