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La trasformazione della classe politica in ceto

1.3. Élite, classe politica e ceto politico

1.3.3. La trasformazione della classe politica in ceto

Le trasformazioni dei partiti politici da partiti di massa in partiti elettoralistici (nelle diverse versioni cui abbiamo sopra fatto cenno) ha influito, in maniera determinante, sulla costituzione della classe politica in ceto.

I partiti non sono più lo strumento che collega la società civile alle istituzioni. Si è venuto a creare così un gap tra queste due realtà che in parte è stato colmato dalla presenza di organizzazioni economiche e non, che si sono inserite nel processo di trasmissione della domanda politica. Ma tutto ciò non ha ridotto l’esigenza dei partiti politici di controllare la società civile attraverso la collocazione del personale politico nelle posizioni più importanti.

Questo spostamento d’interessi e di operatività dei partiti, dalla società civile alle istituzioni, implica un processo ben noto: la formazione di un ceto, ampio e alquanto stabile, di politici di professione.

Alfio Mastropaolo [1993], sulla base dei concetti di “sostegno specifico” e “sostegno diffuso” adoperati da Easton12, afferma che la costituzione del personale politico in ceto è una caratteristica dei sistemi politici nei quali vi è una mancanza di sostegno diffuso. In tali sistemi, il personale politico supplisce, attraverso la continua ricerca del consenso (sostegno specifico), alla carenza di sostegno diffuso e si differenzia sia per la composizione che per i comportamenti che ha nei confronti del

12 Per David Easton [1963] il sostegno non è altro che quell’insieme di valutazioni, positive o negative

che la società esprime nei confronti del sistema politico. Più analiticamente, Easton distingue tra sostegno “diffuso” e sostegno “specifico”, ovvero, per usare un linguaggio a noi più familiare, tra legittimità e consenso. Il sostegno “diffuso” ha come oggetto ciò che Easton chiama il <<regime>> e la <<comunità politica>> ed è l’adesione sia a norme, valori e istituzioni che connotano ciascun sistema politico, sia alla collettività cui tale sistema si riferisce. Viceversa, il sostegno “specifico”è il consenso rivolto verso quanti ricoprono i ruoli di autorità. La stabilità del sostegno “diffuso”, che comporta la disponibilità dei cittadini ad accettare decisioni pubbliche anche non coincidenti con le loro aspettative immediate, serve a bilanciare le fluttuazioni del sostegno “specifico”, che è invece immediatamente legato alle prestazioni del personale politico. Il sostegno “diffuso” è cioè un capitale cui chi ricopre i ruoli d’autorità è in grado di attingere per sottrarsi se necessario alle pretese di scambio politico da parte degli attori sociali, allorché tali pretese siano contraddittorie, o reciprocamente esclusive, o comunque incompatibili con quello che di volta in volta viene definito l’interesse generale.

proprio retroterra sociale. Ma da sola la specificità del sistema politico non spiega la costituzione del personale politico in ceto. Mosca [1923] sostiene che la funzionalità dei regimi parlamentari si fonda su alcuni presupposti quali la “prosperità economica”, una “cultura intellettuale elevata”, una classe media economicamente e intellettualmente solida che assicura al regime legittimità. Quando tali condizioni non si verificano, non solo la pressione degli interessi si rafforza a dismisura, ma la “classe politica” si rinchiude su se stessa e allenta i contatti con il proprio retroterra sociale fino a trasformarsi in rappresentanza del paese parziale e fittizia. Così, utilizzando la teoria di Mosca. Mastropaolo sostiene che la formazione del ceto politico non è altro che “un effetto del modo in cui il sistema politico reagisce al deficit di sostegno diffuso e omogeneità sociale che lo affligge”[Mastropaolo 1993,46].

Analizzando nello specifico il ceto politico italiano, Mastropaolo mette in evidenza come questo si caratterizza per una anomala capacità di autoconservazione che se da un lato crea dei professionisti della politica dall’altro non favorisce il giusto e il naturale ricambio. Si viene a costituire un gruppo sociale separato dalla società civile che condivide fini, interessi e valori propri, caratterizzato da un alto livello di professionalizzazione. Una spiegazione di questo elevato tasso di professionalizzazione che caratterizza il personale politico italiano ci viene dato dallo stesso Mastropaolo facendo riferimento al concetto di “omogeneità sociale”, elaborato da Heller [1983], oltre che a quello di “sostegno diffuso” proposto da Easton.

