UNIVERSITA’ DI PISA
Dipartimento di Giurisprudenza
Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza
La disciplina degli Agri Marmiferi,
tra pubblico e privato:
la Corte Costituzionale e la Corte
EDU a confronto
ANNO ACCADEMICO 2016/2017
Il Candidato
Silvia Marsala
Il Relatore
Caterina Murgo
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INDICE
INTRODUZIONE
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CAPITOLO 1
3
GLIAGRIMARMIFERI.EXCURSUSSTORICOSULLADISCIPLINA... 3
1. Dal diritto comune all’Editto del 1751 5
i. Il caso emblematico di Luni ... 8 ii. Le cave nel territorio di Massa e Carrara ... 11
2. L’Editto del 1751 di Maria Teresa Cybo Malaspina d'Este e La legge delle Usurpazioni del 1771 16 3. I provvedimenti successivi. La Notificazione governatoriale del 1846 19
i. L’evoluzione del livello di cava dal 1751 al 1846 ... 22
4. Provvedimenti successivi al 1846 24 5. La legge mineraria del 1927 26 6. Il caso dell’emanazione dei regolamenti di Massa e Carrara 32 7. L’approvazione del regolamento comunale di Carrara n. 88/1994, la sentenza della Corte Costituzionale n. 488/95 e la promulgazione della legge regionale n. 104/95 35 8. Interventi successivi al 1995 39 9. La legge regionale del 2015: le ragioni della sua emanazione 44
CAPITOLO 2
47
LALEGGEREGIONALEN.35/2015ELASENTENZAN.228/2016DELLA CORTECOSTITUZIONALE ... 47
1. Il contenuto della legge regionale 48 2. Accenno ai c.d. Beni estimati 54 3. I due distinti procedimenti aventi ad oggetto la questione di legittimità costituzionale dell'art 32, comma 2 della legge regionale n.
35/2015 59
i. Il procedimento sollevato dal Presente del Consiglio dei ministri ... 59 ii. Il procedimento sollevato in un giudizio di cognizione ordinario con ordinanza del Tribunale di Massa da alcune società private ... 62
ii
iii. Intervento del Presidente della Regione Toscana ... 65
iv. Intervento delle società private ... 66
v. Intervento del Comune di Carrara ... 67
4. La sentenza n. 228/2016 della Corte Costituzionale 68
CAPITOLO 3
72
LAGIURISPRUDENZADELLACEDUACONFRONTOCONLADISCPLINA ITALIANA ... 721. La Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo 73 i. Rapporto tra ordinamento italiano e CEDU ... 76
2. Il protocollo n. 1 in tema di proprietà privata 81 i. Espropriazione per pubblica utilità – disciplina italiana ... 85
ii. Calcolo dell’indennità di esproprio ... 89
iii. L’indennizzo per l’esproprio di cava e di miniera ... 96
3. Casi presi in esame dalla Corte Europea dai profili analoghi alla questione dei “beni estimati” 97 i. La sentenza Turca “N. A. e altri c. Turchia” ... 100
ii. La sentenza turca “Silahyürekli c. Turchia” ... 102
iii. Il caso italiano: Valle Piriempè Società agricola s.p.a ... 104
iv. Il caso italiano: “Modifiche al Regolamento di Polizia Mortuaria Comunale"... 107
v. La sentenza “Fredin c. Svezia” ... 110
CAPITOLO 4
113
LADIBATTUTANATURAGIURIDICADEI“BENIESTIMATI”... 1131. Usi civici e proprietà collettive 113 i. I beni comuni ... 118
ii. La proprietà collettiva ... 125
iii. La legge n. 1766/1927 ... 127
iv. La sentenza n.85/2005 R.G.- Commissariato Usi Civici. ... 132
2. Soluzioni legittime alla luce della giurisprudenza della CEDU e della Corte costituzionale 141
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INTRODUZIONE
In questa tesi si affronta il problema relativo alla determinazione della legittimità - o meno - dell’intervento operato dalla Regione Toscana con la legge n.35/2015 alla luce dei recenti orientamenti della Corte EDU e della Corte Costituzionale. Infatti lo scopo della presente tesi è quello di stabilire se nel caso degli agri marmiferi di Massa e Carrara, l’intervento suddetto in relazione all’art.32, comma 2, della stessa legge, vada considerato come un’indebita espropriazione nei confronti di quei soggetti privati proprietari dei beni estimati o se al contrario esso vada considerato legittimo. A tal fine si analizzano le condizioni attraverso le quali la possibile futura disciplina della eventuale legge statale sullo statuto proprietario dei beni estimati sia proporzionata alla luce della giurisprudenza della CEDU. Dunque si analizza la conformità del comportamento dello Stato Italiano in relazione all’art.1 del Protocollo n.1 addizionale alla CEDU.
Nel primo capitolo si compie preliminarmente un excursus storico di fondamentale importanza per comprendere le varie vicende che hanno determinato l’attuale disciplina degli agri marmiferi.
Nel secondo capitolo si analizza nei particolari la legge della Regione Toscana n.35/2015, oggetto di due distinti procedimenti davanti alla Corte Costituzionale, sollevati rispettivamente dal Presidente del Consiglio dei Ministri e, in un giudizio di cognizione ordinario con ordinanza del Tribunale di Massa, da alcune società private. Si passa poi ad esaminare dettagliatamente la sentenza della Corte Costituzionale n.228/2016.
Nel terzo capitolo si analizzano il rapporto che intercorre tra Corte EDU e l’ordinamento italiano, la disciplina italiana relativa all’espropriazione per pubblica utilità e si prendono in considerazione alcune pronunce della Corte EDU simili al caso che stiamo
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esaminando. Nel quarto ed ultimo capitolo si analizza la disciplina degli usi civici e si cerca di trovare una risposta all’interrogativo che ci siamo posti preliminarmente e cioè se un legittimo affidamento nei privati - ingenerato o meno dalle scelte e/o dalle inefficienze delle amministrazioni pubbliche succedutesi nel tempo – sia stato tale da poter qualificare come espropriazione quanto operato dalla Regione Toscana con la legge regionale n.35/2015. Vengono dunque analizzate le soluzioni costituzionalmente orientate prospettabili dal legislatore italiano per risolvere la secolare diatriba sui c.d. “beni estimati”.
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CAPITOLO 1
GLI AGRI MARMIFERI. EXCURSUS
STORICO SULLA DISCIPLINA
La storia degli agri marmiferi di Massa e Carrara è frutto di un susseguirsi di vicende storiche e normative che non hanno mai fatto chiarezza sulla loro disciplina e che hanno portato da ultimo all’intervento della Corte Costituzionale, provocato da due distinti procedimenti aventi ad oggetto l’impugnazione dell'art.32 comma 2 della legge regionale Toscana n.35/2015.
Per comprendere dunque le varie vicende occorre dapprima compiere un excursus storico, che ha come punto di inizio il diritto comune. Lo scopo di tale capitolo è infatti mettere in luce come le leggi dello stato estense in materia di cave di Massa e Carrara abbiano influenzato l’ordinamento italiano fino ai nostri giorni e come lo stato non sia riuscito in qualche modo a “fare i conti con la storia”. Come metterò in evidenza infatti nei paragrafi che seguono, la disciplina degli agri marmiferi ha incontrato forti difficoltà in relazione alla sua identificazione nell'ambito di un diritto sicuro e certo fin dal diritto comune. Il provvedimento più importante che prenderò in esame è quello del 1751, emanato da Maria Teresa Cybo Malaspina, che costituisce il punto di riferimento per tutte le successive emanazioni. Gli agri marmiferi di Massa e di Carrara infatti sono stati disciplinati interamente dalle leggi estensi e in particolar modo dall’editto suddetto e dalla Notificazione Governatoriale del 1846. Solo con la legge generale mineraria del 1927 che detta le disposizioni generali relative all’attività di ricerca e coltivazione dei giacimenti minerari, si cerca di unificare la disciplina a livello nazionale, anche se viene
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creato un “micro sistema” per Massa e Carrara. Infatti, è sulla base dell’art.64 di tale legge che verranno emanati i regolamenti di Massa e Carrara sulla disciplina degli agri marmiferi, i quali avrebbero dovuto operare un coordinamento tra le leggi estensi e la legge mineraria del 1927. Tali regolamenti come vedremo saranno approvati, non un anno dopo l’entrata in vigore della legge del 1927, come auspicava l’art.64 della stessa, ma con deliberazione regionale n.115/95. Dunque, nell’attesa dell’emanazione dei due regolamenti, rimase vigente, sia con funzione amministrativa che giudiziale, la normativa estense, creando così disordine normativo. L’iter di emanazione dei regolamenti comunali, come vedremo, non è stato facile, ma è stato oggetto di ripetute critiche ed ha visto l’emanazione del regolamento di Carrara da parte della Regione solo nella seduta del 28 febbraio 1995 e con deliberazione n.115. Tale regolamento sarà comunque oggetto di modifiche successive (nel 2000 e nel 2005). Tratterò infine i motivi che hanno indotto la Regione Toscana all’emanazione della legge n.35/2015, il cui art.32 comma 2, sarà oggetto di legittimità costituzionale (come dicevo all’inizio) e che illustrerò in modo dettagliato nel secondo capitolo.
