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Dal principio di autodeterminazione al testamento biologico

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Academic year: 2021

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Alla mia famiglia.

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Indice:

Introduzione...pag. 4

Capitolo primo : Il testamento biologico alla prova delle proposte

legislative

1.1 Nozione di testamento biologico...pag. 7

1.2 L’esame delle proposte legislative...pag. 14

1.3 Profili comuni... pag. 18

1.3.1L’estensione del principio di autodeterminazione... pag. 18

1.3.2 La vincolatività delle DAT per il medico...pag. 19

1.3.3 L’obbligatorietà di redazione delle DAT...pag. 26

1.3.4 Il concetto di “incapacità”...pag. 34

1.4 I profili di divergenza...pag. 36

1.4.1 La nutrizione e l’idratazione artificiale...pag. 36 1.4.2 L’eutanasia...pag. 39 1.5 La figura del “fiduciario”...pag 42

Capitolo secondo : L’esame dei casi giurisprudenziali

2.1 Le diverse manifestazioni del testamento biologico: la prova documentale e la

prova testimoniale...pag. 53

2.2 Il ruolo del tutore...pag. 68

2.3 I requisiti del consenso...pag. 73

(3)

3

Capitolo terzo: La legislazione in Europa e Stati Uniti e il Ddl

“Calabrò”; riflessioni sul metodo

3.1 La legislazione della Francia...pag. 91

3.2 La normativa Spagnola...pag. 96

3.3 La disciplina dl testamento biologico in Germania...pag. 101

3.4 La regolamentazione nel Regno Unito...pag. 105

3.5 Gli Stati Uniti d ‘America...pag. 108

3.6 Analisi del disegno di legge attualmete in corso di esame...pag. 110

3.7 La situazione italiana: critiche sul metodo...pag. 125

Conclusioni

...pag. 135

Bibliografia...

pag. 138

Appendice

...pag. 146

(4)

4

Introduzione

Il presente elaborato si propone di esaminare l’istituto del “testamento biologico”, ovvero di quel particolare negozio di volontà col quale si dispone in merito ai trattamenti sanitari cui si intende o meno essere sottoposti nel caso in cui in futuro venga a perdersi la capacità di poter decidere autonomamente.

L’attenzione per tale istituto si sviluppa dal momento in cui l’evoluzione tecnologica e i progressi delle scienze mediche e biologiche cominciano a far mutare le condizioni esistenziali dell’uomo attraverso un incremento della durata e della qualità della vita, portando però contestualmente ad un prolungamento delle malattie e delle fasi terminali della vita stessa.

Dal momento in cui la morte non è stata più definibile solo come “naturale”, si è sentito il bisogno, all’interno della collettività, di riappropriarsi delle scelte riguardanti il fine vita, attraverso quel principio di autodeterminazione con riguardo alle cure sanitarie sancito anche a livello costituzionale.

Tale principio può estendersi fino alla scelta delle cure che si desiderano o meno ricevere in futuro attraverso le disposizioni contenute nel testamento biologico.

Come è noto, in Italia è assente una normativa che sancisca la vincolatività giuridica di tale documento, ma è possibile rinvenire a livello giurisprudenziale, di fonti interne e non, e in particolare nella fonte costituzionale, principi che permettono l’introduzione del testamento biologico anche nell’ordinamento italiano.

Non sussistendo in concreto norme del nostro ordinamento palesemente contrastanti con una normativa che sancisca la vincolatività di tale negozio giuridico, a bloccare tale importante traguardo, che rappresenterebbe una completa attuazione dei precetti costituzionali, sembrano semmai porsi valutazioni politiche legate ad un’ideologia cattolica e discutibili argomenti sollevati da una

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5 rappresentanza ancora legata ad una visione del rapporto medico-paziente di stampo tradizionalista e improntata al “paternalismo”, il tutto a scapito dei cittadini, che da tempo richiedono l’adozione di una normativa ad hoc.

Nel primo capitolo di questo elaborato viene brevemente analizzata la locuzione “testamento biologico”, che richiama l’atto

mortis causa disciplinato nel nostro codice civile, ma dal quale si

discosta per rilevanti aspetti, e successivamente vengono esaminati i vari disegni e progetti di legge presentati nelle ultime legislature, mettendone in luce profili di convergenza e divergenza, con un’analisi critica dei diversi punti analizzati.

Il secondo capitolo si apre con la ricostruzione della vicenda di Eluana Englaro, che rappresenta ad oggi, grazie alla pronuncia espressa sul caso dalla Corte di Cassazione, una prima apertura della giurisprudenza verso l’istituto del testamento biologico, che si presenta qui in forma di ricostruzione delle volontà precedentemente manifestate dal paziente; ancora, si analizza brevemente la vicenda di Giorgio Welby al fine di illustrare le diffidenze dei nostri giudici nei confronti di un atto di disposizione del proprio corpo, in virtù della rigidità dei requisiti individuati per la validità di un consenso/dissenso anticipato alle cure mediche, a riprova anche dei dubbi, delle incertezze e della impellente e perdurante necessità di una normativa specifica che regoli l’istituto del testamento biologico, e le eventuali ricadute sui medici chiamati a darvi attuzione.

Nel terzo capitolo vengono primariamente richiamate le leggi disciplinanti il suddetto istituto negli altri Paesi europei e negli Stati Uniti, nate a seguito di decisioni adottate nelle aule giudiziarie, e alle quali le normative si conformano; successivamente un’attenzione particolare è riservata all’analisi dell’attuale disegno di legge in corso di discussione, soffermandosi in particolare sugli articoli più problematici e che si discostano dai precedenti giurisprudenziali;

(6)

6 l’ultimo paragrafo vuole invece porsi quale riflessione sul cosa si sarebbe dovuto e potuto fare, o meglio, sul che cosa ancora potrebbe essere fatto, in virtù della situazione di attuale stallo legislativo sulla materia.

La corposa appendice riportata nella parte finale di questo elaborato, contenente i disegni e progetti di legge presentati nelle ultime legislature, testimonia e conferma il grande interesse sociale

(7)

7

Capitolo primo: Il testamento biologico alla prova delle

proposte legislative

1.1 Nozione di “testamento” biologico.

Nel nostro ordinamento è principio ormai consolidato che la salute è un diritto fondamentale e che ogni trattamento sanitario presuppone il consenso dell’interessato1, il quale può specificarsi anche nella scelta riguardo i trattamenti medici cui sottoporsi.

1

Il principio di autodeterminazione con riguardo alle cure mediche trova fondamento nella nostra Costituzione, così come interpretata dalla Corte Costituzionale. L’art. 32 afferma che “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e della collettività”, e al co. 2 afferma che “nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in alcun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana” ; da tale articolo si ricava il principio secondo cui l’autodeterminazione governa qualsiasi intervento medico, potendosi spingere fino al rifiuto di terapie che assicurino il mantenimento in vita, configurandosi anche in questo caso l’esercizio di una libertà individuale (Sentenza n. 88/1979, nella quale la Corte afferma che “Il bene a questa (alla salute) è tutelato dall’art. 32 della Costituzione non solo come interesse della collettività, ma anche e soprattutto come diritto fondamentale dell’individuo, sicché si configura come un diritto primario ed assoluto, pienamente operante anche nei rapporti tra privati. Esso certamente è da ricomprendere tra le posizioni soggettive direttamente tutelate dalla Costituzione”). La trasformazione del diritto alla salute in un dovere alla salute appare inconciliabile con il contenuto stesso dell’art. 32 della Costituzione, il quale, nell’affermare espressamente la non obbligatorietà dei trattamenti sanitari, sancisce criteri e limiti entro i quali, in via di eccezione, la tutela del bene salute può essere sottratta, per fini sociali, alla disponibilità del singolo. Da tale disposizione discende quindi il pregiudiziale ed intangibile principio del necessario consenso del paziente al trattamento sanitario, con l’unica eccezione dei trattamenti sanitari obbligatori. Ancora, l’articolo 13 della Costituzione per il quale “la libertà personale è inviolabile” afferma il diritto dell’individuo ad autodeterminarsi anche in ordine alle cure mediche cui sottoporsi; secondo la Corte Costituzionale in tale “libertà personale è postulata la sfera di esplicazione del potere della persona di disporre del proprio corpo” (Sentenza n. 471/90). Possiamo richiamare poi l’art. 2 della Costituzione secondo cui “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità(…)”. La tutela dei diritti della personalità, inclusa tra i diritti inviolabili, ha portato la Corte Costituzionale a ritenere che la scelta libera, anche attraverso atti di disposizione del proprio corpo, costituisca un diritto assoluto di libertà, e come tale garantito dalla Costituzione (Sentenza n. 471/90). In base alla lettura combinata dei tre articoli, la Corte Costituzionale ha più recentemente affermato che “La circostanza che il consenso informato trova il suo fondamento negli articoli 2, 13 e 32 della Costituzione pone in risalto la sua funzione di sintesi di due diritti fondamentali della persona: quello all’autodeterminazione e quello alla salute , in quanto se è vero che ogni individuo ha diritto di essere curato, egli ha, altresì, il

