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I requisiti del consenso pag

Nella vicenda “Englaro”, come visto, è stato dato rilievo ad un consenso solo presunto, espresso molti anni prima e ricostruito attraverso testimonianze di persone vicine alla ragazza.

Ma quali sono i requisiti necessari perché il consenso/dissenso all’atto medico possa ritenersi validamente espresso?

La giurisprudenza si è espressa sul punto, affermando che il consenso120 deve essere personale, ovvero proveniente dal soggetto

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Cfr. TRIPODINA, A chi spettano le decisioni politiche fondamentali sulle questioni eticamente controverse? (Riflessioni a margine del “caso Englaro”), in Giur. cost. , 2008, 05, 4069.

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Cfr. SIMEOLI, Il rifiuto di cure: la volontà presunta o ipotetica del soggetto incapace, in Giust. civ. , 2008, 7-8, 1727B.

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La parola “Consent” appare per la prima volta nel Codice di Norimberga (1946- United State Vs. Karl Brandt): “Il consenso volontario del soggetto umano è assolutamente essenziale … [la persona] deve avere sufficiente conoscenza e comprensione degli elementi della situazione in cui è coinvolta, tali da metterla in condizione di prendere una decisione cosciente e illuminata …”.

74 che deve sottoporsi al trattamento sanitario, salvi i casi di incapacità legale in cui può essere legittimamente prestato dal suo legale rappresentante; libero, ovvero la volontà del soggetto deve essere immune da vizi e non coartata; gratuito; informato, ovvero deve essere preceduto da obblighi informativi da parte del medico i quali interessano tanto la fase diagnostica, finalizzata all’acquisizione di dati sintomatologici, quanto quella terapeutica ed involgono la natura e le modalità del trattamento, gli effetti, i rischi prevedibili e specifici ed i risultati conseguibili secondo i protocolli medici, le terapie alternative e l’adeguatezza della struttura in riferimento alle condizioni di efficienza ed al livello delle dotazioni; e attuale121.

L’attualità “deve esprimere una volontà non astrattamente

ipotetica ma concretamente accertata; un intenzione non meramente programmatica ma affatto specifica; una cognizione dei fatti non soltanto ideologica ma frutto di informazioni specifiche in ordine alla propria situazione sanitaria; un giudizio e non una precomprensione, in definitiva un dissenso che segua e non preceda l’informazione avente ad oggetto la rappresentazione di un pericolo di vita imminente e non altrimenti evitabile, un dissenso che suoni attuale e non preventivo, un rifiuto ex post e non ex ante”122.

Nell’affermare ciò, la Cassazione si trovò a dover decidere il caso di un soggetto appartenente al culto dei Testimoni di Geova, il quale portava con se un cartellino con su scritto il sintagma “niente

sangue”; ci si chiedeva se tale indicazione potesse configurarsi come

volontà espressa del soggetto al rifiuto di terapie trasfusionali o meno. È noto che il credo religioso professato dai Testimoni di Geova proibisce le trasfusioni di sangue, anche quando queste sono

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Cfr. SESTA, Quali strumenti per attuare le direttive anticipate?, in Testamento biologico, Riflessione a cura di dieci giuristi a cura della Fondazione U. Veronesi, 2005, pag. 167 e ss. , edito dalla Fondazione U. Veronesi in collaborazione con il Sole 24 Ore.

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75 assolutamente essenziali per la sopravvivenza; pertanto, può accadere che i sanitari si trovino di fronte a pazienti che rifiutano trasfusioni, mettendo anche a repentaglio la propria vita.

Tale dichiarazione di volontà è esternata, spesso, attraverso una medaglietta od un tesserino in cui è contenuto il rifiuto, al fine di ottenere il rispetto della direttiva anticipata, anche qualora l'interessato si trovi in stato di incoscienza e non sia in grado di rifiutare espressamente il trattamento123.

La Corte esige in tale caso che la manifestazione di volontà del dissenziente sia espressa in modo chiaro ed incontrovertibile; la mera indicazione contenuta sulla medaglietta, viceversa, risulterebbe a giudizio della Corte “sibillina”, investendo il medico del compito "insostenibile" di ricostruire la reale volontà del paziente124.

Si segue in tale caso una linea completamente opposta a quella seguita nella vicenda di Eluana Englaro, nonostante in questo caso sia stato fatto notare come "non è possibile dubitare del fatto che una

persona che professi il culto dei Testimoni di Geova continuerebbe ad esprimere, ove fosse cosciente, il rifiuto dell'emotrasfusione in precedenza manifestato"125.

Tale impostazione, se da una parte è indubbiamente conforme al fatto che il consenso od il dissenso per essere espressi validamente

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Cfr. FACCI, I testimoni di Geova ed il “dissenso” all’atto medico, in Resp. civ. e prev., 2007, 1, 116.

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Per vero, il cartellino dei Testimoni di Geova ha un evidente significato. Con esso il paziente divenuto incapace di intendere e volere indica in modo perentorio il rifiuto di ogni forma di sangue e perciò della trasfusione ematica (salvo diversa specificazione); la concezione religiosa dei Testimoni è notoriamente tutta imperniata su precisi, oltre che semplici, canoni interpretativi fondati su taluni passi evangelici. Può non condividersi il rigoroso rispetto dell'ermeneutica da essi data al precetto dottrinario, che vieterebbe di "cibarsi del sangue" (che rappresenterebbe la vita) , ma la loro concezione etico-religiosa (peraltro fondata su solide motivazioni utilitaristiche), che si rispecchia appunto nel divieto di ogni forma di emotrasfusione, esige da parte del giurista (e, ancora prima, del medico) il rigoroso rispetto dovuto ad un culto ammesso dalla Costituzione, praticato dai membri di una Congregazione che ha ricevuto riconoscimento statuale. Cfr. MASONI, I testimoni di Geova tra legittimità, merito ed amministratore di sostegno, in Dir. Famiglia, 2009, 1, 58.