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1. Dal diritto comune all’Editto del 1751
Partiamo dunque al diritto comune. Per diritto comune intendiamo quel “complesso sistema di diritto che precedette le codificazioni del
19°secolo1”, messo a punto dai glossatori e dai commentatori con la
riscoperta del Corpus iuris civilis. Esso comprendeva il diritto imperiale giustinianeo integrato dalle leggi degli imperatori germanici e il diritto della chiesa. Ed è proprio il “diritto comune” a rappresentare il presupposto per la nascita della legislazione del Ducato di Massa e Carrara, grazie all'attività interpretativa della scienza medievale sui testi romani. Come osserva la professoressa Gabriella Poma2, docente dell'università di Bologna della Facoltà di
Lettere, i testi del Digesto trattano questioni conflittuali inerenti settori strettamente privatistici e tutto il resto viene ignorato, ed è per questo che si riscontra la difficoltà di trovare una legislazione unitaria e completa. La giurisprudenza ha sempre trattato il diritto minerario in modo non unitario, considerando solo singoli istituti al fine di dirimere le situazioni di contenzioso nascenti tra privati per lo sfruttamento delle cave. Gabriella Poma, a ragione di tale tesi, porta come esempio la risoluzione di casi specifici, quali la “connessione delle cave e delle miniere con l’usufrutto di fondi agricoli su cui esse insistono, i limiti verticali della proprietà fondiaria oppure la gestione delle cave aperte in un fondo dotale3.”
Nel diritto romano non viene qualificato il regime di proprietà dei "metalla et lapicidina", anche se vediamo che nella l.Cuncti C.De
metallariis et metallis, et procuratoribus metallorum (C. 11.7 [6].34)
1 C. Piccioli “Gli agri marmiferi del comune di Carrara -legislazione-giurisprudenza-dottrina”, Carrara, 1956.
2 G. Poma, nel Convegno “Il vetro di Pietra”, atti del I Convegno Internazionale
Museo Civico di Scienze Naturali di Faenza 26-27 settembre 2013, Sezione I “Lapis
Specularis nel mondo romano” su www.lapisspecularis.it.
3 G. Poma, nel Convegno “Il vetro di Pietra”, .. 26-27 settembre 2013, op. cit. p. 32. 4 C.11.7, 6.3 «Cuncti qui per privatorum loca saxorum venam laboriosis
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si afferma il diritto dei cavatori di appropriarsi delle pietre scavate in fondi altrui, pagando un decimo al fisco e un decimo al proprietario5.
Dunque, rileviamo come non ci fosse un divieto esplicito all'escavazione nel fondo altrui per la ricerca di vene lapidee. Per maturare però tale diritto era necessario che il ritrovamento fosse frutto di un'intensa attività del cavatore. Possiamo analizzare anche la
l. Quosdam c De metallariis (C.11.7 [6].66), che esprimeva il divieto
di escavazione di marmi qualora ciò avesse comportato danni alla stabilità degli edifici sottostanti e che avesse provocato danni irreparabili ai proprietari. Dunque, l'accesso sul fondo altrui era consentito se giustificato da una ragione di pubblica utilità. Anche nel Digesto vennero rinvenuti passi su tale argomento. In particolare, Ulpiano in un frammento (D. 8.4.13. 1 Ulp. 6 opin7) afferma: “Se è
nota l’esistenza di cave di pietra nel fondo di qualcuno, nessuno, né un privato né un’autorità pubblica può farvi scavi, contro la volontà del proprietario, a meno che qualcuno non abbia un diritto a farlo”.
Dunque, il proprietario del suolo è anche proprietario del sottosuolo. Il codice civile italiano all’art.840 infatti stabilisce, coerentemente a quanto dice Ulpiano, che “la proprietà del suolo si estende al
sottosuolo, con tutto ciò che vi si contiene, e il proprietario può fare qualsiasi escavazione od opera che non rechi danno al vicino.” Una
persona diversa dal proprietario può farvi scavi solo se "ha un diritto a farlo". Possiamo dunque dire che già Ulpiano raccomanda il "contemperamento delle esigenze della produzione con quelle della
proprietà", principio stabilito all'art.844 del codice civile italiano.
Quando Roma cominciò a conquistare territori provinciali dovette
effossionibus persequuntur, decimas fisco, decimas etiam domino repraesentent: caetero modo propriis suis desideriis vindicando».
5 G. Poma, nel Convegno “Il vetro di Pietra”, 26-27 settembre 2013, op. cit., p. 32. 6 C.11.7,6.6 «Quosdam operta humo esse saxa dicentes, id agere cognovimus, ut
defossis in altum coniculis, alienarum aedium fundamenta labefactent. Qua de re si quando huiusmodi marmora sub aedificiis latere dicantur, perquirendi aedem copia denegetur ».
7 D., 8, 4, 13, 1: «Si constat in tuo agro lapicidinas esse, invito te nec privato nec
7
prendere atto di consuetudini in materia mineraria che male si coordinavano con le concezioni economiche e giuridiche romane. Leggendo Ulpiano (3 D, 8, 4, 13, 18)"…a meno che non ci sia una
consuetudo in quelle zone minerarie per cui a chi intende trarre pietre da cave altrui è consentito farlo anche senza un titolo formale, purché provveda alla corresponsione di un canone consuetudinario, il solitum solarium", notiamo che egli riconosce consuetudini locali in materia
mineraria. La professoressa Gabriella Poma9 osserva, infatti, che
“Ulpiano riconosce che esistono consuetudini locali in materia
mineraria, che rappresentano altrettante eccezioni al divieto di sfruttare cave poste in terreno altrui, così come in diritto romano lo erano l’usufrutto, la servitù e così via. In forza di esse, si possono certamente limitare i diritti del proprietario del suolo a favore di estranei, ma solo se il proprietario ne riceve un adeguato compenso”.
Non essendoci dunque nessuna legge a portata generale sull’argomento, è dubbio se fosse esistita un’autorizzazione generale che disciplinava le modalità dell’esercizio minerario con la relativa riscossione del canone, o se piuttosto vi fossero state singole autorizzazioni a scavare applicate caso per caso10. E infatti, Gabriella
Poma mette in luce come si discute riguardo a un’espressione11
contenuta nella costituzione emanata da Costantino nel 320 d.C. e diretta al rationalis della diocesi dell’Africa, la quale viene interpretata sia come autorizzazione a portata generale, sia come singolo atto volto a autorizzare l’escavazione su fondi altrui. Tale
8 3 D., 8, 4, 13, 1: «nisi talis consuetudo in illis lapidicinis consistat ut si quis
voluerit ex his caedere non aliter hoc faciat nisi prius solitum solarium pro hoc domino praestat».