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8 Tale scelta presuppone una adeguata informazione, che renda in grado il paziente di esprimere una scelta consapevole e si spinge fino alla determinazione delle previsioni di cui al c. d. “testamento

biologico”, che può considerarsi come l’atto tramite il quale un

individuo può liberamente indicare i trattamenti sanitari che vuole ricevere e quelli a cui intende rinunciare quando non sarà più in grado di prendere decisioni autonomamente2.

Sul presupposto che la locuzione “testamento biologico” è mutuata dal termine americano “living will”3, contenuto nell’Uniform Health Care Decision Act4 e predisposto nel 1993 dalla National Conference and Commissioners of Uniform State Laws5, che

diritto di ricevere le opportune informazioni in ordine alla natura e ai possibili sviluppi del percorso terapeutico cui può essere sottoposto, nonché delle eventuali terapie alternative; informazioni, che devono essere le più esaurienti possibili, proprio al fine di garantire la libera e consapevole scelta da parte del paziente, e, quindi, la sua stessa libertà personale, conformemente all’art. 32 della Costituzione”( Sentenza n. 438/2008). Il principio di autodeterminazione trova conferma anche nella legge n. 833 del 23 dicembre 1978, istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale che, agli art. 33 e 34 afferma il principio di volontarietà dei trattamenti sanitari, e nel Codice di Deontologia Medica del 16 dicembre 2006, dove all’art. 35 co. 1 e 2 si richiede l’acquisizione del consenso esplicito e informato del paziente per qualsiasi attività diagnostica e terapeutica.

2

DE TILLA, Introduzione, in Testamento biologico ,Riflessioni di dieci giuristi, a cura della Fondazione Umberto Veronesi, 2005, pag. 11 ss. , edito dalla Fondazione Umberto Veronesi in collaborazione con il Sole 24 Ore.

3

Termine coniato da Luis Kutner ,giurista che si è occupato della difesa dei diritti umani ed è stato co-fondatore di Amnesty International nel 1961, in un commento pubblicato nell’estate del 1969 nell’ Indian Law Journal vol. 44, intitolato “Due Process of Euthanasia: The Living Will, A Proposal”: ”The patient may not have had, however, the opportunity to give his consent at any point before treatment. He may have become the victim of a sudden accident or a stroke or coronary. Therefore, the suggested solution is that the individual, while fully in control of his faculties and his ability to express himself, indicate to what extent he would consent to treatment. The document indicating such consent may be referred to as "a living will," "a declaration determining the termination of life," "testament permitting death," "declaration for bodily autonomy," "declaration for ending treatment," "body trust," or other similar reference”, disponibile su www.repository.law.indiana.edu/.../viewcontent.cgi.

4

Esso prevede tre tipi di advanced directives : quelle orali, per il corso delle cure, il living will e il durable power of attorney for health care (procura persistente per le cure mediche).

5

Si tratta di un organismo composto per lo più da membri designati dai governatori e avente lo scopo di predisporre testi di legge da presentare agli Stati Americani per l’adozione.

(9)

9 disciplina la pianificazione sanitaria anticipata, dal punto di vista semantico è necessario soffermarsi sulla qualificazione dell’atto in questione come testamento.

Come noto il codice civile descrive il testamento come “atto

revocabile col quale taluno dispone per il tempo in cui avrà cessato di vivere, di tutte le proprie sostanze o parte di esse” (art. 587 c.c.).

Detta definizione non specifica tutti i contenuti riferibili all’atto, dato che il testamento può contenere anche o soltanto manifestazioni di volontà attinenti ad interessi del tutto privi del carattere della patrimonialità e rispondenti ad esigenze di carattere personale, affettivo, familiare e morale il tutto così come espressamente previsto al co. 2 dell’art. 587 c.c. dove si stabilisce che “le disposizioni di

carattere non patrimoniale che la legge consente siano contenute in un testamento, hanno efficacia se contenute in un atto che ha la forma del testamento anche se manchino disposizioni di carattere patrimoniale”6.

Il “testamento biologico” non può però rientrare nel negozio testamentario, cosi come disciplinato dal titolo terzo del libro secondo del codice civile, dato che quest’ultimo è un negozio mortis causa7.

Quando si parla di testamento biologico invece ci si riferisce a situazioni nelle quali i soggetti decidono anticipatamente in merito ai trattamenti medici cui intendono essere o non essere sottoposti nell’eventualità in cui non siano più in grado di autodeterminarsi per una serie di circostanze tra le quali non è ascrivibile il decesso8, ed è destinato quindi ad avere efficacia prima della morte del suo autore.

6

Tale contenuto atipico si riscontra anche in atti diversi dal testamento, che ne rivestono la forma ma non la sostanza; tali atti rientrano nel genus degli atti di ultima volontà ma non sono qualificabili come testamento in senso proprio, tanto che per essi la forma testamentaria, dove prevista, è alternativa ad altre. Cfr. GIAMPICCOLO, voce “Atto mortis causa”, in Enciclopedia del diritto, Giuffrè, 2009 vol. 4 pag. 232 e ss.

7

GIAMPICCOLO, ultima op. cit.

8 In tal caso infatti non sarebbe necessario una direttiva anticipata inerente i trattamenti sanitari.

(10)

10 La formalizzazione anticipata della volontà sugli eventuali trattamenti sanitari cui essere o meno sottoposti configura una fattispecie del tutto sui generis; parte della dottrina9 ritiene che possa essere inquadrata come atto di ultima volontà a contenuto specifico e peculiare attinente alle scelte sulle modalità della fase terminale dell’esistenza.

La scelta delle modalità della fase ultima della vita, poichè coinvolge l’attività di altri soggetti, non può che rientrare negli atti

inter vivos, diversamente da quanto prescritto per il testamento10.

Il tratto caratteristico del testamento biologico è infatti dato dall’incidenza, sul piano degli effetti, su una fase temporale che appartiene ancora alla vita del soggetto.

Il termine “testamento” risulta comunque appropriato in riferimento all’atto in questione, “al di là dell’obiezione dell’essere

riferite le disposizioni al tempo della vita e non già a quello in cui il soggetto avrà cessato di vivere, se in esso si ravvisa il carattere di discorso- di un monologo, per usare un termine letterario- destinato ad essere in concreto ricevuto ed eseguito (…) quando non vi è più alcuna possibilità di controllarne l’esecuzione da parte dell’autore”11.

La diretta incidenza delle disposizioni contenute nel “testamento” biologico sui beni fondamentali della persona ha in ogni caso determinato nella dottrina la costruzione del suddetto atto alla stregua dei requisiti formali tipizzanti il testamento, quale atto formale e solenne: la volontà in esso espressa può infatti regolare i rapporti

9

“Il nostro ordinamento conosce e regola i soli atti di ultima volontà che, pur riguardando anche disposizioni non patrimoniali, sono destinati a regolare rapporti e situazioni a seguito della morte del soggetto, e non prima”. Sul punto cfr. PAGLIANI, in Giur. Merito, 7-8, 1776, 2009.

