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La valle di Podrinje fra 1992 e 1993: dal principio del conflitto alla demilitarizzazione di Srebrenica

In questo capitolo ci apprestiamo ad analizzare nel dettaglio uno dei processi svoltosi   sotto   la   giurisdizione   dell'ICTY,   allo   scopo   di   indagare   in   che   modo   i principi   e   le   finalità   espresse   nello   Statuto   del   Tribunale   e   dai   vari   soggetti internazionali che ne hanno promosso la creazione abbiano trovato traduzione nel suo operato. Nel particolare è stato scelto il caso IT­03­68, che vede come imputato il   comandante   della   Difesa   Territoriale   di   Srebrenica,   Naser   Orić.   La   scelta   è ricaduta su questo processo in quanto si tratta di un caso che ha generato dibattito sia   sul   piano   pubblico   regionale,   a   causa   della   rilevanza   della   figura   di   Orić, considerato   dalla   comunità   bosniaca­musulmana   come   uno   degli   eroi   della resistenza   contro   l'aggressione   serba;   sia   in   campo   internazionale,   ponendo questioni dirimenti per chi guardava al tribunale ad hoc quale banco di prova delle potenzialità   della   giustizia   di   transizione.   Processare,   infatti,   un   simbolo   della resistenza   della   fazione   considerata   dalla   comunità   internazionale   come   la principale   vittima   del   conflitto,   riguardo   i   fatti   avvenuti   nella   città   divenuta anch'essa il simbolo della sofferenza bosniaco­musulmana, adducendo come prove testimonianze e documentazione di incerta validità, ha portato molti osservatori a vedere   in   questa   chiamata   alla   sbarra   una   mossa   politica   del   Tribunale Internazionale. Per capire le ragioni che hanno condotto alla messa sotto accusa e alla   definizione   dell'indictment  contro   l'imputato,   è   necessario   chiarire   cosa   è avvenuto   nella   zona   all'interno   dell'arco   temporale   interessato   dall'impianto accusatorio. 

Orić  nasce il 3 Marzo 1967 a Potočari, nella municipalità di Srebrenica.  Come sancito   dalla   legislazione   vigente,   svolge   il   suo   servizio   militare   obbligatorio, all'interno del quale viene assegnato ad un'unità speciale per la difesa atomica e chimica prima di iniziare, a partire dal 1988, il percorso per divenire poliziotto. Durante il suo addestramento viene  inserito in un'unità rispondente direttamente al Ministro dell'Interno Serbo a Belgrado, per poi essere dislocato in Kosovo nel

1990. Una volta tornato in BiH fornisce servizio a Ilidža, nei dintorni di Sarajevo, prima di rientrare a Srebrenica nel 1992 e divenire capo della sotto stazione di polizia del suo paese natale, Potočari1 Srebrenica è situata nella zona orientale della Bosnia ed Herzegovina a circa 15 km dal fiume Drina e dal confine con la Serbia. La zona adiacente il fiume, di cui la città fa parte,  è comunemente denominata valle di Podrinje. Con l'acuirsi delle tensioni durante i primi anni '90 si assiste ad un irrigidimento dei rapporti fra le varie etnie anche nella zona locale. Si moltiplicano in particolare dispute riguardo la composizione etnica degli impiegati nelle varie imprese del territorio, tutte le etnie, infatti, denunciavano di essere discriminate nelle assunzioni a causa della loro appartenenza. Il piano occupazionale risulta centrale nella ricostruzione delle origini del conflitto in quanto la città di Srebrenica ed i suoi dintorni, da area prevalentemente   agricola,   aveva   conosciuto   un'importante   industrializzazione grazie alla presenza di miniere di bauxite che rappresentavano la principale risorsa economica nonché la principale fonte di lavoro. Essere esclusi da questi posti di lavoro, per nuclei familiari che avevano ormai abbandonato la coltivazione della terra, significava perdere la possibilità di avere un reddito rimanendo nella zona.  Secondo i dati del censimento del 1991 la città di Srebrenica era composta da una popolazione di circa 9.000 abitanti (37.000 in tutta la municipalità) la cui appartenenza   etnica   era   mista   e   vedeva,   infatti,   il   73%   della   popolazione dichiararsi bosniaco­musulmana e il 25% serbo­bosniaca2. Il 9 Gennaio 1992 venne proclamata   la   Regione   autonoma   serba   di   Birač,   un   fantoccio   amministrativo, parallelo a quello ufficiale, il cui obiettivo era quello di difendere gli interessi della comunità serba del territorio. Al suo interno si trovava anche la municipalità di Srebrenica insieme a quelle di Šekovići, Vlasenica, Bratunac e Zvornik. Il carattere offensivo di questa nuova entità fu presto palese, in quanto alla sua creazione seguì l'arrivo nell'area di gruppi paramilitari serbi, quali le Aquile Bianche e la Guardia Volontaria Serba, chiamati per distribuire armamenti e addestrare la popolazione in vista di un imminente, secondo quanto voleva la propaganda serba del tempo, attacco   da   parte   musulmana.   La   risposta   bosniaca   a   questi   primi   segnali   di