9 G. Poma, nel Convegno “Il vetro di Pietra”, ..26-27 settembre 2013, op .cit., p. 32. 10 G. Poma, nel Convegno “Il vetro di Pietra”, … 26-27 settembre 2013op. cit. 11 C.Th., X, 19, 1: «secandorum marmorum ex quibuscumque metallis volentibus tribuimus facultatem, ita ut, qui caedere metallum atque ex eo facere quodcumque decreverint, etiam distrahendi habeant liberam potestatem» (noi
accordiamo a chi lo vorrà la facoltà di tagliare marmo in non importa quale cava e con tali condizioni che coloro che avranno deciso di estrarre marmo e di farne un qualsiasi uso abbiano anche la libera facoltà di venderlo).
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costituzione pone anche altri dubbi12: come va intesa l’espressione “ex
quibuscumque metallis”? In particolare si fa riferimento al fatto che
tale espressione potrebbe alludere alla condizione giuridica delle cave e in tal senso ci si domanda se le cave siano da considerarsi pubbliche o private. E come dice Gabriella Poma13, se fossero da considerare
private “la disposizione è rivoluzionaria, perché sacrifica le ragioni
della proprietà alla libera iniziativa di altri. Quindi introdurrebbe il principio della libertà mineraria”. La conclusione a cui Gabriella
Poma arriva è che tale costituzione non abbia portata generale, ma che sia limitata al territorio della diocesi africana.
i.
Il caso emblematico di Luni
Dalle ricerche archeologiche sono state ritrovate zone di sfruttamento di cave di marmo che si configurano come delle vere e proprie “piccole città”. Ci sono infatti, oltre ovviamente alle strutture per il lavoro e trasporto del marmo, anche centri abitativi degli addetti ai lavori. Un esempio è la zona mineraria di Luni, in Italia. Per tali zone è possibile ricostruire le modalità del lavoro, ma non la situazione giuridica, né la situazione amministrativa. Da zona a zona nel mondo romano cambia la disciplina della proprietà, anche se principalmente le miniere delle province dell’impero romano erano considerate “preda di battaglia”. In tale periodo, come accennavo precedentemente, ciò che interessa non è tanto il sistema di gestione e sfruttamento delle cave, ma i romani si preoccupano di regolare i rapporti esistenti tra gli antichi proprietari delle miniere in quanto erano per la res publica grandi risorse14. Non si può sapere quante
fossero le cave in mano ai privati in Italia e nelle province
12 G. Poma, nel Convegno “Il vetro di Pietra”, … 26-27 settembre 2013, op. cit. 13 G. Poma, nel Convegno “Il vetro di Pietra”, … 26-27 settembre 2013, op. cit. 14 G. Poma, nel Convegno “Il vetro di Pietra”, … 26-27 settembre 2013 op. cit.
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dell’impero, ma si può supporre che lo Stato, non avendone bisogno, non si sia appropriato di tutto quello che era in suo possesso e che abbia di conseguenza lasciato ciò alla proprietà dei privati15. Oltre alle
cave di proprietà dei privati e dello Stato, c’erano anche quelle appartenenti alle comunità locali. Come accennavo all’inizio del paragrafo, è interessante trattare la situazione delle cave di marmo di Luni16, una colonia romana sita nel territorio ligure con alle spalle le
Alpi carraresi fondata nel 177 a.C., il cui marmo è diventato famoso non solo nell’economia romana, ma anche in tutti gli altri territori dell’impero.
L’uso del marmo nel mondo romano, diversamente dalle altre grandi civiltà mediterranee che lo utilizzavano solo per l’immagine degli dei e di uomini eccezionali17, aveva una particolare importanza perché era
legato alla costruzione di innumerevoli edifici, sia pubblici che privati. Il marmo estratto a Carrara veniva trasportato a Luni e di lì mandato a Roma. Dalle notae lapicidanarum (segni incisi sui blocchi di marmo non lavorati) possiamo ricostruire la modalità di gestione e l’attività estrattiva delle cave sfruttate a Luni dal II-I a.C. fino al IV-V d.C. Lo sfruttamento delle cave di Luni cominciò in età repubblicana, quando i romani, guidati da Cesare, si resero conto che non importava andare fino in Grecia per trovare marmo pregiato, ma che esso era presente anche in Italia e più specificamente a Luni.
Luni rappresenta infatti la testimonianza, citando Gabriella Poma, del “mutamento di gestione per il passaggio nelle proprietà imperiali”. Infatti in età repubblicana le cave inizialmente conquistate andavano a costituire l’ager publicus ed erano gestite dall’amministrazione locale
15 G. Poma, Il vetro di Pietra”, … 26-27 settembre 2013, p. 37, nota 67, E.
Ardaillon, s.v. Metalla, in Ch. Daremberg, M.E. Saglio, Dictionnaires des Antiquités
Grecques et Latines III, 2,1877, pp. 1860-1873.
16 G. Poma, “Il vetro di Pietra”…, 26-27 settembre 2013”,op. cit. p. 40.
17 E. Dolci, Il marmo nella civiltà romana: la produzione e il commercio, in “Atti del Seminario internazionale Marmi e macchine”, (a
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e dagli edili, che erano funzionari addetto al controllo del territorio18.
La colonia, gestita dunque dagli edili, poteva poi dare in concessione o in affitto le cave da cui riteneva di ricavare minor guadagno, ai privati o a società in cambio di una percentuale sui prodotti estratti19.
Con lo sviluppo sempre maggior del settore marmifero, la colonia perde poi il possesso delle cave, che passa in mano all’imperatore. In particolare l’imperatore Tiberio, attraverso confische, eredità e acquisti diretti si appropria delle cave e delle miniere più importanti e redditizie. Con il suddetto passaggio di proprietà a favore dell’imperatore, l’area delle cave era direttamente controllata dal governo centrale. Infatti con Augusto e con i primi imperatori della dinastia Giulio-Claudia furono confiscate alla colonia le cave di marmo, che vennero gestite non più dagli edili, ma da funzionari imperiali. Venne istituito un fisco che doveva sopperire alla mancanza delle risorse per l’impero e che non era soggetto ad alcun controllo. La colonia così esclusa non percepiva più i tributi, che andavano invece nelle casse dello Stato20. La libera iniziativa privata fu così limitata21.
Dall’età di Domiziano le cave erano gestite da procuratores
lapicidinarum/a marmoribus scelti in genere tra i liberti
dell’imperatore che le amministravano o direttamente o dandole in appalto a conductores. Nel II secolo d.C. il sistema di gestione cambiò: le cave non erano più affidate in appalto in quanto gli imperatori si resero conto che senza l’intermediario si poteva ricavare un maggior guadagno. Fu così che i procuratori non svolgevano più il ruolo di controllo sui privati appaltatori, ma adesso intervenivano direttamente nell’estrazione del minerale. Nella metà del III secolo d.C. una crisi economica colpì il settore delle cave, molte delle quali
18 E. Dolci, “Imperatori, imprenditori e schiavi nelle attività marmifere di Luni romana”, Atti e Memorie della deputazione di storia patria per antiche
province modenesi, serie XI, XII, 2000, p. 12.
19 L. Bruzza, Dissertazioni della Pontificia Accademia Romana di Archeologia sui marmi lunensi, Roma, 1884, p. 407-408.
20 G. Poma, “Il vetro di Pietra”, …26-27 settembre 2013, op. cit., p. 41.
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furono così abbandonate. Si spiega allora la promulgazione di quelle leggi che incentivavano alla ripresa dell’iniziativa economica privata, prima invece ostacolata22. Come dicevo in apertura del capitolo infatti
furono emanate costituzioni che davano completa libertà di estrazione in qualunque cava.
ii.