10

BONILINI, Testamento per la vita e amministrazione di sostegno, in Testamento Biologico, Riflessioni di dieci giuristi a cura della Fondazione U. Veronesi, 2005, pag. 192, edito dalla Fondazione U. Veronesi in collaborazione con il Sole 24 Ore.

11

RESCIGNO, La scelta del testamento biologico, in Testamento biologico, Riflessione a cura di dieci giuristi a cura della Fondazione U. Veronesi, 2005, pag. 16 ss. Edito dalla Fondazione U. Veronesi in collaborazione con il Sole 24 Ore.

(11)

11 successivamente alla morte del sottoscrittore solo se dichiarata per iscritto tramite uno dei modelli espressivi previsti dal legislatore12.

Si richiede anche per il “testamento” biologico la forma scritta, poiché anche in questo caso si tratta di una volontà che per evidenti ragioni deve apparire certa e frutto di una adeguata ponderazione13; inoltre la forma scritta è garanzia anche per la precostituzione di una prova della volontà del dichiarante14 .

Secondo le recenti proposte legislative15 e non16, si richiamano i requisiti della data certa e della firma autografa del sottoscrittore, per l’attribuzione del carattere di definitività all’atto17, il quale deve risultare il più personale e specifico possibile, non consistendo nella mera sottoscrizione di moduli prestampati18; l’orientamento prevalente ritiene inoltre che la dichiarazione debba rivestire la forma dell’atto pubblico19 a garanzia della provenienza della dichiarazione e della

12 “La volontà negoziale richiede una forma tanto più rigida quanto maggiore è la libertà di cui essa è espressione”, CASTRONOVO, Il negozio giuridico dal patrimonio alla persona, in Europa e dir. Priv. , 2009, 01, 87.

13

GORGONI, ”Amministrazione di sostegno e trattamenti sanitari”, in Europa e dir. Priv. , 2012, 02, 547.

14

Cfr. D’AVACK, Sul consenso informato all’atto medico, in Dir. Famiglia, 2008, 02, 759.

15

Disegno di legge n. 10/A presentato in Senato il 29 aprile del 2008. 16

Si fa riferimento al Parere del 18 dicembre 2003 del Comitato Nazionale per la Bioetica e alla Comunicazione del 23 giugno del 2006 del Consiglio Nazionale del Notariato.

17

La revocabilità dell’atto è insita nel principio stesso dell’autodeterminazione, cosi come previsto per il testamento, per il quale “il testatore può variare la volontà espressa fino all’ultimo istante della sua vita”. Nonostante ciò il disegno di legge n. 10/A del 29 aprile 2008 prevede all’art. 4 la validità delle dichiarazioni anticipate di trattamento per soli 5 anni, ma con possibilità di rinnovo per un numero indefinito di volte.

18

A differenza della scelta operata in altri ordinamenti , quali ad esempio l’ America, dove l’ Uniform Health Care Decision Act prevede un modulo opzionale, predisposto per agevolare la preparazione del documento.

19 Consistente nella dichiarazione orale del testatore resa al notaio alla presenza di due testimoni. Ulteriori requisiti di validità sono: la redazione scritta dal notaio della volontà del testatore, la lettura del testamento al testatore e ai testimoni (della quale è fatta menzione nell’atto), la sottoscrizione dell’atto da parte del testatore, del notaio e dei testimoni e l’indicazione della data, del luogo e dell’ora della sottoscrizione( art. 603 c.c.). Vi sono comunque opinioni contrarie a tale oneroso formalismo: cfr. ALPA, Il principio di autodeterminazione e le direttive anticipate sulle cure mediche in Testamento Biologico, Riflessioni di dieci giuristi a cura della

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12 capacità del suo autore, nonché per assicurare una maggiore consapevolezza di quanto dichiarato nel documento20, e che debba essere pubblicizzata in appositi registri21; si consente poi la redazione di tale negozio ai soli soggetti maggiorenni e pienamente capaci di intendere e volere, non sottoposti ad alcun tipo di pressione familiare, sociale e ambientale22.

Nonostante l’espressione “testamento biologico” sia ormai entrata a far parte del linguaggio comune, sarebbe opportuno utilizzare una terminologia più rispondente al contenuto e alla natura dell’atto in questione.

Il disegno di legge n. 10/A del 200823 ha recepito questa esigenza, titolando l’intero provvedimento legislativo “disposizioni in

materia di alleanza terapeutica, di consenso informato e di dichiarazioni anticipate di trattamento” qualificando giuridicamente

tale strumento come “dichiarazione anticipata” , e differenziandolo quindi in toto dal testamento24.

Fondazione U. Veronesi, 2005, pag. 44, edito dalla Fondazione U. Veronesi in collaborazione con il Sole 24 Ore il quale afferma che “ogni intervento normativo deve rivolgersi alla più diffusa e semplificata prassi di espressione della volontà” .

20

A fronte del particolare bene di cui si dispone col testamento biologico, si richiede anche l’intervento del medico, per garantire una corretta comprensione delle dichiarazioni in esso contenute: ad es. l’art. 4 del disegno di legge n. 10/A così come modificato alla Camera prevede che la dichiarazione anticipata di trattamento sia sottoscritta dal medico contestualmente alla sua raccolta.

21

Al riguardo, il Consiglio Nazionale del Notariato si è reso disponibile alla istituzione e conservazione di un Registro Generale dei testamenti di vita, con costi a proprio carico, mediante le proprie strutture informatiche (Comunicazione del 23 giugno 2006).

22

D’AVACK, op.cit.

23 Disegno di legge n. 10/A presentato il 29 aprile del 2008 ed annunciato in seduta aut. n. 1 del 29 aprile 2008 dal relatore R. Calabrò, approvato in Senato in testo unificato il 26 marzo 2009 e trasmesso all’altro ramo, che lo ha approvato con alcune modificazioni il 12 luglio 2011. Attualmente è in corso di esame alla Commissione.

24

Il Comitato Nazionale per la Bioetica, così come il Codice di Deontologia Medica del 2006, si sono mossi nella stessa direzione, definendo le dichiarazioni anticipate di trattamento come “Il documento col quale una persona, dotata di piena capacità, esprime la sua volontà circa i trattamenti ai quali desidererebbe o non desidererebbe essere sottoposto nei casi in cui nel decorso di una malattia o a causa di traumi improvvisi, non fosse più in grado di esprimere il proprio consenso o dissenso informato”.

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13 Nel disegno di legge citato, la dichiarazione anticipata di trattamento viene intesa come “atto scritto con il quale ciascuno può

disporre in merito ai trattamenti sanitari, nonché all’uso del proprio corpo o di parti di esso dopo la morte, incluse le disposizioni relative all’eventuale donazione del proprio corpo, di organi o tessuti a scopo di trapianti, ricerca o didattica, alle modalità di sepoltura o alla assistenza religiosa” 25.

L’aver privilegiato il termine “dichiarazione”, al posto di “direttiva”26 o “testamento biologico”, non denuncia una scelta solo di natura lessicale ma anche sostanziale, che toglie alla dichiarazione in questione ogni valore cogente, riducendola a mero strumento orientativo dell’attività del medico27.

Nonostante gli sforzi effettuati per giungere ad una corretta nomenclatura dell’atto in questione, probabilmente, poiché ormai diffusosi con tale locuzione, il documento tramite il quale esprimere la

25

Definizione proposta dal Sen. I. R. Marino contenuta nel Dossier per la redazione del disegno di legge n. 10/A. In tale dossier troviamo anche la definizione del termine “testamento di vita” proposto dal Sen. Massidda, che lo descrive come “il documento scritto in cui la persona riporta le proprie volontà in relazione ai trattamenti sanitari, nonché in ordine all’uso del proprio corpo o di parti di esso nei casi consentiti dalla legge, alle modalità di sepoltura e all’assistenza religiosa”. E’ da notare che il termine “testamento di vita” era presente nel disegno di legge n. 2943 del 27 giugno 2006 (14a legislatura), ma con l’approvazione dell’emendamento 1.1 proposto dai Sen. Bianconi e Danzi fu scelta la dizione di “dichiarazioni anticipate di trattamento”.

