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Un’esistenza limitata ma appagante: la comprensione

NOVECENTO: L’INFELICITÀ DISARMATA

III.8. Un’esistenza limitata ma appagante: la comprensione

Le speranze del trombettista vengono disattese: Novecento si blocca sulla scaletta per scendere a New York, il che segnerà la sua definitiva permanenza sul Virginian. Il

44 C. P

EZZIN, Alessandro Baricco, cit., p. 63. 45

protagonista, turbato dall’accaduto, impiegherà mesi per recuperare la serenità: una condizione che lo porterà alla pace interiore.

Per me, non ero nemmeno sicuro che lo fosse mai stato, infelice. Non era una di quelle persone di cui ti chiedi chissà se è felice quello. Lui era Novecento, e basta. Non ti veniva da pensare che c’entrasse qualcosa con la felicità o col dolore. Sembrava al di là di tutto, sembrava intoccabile. Lui e la sua musica: il resto, non contava. […] Uno che sapeva benissimo dove stava andando. E che si sarebbe arrivato. […] Adesso so che quel giorno Novecento aveva deciso di sedersi davanti ai tasti bianchi e neri della sua vita e di iniziare a suonare una musica assurda e geniale, complicata ma bella, la più bella di tutte. E che su quella musica avrebbe ballato quel che rimaneva dei suoi anni. E che mai più sarebbe stato infelice.46

Il Virginian costituisce un contesto chiuso, al di fuori del mondo e per questo limitato; tuttavia, esso pare davvero essere l’ambiente ideale per Novecento. Egli è perfettamente a proprio agio sull’imbarcazione, tutto ciò di cui necessita è a sua disposizione entro i confini del transatlantico: il protagonista non rischierà più perciò di incorrere nell’infelicità. Tutto ciò diviene improvvisamente chiaro al trombettista, il quale comprende finalmente la natura di Novecento; pur non condividendo il suo punto di vista, accetta serenamente la decisione dell’amico. Non a caso, nel finale della narrazione il musicista si precipiterà al Virginian poco prima della demolizione: egli sa perfettamente che il protagonista non scenderà, poiché privato dell’unico contesto per lui abitabile, e intende quindi sfruttare l’ultima occasione per incontrarlo.

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CONCLUSIONI

Nonostante le profonde differenze fra le parabole dei personaggi presi in esame, essi presentano dei caratteri comuni. Ognuno di loro, infatti, isola il proprio spazio chiuso entro cui esperire la totalità della propria esistenza: una delimitazione percepita dal mondo esterno come un limite, ma in realtà necessaria a Gubbio, Drogo e Novecento per vivere. Al fine di tipizzare con precisione la categoria alla quale i tre individui appartengono, risulta per molti versi efficace la classificazione operata da Enrico Testa riguardo al personaggio assoluto (in particolare, effettuata su Josef K. ne Il processo di Franz Kafka):

- assenza di evoluzione; lo sviluppo di un carattere nel tempo […] appare […] bloccato in situazioni che si reiterano sterilmente senza dare vita a un processo o a una modifica;

- mancanza di relazioni con il mondo esterno all’io e con i suoi interpreti: i contatti con quest’ultimi sono, al limite, utilizzati strumentalmente o comunque subordinati al principio totalitario dell’interiorità. […];

- aspirazione alla verità. L’imperativo gnoseologico […] è il movente primo delle azioni e tutto, scelte e comportamenti, risponde a esso;

- esagerazione della soggettività. È, per certi versi, una conseguenza dei fatti precedenti e comporta da un lato – sul piano semantico – la sottolineatura della singolarità e dello statuto eccezionale del personaggio e dall’altro – sul piano narratologico – la riduzione dell’intreccio alle sue sole azioni.47

Assenza di evoluzione. Il mancato mutamento dei tre personaggi nel corso delle narrazioni

è condizione fondamentale per il loro isolamento. Serafino Gubbio redige in prima persona i propri diari a posteriori, il che inevitabilmente comporta una sostanziale fissità della sua

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NRICO TESTA, Eroi e figuranti. Il personaggio nel romanzo, Torino, Piccola Biblioteca Einaudi, 2009, p. 11.

figura. Giovanni Drogo conserva rigidamente la propria speranza nell’arrivo dei Tartari, incurante dello scorrere del tempo e delle numerose contingenze volte a dissuaderlo. Infine, Novecento non abbandona mai il Virginian, rimanendo per sempre all’interno del proprio contesto abituale: egli perciò mantiene per sempre le medesime modalità di comportamento.

Mancanza di relazioni con il mondo esterno all’io e con i suoi interpreti. L’isolamento

(più o meno volontario) a cui vanno incontro i tre personaggi si verifica anche attraverso l’assenza di contatto con ciò che è al di fuori di loro. Serafino Gubbio giunge all’emarginazione più totale attraverso la perfezione del silenzio di cosa. Giovanni Drogo è suo malgrado confinato al di fuori dalla Fortezza Bastiani, ma proprio attraverso la solitudine raggiunge il proprio obiettivo. Da ultimo, Novecento rinuncia progressivamente ai propri desideri, in modo da sfuggire all’inquietudine da essi provocata: per raggiungere tale stato di imperturbabilità, egli deve abbandonare anche i contatti con le persone.

Aspirazione alla verità. I tre personaggi sono fermamente indirizzati verso la scoperta

dell’autenticità. Serafino Gubbio indaga avidamente la realtà, tentando di mantenere l’impassibile atteggiamento da operatore per carpirne l’essenza. Giovanni Drogo spende la sua intera vita per verificare l’effettiva esistenza dei Tartari, che attende instancabilmente per trentacinque anni. Novecento, infine, anela alla costruzione di una mappa mentale del mondo attraverso il filtro del Virginian: tramite esso ritiene di poter raggiungere la piena conoscenza.

Esagerazione della soggettività. Nel corso delle narrazioni, i personaggi tendono sempre

più a isolarsi dal mondo circostante: al punto da non considerare nemmeno più ciò che avviene al di fuori di sé stessi. Serafino Gubbio giunge alla piena e completa impassibilità grazie alla tragica fine di Aldo Nuti e Varia Nestoroff: la loro dipartita lo conduce alla

consapevolezza di come sia tutto assimilabile a finzione nel tempo della tecnologia, portandolo alla chiusura totale nei confronti di ogni stimolo esterno. Giovanni Drogo, estromesso dal combattimento reale contro i Tartari, lotta contro la morte nella più profonda solitudine: proprio la condizione che gli permette di raggiungere la tanto agognata azione eroica, una battaglia solitaria che non avrebbe mai potuto muovere in presenza di altre persone. Novecento, infine, rinuncia volontariamente ai propri desideri, fonte per lui di infelicità: egli assume quindi come unico parametro di riferimento la propria percezione, attraverso la quale gli è possibile isolare ogni pulsione verso l’esterno. Serafino Gubbio, Giovanni Drogo, Danny Boodman T.D. Lemon Novecento: tre personaggi assoluti, autolimitatisi per la propria sopravvivenza. Essi hanno frapposto una barriera fra sé e gli altri; questi ultimi hanno percepito tale protezione come una costrizione, non intuendo la reale portata della loro elaborazione. Chiudersi all’interno di un contesto definito, infatti, costituisce l’estrema difesa messa in atto dai personaggi nei confronti del mondo e delle sue insidie. In nessun altro modo Gubbio, Drogo e Novecento avrebbero potuto condurre a termine il proprio intento: un’esistenza a misura d’uomo, una vita all’altezza delle proprie possibilità.

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