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La situazione italiana: critiche sul metodo pag

Dopo aver analizzato i contenuti del disegno di legge in sede di esame, merita una riflessione il “metodo” con cui il disegno di legge in questione affronta la materia delle direttive anticipate di trattamento.

E a tal proposito una preliminare domanda, sicuramente provocatoria, viene alla mente: davvero è indispensabile una legge del Parlamento sul testamento biologico?

Nei casi precedentemente esaminati, abbiamo visto come quando la politica non presti ascolto ai bisogni dei cittadini e alle loro richieste di giustizia, i cittadini si disinteressano della formalizzazione giuridica per servirsi, comunque, di strumenti espressivi della volontà ed autonomia del malato: è del resto consolidato convincimento, espresso autorevolmente dagli organi giurisdizionali, che si possa procedere tenendo conto della volontà del malato, ricostruita da quanto aveva detto o scritto e dalla testimonianza delle persone a lui vicine, anche in assenza di un apposita legge172.

L’interrogativo iniziale, risulta però ormai inutile, visto lo stato di avanzamento dei lavori parlamentari sulla materia in questione; avanzamento che si è avuto principalmente negli ultimi anni, sull’onda del clamore suscitato dalla vicenda “Englaro”, ed è già questo improvviso interesse del legislatore che dà motivo di riflessione.

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Cfr. Cfr. NORELLI, FOCARDI e DE LUCA, Il disegno di legge circa le disposizioni anticipate di trattamento ( alla luce delle modifiche del testo emanato dalla Camera il 12 luglio 2011): un’occasione mancata? in Riv. it. medicina legale, 2012, 03, 1061.

172 Conferma tale soluzione sicuramente la sentenza del Tribunale di Milano precedentemente esaminata sul caso “Englaro”.

126 La regolamentazione di un’ istanza tanto delicata quanto sentita dai cittadini non deve essere espressa in un clima come quello in cui è maturato il disegno di legge “Calabrò”; prima di tutto la disciplina in esame sembra nata come un modo per “contenere” la vicenda specifica di Eluana Englaro, sulla scia quindi di un caso giudiziario specifico, e non sulla base di richieste generalizzate dalla comunità; inoltre il disegno di legge è stato lo strumento per la rivendicazione del diritto- dovere del Parlamento di legiferare su materie così delicate173.

In realtà però, la Magistratura, e la Corte di Cassazione in particolare, non hanno fatto che l’unica cosa costituzionalmente permessa ad un giudice, in mancanza di norme specifiche; ovvero tentare di rimediare all’assenza di regole sulla materia mediante l’applicazione diretta di diritti costituzionali e norme di sistema al caso concreto, quali gli articoli 2, 13 e 32 della Costituzione, la

Convenzione per la protezione dei diritti dell’uomo e la dignità dell’essere umano riguardo alle applicazioni della biologia e della medicina del Consiglio d’Europa del 1997, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, la legge sul Servizio sanitario

nazionale del 1978, le disposizioni del Codice di deontologia medica, nonché la giurisprudenza costituzionale e quella dello stesso giudice di legittimità174; questa “creatività giurisprudenziale”, se così può essere

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Si fa riferimento al conflitto di attribuzione sollevato dal Parlamento nei confronti del potere giudiziario, accusato nel caso in esame di aver operato une vera e propria “produzione normativa”, sostituendosi cosi al legislatore. Cfr. GEMMA, Parlamento contro giudici: un temerario conflitto di attribuzioni sul “caso Eluana”, in Giur. cost., 2008, 5, 3723, il quale ritiene che “i ricorsi delle Camere sono fondati su motivazioni in alcun modo difendibili. Tale infondatezza argomentativa non denota però solamente l'infondatezza di una tesi giuridica, ma conferma il forte sospetto, per non dire la netta convinzione, che intento del Parlamento non sia stata la tutela di proprie attribuzioni nei confronti del potere giudiziario, bensì il tentativo di paralizzare una tendenza giurisprudenziale, pienamente corretta sotto il profilo costituzionale, ma sgradita sotto il profilo politico e culturale alla maggioranza parlamentare”.

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Ciò è permesso ed esplicitamente previsto dall’articolo 12 delle disposizioni sulla legge in generale del codice civile, il quale afferma al secondo comma che “Se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe; se il caso rimane ancora

127 definita, non solo costituisce una dinamica naturale del diritto, ma non è affatto contestata nella sua essenza, posto che, eventualmente, si potranno discutere le sue dimensioni o specifiche manifestazioni che si ritengano frutto di eccessiva creatività175.