Già nei precedenti disegni di legge è possibile comunque individuare una diversa qualificazione dell’atto in questione: nel disegno di legge n. 1437 del 23 maggio 2002 di iniziativa della Sen. Acciarini e in quello n. 2279 di iniziativa del Sen. Ripamonti si fa infatti riferimento alle “dichiarazioni di volontà”.

26Nel dibattito sul testamento biologico si sente parlare di dichiarazioni anticipate e di direttive anticipate, espressioni usate in modo equivalente e alternativo tra loro anche nelle Relazioni per le presentazioni dei disegni di legge, anche se il termine “dichiarazione” sembra avere un significato più orientativo e meno vincolante rispetto alla direttiva.

27

Si prevede infatti all’art. 7 del disegno di legge n. 10/A come modificato alla Camera che il medico è tenuto solo a prendere in considerazione le volontà espresse nella dichiarazione, potendosene discostare fornendo una adeguata motivazione della sua scelta. Cfr. anche NORELLI, FOCARDI e DE LUCA, Il disegno di legge circa le disposizioni anticipate di trattamento (alla luce delle modifiche del testo emanato dalla Camera il 12 luglio 2011): un occasione mancata?, in Riv. It. Medicina legale, 2012, 03, 1061.

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14 volontà circa i trattamenti sanitari ai quali si desidera o non si desidera essere sottoposti nell’eventualità in cui venga a mancare la capacità di esprimersi, sarà sempre individuato come “testamento” biologico28.

1.2 L’esame delle proposte legislative

A seguito di una serie di iniziative concretizzatesi nel nostro Paese a partire dagli anni novanta29, hanno visto la luce diverse

proposte legislative mirate a disciplinare il c.d. “testamento biologico”. Il primo progetto di legge relativo alle dichiarazioni anticipate di volontà si rinviene nella tredicesima legislatura iniziata il 9 maggio 1996 e terminata il 29 maggio 2001; si tratta del testo presentato in data 10 febbraio 1999 alla Camera dei Deputati con il n. 5673, intitolato Disposizioni in materia di consenso informato e di

28

E’ interessante osservare che l’oncologo ed ex Ministro della salute U. Veronesi ha diffuso in rete un modulo a disposizione dei cittadini per esprimere la propria volontà anticipata riguardo i trattamenti sanitari indicandolo con la denominazione di “testamento biologico” (v. Appendice).

29

Ci si riferisce in particolare: all’iniziativa della Consulta di Bioetica per diffondere la c.d. “Biocard” (1990), o “Carta di autodeterminazione”, nella quale i “provvedimenti di sostegno vitale” a cui il disponente può rinunciare sono definiti “misure urgenti senza le quali il processo della malattia porta in tempi brevi alla morte”; l’obiettivo della “Biocard” sarebbe quello di rendere il soggetto “padrone” delle proprie scelte terapeutiche, permettendogli in anticipo di decidere i trattamenti cui vorrà o non vorrà sottoporsi nell’eventualità di una futura perdita totale o parziale della “capacità di comunicare”, sul presupposto che “la medicina di oggi (…) consente di prolungare la vita del paziente in condizioni non dignitose”, aumentando le sofferenze e sconfinando in alcuni casi nell’accanimento terapeutico; al “caso Englaro” (avviato nel 1999); al “Rapporto Oleari” (2000), riguardante il tema della nutrizione e idratazione artificiale nei soggetti in stato vegetativo permanente,redatto da un gruppo di studiosi raccoltisi in virtù della proposta di studio avanzata dal Ministro U. Veronesi, e nel quale si legge che in tali soggetti “è andata perduta definitivamente la funzione che più di ogni altra identifica l’essenza umana” e che “essi sono esseri umani puramente vegetativi”; dunque, occorre riaffermare l’ “autonomia anche per i soggetti in stato di irreversibile perdita della coscienza e la necessità pertanto di considerare valido criterio orientativo delle decisioni la volontà precedentemente espressa e ricostruibile attraverso testimonianze o in documenti”; al parere del Comitato Nazionale per la Bioetica (CNB) sulle “Dichiarazioni anticipate di trattamento”(2003), nel quale si invita il legislatore a disciplinare tali dichiarazioni in modo che “non contengano disposizioni aventi finalità eutanasiche, che contraddicano il diritto positivo, le regole di pratica medica, la deontologia”; al “caso Welby” (2006).

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15

dichiarazioni di volontà anticipate nei trattamenti sanitari, di

iniziativa degli On. Grignaffini, Bracco e Colombo.

A tale progetto di legge fa seguito un disegno di legge quasi identico presentato al Senato il 29 giugno 2000 con il n. 4694, intitolato anch’esso Disposizioni in materia di consenso informato e di

dichiarazioni di volontà anticipate nei trattamenti sanitari di L.

Manconi e altri.

Durante la quattordicesima legislatura (2001-2006), vengono presentati un progetto di legge alla Camera e quattro disegni di legge al Senato; si tratta del progetto di legge n. 433, d’iniziativa dei deputati G. Grignaffini e F. Chiaromonte (4 giugno 2001), Disposizioni in

materia di consenso informato e di dichiarazioni di volontà anticipate nei trattamenti sanitari; disegno di legge n. 2279 , d’iniziativa dei

senatori N. Ripamonti e A. Del Pennino (23 maggio 2003),

Disposizioni in materia di consenso informato e di dichiarazioni di volontà anticipate nei trattamenti sanitari; disegno di legge n. 1437,

d’iniziativa della senatrice M.C. Acciarini (23 maggio 2002),

Disposizioni in materia di consenso informato e di dichiarazioni di volontà anticipate nei trattamenti sanitari; disegno di legge n. 2943

d’iniziativa del senatore A. Tomassini (4 maggio 2004), Norme in

materia di dichiarazioni anticipate di trattamento; disegno di legge n.

2220 d’iniziativa di Ripamonti (18 aprile 2003, ma ritirato il 23 maggio), intitolato Disposizioni in materia di consenso informato e di

dichiarazioni di volontà anticipate nei trattamenti sanitari.

In tale periodo va ricordata la ratifica della Convenzione di

Oviedo30, che all’articolo 9 prevede che “i desideri precedentemente espressi a proposito di un intervento medico da parte di un paziente che, al momento dell’intervento, non è in grado di esprimere la sua

30

Convenzione approvata dal Consiglio d’Europa il 4 aprile del 1997 e ratificata in Italia con la legge 145 del 28 marzo 2001, per la protezione dei diritti dell’uomo e della dignità dell’essere umano riguardo all’applicazione della biologia e della medicina.

(16)

16

volontà saranno tenuti in considerazione”, e del Codice di Deontologia Medica il quale dispone che “ Il medico, se il paziente non è in grado di esprimere la propria volontà in caso di grave pericolo di vita, non può non tenere conto di quanto precedentemente manifestato dallo stesso”31.

Durante la quindicesima legislatura (2006-2008), si ha una nuova stagione di iniziative; alla Camera, progetto di legge n. 779 del 18 maggio 2006, Disposizioni in materia di consenso informato ai

trattamenti sanitari e di dichiarazioni anticipate di trattamento, di

iniziativa dell’ On. Di Virgilio e altri; progetto di legge n. 842 del 22 maggio 2006, Disposizioni in materia di dichiarazione anticipata di

volontà sui trattamenti sanitari di iniziativa di K. Zanotti e altri;

progetto di legge n. 1463 del 25 luglio 2006, Disposizioni in materia di

consenso informato e di dichiarazioni di volontà anticipate nei trattamenti sanitari di iniziativa di Poretti e altri; progetto di legge n.

762 del 17 maggio 2006, Disposizioni in materia di consenso

informato e di dichiarazioni di volontà anticipate nei trattamenti sanitari di iniziativa di F. Chiaromonte e altri; progetto di legge n.

1884 del 7 novembre 2006, Disposizioni in materia di consenso

informato e di testamento biologico al fine di evitare l’accanimento terapeutico di iniziativa di T. Pellegrino e altri; progetto di legge n.

1702 del 26 settembre 2006, Disciplina dell’eutanasia e del testamento

biologico di iniziativa di F. Grillini e altri.