Le cave nel territorio di Massa e Carrara
Agli inizi del XVI secolo le cave nel territorio di Carrara erano circa una ventina. Sandra Antoniazzi23, sottolinea che prima del 1751
prevaleva il diritto consuetudinario secondo il sistema feudale delle “regalie sovrane”, che era riconducibile alla regola della demanialità ed era estesa a tutti i giacimenti sia pubblici che privati. Il godimento da parte del sovrano avveniva al momento della produzione della cava mediante una tassa di esportazione denominata “dogana dei marmi” che rappresentava il corrispettivo dell’escavazione24. Chi voleva aprire
una cava doveva chiederne l’autorizzazione al sovrano. Dopodiché la cava rimaneva in godimento allo scopritore senza bisogno di ulteriori formalità di tipo concessorio e solo dietro il pagamento della tassa suddetta. Vigeva dunque un sistema di tolleranza da parte del sovrano, il quale saltuariamente riaffermava il suo diritto regale25. Infatti, come
sottolinea E. Eula26, la tradizione del diritto germanico antico
prevedeva che le ricchezze del sottosuolo non potessero appartenere a “comuni esseri umani” ma solamente al sovrano. Non vi è infatti
22 G. Poma, “Il vetro di Pietra”, …26-27 settembre 2013, op. cit., p. 43.
23 S. Antoniazzi, “La normativa estense degli agri marmiferi di Massa e Carrara: questioni dibattute sulla natura pubblicistica della disciplina, degli atti di concessione, e sulla specialità del regime” contenuta in “La disciplina degli agri marmiferi tra diritto e storia”, F. Merusi e V. Giomi, Pisa, 2007, p. 99.
24 C. Piccioli “Gli agri marmiferi del comune di Carrara -legislazione-giurisprudenza-dottrina”, op.cit., p. 240.
25 C. Piccioli “Gli agri marmiferi del comune di Carrara -legislazione-giurisprudenza-dottrina”, op.cit., p. 242.
26 E. Eula, “I diritti dei privati sulle cave e sulle miniere. I loro trasferimenti contrattuali e l'azione di rescissione per lesione enorme”, Roma, 1931.
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nessuna traccia di concessioni di cave da parte delle Vicinanze prima di quella data, comunque sia queste (le vicinanze) erano titolari di un diritto di godimento a carattere agrario. La materia delle cave era dunque riservata al sovrano, ma nonostante ciò troviamo solo concessioni sovrane relative a cave di proprietà allodiale.
Troviamo la prima disposizione statutaria in materia di marmi solo nel 1519 con i Capitula nova, un corpo statutario approvato da Ricciarda (figlia del Marchese di Massa e Carrara Antonio-Alberico II Malaspina), dal marito Scipione Fieschi e dalla madre Lucrezia di Sigismondo d'Este. In uno di essi veniva espresso il divieto di scavare e lavorare il marmo per i soli stranieri sprovvisti di una speciale autorizzazione sovrana. Le vicinanze erano un’organizzazione in forma comunitaria, nata per regolare lo sfruttamento dei beni che erano goduti collettivamente dalla comunità. Esse in particolare erano “associazioni di capifamiglia di uno stesso villaggio, fondate
originariamente sullo ius sanguinis e caratterizzate (..) dalla proprietà collettiva dei beni indivisi ed inalienabili, gli agri27”. Le
prime comunità di Carrara risalgono al 1235. Esse erano caratterizzate dal predominio dello jus sanguinis, e dall’uso di terreni e pascolo indivisi28. Il diritto interno delle vicinanze era disciplinato dalle
consuetudini ed in particolare era riconosciuto dallo statuto del 1574 (di cui parlerò in seguito), il quale “le autorizzava a nominare i loro
rappresentanti nel consiglio comunale29.” Ogni Vicinanza aveva al
suo interno organi di rappresentanza che amministravano i beni collettivi. Alla vicinanza si apparteneva per nascita. I forestieri non potevano infatti partecipare alla vita economica collettiva, né godere degli agri.
27 A. Landi “La storia giuridica del marmo. Aspetti di diritto minerario negli stati di Massa e Carrara tra diritto comune e diritti particolari” in “La disciplina degli agri marmiferi tra diritto e storia” F. Merusi, V. Giomi, Pisa 2007 p. 55 nota 176. 28 C. Piccioli “Gli agri marmiferi del comune di Carrara -legislazione-giurisprudenza-dottrina”, op. cit., p. 68.
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Sono state documentate dai pochi documenti medievali30 sull'origine
di Carrara trasmessi dal Codice Pelavicino ben 14 Vicinanze31 lungo
la Valle del fiume Carrione, che nasce dalle Alpi Apuane e attraversa la città di Carrara. Con il costante maggiore intervento del principe nelle questioni amministrative, le vicinanze persero gradualmente i loro caratteri originali e “si ridussero in mano a poche famiglie di
privilegiati32”. Le vicinanze possedevano anche beni a titolo privato
alienabili, mentre la proprietà degli agri marmiferi era legata al loro carattere pubblico e le modalità di concessione degli stessi erano disciplinate dalle consuetudini di ciascuna vicinanza.
Occorre precisare che il termine “agro” oggi si riferisce alle zone carraresi di proprietà del comune, ma in origine rappresentava le zone incolte in montagna adibite a pascolo e lasciate indivise tra i membri delle vicinanze, in contrapposizione ai “beni” caratterizzati invece da terreni produttivi e coltivabili33.
Molto interessante è lo Statuto Albericiano del 1574, che rappresenta la fonte principale fino alla rivoluzione francese34, con particolare
riferimento al Libro II cap.40 in materia di agri vicinali. Essi sono terreni di montagna di proprietà delle vicinanze carraresi, nei quali ci sono la gran parte delle cave di marmo. Nel capo 10735 del cap.40 del
30 Il professore E. Conte, ordinario di storia del diritto medievale e moderno,
dell’Università di Roma, in “Parere pro veritate circa la natura giuridica dei cc.dd.
“beni estimati”, vale a dire le cave degli agri marmiferi di Carrara che alla data del 1° febbraio 1751 erano iscritte negli Estimi dei particolari da oltre venti anni (reso alla Regione Toscana, in relazione alle esigenze di adeguamento della L.R.T. 78/1998), Roma, 14 febbraio 2014.
31 Esse sono elencate in “Statuta Carrariae” L.I, cap. 8, “De Electione Sexdecim Dominorum Consiliarorum”, p. 10.
32 C. Piccioli “Gli agri marmiferi del comune di Carrara -legislazione-giurisprudenza-dottrina”, op. cit., p. 70.
33 C. Piccioli “Gli agri marmiferi del comune di Carrara -legislazione-giurisprudenza-dottrina”, op.cit., p. 95.
34 C. Piccioli “Gli agri marmiferi del comune di Carrara -legislazione-giurisprudenza-dottrina” op. cit., p. 65.
35 Statuti di Carrara, 1574, l. II, cap. 40, 107 «Statuimus quod omnes illi qui
quomodocunque vel qualitercunque etiam titulo oneroso vel aliter tenent, possident, vel in futurum ipsi aut eorum haeredes et successores in perpetuum tenebunt, possidebunt aut occupabunt quaecunque bona stabilia quomodolibet nunc aut in
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Libro II si dice che chi dispone di tali beni deve pagare ogni anno un canone alla vicinia («pro liuello seu censu»). Se vi era discordia sull'ammontare di esso, allora si ricorreva a tre uomini nominati dal vicario. I possessori dovevano inoltre indicare puntualmente tali beni posseduti ai consoli della vicinia entro 30 giorni dall'entrata in vigore dello statuto e nei successivi 30 provvedere al pagamento del canone. Era inoltre vietato ogni trasferimento di beni vicinali a terzi senza il consenso della vicinia. Nel successivo capo 10836 del cap.40 del Libro
II viene anche imposto il divieto in futuro di alienazioni di tali beni a titolo gratuito e viene stabilito il divieto di occupare gli agri senza il consenso del consiglio dei Venti o della Vicinanza proprietaria. Al capo 10937 del capitolo 40 del Libro II vengono esentati dal
pagamento del censo quei soggetti privati che abbiano dimostrato entro 50 giorni dalla pubblicazione dello statuto di aver acquistato i fondi a titolo oneroso dalle Vicinanze. Adesso, l'attività esercitata dai forestieri, dice Sandra Antoniazzi38, non dipendeva più
dall’autorizzazione del principe, ma dal permesso della vicinanza. Comunque, già nel 1574, pur non potendosi parlare di tale attività in senso primario ma solo come elemento del tutto secondario, Alberico I aveva istituito un Offitium Marmoris, che gli permetteva un intervento strategico in tale settore.