1 Trial Chamber Judgment, p.1.

2 A/54/549, Report of the Secretary-General pursuant to General Assembly resolution 53/35, Srebrenica prior to the safe area resolution, para 33.

mobilitazione appare confusa, gli stessi vertici dell'SDA3  locale risultano divisi sul come affrontare la situazione. Il 29 Gennaio 1992 ebbe luogo un incontro dell’SDA di Srebrenica ma al suo interno venne messa a tacere ogni discussione sul come procurarsi le armi e distribuirle sul territorio, prevalendo ancora la convinzione di poter  arrivare  ad  una   soluzione   pacifica  delle  tensioni.   La  questione  fu  ripresa all'incontro   tenutosi   a   Febbraio   a   Liješće,   dove   si   formarono   due   schieramenti opposti fra coloro che non credevano fosse necessario armarsi e che una guerra non sarebbe scoppiata nel breve periodo e chi rivendicava il diritto di possedere armi in una fase di evidente tensione. Con il passare dei mesi si moltiplicarono i casi di licenziamenti di massa per motivi etnici4 e ogni disputa, anche se minima, veniva ricollegata all’aggravarsi delle relazioni interetniche. All’interno di questo clima si svolse il 29 Febbraio e il 1 Marzo il referendum per l’indipendenza della Bosnia ed Herzegovina, che vide nella regione di Srebrenica la partecipazione di circa 19.975 votanti   di   cui   19.959   votarono   a   favore   dell’indipendenza   mostrando   come   la comunità bosniaco­musulmana fosse compattamente a favore di una BiH fuori dalla Jugoslavia.   La   componente   serba   della   regione   seguì   le   indicazioni dell'autoproclamatosi governo della Republika Srpska e boicottò in massa il voto, non riconoscendo poi l'esito della consultazione. 

E’ necessario attendere l'8 Aprile 1992 affinché i membri dell'amministrazione locale   arrivino   a   ratificare   un   primo   provvedimento   che   prendesse   atto   della condizione di conflitto nella regione: in tale data il National Defence Council emana l’ordine   di   formare  police   war   stations  in   sei   municipalità   ­   Sućeska,   Potočari, Skelani, Sase e Osat ­ secondo quanto previsto dalle indicazioni del ministero degli interni   della   BiH.   La   creazione   di   questi   organismi   statali   fu   promossa   dalla componente bosniaco­musulmana che si adoperò per darle concretezza, ma non fu lo stesso per la fazione serba che ne boicottò la formazione. Il carattere interetnico dello strumento era così minato, rendendo vano il suo obiettivo di mediazione fra

3 Partito d'Azione Democratica, a maggioranza bosgnacca, fondato nel 1990 da Alija Izetbegović,

Muhamed Filipović e Fikret Abdić, alla caduta del regime comunista di Tito. L'SDA è stato fondato come un "party of Muslim cultural-historic circle". Nonostante abbia una base di riferimento prevalentemente musulmana, il partito ha rifuggito discorsi nazionalistici o religiosi in nome di un programma volto al multiculturalismo.