Al Senato: disegno di legge n. 3 del 28 aprile 2006, Disposizioni

in materia di consenso informato e di dichiarazioni anticipate di trattamento sanitario di iniziativa di Tomassini; disegno di legge n.

818 del 18 luglio 2006, Disposizioni in materia di consenso informato

e di dichiarazioni di volontà anticipate nei trattamenti sanitari di

iniziativa di A. Del Pennino e A. Biondi; disegno di legge n. 773 del 7

31

Art. 34 del Codice di Deontologia Medica del 3 ottobre 1998. Il testo

integrale è disponibile sul sito

(17)

17 luglio 2006, Disposizioni in materia di dichiarazione anticipata di

trattamento di iniziativa di P. Binetti e Baio Dossi; disegno di legge n.

687 del 27 giugno 2006, Disposizioni in materia di consenso informato

e di dichiarazioni di volontà anticipate nei trattamenti sanitari al fine di evitare l’accanimento terapeutico di iniziativa di I. Marino ed altri;

disegno di legge n. 665 del 20 giugno 2006, Disposizioni in materia di

consenso informato e di dichiarazioni di volontà anticipate nei trattamenti sanitari di iniziativa di N. Ripamonti; disegno di legge n.

542 del 31 maggio 2006, Disposizioni in materia di consenso

informato e di dichiarazioni di volontà anticipate nei trattamenti sanitari di iniziativa di A.M. Carloni e altri; disegno di legge n. 433

del 19 maggio 2006, Norme a tutela della dignità e delle volontà del

morente di iniziativa di P. Massidda; disegno di legge n. 357 del 17

maggio 2006, Disposizioni in materia di dichiarazione anticipata di

volontà sui trattamenti sanitari di iniziativa di G. Benvenuto.

Da ultimo, durante la sedicesima legislatura (2008-2012), è stato presentato il disegno di legge n. 10/A del 29 aprile 2008, intitolato

Disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di consenso informato e di dichiarazioni anticipate di trattamento, di iniziativa di I. Marino e

altri, approvato in Senato il 26 marzo 2009, e modificato alla Camera il 12 luglio 2011, attualmente all’esame della Commissione.32

Dalla lettura congiunta delle iniziative parlamentari sopra ricordate si possono apprezzare nelle diverse proposte alcuni profili di convergenza e divergenza.

32 Per il testo delle proposte normative sopra elencate, si rimanda alla Appendice.

(18)

18

1.3 Profili comuni

1.3.1 L’estensione del principio di autodeterminazione

L’obiettivo comune è quello di estendere il diritto al consenso/dissenso informato con riguardo ai trattamenti sanitari33, e di tale operazione si trova traccia non solo negli articoli delle proposte normative, ma anche nelle relazioni che le accompagnano, nelle quali vengono richiamati a sostegno del principio della libertà di autodeterminazione in campo medico in primis le norme costituzionali (art. 32 e 13), la giurisprudenza del noto “caso Massimo”34, la

Convenzione di Oviedo e la relativa legge di ratifica, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea35, e le norme deontologiche.

Tutti i disegni/progetti di legge appartenenti alla quindicesima legislatura, e anche il disegno di legge n. 2943 promosso nella quattordicesima, estendono poi le disposizioni anticipate anche ad aspetti già disciplinati dalla legge o profili come l’assistenza religiosa o la preferenza per la degenza in particolari strutture sanitarie.

33

Cfr. M. CASINI, DI PIETRO, C. CASINI, Profili storici del dibattito italiano sul testamento biologico ed esame comparato dei disegni di legge all’esame della XII Commissione (Igiene e Sanità) del Senato, in Medicina e morale, 2007/1, 19-60. 34

Sentenza questa, nella quale si afferma che “nel diritto di ciascuno di disporre lui e lui solo, della propria salute ed integrità personale, pur nei limiti previsti dall’ordinamento, non può che essere ricompreso il diritto di rifiutare le cure mediche lasciando che la malattia segua il suo corso anche fino alle estreme conseguenze: il che non può essere considerato come il riconoscimento positivo di un diritto al suicidio, ma è invece la riaffermazione che la salute non è un bene che possa essere imposto coattivamente al soggetto interessato dal volere, o peggio, dall’arbitrio altrui, ma deve fondarsi esclusivamente sulla volontà dell’avente diritto, trattandosi di una scelta che(…) riguarda la qualità della vita e che pertanto lui e lui solo può legittimamente fare” (Sentenza n. 13 della Corte di Assise di Firenze del 18 aprile 1990).

35

Approvata dal Parlamento Europeo nel novembre del 2000; tale Carta enuncia i diritti civili, politici, economici dei cittadini europei e di tutte le persone che vivono sul territorio dell’Unione. Essa, al titolo I stabilisce che la dignità individuale è inviolabile e che ogni individuo ha diritto alla vita e alla propria integrità psico-fisica, esplicitando che deve essere rispettato in ambito medico il consenso libero e informato della persona interessata, secondo le modalità definite dalla legge.

(19)

19 In tutte le proposte normative sopra richiamate inoltre si prevede che si possa disporre in ordine a qualsiasi trattamento sanitario, il quale viene inteso come “ogni trattamento praticato con qualsiasi mezzo, per scopi connessi alla tutela della salute, a fini terapeutici, diagnostici, palliativi, estetici” (cosi recitano i disegni di legge n. 3, n.

687, e n. 773), o come “tutto ciò che con qualsiasi mezzo viene

praticato per scopi connessi alla tutela della salute, sia a fini terapeutici che diagnostici, palliativi ed estetici” (come previsto nel

disegno di legge n. 433).

1.3.2 La vincolatività delle DAT per il medico

Tutte le proposte normative sopra elencate prevedono che le volontà anticipate siano vincolanti per gli operatori sanitari36, e che quindi il medico sia obbligato ad attenervisi.

Già il progetto di legge n. 5673 e il disegno di legge n. 4694 (appartenenti alla XIII legislatura) esplicitavano all’art. 2 che “il rifiuto

deve essere rispettato dai sanitari, anche qualora ne derivasse un pericolo per la salute o per la vita, e li rende esenti da ogni responsabilità”; la stessa disposizione si riscontrava nel progetto di

legge n. 433, e nei disegni di legge n. 2279, e n. 1437 (appartenenti alla IV legislatura), ed anche le più recenti proposte normative si muovono nella stessa direzione, affermando che le disposizioni contenute nel testamento di vita “sono impegnative sulle scelte sanitarie del medico” (così i disegni di legge n. 3, n. 433 e n. 687).

36

In tale vincolatività si può cogliere quella modificazione del rapporto tra medico e paziente che si è affermata nel corso degli anni; si è infatti passati dal c.d. “modello paternalista”, nel quale il medico aveva l’obbligo di sollevare il paziente dalla malattia e dalla sofferenza senza necessità di richiederne il consenso, al c.d. “modello dell’autonomia”, che pone al centro l’autonomia del paziente e che considera l’atto medico non tanto perché realizza il bene del paziente, quanto piuttosto perché deriva da una libera scelta di quest’ultimo. Sul punto cfr. M. CASINI, DI PIETRO, C. CASINI, Profili storici del dibattito italiano sul testamento biologico ed esame comparato dei disegni di legge all’esame della XII Commissione (Igiene e Sanità) del Senato, in Medicina e morale , 2007/1, 19-60.

(20)

20 Si deve altresì affermare che gli ultimi provvedimenti in esame accanto alla vincolatività, quale correttivo prevedono la possibilità per il medico di disattendere la volontà del paziente nel caso di “inattualità

scientifica”, intesa come “inattualità della volontà con riguardo all’evoluzione dei trattamenti medico-sanitari”, fermo restando

l’obbligo di motivare la decisione.

Caso isolato è rappresentato dal disegno di legge n. 773, il quale introduce il diritto all’obiezione di coscienza37 del personale medico sanitario, ma afferma contestualmente che “ in caso di contrasto con la

volontà espressa dal paziente nella sua dichiarazione anticipata di trattamento (…) il fiduciario può appellarsi al comitato etico”.