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76 richiedono un'informazione adeguata, dall'altra, pare vanificare quanto previsto dall'art. 9 della Convenzione di Oviedo, secondo il quale "i

desideri precedentemente espressi a proposito di un intervento medico da parte di un paziente che, al momento dell'intervento, non è in grado di esprimere la sua volontà saranno tenuti in considerazione" (fonte,

questa, già richiamata a sostegno della soluzione adottata per il caso “Englaro”), nonché la correlata regola contenuta nel Codice di

Deontologia medica del 2006, secondo la quale "il medico, se il paziente non è in grado di esprimere la propria volontà, deve tenere conto nelle proprie scelte di quanto precedentemente manifestato dallo stesso, in modo certo e documentato" (art. 38).

Tra l’altro, le obiezioni più frequentemente mosse nei confronti dell’efficacia delle direttive anticipate, in qualunque forma espresse, fanno proprio leva sull’impossibilità di ravvisare in esse la sussistenza dei requisiti individuati dalla Suprema Corte per la loro validità.

La prima critica cui si espone il riconoscimento dell’efficacia del consenso/dissenso manifestato “ora per allora” attiene infatti alla mancanza del requisito dell’attualità, giacché esso risulta del tutto decontestualizzato rispetto alla futura e ipotetica situazione nella quale è chiamato ad operare.

Si sottolinea come, solo con riguardo a una data e concreta situazione di fatto e al processo evolutivo di una determinata patologia, possano essere forniti all’interessato precisi elementi realmente in grado di condurre a una scelta ponderata.

Si pone altresì in luce come una siffatta manifestazione di volontà sia destinata a operare in un momento in cui le condizioni mentali e personali dell’interessato potrebbero rivelarsi assai differenti rispetto a quelle in cui venne espressa.

Un’ulteriore obiezione è stata avanzata con riguardo alla mancanza di specificità del consenso manifestato in via anticipata, atteso che gli interventi sanitari sono nella maggior parte dei casi

77 composti da molteplici atti medici - richiedenti differenziate e specifiche competenze professionali - che devono essere singolarmente accettati dal paziente; in particolar modo, se alcuni interventi collegati a quello principale possono essere implicitamente accettati dall’interessato, lo stesso non si può dire qualora tali trattamenti abbiano natura invasiva e comportino determinati rischi, giacché essi devono essere autorizzati in maniera specifica126.

Altre preoccupazione sono sollevate con riferimento all’astrattezza e alla generalità delle direttive anticipate di trattamento.

Tali caratteri possono in parte essere mitigati dalla possibilità di modificare o revocare in qualunque tempo la volontà espressa, ma si fa notare come il paziente, a causa dello stato di incapacità, non sia in grado di revocare o modificare le proprie disposizioni proprio nel momento in cui più avvertite e consapevoli sarebbero le interne motivazioni in grado di indurlo a tornare sui suoi passi.

In altri termini, non è affatto certo che l’interessato, se ancora capace, avrebbe voluto, nell’imminenza di un evento delicato o addirittura fatale, tenere ferma la volontà precedentemente manifestata127.

Come mai la Suprema Corte ha allora aderito a posizioni cosi contrastanti tra loro?

L’impressione è che, in mancanza di una normativa specifica sulla questione, ci sia molta confusione.

Nella pronuncia sul caso “Englaro”, la Corte ha affermato che a prevalere debba essere il principio all’autodeterminazione terapeutica, principio quindi generale e, come desumibile già dalla normativa Costituzionale, valevole anche per le persone in stato di incapacità di esprimersi al momento necessario; così pregnante da portare la Corte a

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Cfr. SESTA, Quali strumenti per attuare le direttive anticipate?, in Testamento biologico, Riflessioni di dieci giuristi, a cura della Fondazione Umberto Veronesi, 2005, pag. 167 ss. edito dalla Fondazione Umberto Veronesi in collaborazione con il Sole 24 Ore.

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78 dare rilevanza a prove testimoniali raccolte da persone vicine a Eluana, ma senza che vi sia una pur minima prova documentale che permetta la diretta riconducibilità delle affermazioni alla giovane stessa, nonché circostanze che ne attestino in qualche modo l’attualità; nella pronuncia riguardo il caso di rifiuto della trasfusione di sangue da parte di un testimone di Geova, è stata invece sottolineata la sola mancanza di quei requisiti che la Corte individua come necessari per la valida espressione del consenso/dissenso alle cure mediche, senza forse pensare che il rifiuto dell’intervento trasfusionale era fondato su un precetto religioso, e che la libertà religiosa è anch’essa garantita dalla nostra Carta Costituzionale all’articolo 8, e che, soprattutto, in tale caso era presente una prova documentale della volontà del paziente stesso, che pur sintetica risultava chiara ed inequivocabile.

E’ vero che nella vicenda “Englaro” la Corte aveva verificato che, visto il lungo periodo trascorso dalla giovane in stato vegetativo permanente, non era “più possibile” la ripresa di una qualunque“attività psichica” da parte della paziente, mentre viceversa nella pronuncia successiva riguardante il testimone di Geova, la trasfusione avrebbe permesso il recupero delle piene funzioni dell’organismo; ma se si parla di autodeterminazione, questa deve poter affermarsi in entrambi i casi, a prescindere dalla situazione in cui si trova il paziente.

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