Nel 18° secolo si assiste a radicali riforme39 su ispirazione del diritto
praeteritum spectantia aut pertinentia ad aliquam viciniam dictae vallis Carrariae, teneantur et debent in futurum (dummodo talis titulus onerosus non fuerit acquisitus ab ipsa vicinia) soluere singulis annis pro liuello seu censu dictorum bonorum in duabus solutionibus».
36 Statuti di Carrara, 1574, l. II, cap. 40, 108 «non interveniente expressa licentia aut
consensu expresso non accedente».
37 Statuti di Carrara, 1574, l. II, cap. 40, 109 «de dicto titulo docuerit infra
quinquaginta dies currentes».
38 S. Antoniazzi, “La normativa estense degli agri marmiferi di Massa e Carrara ..” op. cit., p. 100-101.
39 Come ad esempio la legge della manomorta del 5 aprile 1770; il motuprorio del 19
gennaio 1779 e quello del dicembre 1777, il bando “e di non vender cave senza permesso” del 22 novembre 1761; il regolamento cambiario del 12 novembre 1782. Vedi C. Piccioli “Gli agri marmiferi del comune di Carrara
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modenese, in quanto il principato di Carrara era legato al Ducato di Modena in seguito al matrimonio tra Maria Teresa Cybo Malaspina e il Duca di Modena Ercole Rinaldo d’Este40.
È infatti nel settecento che si ebbero molti interventi ducali in tema di cave e di commercio dei marmi. Si assiste alla diffusione delle teorie mercantilistiche che spingevano i sovrani a intervenire nell'economia e a disciplinare l'attività delle cave. Fu così che le vicinanze si trovarono sopraffatte dall'economia del marmo e dal potere abusivo dei grandi escavatori. Nacquero dunque delle controversie che necessitavano dell'intervento dello Stato, che si ebbe con l'editto del 1° febbraio 1751 della duchessa Maria Teresa Cybo Malaspina d'Este, che si inquadrava comunque perfettamente nei principi del diritto statutario tradizionale.
40 C. Piccioli “Gli agri marmiferi del comune di Carrara -legislazione-giurisprudenza-dottrina” op. cit., p. 65.
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2. L’Editto del 1751 di Maria Teresa Cybo
Malaspina d'Este e La legge delle Usurpazioni
del 1771
Maria Teresa voleva disciplinare il regime giuridico delle concessioni degli agri marmiferi situati nelle vicinanze di Massa e Carrara tenendo ben presente il Cap.40 del Libro II dello Statuto di Carrara emanato da Alberico nel 1574. Essa operò una ricognizione delle cave aperte negli agri vicinali carraresi e distinse tra quelle iscritte negli estimi da oltre 20 anni, per le quali riconobbe una tutela così forte che la vicinanza proprietaria degli agri non poteva rivendicare niente nei loro confronti; quelle che non erano iscritte o lo erano da meno di 20 anni, per le quali i soggetti dovevano pagare un canone annuo alla vicinanza.
L'editto così dice: “Distinguiamo in primo luogo le Cave già aperte
negli Agri delle vicinanze di detto Nostro Principato, da quelle che sono per aprirsi nell’avvenire. Quanto alle prime nuovamente distinguiamo le Cave già descritte negli Estimi dei Particolari, da quelle che descritte non vi sono. Per le descritte, vogliamo, che se l’allibrazione delle medesime è seguita venti anni prima della presente Nostra ordinazione niun diritto pretender mai più possa sopra di esse, o sopra i loro Possessori, la vicinanza ne’ di cui Agri sono situate non altrimenti che se a favore dei possessori medesimi militasse l’immemorabile, o la centenaria, o concorresse a prò loro un titolo il più legittimo che immaginare si possa. Se poi sarà seguita la suddetta allibrazione da minor tempo d’anni venti in qua’, vogliamo che la vicinanza, ne’ di cui Agri sono situate, abbia il diritto di interpellare i possessori ad allegare, e procurare il titolo del di loro acquisto, ed in caso che dentro il termine di un mese, se proseguire vogliano a possederle, o rilasciarle, dimodiché eleggendo eglino il
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rilasciarle, altro non possa contro loro pretendere la rispettiva vicinanza; ma per l’opposto eleggendo di ritenerle debbano obbligarsi a favore della vicinanza per pubblico istrumento in forma di Livello ad una certa annua prestazione discreta però e moderata, da concordarsi coi di lei Uffiziali e da determinarsi in caso di discordia fra le parti, da Noi; nel qual caso dovranno esse Cave levarsi dal rispettivo Estimo, non essendo ragionevole che lo stesso fondo sia gravato dalle collette ed insieme dal canone a favore della vicinanza41”.
Maria Teresa esclude così dallo “ius proprium” i beni iscritti da più di venti anni nell'estimo, che non devono dunque più sottostare alla normativa che definiva l'utilizzazione degli agri marmiferi delle vicinanze e che prendono il nome di “beni estimati” in quanto iscritti all’estimo. Per essi valgono in toto le disposizioni codicistiche sulla proprietà. Occorre rilevare che tali beni hanno origine nelle proprietà private derivanti da allodi (proprietà libere in opposizione al feudo) site nelle circoscrizioni vicinali, ma che con l’editto del 1751 assumono una natura diversa. Infatti Piccioli42 mette in luce che se
prima dell’editto essi potevano essere classificati come beni di proprietà piena, adesso invece ciò è dubbio, in quanto nell’editto non si parla di “passaggio di proprietà” ma si fa solo divieto alla vicinanza di proporre azione di rivendica. L’importanza di tali beni non risiede nella loro estensione, ma dalla loro collocazione in punti strategici che rendono difficile l’attuazione delle concessioni.
Veniva anche fissata la modalità di apertura delle future cave, le quali appunto potevano essere aperte senza pregiudizio altrui e per le quali occorreva pagare un canone annuo alla vicinanza: “Resta a trattarsi
delle Cave non ancora aperte, e per questo ordiniamo, che chiunque vorrà negli Agri della sua Vicinanza cercarvi coi suoi lavori
41 C. Piccioli “Storia e dogmatica …” op. cit., p. 138.
42 C. Piccioli “Gli agri marmiferi del comune di Carrara -legislazione-giurisprudenza-dottrina” op. cit., p. 97.
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all’azzardo delle Cave, possa farlo con piena libertà, purché osservi la giusta moderazione di farla in luogo ove non possa derivarne pregiudizio all’altrui43”.
Dunque, i beni che rimangono nella libera disponibilità del proprietario del suolo, che come già detto prendono il nome di beni estimati, sono quelle cave situate in luoghi privati e quelle che sono iscritte da più di venti anni negli estimi. Le altre per le quali i soggetti potevano scegliere se abbandonarle o se pagare un canone annuo alla vicinanza stipulando un contratto di livello, sono sottoposte all'editto del 1751. Dunque l’utilizzazione degli agri si attuava solamente attraverso la concessione in godimento degli stessi nella forma del livello di cava44.
Tale assetto però non diede gli esiti sperati, in quanto le vicinanze non riuscivano a contrastare i membri più influenti e non venne operata quella ricognizione sui beni estimati (su cui tutt'ora c'è confusione). Fu così che si rese necessario un ulteriore intervento il 21 dicembre del 177145, quando Maria Teresa emanò la Legge delle Usurpazioni con
cui operò un riordino amministrativo e catastale dei beni allivellati, fissando delle condizioni che i livellanti e livellari dovevano rispettare. Viene anche istituito un magistrato che doveva giudicare sulle controversie in materia di usurpazione degli agri comunali. Purtroppo anche tale intervento si rivelò inefficace.
43 C. Piccioli “Storia e dogmatica …” op. cit., p. 138 e ss.
44 C. Piccioli “Gli agri marmiferi del comune di Carrara -legislazione- giurisprudenza-dottrina” op. cit., p. 99.
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3. I provvedimenti successivi. La Notificazione
governatoriale del 1846
Durante la dominazione francese, Carrara finì aggregata al Principato Lucchese di Elisa Bonaparte. Il diritto locale venne così soppresso e venne imposto quello francese46.