Inoltre, tale dinamica non è mai stata contestata, in passato, nemmeno dall'attuale maggioranza parlamentare, in nome della tutela delle attribuzioni del potere legislativo.

A livello legislativo, la redazione di una legge sul testamento biologico deve prima di tutto passare per i principi espressi nella carta Costituzionale; a tal proposito, c’è chi vede nell’illimitata capienza di contenuti delle previsioni costituzionali più un “rassicurante feticcio,

che non un dato oggettivo attuale e che, probabilmente, sia giunto il momento di mettervi mano con ragionevoli aggiornamenti che contemplino anche questi nuovi casi”176.

Né, d’altro canto, a siffatta esigenza potrebbe muoversi l’obiezione della immodificabilità dei principi fondamentali, poiché se dubbio, si decide secondo i principi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato”. Cfr. VIOLANTE, Eluana, il diritto e le leggi, in La Stampa, 1/8/2008. Dello stesso avviso, FERRANDO, la quale ricorda come “È proprio grazie al ricorso ai principi generali che la Corte di Cassazione ha deciso l’inammissibilità del disconoscimento di paternità da parte del marito che aveva dato il consenso all’inseminazione eterologa della moglie. Riscontrata una lacuna, in quanto, a giudizio della Corte, l’art. 235 c.c. non trova diretta applicazione al di fuori dell’ipotesi di concepimento avvenuto in seguito a un rapporto fisico della moglie con persona diversa dal marito, la Corte fa ricorso ai principi generali (principalmente, il divieto di venire contra factum proprium, e il principio di responsabilità nella procreazione) per prendere la decisione”; Stato vegetativo permanente e sospensione dei trattamenti, in Testamento biologico ,Riflessioni di dieci giuristi, a cura della Fondazione Umberto Veronesi, 2005, pag. 184, edito dalla Fondazione Umberto Veronesi in collaborazione con il Sole 24 Ore.

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“Possibile che ogni volta si debba ricordare ai parlamentari che le corti costituzionali sono appunto <<giudici delle leggi>>, che hanno proprio il compito di vegliare sul rispetto dovuto dal Parlamento alla Costituzione? Possibile che ignorino che la discrezionalità del legislatore incontra limiti precisi in particolare quando sono in questione la vita, la salute, la dignità della persona?” Cfr. RODOTA’, Legge sul testamento biologico: l’ultima volontà espropriata, in Biodiritto, bioetica e fine vitadel 13/7/11, disponibile sul sito www.personaedanno.it .

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Cfr. AGOSTA, Note di metodo al disegno di legge in materia di dichiarazioni anticipate di trattamento(tra molteplici conclusioni destruentes ed almeno una proposta construens), inrivista italiana dei costituzionalisti, disponibile sul sito archivio.rivistaaic.it/dottrina/libertadiritti .

128 è vero che essi sono nella loro essenza immodificabili, non altrettanto può dirsi invece per le formule costituzionali che potrebbero essere pur sempre modificabili, al servizio dei principi stessi.

Il Parlamento sembra però aver optato per l’altra opposta possibilità, ovvero intervenire direttamente con legge ordinaria anziché di livello costituzionale, considerando ancora saldo e tendenzialmente integro l’intero edificio della Costituzione, nonostante il dirompente impatto con le questioni eticamente sensibili: la Carta fondamentale conserverebbe dunque, secondo il Parlamento, ancora intatta la sua essenza di punto di convergenza su una tavola di valori condivisi a dispetto degli anni passati e della disgregazione etica in corso.

Muovere da tali premesse vuol dire spostarsi su un diverso piano della questione in esame che non è di riscrittura, ma di interpretazione costituzionale, perché sembra ormai che a fronteggiarsi siano qui due opposti modi di interpretare la carta Costituzionale: da una parte, l’opzione ermeneutica offerta dal Supremo giudice di legittimità con la sentenza n. 21748 del 2007 sul caso “Englaro”, allorché ha ritenuto di poter ricavare dall’attuale quadro costituzionale, e con tutte le cautele del caso, un vero e proprio diritto dell’ammalato di rifiutare le cure; e dall’altra, quella del Parlamento che si è di fatto opposto a tale diritto vivente per imporre la propria visione del diritto costituzionale, ovvero lo sbilanciato favor per l’intangibilità della vita umana, a prescindere dallo stato del soggetto177.