4 Sessanta tre bosniaco-musulmani licenziati fra il Gennaio e il Febbraio 1992 nella Magnetiz Mine; decine di licenziamenti nella Building Company Neimarstvo; Per approfondire sui conflitti etnici all’interno del tessuto aziendale dell’area vd. Ex. P564, B. Ibišević, Srebrenica (1987-1992).

le parti attraverso uno sforzo unitario di una risoluzione della crisi. Durante lo stesso incontro dell'8 Aprile Milenko Čanić, prese parola per l'SDS5, per elencare i nomi di coloro che erano autorizzati a chiamare gruppi paramilitari dalla Serbia in soccorso alla popolazione serba della municipalità di Srebrenica nel momento in cui   questa   fosse   stata   in   pericolo.   L'avvertimento   era   chiaro,   con   le   parole   di Ibišević,  «five Serbs held the keys to war or peace in our municipality»6.  Il 10 di Aprile ha inizio l'isolamento dell'area: le trasmissioni televisive vennero interrotte dopo che un  gruppo di  estremisti serbi  fecero esplodere  le  antenne situate sul monte Kravac; allo stesso modo era stato sabotato l’impianto idrico, lasciando la città isolata e senza acqua corrente. Questo stato di tensione spinse una larga parte della popolazione a lasciare i propri villaggi ancor prima dell'inizio effettivo del conflitto,   spinta   a   credere   dalla   macchina   di   propaganda   serba   di   essere concretamente minacciata da un imminente attacco musulmano. Venuto meno ogni collegamento con l'esterno il monopolio sull'informazione permise alla propaganda volta a creare panico di avere la meglio, convincendo da un lato i civili di etnia serba a fuggire in Serbia o allontanarsi dall’area e dall'altro palesava alla dirigenza bosgnacca l'imminenza dello scoppio di un conflitto. L'efficacia di questa opera di creazione di panico ebbe fin da subito un impatto concreto. Il risultato fu che già a partire   da   Marzo   1992,   sono   testimoniate   partenze   di   serbo­bosniaci   da Srebrenica7.   Sempre   Ibišević  descrive   le   code   di   veicoli,   trattori   e   macchinari agricoli che sulla strada fra Bratunac e Fakovići si dirigevano in Serbia e, non nascondendo il suo stupore di fronte all'ampiezza del fenomeno, racconta di aver chiesto   delucidazioni   al   capo   dell’SDS   di   Fakovići   ne   riporta   la   sua   risposta: «Somebody told the people the war was coming and they are moving the vehicles and the machinery to Serbia for safekeeping, until things get better»8. Dall'altra parte coloro che rimangono si adoperano per strutturare delle village guard e per costruire barricate all'ingresso dei villaggi, mentre la situazione era degenerata in fretta dando luogo ai primi scontri a fuoco.  

5 Partito Democratico Serbo fondato da Karadzić, partito d'impianto fortemente nazionalista che si pone l'obiettivo di difendere gli interessi della comunità serba in Bosnia e Herzegovina. Promotore della creazione dell'entità statale autonoma della Republika Srpska, che avrebbe dovuto entrare a far parte del progetto di espansione territoriale fondato sulla costruzione della Grande Serbia.

6 Ex. P564, B. Ibišević, Srebrenica (1987-1992), p.118. 7 Testimonianza di Edina Karić, 14.09.2005, 10980. 8 Ex. P564, B. Ibišević, Srebrenica (1987-1992), p.177