In età napoleonica, infatti, a causa delle continue guerre che avevano ridotto le esportazioni, si assiste dal punto di vista legislativo all’emanazione di alcuni provvedimenti, il più importante del quale fu emanato nel 1812 ad opera di Felice Baciocchi, principe di Lucca, al cui principato era stato accorpato quello di Massa e Carrara, che abolì le vicinanze e trasferì gli agri marmiferi al comune. Dunque il decreto del 1812 rappresenta il “primo titolo di proprietà del comune sugli agri marmiferi”47. La decadenza delle vicinanze può essere ricondotta
a tre diverse cause48: il progressivo rafforzamento del centro cittadino,
che ha portato all’incremento dei poteri del comune; l’aumento demografico, che non si conciliava bene con la struttura chiusa tipica della vicinanza; l’apertura del commercio del marmo. In particolare il professor Andrea Landi sottolinea come in tale periodo assume grande rilievo la proprietà individuale, la quale rappresentava una forma di espressione della personalità e libertà dell’uomo, in contrapposizione alla tradizione del diritto comune che era caratterizzata, per citare Andrea Landi49, “dalle sue molteplici e spesso complicate forme di
proprietà collettiva”.
Solo dopo la restaurazione nel 1815 con Maria Beatrice D'Este, figlia
46 C. Piccioli “Gli agri marmiferi del comune di Carrara -legislazione-giurisprudenza-dottrina” , op. cit., p. 65.
47 C. Piccioli “Gli agri marmiferi del comune di Carrara -legislazione-giurisprudenza-dottrina” op. cit., p. 99.
48 A. Landi. “La storia giuridica del marmo. Aspetti di diritto minerario negli stati di Massa e Carrara tra diritto comune e diritti particolari” in “La disciplina degli agri marmiferi tra diritto e storia” (a cura di) F. Merusi, V. Giomi, Pisa 2007. 49 A. Landi “La storia giuridica del marmo…”, op. cit., p. 55.
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di Maria Teresa Cybo Malaspina, venne ripristinata la legislazione del principato, confermando però l'abolizione delle vicinanze50.
Così la proprietà degli agri marmiferi passava ai comuni, i quali avevano la competenza per concederli a privati. Tale concessione riguardava dunque i beni che erano nella disponibilità dei privati ma di proprietà del comune. La concessione livellaria rilasciata dal comune aveva ad oggetto il diritto di estrarre marmi.
In seguito, le leggi estensi successive al 1751 furono influenzate dal diritto minerario napoleonico del 1808 che era vigente nel Ducato, il quale stabiliva all’art.7 che le cave di marmi che non erano comprese nella legge sulle miniere in generale, rimanevano nella piena e libera disposizione del proprietario, il quale poteva farne uso senza alcun permesso. Si assisteva così a una liberalizzazione dell’attività di estrazione51.
Piccioli52 mette in luce come in tali anni il livello concessorio dei beni
pubblici degli stati toscani, sia in realtà “una locazione perpetua per
un canone corrispettivo alla netta vendita del fondo (..)” e che tale
modello sia stato descritto nell’Editto 25 maggio 1820, dal cui contenuto deriva la Notificazione del 14 luglio 1846 (di cui dirò di seguito).
Con l’emanazione dell’Editto 30 maggio 1820 viene introdotto un nuovo sistema catastale a Carrara, il quale disponeva un elenco delle proprietà e delle cave e operava una ricognizione di tali beni. Gli agri marmiferi erano intestati al comune come proprietà53.
L’evoluzione normativa più importante per il contenuto della concessione degli agri marmiferi si è avuta con la morte di Maria
50 C. Piccioli “Gli agri marmiferi del comune di Carrara -legislazione-giurisprudenza-dottrina”, op. cit., p .66.
51 S. Antoniazzi, “La normativa estense degli agri marmiferi di Massa e Carrara ..” op. cit., p. 106.
52 C. Piccioli, “Introduzione allo studio del sistema estense” estratto da “Storia e dogmatica del sistema Minerario Estense - Carrara 1751-1995", Pisa, 2005, p. 13. 53 S. Antoniazzi, “La normativa estense degli agri marmiferi di Massa e Carrara ..” op. cit., p. 109.
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Beatrice, quando il Governatore Bayard De Volo introdusse un nuovo atto di concessione per gli agri marmiferi e cercò di riordinare la disciplina che Maria Teresa aveva emanato con l'editto del 1751, in quanto come già detto, tale legislazione non era stata attuata ma era stata sostituita dalle prassi consuetudinarie. Quando il Duca Francesco V (figlio di Maria Beatrice d'Este) giunse a Massa, il governatore Nicolò Bayard de Volo decise di mostrargli il suo progetto per disciplinare in modo più ordinato legislazione sulle cave54. Tale
provvedimento fu emanato nel 1846. Vennero disciplinati in modo particolareggiato la procedura per l’apertura delle cave (art.2)55 e i
diritti e gli obblighi del comune e del livellario. Il diritto del livellario viene qualificato come un diritto reale di godimento su cosa altrui autonomo dal diritto di proprietà del comune. Il livellario, per non perdere il suo diritto, doveva pagare un canone al comune, coltivare la terra, stipulare l’atto di ricognizione della proprietà comunale ogni 29 anni, e doveva corrispondere un “laudemio” (era una prestazione in denaro) al momento dell’investitura della cava, dell’alienazione o successione56. Per le cave già aperte (art.1)57, la notificazione del 1846
stabilisce che il comune debba verificarne l’effettivo utilizzo e in caso di rinnovazione del livello era previsto un termine di 30 giorni dalla decadenza. La procedura amministrativa di domanda di livello di cava aperta che aveva ad oggetto il diritto di estrarre il marmo dal sottosuolo comunale ottenuto in concessione, prevedeva l’obbligo di pubblicazione per il comune al fine di consentire eventuali opposizioni da parte di terzi che intendessero far valere diritti reali o richieste di risarcimento danni sulla cava aperta. La natura pubblicistica del bene cava è giustificata sia dalla disponibilità di esso da parte del solo concedente a tutela dell’interesse pubblico
54 C. Piccioli “Storia e dogmatica …” op. cit., pp. 12-13. 55 C. Piccioli “Storia e dogmatica …” op. cit., p. 161.
56 S. Antoniazzi, “La normativa estense degli agri marmiferi di Massa e Carrara ..” op. cit., p. 111.
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all’escavazione di marmi, sia dal divieto di affrancazione del livello da parte del concessionario privato. Le ricerche per l’apertura di nuove cave negli agri comunali erano riconosciute in modo esteso come facoltà di ogni suddito estense58.
i.
L’evoluzione del livello di cava dal 1751 al 1846
L’istituto di livello di cava, così come disciplinato prima dalla legge del 1751 e poi dalla Notificazione governatoriale del 1846, è il fulcro essenziale di tutto il regime concessorio. Esso ha avuto grande rilevanza nel territorio di Carrara fin da tempi più remoti. Con tale termine infatti si alludeva a tante tipologie di contratto che istituivano un diritto di godimento sul fondo. Il suo contenuto non è predeterminabile a priori e per questo talvolta è assimilabile all’enfiteusi e talvolta alla locazione. L’evoluzione dell’istituto dall’editto del 1751 alla notificazione governatoriale del 1846 è interessante. Nell’editto del 175159 il soggetto che intendeva aprire
una nuova cava, doveva infatti “aggredire” il monte praticandovi un “tentativo di cava” e doveva scalfire sul sasso vivo le sue iniziali operando una vera e propria marcatura della zona. Dopodiché doveva fare denuncia del tentativo alla Vicinanza che inviando due periti, verificava l’avvenuta apertura della cava. Da adesso decorreva un periodo di 2 anni per lo sfruttamento della cava da parte del privato, decorso il quale il soggetto doveva decidere se abbandonare la cava o pagare un canone di concessione alla vicinanza. Dobbiamo sottolineare che oggetto della concessione è solamente il diritto di escavazione. Con la notificazione governatoriale del 1846, si
58 S. Antoniazzi, “La normativa estense degli agri marmiferi di Massa e Carrara..” op. cit., p. 112.
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dispone60 che chiunque possa praticare "tentativi di cava", con il solo
limite di osservare le norme forestali e di non recare danno agli altri. Tali tentativi dovevano essere “marcati” e cioè contrassegnati con le inziali del ricercatore, previa denuncia al comune. Dal tentativo decorrevano poi 6 mesi (e non più due anni come nell’editto del 1751) per presentare al comune la domanda di concessione. La domanda di concessione veniva poi pubblicata mediante affissione per otto giorni consecutivi a cura del Comune, ciò permetteva, come ho già detto sopra, la possibilità di opposizione da parte di terzi al Tribunale ordinario il quale stabiliva solamente se la concessione violava diritti anteriori o arrecava danno alle proprietà confinanti.