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In dottrina intanto si fa notare come abbia ormai preso piede una nuova concezione del diritto alla salute, “non più intesa in senso angusto e restrittivo, di "assenza di malattia", ma in termini più lati, maturi ed evoluti, oltre che onnicomprensivi, in piena sintonia con i valori personalistici della Costituzione; ossia "come stato di completo benessere fisico e psichico, e quindi coinvolgente, in relazione alla percezione che ciascuno ha di sé, anche gli aspetti interiori della vita come avvertiti e vissuti dal soggetto nella sua esperienza; non c’è più quindi un metro oggettivo su cui misurare, con gli strumenti della scienza, la salute, ma occorre tener conto dell'esperienza individuale, dell'universo di valori culturali, religiosi, familiari, con i quali la salute deve armonizzarsi”, e non in linea con quanto statuito dal presente disegno di legge. Cfr. MASONI, Vivere è un diritto, non un obbligo: amministrazione di sostegno e consenso ai trattamenti sanitari e di fine vita, in Dir. Famiglia, 2008, 2, 676.

129 Quanto all’oggetto dell’attuale disciplina, una nutrita serie di riferimenti avrebbero dovuto confermare con un buon margine di sicurezza la consolidata esistenza di un diritto a rifiutare le cure da parte dell’ammalato; il Parlamento non avrebbe dovuto che prenderne atto definendone semplicemente i contorni mediante la regolamentazione della semplice modalità di espressione della volontà178.

A sostegno di ciò, lo si è ormai ripetuto, spicca il dato costituzionale, in primis: già lo stesso impianto di una Carta basata sulla centralità della persona, che appunto si apre con la solenne proclamazione dell’habeas corpus all’articolo 13 della Costituzione, starebbe infatti con forza a testimoniare il valore costituzionale dell’inviolabilità della persona, e dunque, come diritto d’impedire illegittime intromissioni nella sfera personale altrui179.

Né questo risultato interpretativo potrebbe ragionevolmente escludersi per il diverso caso del malato non più cosciente giacché la

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Dello stesso avviso D’AVACK, secondo cui “L'intervento legislativo su questioni personalissime, dove la presenza etica è molto marcata, deve limitarsi (per garantire interessi a rischio immediato, per salvaguardare principi non autodifendibili) al diritto necessario: a porre quelle regole, cioè, che non si possono ricavare in via interpretativa dall'ordinamento con un margine di sufficiente coerenza ed unitarietà di giudizio, di modo che la nuova normativa appaia necessaria ad evitare l'affermarsi sia di indirizzi giurisprudenziali disorientati e disorientanti, sia di tendenze non controllabili nella condotta sociale”; Il disegno di legge sul consenso informato all’atto medico e sulle dichiarazioni anticipate di trattamento, approvato al Senato, riduce l’autodeterminazione del paziente e presenta dubbi di costituzionalità, in Dir. famiglia 2009, 03, 1281.

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Parte della dottrina non aderisce totalmente a tale lettura del dettato costituzionale; si afferma viceversa che “l'autodeterminazione intesa in modo assoluto è una formula vuota: una invenzione che può essere invocata se dobbiamo prendere decisioni di carattere patrimoniale o anche se dobbiamo prendere altro tipo di decisioni personali, ma che non può valere sempre e comunque, e soprattutto, che non può facilmente essere invocata per giustificare scelte di fine vita. Se riteniamo necessario prendere in esame anche le esigenze di coloro che vivono insieme al malato e che pure hanno diritto ad essere ascoltati, ovviamente in modo ed in misura differente a chi soffre direttamente, dobbiamo concludere che l'autodeterminazione dell'individuo può trovare accoglimento soltanto nell'ambito di un contesto più ampio. Per tale ragione(…), è preferibile parlare di principio di autodeterminazione inteso in senso debole e mai in modo assoluto”. Cfr. SPOTO, Questioni di fine vita tra modelli adottati in Europa, negli Stati Uniti e proposte interne, in Europa e dir. priv., 2011, 04, 1175.

130 Costituzione non limita in alcun passaggio la libertà personale, la sua inviolabilità e il diritto a non vedersi somministrare trattamenti sanitari non acconsentiti al momento in cui si è capaci di intendere e di volere.

