3. La stakeholder theory
3.2 La stakeholder theory
La “teoria dei partecipanti dell’azienda” o c.d. stakeholder theory è caratterizza‐
ta dalla continua evoluzione del concetto di stakeholder, il quale si è gradual‐
mente modificato, combinandosi anche all’evoluzione del concetto di etica.
La stakeholder theory è definita dai propri “padri” come una teoria manageriale ed una teoria etica. In quanto il suo contenuto morale è esplicito: i valori e la morale sono considerati fondamentali nella gestione delle organizzazioni. Que‐
sta evidenza è presente in quella parte di letteratura che esamina i fondamenti morali della teoria76. Considerare tale teoria etica non significa che questa si configuri come una dottrina morale esauriente (Orts e Strudler 2002)77.
In contrapposizione ad alcune interpretazioni, il monito principale è rappresen‐
tato da questa affermazione: “è necessario essere attenti agli interessi e al be‐
nessere di coloro che possono favorire o ostacolare il raggiungimento degli o‐
biettivi dell’organizzazione”78.
La stakeholder theory sostiene che occorre soddisfare ogni “partecipante”
all’organizzazione, dove per partecipante si intende il più vasto contesto sociale, ossia l’insieme di chiunque vanti un interesse, anche non diretto, nella sfera dell’organizzazione. “Vi sono altri stakeholder legittimi dal punto di vista nor‐
mativo oltre agli azionisti”79.
L’attenzione va ampliata includendo non solo gli shareholder (detentori di azio‐
ni), ma anche gli stakeholder (portatori di interessi diffusi); così facendo l’azienda trarrà benefici economici e non. Assumendo una ottica strumentale i benefici (economici e non) costituiscono le ragioni per cui l’azienda opta per un più ampio coinvolgimento dei portatori di interessi.
D’altro canto, come ricordano Phillips, Freeman e Wicks, “…essere attenti agli interessi e al benessere di alcuni non‐azionisti è un dovere, che va oltre i fini
76 Tra le giustificazioni normative alla teoria troviamo Wicks, Gilbert e Freeman 1994, Clarkson 1994, Donaldson, Preston 1995, Freeman 1994, Phillips 1997, 2003, et al. Cfr. Phillips R., Free‐
man R., Wicks A. 2007
77 L’interpretazione di Orts e Strudler è considerata favorevole ma errata secondo Phillips R., Freeman R., Wicks A. 2007
78 Phillips R., Freeman R., Wicks A. 2007
79 Phillips R., Freeman R., Wicks A. 2007
prudenziali e strumentali della massimizzazione del valore azionario. Sebbene vi siano ancora gruppi di stakeholder la cui relazione con l’organizzazione rima‐
ne strumentale (…) vi sono altri stakeholder legittimi dal punto di vista norma‐
tivo oltre agli azionisti”.
Tutto ciò non implica80, come sostenuto da alcuni81 che tutti gli stakeholder debbano essere trattati equamente.
Il dialogo tra l’azienda ed i portatori di interesse comporta un confronto ed un riconoscimento reciproco degli interessi, di cui ciascuna parte è espressione.
L’adozione di un approccio stakeholder al management di un’organizzazione consente lo sviluppo di relazioni vantaggiose per i soggetti coinvolti: queste tendono a stimolare e consolidare la fiducia e la collaborazione tra le parti, in‐
centivandone i comportamenti virtuosi. L’organizzazione che è in grado di gesti‐
re al meglio tali relazioni, anche in termini di comunicazione, può sfruttare la ricchezza relazionale prodotta in termini di reputazione e vantaggio competiti‐
vo.
Il World Business Council on Sustainability Developement (Wbcsd)82 ha propo‐
sto una propria interpretazione circa il valore derivante dal coinvolgimento dei detentori di interessi: “Il dialogo offre ad un’organizzazione l’opportunità ideale al fine di sviluppare relazioni mutuamente benefiche con i suoi stakeholder, fa‐
cendo propri principi di volontarietà, coinvolgimento, trasparenza, onestà, fidu‐
cia, inclusività, condivisione di informazioni, apprendimento, creatività, consen‐
so nelle decisioni e condivisione di responsabilità. Al contrario, il non coinvolge‐
re in un dialogo attivo i propri stakeholder può significare perdita di input rile‐
vanti dal mercato e perdita di reputazione”.