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4. Provvedimenti successivi al 1846
Francesco V emanò un provvedimento sull’espropriazione il 4 aprile 1851: qualora fosse stato necessario occupare terreni di alcuni proprietari ed essi si rifiutavano di cederli o ritenevano le somme non adeguate a titolo di indennizzo, allora si procedeva all’espropriazione degli stessi61.
Con il codice civile del 1852 vengono eliminati il diritto statutario locale e gli istituti di diritto comune (l’istituto del livello). Nel rescritto sovrano del 25 giugno del 1852 si precisava però che l’istituto del livello non veniva abrogato per le cave di Massa e Carrara, per le quali vigeva la notificazione governatoriale del 14 luglio 1846 che richiamava la legge del 1751. Il codice del 1852 introduceva in particolare nuove tipologie di enfiteusi, nella forma però del diritto reale di godimento perpetuo senza l’obbligo del miglioramento del fondo. Dunque la disciplina degli agri marmiferi di Massa e Carrara è legge speciale ed opera nell'ambito dell'ordinamento estense, per questo prende il nome di sistema estense limitato. La disciplina mineraria generale prendeva invece il nome di “Sistema estense illimitato” in quanto regolava “il settore minerario
complessivo secondo il criterio della disponibilità del fondo per il proprietario privato62”.
Con l'unità di Italia si assiste allo sviluppo dell'economia del marmo con l'estero. Di particolare importanza è il fatto che in tale periodo vi è la totale assenza del rispetto della legislazione estense63. Le
concessioni delle cave, in disprezzo alla regola dell'editto del 1751, vengono cedute senza la preventiva autorizzazione del comune.
61 C. Piccioli, “Storia e dogmatica del sistema Minerario Estense”, op. cit., p. 170
ss.
62 S. Antoniazzi, “La normativa estense degli agri marmiferi di Massa e Carrara” op. cit., p. 114.
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Nel 1905 fu così che fu affidato all'Ing. Galileo Contivecchi il compito di riportare la situazione alla normalità64. Egli scoprì che ben 911 agri
marmiferi erano lavorati senza la regolare concessione e adottò una soluzione provvisoria, in quanto non era possibile risolvere la situazione nell'immediato: coloro che lavoravano gli agri senza una regolare concessione dovevano sottoscrivere una dichiarazione in cui ne riconoscevano la proprietà del comune e pagavano a esso un canone simbolico in attesa della regolare concessione. Dei 911 agri marmiferi non in regola, solo 614 furono intestati ai soggetti che avevano sottoscritto la dichiarazione e furono accatastati con il nome "livellario" al comune di Carrara. Gli altri 297 invece vennero intestati agli occupanti con la dizione "possesso contestato dal comune di carrara"65. Il problema fu che il comune non si attivò per il ripristino
della intestazione a suo nome di questi 297 agri e anche i soggetti che avevano operato la sottoscrizione non si attivarono per ottenerne la regolare concessione66.
Solo con la Legge mineraria del 1927 venne eliminata la disciplina preunitaria e venne creato un diritto minerario nazionale.
64 C. Piccioli “Storia e dogmatica …” op. cit., pp. 14-15. 65 C. Piccioli ibidem.
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5. La legge mineraria del 1927
La legge del 1927, infatti, è considerata la legge mineraria generale in quanto detta le disposizioni generali relative all’attività di ricerca e coltivazione dei giacimenti minerari. Inoltre dispone la distinzione tra la categoria delle miniere e la categoria delle cave e torbiere.
Le miniere, che sono esistenti nel sottosuolo, vengono classificate come beni tassativamente elencati, di proprietà statale e concesse ai privati escavatori tramite un atto di concessione67. Le cave invece
sono invece classificate come beni privati, l’escavazione in tal caso ha bisogno di un’autorizzazione per l’interesse pubblico che esse rivestono. Tale dicotomia però non viene applicata per i marmi di Massa e Carrara, i quali non rientravano né fra le cave, né fra le miniere68. Infatti nel territorio dei due comuni, come ho delineato
precedentemente, vigeva la disciplina preunitaria, secondo la quale c’erano cave di proprietà privata (i beni estimati) e tutto il resto era di proprietà dei comuni di Massa e Carrara. Viene allora creato un micro sistema per Massa e Carrara, in quanto la Legge Mineraria del 1927 stabilisce, all'art.6469, che i due comuni debbano emanare specifici
regolamenti per la concessione dei rispettivi agri marmiferi entro un anno. La ratio dell’inapplicabilità della disciplina generale ai comuni di Massa e Carrara, come già detto, risiede nella particolarità del regime proprietario delle cave che non appartengono ai proprietari dei
67 F. Merusi, “La disciplina degli agri marmiferi tra diritto e storia”, G. Giappichelli
editore, Pisa, 2007.
68 F. Merusi, “La disciplina degli agri marmiferi tra diritto e stori” op. cit., p. 144. 69 Art.64 “Sono abrogate tutte le disposizioni delle leggi e dei decreti fino ad ora vigenti riguardanti le materie contemplate dal presente decreto. Nulla è innovato: a) alle leggi vigenti in materia di polizia mineraria); b) alle facoltà conferite al Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato per le ricerche e coltivazioni minerarie da eseguirsi per conto dello Stato; c) all'ordinamento giuridico ed al sistema di utilizzazione delle miniere e delle sorgenti termali e minerali pertinenti allo Stato. Entro un anno dalla pubblicazione del presente decreto, i comuni di Carrara e Massa emaneranno un regolamento, da approvarsi dal Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato, per disciplinare le concessioni dei rispettivi agri marmiferi”.
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suoli, ma ai comuni che ai fini dell’utilizzazione rilasciano concessioni ai privati. Dunque non sono oggetto di confisca secondo lo schema del sistema demaniale adottato dalla legge del 1927, dato che non sono beni disponibili, e non rientrano nelle categorie dell’art.822 c.c. Infatti la natura demaniale sarebbe incompatibile con il sistema della concessione basata sul livello per lo sfruttamento da parte del privato70. Tali beni sono di natura pubblica e appartengono al
patrimonio indisponibile del comune. Il sistema estense non prevedeva la possibilità di usucapire il bene oggetto della concessione livellaria, secondo appunto il principio dell’imprescrittibilità dei beni pubblici. Tuttavia la Corte di Cassazione71 “ha anche ammesso la
possibilità di usucapire il diritto reale limitato avente ad oggetto lo sfruttamento dell’agro marmifero, in quanto è ammissibile la costituzione di un diritto per usucapione sui beni patrimoniali indisponibili dello stato, dei comuni e delle province, purché non venga pregiudicata la destinazione pubblica del bene, principio affermato all’art.828 cc.” Tale giurisprudenza dunque affermava la
prevalenza della natura privata del diritto reale di godimento, anche se esso derivava da una concessione pubblica.
La Cassazione72 specifica infatti che “Ora che la costituzione per
usucapione del diritto di enfiteusi sugli agri marmiferi di Massa e di Carrara non pregiudichi la destinazione pubblica degli agri stessi è assolutamente certo, poiché quella destinazione consiste nello sfruttamento delle cave, che si attua appunto con la concessione di esse in enfiteusi ai privati. Nella specie anzi non tanto si tratta di un diritto reale che non distolga il bene dalla sua pubblica destinazione, quanto piuttosto di un diritto reputato dalla legge necessario per la realizzazione della destinazione medesima".