In sostanza non è ricavabile da nessuna norma, neanche implicita, la regola per cui una volta perduta coscienza si perda anche la libertà di autodeterminazione: a volerla pensare diversamente, come purtroppo è stato fatto, altro non si fa che acconsentire ad un’inaccettabile discriminazione ex art. 3 della Costituzione, tra soggetti ugualmente ammalati, per il solo fatto dell’incoscienza.

In una così ampia ed articolata cornice di principi a favore del diritto di rifiutare le terapie, dal Parlamento ci si sarebbe insomma aspettato l’intendimento di mettere mano ad un insieme di regole semplicemente a dettaglio del migliore esercizio del suddetto diritto; necessario non era, cioè, creare dal nulla nuovi principi a governo della materia, poiché questi sono già rinvenibili nel nostro ordinamento, ma piuttosto portare a completa esecuzione quelli già espressi dalla Carta costituzionale, giacché numerosi e vari sono gli aspetti ancora in attesa di una più precisa e tempestiva regolamentazione; si pensi, appunto, alle modalità di espressione della volontà del malato.

Una legge “leggera” insomma, che si fosse limitata alle sole modalità di esercizio del diritto, che meglio avrebbe dunque servito le ragioni di certezza dell’ordinamento nei drammatici episodi prospettati nei casi concreti180.

Il legislatore nel disegno di legge “Calabrò” sembra dirigersi verso una revisione costituzionale di fatto, attuata tramite lo “svuotamento” di un pieno diritto costituzionale, attraverso la

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Dello stesso avviso VILLONE, per il quale “Non sempre poter fare una legge significa che si debba fare. Soprattutto quando i temi sono complessi, toccano questioni di fondo su cui è massima l’incertezza, o si collocano in campi in cui il sapere tecnico è in continua evoluzione. In tal caso la migliore legge può essere quella che non c’è, o almeno quella minimale, che poco dispone, e molto lascia alla decisione individuale, agli orientamenti prevalenti nella società, alle best practices che la comunità scientifica suggerisce, alla giurisprudenza”; Costituzione liberale vs. legislatore illiberale, Il caso del testamento biologico, in Biodiritto, bioetica e fine vita del 3/5/11, disponibile sul sito www.personaedanno.it .

131 sostanziale rimozione dei medesimi principi contenuti nella prima parte della Costituzione e, per un altro, mediante la sostituzione di essi con un’altra tavola di valori, frutto delle sole convinzioni di una parte cattolica, incentrata sull’intangibilità della vita umana; ciò di cui si sente tutt’ora la mancanza è invece una legge che si mostri rispettosa dei principi costituzionali, un testo in funzione evolutiva dei diritti fondamentali della persona umana, tramite un ragionevole bilanciamento tra essi181.

La disciplina del disegno di legge “Calabrò” risulta poi connotata da divieti e doveri, ispirati più dal formalismo che non dall’elasticità delle procedure; dal punto di vista metodologico inoltre, l’uso di un linguaggio restrittivo fa affiorare una diffidenza del Parlamento nei confronti dei destinatari delle norme stesse182, in primis i medici.

La normativa insomma, nasce come legge intesa a colmare un vuoto ormai protrattosi per troppi anni, ma il vero obiettivo sembra il voler porre in essere una ritorsione nei confronti del diritto vivente che, a parere del Parlamento, risulta troppo progressista e fondato su una mediazione dei valori in gioco mal bilanciata183.

Un assetto normativo di tal genere, non solo non appare in grado di fornire alcun apporto alla soluzione dei casi più difficili, ma rischia di aumentare esponenzialmente il contenzioso davanti ai giudici, avendo inutilmente esasperato il possibile conflitto fra doveri

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Sul punto cfr. RODOTA’, Sul testamento biologico si segua la costituzione, in La Repubblica, 5 ottobre 2008.

182 Cfr. AGOSTA, Note di metodo al disegno di legge in materia di dichiarazioni anticipate di trattamento(tra molteplici conclusioni destruentes ed almeno una proposta construens), in Rivista italiana dei costituzionalisti, disponibile sul sito archivio.rivistaaic.it/dottrina/libertadiritti.