L’introduzione del diritto all’obiezione di coscienza è giustificata dall’esigenza di contemperare due diversi principi: la determinazione del paziente e l’autonomia professionale del medico38.

A livello dei valori costituzionali, “la protezione della coscienza

individuale si ricava dalla tutela delle libertà fondamentali e dei diritti inviolabili riconosciuti e garantiti all’uomo come singolo, ai sensi dell’art. 2 della Costituzione, dal momento che non può darsi una piena ed effettiva garanzia di questi ultimi senza che sia stabilita una correlativa protezione costituzionale di quella relazione intima e privilegiata dell’uomo con se stesso che di quelli costituisce la base spirituale-culturale e il fondamento di valore etico-giuridico”39.

37

La questione dell’obiezione di coscienza si pone quando ad un soggetto viene imposto di ottemperare ad un obbligo sancito dalla legge il quale viene però avvertito come ingiusto, in nome di una norma ritenuta ancor più vincolante del dettato legislativo. Comunemente si ravvisa il fondamento dell’obiezione di coscienza nella libertà di coscienza, di religione e di pensiero.

38

Cfr. BALESTRA, Efficacia del testamento biologico e ruolo del medico, in Famiglia, 2006, 03, 435, il quale ritiene “necessario superare la rigida alternativa efficacia vincolante/orientativa, per porre l'attenzione sul ruolo del medico, chiamato ad effettuare una valutazione ulteriore di tutti gli elementi scaturenti dalla situazione patologica concreta in cui versa il malato con adeguata considerazione dei messaggi, dei segnali, che il malato continua ancora a trasmettere in relazione alle direttive manifestate dal medesimo in un'epoca precedente, per poi orientare le scelte alla luce di tale complessiva ponderazione”.

39

(21)

21 Il Codice di Deontologia Medica del 2006 all’art. 22 afferma che “Il medico al quale vengano richieste prestazioni che contrastino

con la sua coscienza o con il suo convincimento clinico, può rifiutare la propria opera, a meno che questo comportamento non sia di grave e immediato nocumento per la salute della persona assistita e deve fornire al cittadino ogni utile informazione e chiarimento”, esonerando

così il medico da pratiche che si pongono in contrasto con i propri convincimenti40.

In dottrina41si fa notare come l'eventuale contratto di prestazione d'opera professionale o di appalto di servizi stipulato fra medico e/o la struttura sanitaria e paziente è caratterizzato dal requisito dell'autonomia in capo al prestatore (medico) nell'eseguire la prestazione.

Anche il Comitato Nazionale per la Bioetica, nel parere rilasciato il 18 dicembre 2003, invita il legislatore a vincolare il medico soltanto a prendere in seria e adeguata considerazione le

40

Anche l’art. 9 della legge n. 194/78, recante “Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza”, prevede che “Il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie non è tenuto a prendere parte alle procedure di cui agli articoli 5 e 7 ed agli interventi per l’interruzione della gravidanza quando sollevi obiezione di coscienza, con preventiva dichiarazione. La dichiarazione dell’obiettore deve essere comunicata al medico provinciale e, nel caso di personale dipendente dell’ ospedale o dalla casa di cura, anche al direttore sanitario, entro un mese dall’entrata in vigore della presente legge o dal conseguimento della abilitazione o dall’assunzione presso un ente tenuto a fornire prestazioni dirette alla interruzione della gravidanza o dalla stipulazione di una convenzione con enti previdenziali che comporti l’esecuzione di tali prestazioni. L’obiezione può sempre essere revocata o venire proposta anche al di fuori dei termini di cui al precedente comma, ma in tale caso la dichiarazione produce effetto dopo un mese dalla sua presentazione al medico provinciale. L’obiezione di coscienza esonera il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie dal compimento delle procedure e delle attività specificamente e necessariamente dirette a determinare l’interruzione della gravidanza, e non dall’assistenza antecedente e conseguente all’intervento”.

41 Cfr. SASSI, L’atto eutanasico al vaglio della Cassazione: nessuna decisione nel merito, in Dir. Famiglia, 2007, 1, 42.

(22)

22 indicazioni contenute nella dichiarazione e non a ritenersi vincolato al contenuto delle stesse42 .

Diversamente si è invece espressa la seconda Commissione permanente del Senato nel parere elaborato il 10 gennaio 2007 e integrato il 6 febbraio 2007 in merito alla vincolatività delle dichiarazioni anticipate di trattamento, affermando che “tale vincolo

giuridico ed il necessariamente conseguente esonero da ogni responsabilità debbano essere previsti in maniera puntuale e specifica, precisando che l’esonero riguarda ogni forma di responsabilità, anche di natura penale (…) la Commissione non può che ribadire la necessità di precisare da una parte la natura vincolante per il personale sanitario della dichiarazione - direttiva e dall’altra l’esonero per il medesimo personale da qualsiasi forma di giuridica responsabilità”.

La seconda Commissione ritiene “improponibile” e “non

accettabile” l’istituto dell’obiezione di coscienza.

Nella stessa direzione si sono espressi alcuni degli esperti convocati in audizione alla dodicesima Commissione i quali hanno espresso “molte perplessità sulla possibilità di sollevare obiezione di

coscienza per i medici (…): non può essere introdotto il diritto all’obiezione di coscienza del singolo medico. La richiesta di obiezione di coscienza è fuori contesto; quando, nei confronti di che, in nome di che cosa è possibile l’obiezione? La contraddizione è evidente. Se non si tratta di eutanasia, come può il personale sanitario legittimamente sottrarsi al rispetto della volontà del malato e imporgli un trattamento?”.

La refrattarietà all’obiezione di coscienza sembra, dunque, essere legata al fatto che non si ravviserebbero motivi plausibili a sostegno di tale istituto; se in fondo rifiutare le cure è un diritto individuale, non ha

42

Il Comitato richiama nel parere citato i termini souhaits” e “wishes”, che corrispondono al concetto di “cosa desiderata”, non di cosa imposta a terzi, utilizzati nella Convenzione sui diritti umani e la biomedicina.

(23)

23 senso introdurre l’obiezione di coscienza del medico, trattandosi di un diritto acquisito e giuridicamente fondato, e non trattandosi di un ipotesi di eutanasia.

Stante però l’ampio contenuto di un testamento biologico, al medico potrebbe anche essere richiesta la sottoposizione a trattamenti sproporzionati che si trovano al limite dell’accanimento terapeutico; in questo caso si può immaginare un dovere giuridico gravante su un medico di effettuare un determinato trattamento terapeutico, magari non convenzionale o addirittura inappropriato e dannoso solo perché il paziente lo esige? Evidentemente no.

Il rifiuto del paternalismo medico non può mutarsi nel suo opposto: ovvero la trasformazione dell’operatore sanitario in mero esecutore della volontà del paziente, qualunque essa sia, magari la più assurda.

L’alleanza terapeutica che connota il rapporto medico-paziente esprime la necessità di una partecipazione conoscitiva e volitiva del paziente alle cure che il medico propone basandosi sulla sua scienza e coscienza.

Lo stesso principio dell’obiezione di coscienza troverebbe applicazione nel caso in cui l’eutanasia venisse legalizzata; tale possibilità risulta ad oggi preclusa nel nostro ordinamento poiché vige il principio di indisponibilità della vita; tale principio è ribadito anche nel Parere del Comitato Nazionale per la bioetica, il quale afferma che “Per quanto concerne l’ordinamento giuridico italiano, è da ricordare

la presenza di norme costituzionali, civili e penali che inducono al riconoscimento del principio della indisponibilità della vita umana. Di conseguenza, attraverso le dichiarazioni anticipate, il paziente non può essere legittimato a chiedere e ad ottenere interventi eutanasici a suo favore”43.

43

A sostegno di tale principio si richiama una interpretazione corretta dell’art. 32 della Costituzione, giustamente invocato come fondamento della necessità di un consenso informato per ogni trattamento terapeutico; la norma non

(24)

24 Il Comitato invita nello stesso documento il legislatore ad impedire che le dichiarazioni “contengano disposizioni aventi finalità

eutanasiche, che contraddicano il diritto positivo, le regole di pratica medica e la deontologia”.