Poiché lo stesso art.64 abrogava " tutte le disposizioni delle leggi e dei
70 S. Antoniazzi, “La normativa estense degli agri marmiferi di Massa e Carrara..” op. cit., p. 115.
71 Cass., sez. civ., 24 maggio 1954, n. 1679 in Giust. civ. 1955, p. 1491 ss. 72 Cass., n. 1679/’54, cit.
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decreti ora vigenti riguardanti le materie contemplate dal presente decreto", si pose il problema se l'abrogazione comprendesse anche la
legislazione Estense sulle cave di Carrara e di Massa.
Secondo i concessionari con o senza titolo, il sistema estense ancora operava e dunque i regolamenti che l’art.64 auspicava dovevano essere coerenti con l’assetto che il sistema delineava, al fine di renderlo compatibile con la nuova disciplina73. Secondo tale
impostazione, le concessioni avevano natura privatistica e si poteva ammettere per esse l’affitto, inoltre si poteva ritenere che le occupazioni senza titolo concessorio potessero essere sanate con l’usucapione74.
Con riferimento all’art.64, invece, la corte di Cassazione nella sentenza suddetta75 ha esplicitato che la legge mineraria con tale
disposto “intese mantenere in vigore il sistema Estense fino a che non
si fosse provveduto al coordinamento di esso con quello nuovo generale.” La giurisprudenza riteneva che tali beni erano oggetto di
un atto pubblicistico di concessione amministrativa secondo lo schema della concessione-contratto, dal quale sorgeva in capo al privato un diritto reale di godimento di natura privata76.
Piccioli77 osserva che “questa scarna norma (art.64-Legge
Mineraria), lasciava spazio alle più diverse interpretazioni sulla sopravvivenza delle Leggi Estensi, e sulla portata degli emanandi regolamenti”. Secondo autorevole dottrina78 questa esclusione
contenuta all’art.64 per gli agri marmiferi di Massa e Carrara
73 S. Menchini “Il microsistema della disciplina degli agri marmiferi dei comuni di Massa e Carrara” in “La disciplina degli agri marmiferi tra diritto e storia” F.
Merusi, V. Giomi, G. Editore, Pisa 2007.
74 S. Menchini “Il microsistema della disciplina degli agri marmiferi dei comuni di Massa e Carrara” op. cit., p. 145.
75 Cass., n. 1679/’54, cit.
76 S. Menchini “Il microsistema della disciplina degli agri marmiferi dei comuni di Massa e Carrara” op. cit., p. 146.
77 C. Piccioli, “Introduzione allo studio del sistema estense” estratto da “Storia e dogmatica del sistema Minerario Estense - Carrara 1751-1995", Pisa, 2005. 78 S. Antoniazzi, in “La normativa estense degli agri marmiferi di Massa e Carrara”
contenuta in “La disciplina degli agri marmiferi tra diritto e storia” (V. Giomi e F. Merusi) cita alla nota 19 della p. 104 A.M Sandulli.
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confermava l’appartenenza delle cave al patrimonio indisponibile prima della vicinanza e poi del comune. I privati potevano sfruttare le cave solo con la concessione livellaria ad uso di cava rilasciata dal comune. Il livello era dichiarato così perpetuo e trasmissibile (previo consenso del comune) a chiunque per alienazione e successione. Il livello di cava comunque presentava tutte le caratteristiche della concessione su un bene pubblico, costitutiva di un diritto reale pubblico79.
La disciplina del 1751 aveva introdotto una novità di grande rilievo: l’obbligo di stipulare l’atto di livello “ad uso di cava di marmo”. Veniva così riconosciuto il diritto di proprietà della vicinanza e veniva introdotta la concessione come unica modalità di esercizio dell’attività di cava. La condizione giuridica delle cave viene dunque ricondotta alla proprietà perpetua e inalienabile dei comuni che deve essere concessa ai privati, che hanno acquisito un diritto di livello perpetuo e trasmissibile, per lo sfruttamento80.
I Comuni di Carrara e di Massa, dunque, ex art.64 della Legge Mineraria, dovevano emanare un regolamento che coordinasse in un unico testo le sparse norme preunitarie dello Stato Estense, uniformandole, dove fosse possibile, ai principi del vigente diritto minerario e amministrativo.
Nell’ambiguità della legge estense, però, gli occupanti delle cave suddette colsero l'occasione per ostacolare ogni tentativo di regolamentazione sulle cave da parte del comune. La soluzione prospettata nella messa in regola dei 911 agri marmiferi non era però stata avviata81. Allora il podestà Canesi decise di emanare un termine
di 30 giorni per la presentazione delle domande di rilascio delle concessioni. A causa però della crisi economica degli anni Trenta, che indebolì l'industria del marmo e tutte le attività a essa connesse, anche
79 S. Antoniazzi, “La normativa estense degli agri marmiferi ..” op. cit., p. 105. 80 S. Antoniazzi, ibidem.
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tale tentativo rimase inattuato82. Nel dopoguerra, grazie alla
progressiva ripresa economica delle industrie del settore, si era diffusa l'idea che le concessioni avessero natura privatistica, in quanto ciò era quello che sostenevano i concessionari-locatori. Da ciò conseguiva che le cave occupate senza titolo venivano sanate mediante il ricorso all’usucapione. I concessionari-locatori sostenevano inoltre, come osserva Piccioli83, che il regolamento che i comuni di Massa e Carrara
dovevano emanare avrebbe dovuto riferirsi solamente alle nuove cave da aprire.
Nell'ennesimo tentativo di porre fine al regime caotico sugli agri marmiferi, venne allora nominata dall'amministrazione carrarese una Commissione composta da illustri giuristi e presieduta da Emanuele Piga, che aveva il compito di analizzare la legislazione sugli agri marmiferi e di creare il regolamento comunale auspicato dalla legge mineraria del 1927. Furono allora ricercati tutti i documenti e gli atti emanati al fine di ricostruirne l'assetto epoca per epoca84. Da ciò fu
redatta una relazione nel 1954 che metteva in luce lo stretto legame esistente tra la legislazione estense e la condizione degli agri marmiferi di Massa e Carrara. Come già dicevo prima in merito all’interpretazione dell’art 64 della legge mineraria del 1927, nel corso dei lavori della commissione era stata emanata da parte della corte di Cass. Civ., V, la sentenza n. 1679 del 24/5/195485, in merito a una
controversia tra privati, che fissava principi importanti. In particolare stabiliva che gli agri marmiferi erano beni del patrimonio indisponibile, e che il livello di cava era un diritto reale di godimento di natura privata che si creava con un atto concessorio simile all'enfiteusi, ma diverso in quanto non vi era né l'obbligo del miglioramento del fondo, né la possibilità di affrancamento. Come
82 C. Piccioli, ibidem.
83 C. Piccioli, “Storia e dogmatica …” op. cit., p. 20. 84 C. Piccioli, “Storia e dogmatica …” op. cit., p. 20.
85 Per questa sentenza, Cass. Civ., V, 24 maggio 1954, n.1679 in C. Piccioli “Storia e dogmatica del sistema minerario estense. Carrara 1751-1995”, Pisa 2005, p. 21.
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osserva Piccioli86, la commissione concordava con ciò che la corte di
Cassazione aveva stabilito, ma invece che definire la natura del diritto del livellario come l’istituto dell’enfiteusi, propose di assimilarla all'usufrutto, e mise altresì in luce come sia la commissione Piga che la corte di Cassazione cercarono di collocare l’istituto del livello nell'ambito dei diritti reali.
Piccioli pubblica un volume dal titolo "Gli Agri Marmiferi del
Comune di Carrara”87, nel quale ribadiva l'idea dell'interpretazione in
chiave pubblicistica della disciplina (a cui più volte ho fatto riferimento nella trattazione).
86 C. Piccioli, “Introduzione allo studio del sistema minerario estense”.. op. cit., pp.
21-22.
87 C. Piccioli, "Gli Agri Marmiferi del Comune di Carrara"