Posto che il mancato coinvolgimento provoca danni a livello sia di immagine che in termini di risorse disponibili, quali sono i vantaggi concreti derivanti da un approccio di c.d. stakeholder engagement83?
I punti di forza indicati a livello di gestione strategica sono:
80 Phillips R., Freeman R., Wicks A. 2007
81 Crf. Gioia 1999; Marcoux 2000; Stenberg 2000; in Freeman, Rusconi et al 2007
82 Cfr. www.wbcsd.ch
83 Trad. “coinvolgimento dei detentori d’interesse”.
• sviluppo sociale più equo e sostenibile nel tempo, dando agli stakeholder l’opportunità di essere ascoltati e di influire sui processi decisionali strategi‐
ci;
• migliore gestione del rischio e della reputazione, raggiunta attraverso la sal‐
vaguardia da conflitti tra gruppi di interesse;
• maggiore sensibilità delle aziende ai bisogni dei propri interlocutori;
• maggiore capitalizzazione delle risorse (know how, tecnologia, capitale u‐
mano) per la soluzione di problemi e per il raggiungimento di obiettivi, diffi‐
cilmente raggiungibili singolarmente;
• migliore comprensione del core business;
• crescita della fiducia nell’impresa e sua legittimazione sociale.
In considerazione di ciò, il coinvolgimento degli stakeholder porta vantaggi e può essere realizzato attraverso metodi e strumenti diversi, scelti in base alla tipologia specifica di beneficio da raggiungere e di gruppo di interesse di rife‐
rimento.
Clarckson84 propone nell’ambito dello stakeholder management i seguenti prin‐
cipi:
84 Clarckson 1999 e 2002.
Tab. 3: I principi dello stakeholder management STAKEHOLDER MANAGEMENT: I PRINCIPI
1. I manager dovrebbero riconoscere e monitorare con continuità le aspettative di tutti gli sta‐
keholder legittimi e dovrebbero tenere in giusta considerazione i loro interessi durante i processi decisionali nelle attività.
2. I manager dovrebbero ascoltare e dialogare in modo aperto con gli stakeholder riguardo i rispettivi interessi, contributi e gli eventuali rischi derivanti dal loro coinvolgimento nell’azienda.
3. I manager dovrebbero adottare procedure e modalità di comportamento che siano sensibili alle aspettative e alle capacità di ciascun gruppo di stakeholder.
4. I manager dovrebbero riconoscere l’importanza del rapporto tra sforzo compiuto e remune‐
razione e dovrebbero cercare di raggiungere un’equa distribuzione dei benefici e degli oneri derivanti dall’attività dell’azienda, tenendo presente i rischi ed i punti vulnerabili di ciascu‐
no stakeholder
5. I manager dovrebbero lavorare in modo cooperativo con altri soggetti, sia pubblici che pri‐
vati, per assicurarsi che i rischi e i danni derivanti dalle attività dell’impresa siano minimiz‐
zati e, laddove non sia possibile evitarli, siano ricompensati in modo appropriato.
6. I manager dovrebbero evitare attività che possano mettere a rischio i diritti umani fonda‐
mentali oppure generare dei rischi che sarebbero inaccettabili per gli stakeholder rilevanti.
7. I manager dovrebbero saper riconoscere i conflitti potenziali esistenti fra:
• il loro ruolo come stakeholder dell’azienda;
• le responsabilità legali e morali che hanno nei confronti degli interessi di tutti gli stake‐
holder, e dovrebbero essere in grado di gestire tali conflitti attraverso in dialogo aperto, sistemi di remunerazione e sistemi di incentivi e, laddove necessario, esami di terza parte.
Fonte: Clarckson (1999 e 2002) in Sacconi L. 2007, a cura di.
Rispetto alla RSI, Clarckson ritiene che “solamente quando i ricercatori hanno cominciato a pensare alla CSR con riferimento alla stakeholder theory sono stati in grado di raccogliere dati utili”85.
Per realizzare un modello di stakeholder management efficiente ed efficace è necessario tuttavia che l’azienda segua almeno in via generale le seguenti fasi:
• identificazione e riconoscimento degli attori coinvolti anche attraverso una mappatura degli stessi;
85 Op citata in Alford H. 2007 in Sacconi L. 2007