Qualora si decidesse però per la legalizzazione dell’eutanasia, sopperirebbero all’eventuale mancanza di previsioni di legge sull’obiezione di coscienza, le norme contenute nel Codice di

deontologia medica del 2006, il quale all'art. 13, comma 2 riconosce al

medico "autonomia nella programmazione, nella scelta e nella

applicazione di ogni presidio diagnostico e terapeutico, anche in regime di ricovero, fatta salva la libertà del paziente di rifiutarle e di assumersi la responsabilità del rifiuto stesso"; da un lato si garantisce

la giusta autonomia del medico, esercitata secondo scienza e coscienza, d'altro lato la facoltà del paziente di rifiutare la terapia e non già di imporre al medico curante una diversa terapia da quella proposta.

Ulteriore conferma di ciò è possibile trarre dal comma 6 dello stesso articolo, laddove si stabilisce che "In nessun caso il medico

dovrà accedere a richieste del paziente in contrasto con i principi di

può, però, cancellare l’indisponibilità della vita che, a sua volta, è fondamento della libertà e non viceversa. L’art. 32 della Costituzione va letto per intero: esso, in primo luogo, garantisce il diritto alla salute come interesse non solo individuale, ma anche sociale. “Salute” significa prima di tutto vita. Se ne deduce un dovere, anche se solo morale, dell’individuo di curare la propria salute. Il divieto di trattamenti sanitari obbligatori (salva, per la verità, la facoltà del legislatore ordinario di stabilire eccezioni) si fonda sul rispetto del corpo, da cui deriva il rifiuto di ogni avvicinamento al corpo altrui che risulti umiliante e degradante, ma non per affermare un diritto alla morte. Che vi sia una forzatura nell’interpretare il divieto di trattamenti sanitari obbligatori (art. 32, co. 2 Cost.) come implicito riconoscimento del “diritto a morire” è dimostrato dal combinato disposto degli art. 2 Cost. (doveri inderogabili di solidarietà a tutela dei diritti umani fondamentali eil diritto alla vita è un indiscutibile diritto umano) e 32 Cost. (diritto alla salute come bene sociale) che implica l’organizzazione della solidarietà da parte delle istituzioni affinché l’uomo viva. Le strutture sanitarie e i medici sono costituzionalmente, identicamente, esclusivamente destinate a proteggere e promuovere la vita umana, possibilmente nella sua massima estensione sia di durata che di qualità. Cfr. M. CASINI, DI PIETRO, C. CASINI, Testamento biologico ed obiezione di coscienza, in Medicina e morale, 2007/3, pag. 484 e ss.

(25)

25

scienza e coscienza allo scopo di compiacerlo, sottraendolo alle sperimentate ed efficaci cure disponibili"44.

Il riconoscimento giuridico dell’obiezione di coscienza implica che quando la legge prevede comportamenti che causano direttamente (ad esempio nel caso dell’aborto volontario) o possono concorrere a causare (ad esempio, per la sospensione/interruzione di trattamenti sanitari) la soppressione della vita umana, il medico può legittimamente non applicarla.

Poiché il fine della complessa organizzazione statale è la difesa della vita umana, il riconoscimento dell’obiezione di coscienza implica anche il riconoscimento della coerenza dell’obiezione stessa con i fini ultimi dello Stato.

In tale interpretazione l’esercizio dell’obiezione non è soltanto la salvaguardia della libertà di coscienza, di pensiero e di religione, ma anche lo strumento per mantenere nella società civile ciò che allo Stato moderno sommamente interessa: il valore della vita umana45.

Il disegno di legge n. 10/A, cosi come modificato alla Camera in data 12 luglio 2011, risulta in linea con gli orientamenti espressi sopra, prevedendo una minore rilevanza delle DAT, e affermando che “gli

orientamenti espressi dal soggetto nella sua dichiarazione anticipata di trattamento sono presi in considerazione dal medico curante che, sentito il fiduciario, annota nella cartella clinica le motivazioni per le quali ritiene di seguirli o meno” (art.7) prevedendo comunque un

colloquio con l’eventuale fiduciario o i familiari ed una adeguata motivazione della sua scelta.

Il contemperamento tra due principi fondamentali, quale quello di determinazione del paziente e di libertà di coscienza del medico,

44

Cfr. TURCHI, L’obiezione di coscienza nell’ambito della bioetica, in Dir. Famiglia, 2008, 03, 1436.

45

(26)

26 non è sempre facile46; esclusa in radice la possibilità di far prevalere l’uno sull’altro47, una possibile soluzione potrebbe essere quella adottata dalla legge n. 194 del 1978, recante “Norme per la tutela

sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza”, la quale prevede all’art. 9 che “Gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad assicurare l’espletamento delle procedure previste dall’articolo 7 e l’effettuazione degli interventi di interruzione della gravidanza richiesti secondo le modalità previste dagli articoli 5, 7 e 8. La Regione ne controlla e garantisce l’attuazione anche attraverso la mobilità del personale”,

garantendo, attraverso la sostituzione del personale obiettore, l’espletamento del servizio di interruzione volontaria della gravidanza.

1.3.3 L’obbligatorietà di redazione delle DAT

Un altro profilo di convergenza da esaminare riguarda l’obbligatorietà o meno per i cittadini di redigere le dichiarazioni anticipate di trattamento.

46

Secondo LA MONICA e SARTEA, “Il medico (…) nell'esercizio in autonomia della propria professione, è chiamato a rispettare, quanto meno entro i limiti del possibile tecnicamente ed eticamente, la volontà e le esigenze del malato. Ma, al tempo stesso, quest'ultimo, nel rivendicare i propri diritti, deve essere parallelamente consapevole dei doveri, giuridici e deontologici, che gravano sul medico e dell'opportunità del recupero di un rapporto fiduciario, che è il necessario presupposto di una relazione asimmetrica, ma naturalmente orientata al beneficio del soggetto più debole”; Il diritto costituzionale alla salute tra norme giuridiche e pratica clinica; La giurisprudenza costituzionale recente: nuove forme di valorizzazione della prassi e della deontologia mediche, in Dir. Famiglia, 2011, 02, 974.

47

“Il problema della delimitazione del diritto all’obiezione di coscienza va compreso alla luce del principio per cui essa non è uno strumento di “sabotaggio” di discipline legali legittime, e pertanto quando un’obiezione di coscienza è ammessa dovrà essere prevista l’organizzazione di un servizio che permetta comunque l’esercizio dei diritti legalmente riconosciuti nonostante la mancata partecipazione dell’obiettore. Né sabotaggio della legge da parte dell'obiezione di coscienza, né sabotaggio dell'obiezione di coscienza da parte della legge, si potrebbe riassumere”; così si è espresso sul tema il Comitato Nazionale per la Bioetica nel Parere approvato il 12 luglio 2012.

(27)

27 Pur non affrontando esplicitamente tale punto, dalle espressioni usate nel progetto di legge n. 5673 e nel disegno di legge n. 4694 (“ogni persona capace ha il diritto”) si ricava la non obbligatorietà della redazione della DAT; la stessa formula viene ripetuta nel progetto di legge e nei disegni di legge presentati durante la quattordicesima legislatura.

Il disegno di legge n. 687 sembra invece muoversi nel senso dell’obbligatorietà, affermando all’art. 10 che “i cittadini sono tenuti a

rendere la dichiarazione anticipata di trattamento” e che tra i compiti

del Ministero della Salute vi è quello di stabilire “termini, forme e

modalità con cui le ASL, tramite i medici di medicina generale, sono tenute a richiedere ai propri assistiti la dichiarazione anticipata di trattamento” e di indicare “le modalità con cui i soggetti che non hanno reso la dichiarazione anticipata di trattamento sono sollecitati periodicamente a renderla, attraverso l’azione dei medici di medicina generale e degli uffici della P.A. nei casi di richiesta dei documenti personali di identità”.