183 Il disegno di legge Calabrò viene accusato anche di non essere in linea con le normative precedentemente varate dal Parlamento; in particolare, se lo si confronta con la normativa relativa alla fecondazione assistita la quale, affrontando anch’essa questioni eticamente sensibili, è stata ispirata da criteri antitetici di quelli che sono alla base della disciplina sul testamento biologico, poiché si parla appunto della massima naturalità possibile (a tutela dell’embrione), mentre per la disciplina di cui si discute il principio guida sembra essere la massima artificialità pensabile (a “tutela” del malato). Cfr. AGOSTA, ultima op. cit.

132 professionali della categoria medica ( la cui attività, lo si ripete, è espressamente qualificata come “esclusivamente finalizzata alla tutela

della vita”, secondo quanto previsto dall’articolo 1, comma 1, lettera

c), ed autodeterminazione del paziente (che potrebbe invece concretizzarsi nella legittima richiesta di sospensione di un trattamento vitale): così un medico che, invocando la legge “Calabrò”, imponesse ad esempio la nutrizione artificiale nonostante il paziente incosciente avesse espressamente lasciato per iscritto il rifiuto, andrebbe facilmente incontro con il rifiuto di familiari che, non rassegnandosi, potrebbero decidere di recarsi anche dal giudice.

Un altro pericolo concreto è quello dell’incentivazione di un turismo a scopo di morte: così come il nostro Paese ha conosciuto il turismo “abortivo” quando l’aborto era ancora reato, e conosce oggi quello “procreativo” a seguito di una legge troppo restrittiva sulla fecondazione assistita, in futuro potrebbe aggiungersi un turismo “funerario”; naturalmente a pagamento, e quindi discriminatorio, a danno di chi non ha le risorse per permetterselo.

Senza prestare ascolto ai convincimenti diffusi nella collettività, senza neppure sforzarsi di capire cosa accada realmente negli ospedali quando il malato arrivi alle fasi terminali della sua vita ed è necessario prendere delle decisioni, tale testo non pare quindi aver fatto i conti con i pericolosi effetti cui andrà incontro.

Una legge sui trattamenti di fine vita avrebbe dovuto unicamente affrontare le questioni necessarie per definire la validità delle direttive anticipate: prendere, cioè, ad esclusivo suo obiettivo la possibilità di ciascuno di esprimere liberamente e responsabilmente la propria volontà per dettare le regole del morire nel caso in cui lo stato di incapacità in cui si trova gli impedisca di esercitare in quel preciso momento il suo diritto al rifiuto dei trattamenti.

Ciò che occorre è un testo che lasci più ampi e necessari spazi ai convincimenti personali dei singoli soggetti, poichè in questo modo

133 risulterebbe maggiormente compatibile con un’idea di Stato che non pretende di imporre le proprie soluzioni etiche, ma si limita a prevedere una possibilità che i cittadini liberamente decideranno se e come utilizzare; si deve ricordare che proprio “nello spazio tra la legge

e la decisione del singolo paziente scorre l’infinita pianura della democrazia”184.

Una tale soluzione porterebbe indubbi vantaggi: primo fra tutti il riequilibrio del rapporto tra diritto “vivente” e diritto “vigente”, attualmente condizionato più dallo scontro istituzionale che si sta svolgendo tra Parlamento e Magistratura a danno dei cittadini, che non dalla preoccupazione di assicurare ad essi il massimo della tutela dei diritti nel momento in cui sono più fragili ed indifesi.

La norma giuridica, per sua natura generale ed astratta, non riesce a ben vedere a prevenire in modo adeguato le irripetibili peculiarità dei casi più drammatici: nelle ipotesi più controverse, allora, una disciplina maggiormente elastica avrebbe consentito al legislatore una delega di bilanciamento per la singola situazione portata al suo esame al giudice dei valori in conflitto.

La nostra Costituzione pare infatti disseminata di scelte non effettuate, di valori lasciati incompiuti che aspettano solo che sia il magistrato, nella sua quotidiana attività di interpretazione, a dar loro forma e contenuto concreti, non potendo statuire a priori nessuna gerarchia tra valori costituzionali, ma piuttosto un ordine variabile da rimodulare, volta per volta, in relazione al caso concreto, favorendo in tal modo una maggiore responsabilizzazione del giudice nella decisione del caso in esame; bisogna poi tenere sempre presente che da un punto di vista etico-politico, i diritti delle persone rappresentano un

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