Quando scarseggiano sostegno diffuso” e “omogeneità sociale”, il sistema politico si configura come il principale meccanismo d’integrazione sociale. Di conseguenza, oltre a crescere il fabbisogno di operatori a tempo pieno, la politica diviene altresì un’attività di elevata specializzazione, la quale pretende da chi la pratichi un know how particolare e particolari talenti che si acquisiscono esclusivamente sul campo, lungo il corso di una lunga carriera che inizia dal basso. In secondo luogo, l’elevato tasso di professionalizzazione della politica è spiegabile con il severo controllo che il personale politico tende a esercitare sui propri confini e sulla propria riproduzione. Preoccupato com’è di non disperdere i benefici d’autorità e le risorse di sostegno “specifico” che ha faticosamente accumulati, esso seleziona con la massima cura i suoi nuovi membri, favorendo gli ingressi dal basso rispetto a quelli laterali. Il ceto politico si costituisce anche perché alla politica si accede essenzialmente per cooptazione, sulla base di criteri quali fedeltà e deferenza, a scapito di altri come

prestigio e competenza. Non è un caso, osservava Mastropaolo nel 1993, che in Italia, solitamente, l’operatore politico medio non disponga di una professione di ricambio. Al massimo, ne svolge una che non è d’intralcio – un caso tipico è l’insegnamento – all’impegno politico, sicché nel novero dei politici di professione rientrano a pieno titolo anche coloro che nominalmente lavorano negli enti pubblici, nella pubblica amministrazione, nel parastato, negli istituti di credito: ambiti tutti in cui si può venir reclutati in base a criteri politici ed essere posti in condizione di dedicare alla politica il proprio tempo senza incontrare particolari ostacoli13. In tal modo, il ceto politico scongiura soprattutto l’immissione di personalità indipendenti, non socializzate ai suoi codici e alle sue regole e le cui iniziative potrebbero turbare i suoi delicati equilibri. Non solo: ma tale forma di reclutamento endogeno offre ancora due vantaggi. Il primo è quello di ridurre le possibilità di accesso ai luoghi decisivi del sistema politico dei rappresentanti degli interessi: perennemente assediato com’è da questi ultimi , il personale politico tende se non altro a creare un distacco fisico rispetto a essi. Il secondo vantaggio è quello di conservare al personale politico i profitti d’intermediazione, in termini di sostegno, ma anche di risorse economiche.

Va da sé che la professionalizzazione è strettamente connessa all’“effetto ceto politico”, dato che grazie ad essa la politica diviene un’attività per iniziati, che ne salgono con gran fatica i gradini, a partire da quelli più bassi. In cambio, così com’è difficile entrare nei labirinti della politica , altrettanto difficile è poi venirne espulsi. Non solo il ceto politico italiano è singolarmente longevo, ma è familiare la figura dell’eletto bocciato dagli elettori, o accantonato dal suo partito, al quale comunque si appronta una sistemazione confortevole e dignitosa in qualche nicchia del sottogoverno o in qualche assemblea elettiva di rango inferiore.

Il tentativo di dare una nuova immagine al sistema dei partiti, caratterizzati da un personale politico che rimane al potere per molto tempo, attraverso la candidatura di uomini nuovi, professionisti, tecnici, ha determinato soltanto un cambiamento

13 L’indagine, svolta da Bettin e Magnier [1989], sulla classe politica municipale italiana, conferma

pienamente la tesi che ad entrare in politica siano in misura maggiore i dipendenti pubblici e gli insegnanti: il 27% dei consiglieri comunali sono dipendenti pubblici. Una percentuale che tende a crescere quando si passa ad analizzare i componenti l’esecutivo comunale, gli assessori sono per 30% dei lavoratori del settore pubblico mentre tra i sindaci coloro che provengono da tale settore sono il 40%. Questi dati evidenziano come la maggior parte dei componenti il personale elettivo provenga da quei settori in cui si può venire reclutati secondo criteri politici avendo così la possibilità di dedicare il proprio tempo alla politica senza incontrare particolari ostacoli. Inoltre, l’orario di lavoro fa si che i dipendenti pubblici abbiano maggior tempo a disposizione da dedicare alla politica senza dimenticare le agevolazioni economiche che questi hanno rispetto a dipendenti del settore privato.

apparente. A parte qualche eccezione, pochi politici non professionisti hanno avuto modo di accedere, rimanendovi per molto tempo, ai luoghi decisivi del potere o ai vertici di partito. I nuovi arrivati abbandonano la scena in tempi brevi tranne che non si adattino alle dure regole che caratterizzano il ceto politico. E questo avviene poiché il ceto politico, ovviamente, si libera malvolentieri delle risorse cui ha accesso [Pasquino, 1983a].