Nell’esame degli altri disegni e progetti di legge appartenenti alla quindicesima legislatura, viene invece principalmente usato il termine “facoltà” per quanto riguarda la redazione del suddetto negozio giuridico, prevedendone quindi la sola possibilità di redazione.

Lo stesso atteggiamento si riscontra nel disegno di legge n. 10/A cosi come modificato alla Camera il quale afferma all’art. 2 comma 3 che “l’alleanza terapeutica costituitasi all’interno della relazione tra

medico e paziente ai sensi del comma 2 può esplicitarsi (…) in un documento di consenso informato firmato dal paziente e dal medico”;

l’articolo 4 esplicita poi che “le dichiarazioni anticipate di trattamento

non sono obbligatorie”.

E’ utile osservare che, nel caso in cui la redazione delle dichiarazioni anticipate di trattamento venisse configurata come obbligatoria, occorrerebbe disciplinarne termini e condizioni: se, come

(28)

28 previsto nelle varie proposte legislative, la dichiarazione può essere resa dai soli soggetti maggiorenni, allora l’obbligo di redazione dovrebbe scattare al compimento del diciottesimo anno di età.

Peraltro l’assunta obbligatorietà con il raggiungimento del diciottesimo anno di età pone il problema del soggetto minorenne che subisca un incidente e risulti in seguito in uno stato di incapacità di esprimere i propri orientamenti riguardo i trattamenti sanitari cui essere sottoposto.

Alcune proposte normative affrontano tale problema, prevedendo che in tale caso la scelta venga effettuata “dagli esercenti

la potestà parentale, la tutela o l’amministrazione di sostegno: la decisione di tali soggetti è adottata avendo come scopo esclusivo la salvaguardia della salute psico-fisica del minore” (art. 6 disegno di

legge n. 2943) e si aggiunge che “il minore che ha compiuto

quattordici anni presta personalmente il consenso al trattamento medico” salvo nell’ipotesi in cui il trattamento cui il minore deve

essere sottoposto comporti serio rischio per la salute o conseguenze gravi o permanenti, poiché in questo caso è necessaria la conferma da parte dei soggetti sopra elencati.

In tali situazioni si crea il pericolo che i familiari scelgano un percorso terapeutico diverso da quello prescelto dal minore, il quale risulti, nonostante la non ancora raggiunta maggiore età, capace di autodeterminarsi48.

Quali le conseguenze poi nel caso di mancata redazione della dichiarazione? In mancanza di indicazioni del paziente, come procedere? Manca una disciplina che regoli le situazioni in cui la dichiarazione non ci sia; l’alternativa tra la sottoposizione o la non

48

In dottrina si fa notare come sarebbe opportuno richiedere la sola capacità naturale, in linea di principio conseguibile anche prima del raggiungimento della maggiore età. Sul punto cfr. RESCIGNO, La scelta del testamento biologico, in Testamento biologico, Riflessioni di dieci giuristi, a cura della Fondazione Umberto Veronesi, 2005, edito dalla Fondazione Umberto Veronesi in collaborazione con il Sole 24 Ore.

(29)

29 sottoposizione a determinati trattamenti non può ridursi al principio del consenso presunto, fondato sulla ragionevole presunzione che, se il paziente potesse esprimersi, deciderebbe di affrontare un determinato trattamento opportuno per la cura della sua patologia49.

Altre normative hanno cercato di disciplinare tale questione: facciamo riferimento alla normativa sui trapianti, regolata dalla legge del primo aprile 1991 n. 91, intitolata “Disposizioni in materia di

prelievi e di trapianti di organi e di tessuti”50, la quale al titolo II art. 4

prevede il meccanismo del c.d. “silenzio-assenso” informato, in base al quale ogni cittadino diviene donatore d'organi a meno che non abbia espresso e depositato presso la propria Asl, l'unità amministrativa di base del sistema sanitario pubblico, la volontà di non donare i propri organi51.

La legge prevede nello specifico che “i cittadini sono tenuti a

dichiarare la propria libera volontà in ordine alla donazione di organi e di tessuti del proprio corpo successivamente alla morte, e sono

49

Cfr. VOCATURO, La volontà del soggetto nell’ambito dell’ Advance Health Care Planning: brevi riflessioni in tema di testamento biologico, in Riv. Notariato, 2007, 04, 905.

50

La legge è stata approvata dopo undici anni circa di discussione; il primo progetto di legge in materia risale infatti al 1988. Precedentemente la materia è stata disciplinata: dalla legge n. 235 del 1957, che consentiva il prelievo di parti del cadavere a scopo di trapianto terapeutico soltanto “se il soggetto ne abbia dato autorizzazione”, con un atto mortis causa da cui risulti “la chiara volontà del defunto di consentire al prelievo”; successivamente dalla legge del 2 aprile 1968 n. 519, la quale, col progredire della chirurgia dei trapianti, ha spostato la sua attenzione dalla pietas per la persona defunta alla necessitas per la persona vivente, considerando che il cadavere è una res utilis e che pertanto, prima della sepoltura, non esula dalla sua normale destinazione l'utilizzabilità a scopo di trapianto terapeutico, affermando che “nei deceduti sottoposti a riscontro diagnostico” il prelievo da cadavere è senz’altro consentito “a meno che l'estinto non abbia disposto contrariamente in vita, in maniera non equivoca e per iscritto”; norma questa che poi fu estesa a tutti i defunti e generalizzata in una nuova formulazione legislativa che, capovolgendo quella del 1957 stabiliva che il prelievo da cadavere è vietato “quando in vita il soggetto abbia esplicitamente negato il proprio assenso” (art. 6, co. 1, legge n. 644 del 1975). Sul punto cfr. LA TORRE, Ego e Alter nel trapianto di organi, in Giust. Civ. , 2011, 01, 3.

51

Tale silenzio-assenso, essendo comunque riferito ad una atto mortis causa, non toglie all'interessato la facoltà di mutare il consenso presunto in dissenso dichiarato poiché chiunque, fino all'ultimo istante di vita, può determinare con la sua volontà la sorte di quanto resterà di lui dopo la morte. Cfr. LA TORRE, ultima op. cit.

(30)

30

informati che la mancata dichiarazione di volontà è considerata quale assenso alla donazione, secondo quanto stabilito dai commi 4 e 5 del presente articolo”, e che inoltre “Fatto salvo quanto previsto dal comma 5, il prelievo di organi e di tessuti successivamente alla dichiarazione di morte è consentito:

a) nel caso in cui dai dati inseriti nel sistema informativo dei trapianti di cui all'articolo 7 ovvero dai dati registrati sui documenti sanitari personali risulti che il soggetto stesso abbia espresso in vita dichiarazione di volontà favorevole al prelievo;

b) qualora dai dati inseriti nel sistema informativo dei trapianti di cui all'articolo 7 risulti che il soggetto sia stato informato ai sensi del decreto del Ministro della sanità di cui all'articolo 5, comma 1, e non abbia espresso alcuna volontà”.

Tale normativa è stata criticata dalla dottrina: prima di tutto introduce un obbligo di autodeterminazione con riguardo alla donazione dei propri organi, al fine di evitare un consenso presunto; il principio di autodeterminazione in ambito medico, come già detto, si ricava dagli articoli 32, 13 e 2 della Costituzione, ma in nessuno di essi viene affermato un obbligo di autodeterminarsi, essendo invece configurato solo come diritto del singolo.

Inoltre è ben possibile che il soggetto rinunci alla propria autodeterminazione, consegnando la scelta della destinazione dei propri organi a familiari o soggetti terzi; parte della dottrina52 ha messo in rilievo come sussista un interesse dei parenti all'integrità del cadavere, per la possibile destinazione dello stesso a determinate cerimonie funebri, che acquistano importanza per il superamento del lutto.

Si è anche affermato che il meccanismo del silenzio-assenso non garantisce a sufficienza l'autonomia dell'individuo, in quanto prevede il

52

Cfr. ARDIS, Il diritto della famiglia sul cadavere, Riflessioni antropologiche, psicologiche e giuridiche in Biotica e Bioetiche, contributo alla discussione di Roberto Piccoli, disponibile su http:// centrotobagi.altervist.org/trapianti.html .

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