PUNTO DI VISTA INTERNO
II.8. La speranza di Drogo: l’anticipazione dell’ultima battaglia
Durante i turni di guardia, Drogo elabora delle fantasie sulle imprese gloriose che a suo parere lo vedranno protagonista. In esse si possono vedere delle inconsapevoli previsioni riguardo all’unico vero scontro che Giovanni combatterà, alla fine della sua esistenza.
Il giorno dopo Giovanni Drogo comandò la guardia alla Ridotta Nuova. […] Giovanni restò a guardare la pianura settentrionale. Dalla Fortezza non ne aveva potuto vedere che un piccolo triangolo, per via delle montagne davanti. Adesso la poteva scorgere tutta […]. Fosse il pensiero di essere completamente solo a
50 A. M
ARIANI, Il deserto dei Tartari di D. Buzzati ed Aspettando i barbari di J.M. Coetzee: il tema
dell’attesa, cit., pp. 481-482. 51
comandare il fortino, fosse la vista della disabitata landa, fosse il ricordo del sogno di Angustina, Drogo sentiva ora crescergli attorno, col dilatarsi della notte, una sorda inquietudine.52
Di fronte alla pianura settentrionale, quel territorio da cui dovrebbe giungere la sua fortuna, Giovanni è preso dall’agitazione. È la notte ad acuire il suo disagio, proprio come successo in occasione della lettera alla madre; l’oscurità nasconde ancor più l’orizzonte, già dalla prima volta inquietante alla luce del sole.
Come si può vedere nel brano successivo, è il tramonto il momento deputato ai sogni di gloria:
Come al solito entrava al tramonto nell’animo di Drogo una specie di poetica ammirazione. Era l’ora delle speranze. E lui ritornava a meditare le eroiche fantasie […]. In genere pensava a una disperata battaglia impegnata da lui, con pochi uomini, contro innumerevoli forze nemiche; come se quella notte la Ridotta Nuova fosse stata assediata da migliaia di Tartari. Per giorni e giorni lui resisteva […]. Ed ecco le cartucce stanno per finire, lui tenta una sortita alla testa degli ultimi uomini, una benda gli fascia la fronte; e allora finalmente arrivare i rinforzi, il nemico sbandarsi e volgere in fuga, lui cadere sfinito stringendo la sciabola insanguinata. […] Era l’ora delle speranze e lui meditava le eroiche storie che probabilmente non si sarebbero verificate mai, ma che pure servivano a incoraggiare la vita.53
Drogo elabora nella propria mente delle fantasie ampiamente complesse, in cui lui conduce i pochi uomini della Fortezza contro innumerevoli forze nemiche; è un’eventualità remota, ma che merita comunque di essere coltivata. Tuttavia, il protagonista non concepisce
52 Ivi, pp. 72-73. 53
sempre imprese di questa levatura. Accade infatti in alcuni casi di immaginare un obiettivo meno glorioso.
Certe volte si accontentava di molto meno. […]. In fondo sarebbe bastata una semplice battaglia, una battaglia sola ma sul serio, caricare in grande uniforme ed essere capace di sorridere precipitando verso le facce ermetiche dei nemici. Una battaglia, e dopo forse sarebbe stato contento tutta la vita.54
Vi è qui l’anticipazione della fine di Giovanni, che avverrà trentacinque anni dopo. Il suo decesso si consumerà infatti in una solitaria locanda, in cui egli combatterà contro l’avversario più difficile: la morte appunto, personificata in quei nemici dalla faccia ermetica che Drogo immagina per la battaglia. Si tratterà dell’unico combattimento della sua vita, che effettivamente renderà felice il suo trapasso.
Esemplare è anche la vicenda del tenente Angustina, perito nel corso di un rilievo territoriale su una montagna. Una ricognizione a cui Giovanni non partecipa:
Drogo […], se avesse desiderato, sarebbe pure potuto partire col capitano Monti e Angustina. Ma a Drogo era parsa una cosa stupida: sfumata la minaccia dei Tartari, quel servizio gli era sembrato nient’altro che una seccatura, in cui non c’era da meritare nulla. Adesso però anche Drogo vedeva il tremolio delle lanterne in cima e cominciava a rimpiangere di non essere andato. Non soltanto in una guerra dunque si poteva trovare qualche cosa di degno; ed ora avrebbe voluto anche lui essere lassù, nel cuore della notte e della tempesta. Troppo tardi, l’occasione gli era passata vicina e lui l’aveva lasciata andare.55
54 Ivi, p. 74. 55
Attraverso la morte di Angustina, congelato sulla montagna in una fiera posa militare, Giovanni apprende un insegnamento essenziale: «non soltanto in una guerra dunque si poteva trovare qualche cosa di degno».56 Non è necessario un combattimento contro i nemici per ottenere la gloria, esistono anche altre vie. Inoltre, «le montagne […] costituiscono la barriera terrestre reale e ideale che nasconde – permettendone l’accesso – l’al di là forse raggiungibile per chi oserà rispondere al richiamo dell’ignoto»: Giovanni non ha colto subito la chiamata, ma sarà in grado di comprenderla in futuro.57 Un concetto rimarcato anche dal capitano Ortiz:
Stava peggio di tutti noi, effettivamente. Lui come noi non ha incontrato il nemico, non c’è stata neanche per lui la guerra. Eppure è morto come in una battaglia. […] Lui ha saputo morire al momento giusto […] Come se avesse preso una pallottola. Un eroe, c’è poco da dire. Eppure nessuno sparava.58
Angustina era malato e non è stato abbattuto da un proiettile, né da un colpo di spada; eppure, la sua fine è assimilabile a quella di un soldato caduto in combattimento. Ortiz assegna al commilitone un notevole pregio: essersene andato al momento opportuno, sfruttando l’occasione che il destino aveva predisposto per lui. Il decesso di Giovanni avverrà nelle medesime modalità: egli accoglierà la morte con fierezza, indossando l’uniforme nella miglior posa possibile al momento del sereno trapasso.