PUNTO DI VISTA INTERNO
II.5. Le insidie della Fortezza: l’alienazione e la solitudine
Il protagonista ha ora esperienza diretta della subdole suggestioni esercitate dalla rocca.
28
Ivi, p. 483.
29 D. B
UZZATI, Il deserto dei Tartari, cit., p. 25.
30 A
. MARIANI, Il deserto dei Tartari di D. Buzzati ed Aspettando i barbari di J. M. Coetzee: il tema
dell’attesa, cit., p. 481. 31
Molte volte egli era stato solo […] Ma adesso era una cosa ben diversa, […] sedeva nella sua camera, alla luce della lampada, sul bordo del letto, triste e sperduto. […] nessuno in tutta la fortezza pensava a lui e non solo nella fortezza, probabilmente anche in tutto il mondo non c’era un’anima che pensasse a Drogo; ciascuno ha le proprie occupazioni, ciascuno basta appena a se stesso […].32
Il periodo della prima giovinezza è concluso: Giovanni sembra rendersene conto nella solitaria stanza che gli è stata assegnata. Per la prima volta Drogo si sente realmente solo: ognuno riesce con fatica a provvedere solo per se stesso, quindi è impossibile fare altrettanto per gli altri. Questo pensiero si accentuerà non appena il protagonista avrà effettiva esperienza delle conseguenze che provoca l’alienante Fortezza Bastiani.
Il formalismo militare, in quella fortezza, sembrava aver creato un insano capolavoro. Centinaia di uomini a custodire un valico da cui nessuno sarebbe passato. Andarsene, andarsene al più presto – pensava Giovanni – uscir fuori all’aria, da quel mistero nebbioso.33
L’atteggiamento dei commilitoni spaventa Drogo – ciò sarà visibile nel suo giudizio riguardo al sottufficiale Tronk, riportato più avanti. Egli interpreta il rigore instaurato alla Fortezza come «insano», in quanto porta i soldati a sorvegliare un’area da cui nessuno è mai giunto e mai nessuno probabilmente passerà.34 La volontà di fuggire aumenta, e con essa cresce la paura di Giovanni riguardo alla sua permanenza. Vi è anche un richiamo alla nebbia, presagio di quella morte che attenderà il protagonista nel finale della narrazione.
E […] se in realtà, anche dopo i quattro mesi, non lo avessero più lasciato partire? Se con sofistici pretesti regolamentari gli avessero impedito di rivedere la città? Se
32 Ivi, p. 26. 33 Ivi, p. 29. 34
avesse dovuto rimanere lassù per anni e anni, e in quella stanza, su quel solitario letto, si fosse dovuta consumare la giovinezza? Che ipotesi assurde, si diceva Drogo, rendendosi conto della loro stoltezza, eppure non riusciva a scacciarle, esse poco dopo tornavano a tentarlo, protette dalla solitudine della notte. Gli pareva così di sentire crescere attorno una oscura trama che cercasse di trattenerlo. […] una forza sconosciuta lavorava contro il suo ritorno in città, forse scaturiva dalla sua stessa anima, senza ch’egli se ne accorgesse.35
I quattro mesi presso la Fortezza potrebbero non essere sufficienti. È possibile che Giovanni possa essere trattenuto e in questa maniera egli perderebbe il tempo della propria giovinezza in una rocca incapace di garantirgli un destino glorioso. Drogo è il primo a ritenere queste ipotesi non plausibili, ma al tempo stesso non riesce a liberarsene; egli avverte intorno a sé un misterioso disegno volto a bloccarlo all’interno della Fortezza. Il protagonista ancora non può prevedere il futuro: sarà proprio lui, inconsapevolmente, il primo a impedire il suo rientro al luogo natio.
L’inquietudine cresce quando Giovanni interagisce con il sottufficiale Tronk.
Il sottufficiale tacque, Drogo lo guardava spaventato. Dopo ventidue anni di Fortezza, che cosa era rimasto di quel soldato? Si ricordava ancora Tronk che esistevano […] milioni di uomini simili a lui che non vestivano l’uniforme? e giravano liberi per la città e la notte potevano a loro piacimento mettersi a letto o andare all’osteria o a teatro? No, (a guardarlo lo si capiva bene) […]. […] Così, mentre veniva il buio, si impadroniva nuovamente di Drogo il desiderio di fuggire. Perché aspettare che si consumassero quattro mesi, centoventi lunghissimi giorni, metà dei quali di guardia alle mura. Gli parve di trovarsi fra uomini di altra razza, in una terra straniera, mondo duro ed ingrato.36
35 Ivi, pp. 29-30. 36
L’insano formalismo militare della Fortezza è riassunto perfettamente nella figura del sottufficiale Tronk. Quest’ultimo, nella rocca da ben ventidue anni, ha ormai perso ogni contatto con la realtà esterna, tanto da non ricordare più come vivono gli uomini al di fuori di un presidio militare. Gli effetti della Fortezza Bastiani su Tronk inducono Giovanni a una paura ancor più forte, tanto da indurlo a non aspettare nemmeno i quattro mesi prescritti dal Matti. Individui come il sottufficiale lo mettono a disagio, gli dimostrano ancora una volta di non essere nel luogo a lui deputato. Il protagonista tenta dunque di trovare un conforto.
Drogo era seduto nella nuda camera della ridotta […]. “Cara mamma” cominciò a scrivere e immediatamente si sentì come quando era bambino. […] la verità di Drogo quella sera non era una verità da bravo soldato, non era probabilmente degna dell’austera fortezza, i compagni ne avrebbero riso. La verità era la stanchezza del viaggio, l’oppressione delle tetre mura, il sentirsi completamente solo. “Sono arrivato sfinito dopo due giorni di strada […] e, arrivato, ho saputo che se volevo potevo tornare in città. La fortezza è malinconica, non ci sono paesi vicini, non c’è nessun divertimento e nessuna allegria.” Questo le avrebbe scritto.37
Le dure esperienze della giornata inducono Drogo a rifugiarsi dalla madre, la figura principe della sua spensierata vita precedente. A lei intende raccontare le proprie sensazioni, la sua reazione di fronte alla realtà della Fortezza: il viaggio estenuante, l’inospitalità dell’edificio, il senso di solitudine fra i soldati ossessionati dai Tartari. Un pensiero però lo tormenta, inducendolo a mentire.
Ma […] lei certo lo credeva soddisfatto e sereno. “Cara mamma” la sua mano scrisse. “Sono arrivato l’altro ieri dopo un ottimo viaggio. La Fortezza è grandiosa … […] Gli ufficiali qui mi hanno accolto affettuosamente […] Anche l’aiutante maggiore in prima è stato molto gentile e mi ha lasciato completamente libero di
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tornare in città se volevo. Eppure io […] ho creduto bene per me e per la carriera restare qualche tempo quassù … La compagnia poi è molto simpatica, il servizio facile e non faticoso.” […] neppure con la mamma poteva essere sincero, nemmeno a lei confessare gli oscuri timori che non gli lasciavano pace.38
Giovanni decide di non preoccupare la madre, e perciò mente sulla sua effettiva condizione. Non potendo parlare serenamente nemmeno con la propria genitrice, la persona che più di ogni altra potrebbe confortarlo, Drogo è ora veramente solo. Un pensiero che si svilupperà ancora:
pensò Drogo, forse tutto è così, crediamo che attorno ci siano creature simili a noi e invece non c’è che gelo, pietre che parlano una lingua straniera, stiamo per salutare l’amico ma il braccio ricade inerte, il sorriso si spegne, perché ci accorgiamo di essere completamente soli.39