La   cittadinanza   serbo­bosniaca   fu   supportata   e   rifornita   ben   presto   dall'ex esercito federale jugoslavo.  Il  Federal Defence Minister  Veliko Kadijević, parlando all'interno delle sue memorie del ruolo dell'esercito federale Jugoslavo nel conflitto degli anni '90 ha sottolineato come un esercito in quanto tale non può esistere senza un definito Stato di riferimento, allo scioglimento della Jugoslavia, dunque, anche il JNA ha dovuto operare tale scelta. L'esercito federale era caratterizzato da una composizione multietnica, la quale, però, veniva meno salendo di grado; allo scoppio delle ostilità la maggioranza degli ufficiali in carica erano, infatti, di etnia serba   oltre   al   fatto   che   il   progetto   politico   di   Milošević  era   l'unico   a   porsi   in continuità   con   il   regime   precedente   e   a   presentarsi   come   suo   erede.   Il   JNA   si trasformò, dunque, presto  in un  esercito Serbo. Non sorprende di  conseguenza vedere come, già a partire dall’autunno del ’91, fosse iniziata la redistribuzione degli   armamenti   e   il   loro   riposizionamento   nelle   aree   croate   e   bosniache   di interesse strategico per il progetto di riunificare i territori a maggioranza serba sotto un'unica entità statale. Proprio le forze del JNA, principalmente le unità che si erano mosse dalla vicina Croazia e che furono prontamente reimpiegate nella zona di Podrinje, diedero inizio all'offensiva in Bosnia e Herzegovina: fra il 27 marzo e l'11 Aprile 1992 riuscirono a prendere con la forza le città di Zvonik e Skelani e così a creare un corridoio  che permetteva di congiungere Serbia e Croazia attraverso il territorio bosniaco.  Il fronte musulmano rimase nel frattempo immobile, le persone con più alto livello   di   istruzione   (ad   esempio   medici   e   avvocati)   e   le   figure   politiche   e dell'amministrazione della città fuggirono molto presto da Srebrenica senza aver provveduto   prima   a   mettere   in   atto   alcun   piano   di   difesa   o   di preparazione/addestramento della popolazione, che di lì a poco si sarebbe dovuta confrontare   con   un   conflitto   aperto.  Il   14   Aprile   si   svolse   l'ultima   assemblea municipale di Srebrenica durante la quale i rappresentanti del SDS e del SDA si accordarono   all’unanimità   su   una   divisione   territoriale   della   città   sulla   base dell'appartenenza   etnica,   unica   soluzione   questa,   pensata   come   strumento temporaneo, per sedare la crisi in atto. La stessa popolazione bosniaco­musulmana risultava   essere   aperta   nei   confronti   di   questa   soluzione   vedendola   come   una concessione   necessaria   in   cambio   di   una   risoluzione   pacifica   delle   tensioni.

L'accordo,   però,   ebbe   vita   breve:   la  Commition   for   the   implementation   of   the Decision on the territorial division along ethnic lines si riunì in una sola occasione il giorno successivo per poi abbandonare i lavori per l’impossibilità di trovare un accordo su un piano divisione concreta che non prevedesse una forzatura da parte di   una   delle   fazioni.   Così   il   17   di   Aprile   una   delegazione   degli   unici   membri dell'SDA   di   Srebrenica   rimasti   in   città   fu   convocata   a   Bratunac,   dopo   che   la delegazione serba si era rifiutata di effettuare l’incontro a Srebrenica per motivi di sicurezza, presso l'Hotel Fontana. I rappresentanti della città, una volta entrati a Bratunac, la trovarono invasa da truppe paramilitari serbe, che la mattina stessa avevano imposto la resa al Public Security Service di Bratunac. Durante l’incontro i rappresentanti   del   SDS   di   Bratunac   erano   affiancati   dal   comandante   dell’unità speciale Yellow Ants, dal comandante delle White Eagles e dal comandante delle Arkan’s Tigers. L’incontro si risolse brevemente con l’imposizione da parte serba di un ultimatum di 24 ore per deporre le armi e lasciare volontariamente Srebrenica. La forzatura venne prontamente comunicata e ancora un volta il panico si diffuse in città incrementando i preparativi per organizzare le partenze. Le stesse autorità cittadine   e   i   membri   dell'SDA   rimasti,   essendo   consapevoli   della   superiorità d’armamenti serba, non opposero resistenza e organizzarono in prima persona la raccolta delle armi fra la propria gente: in particolare richiesero a Meholjić e Ustić, a capo degli unici gruppi di difesa organizzati in quel momento, formati da circa un centinaio  di  giovani  di  Srebrenica,  di  deporre  le  armi  in  segno  di  resa.  Questi ultimi, rifiutatisi di cedere alla minaccia serba decisero di rifugiarsi nei vicini boschi con le armi che erano riusciti a raccogliere in attesa del momento propizio per una controffensiva.   Nel   frattempo   le   principali   autorità   municipali   quali   Ibišević, presidente dell'assemblea municipale, Mustafić, segretario municipale, e Salimović, segretario economico, si rifugiarono a Tuzla. Prima ancora dell'attacco serbo la popolazione   di   Srebrenica,   si   era   drasticamente   ridotta   fino   ad   arrivare   a   400 individui. Il giorno successivo iniziarono i bombardamenti e le operazioni per la presa della città; la caduta fu immediata e portò con sé la distruzione di una parte dell'abitato nonché l'uccisione di alcuni bosniaci­musulmani rimasti.

Il Maggio del 1992 fu un mese di terrore e di pulizia etnica nella zona: le forze armate serbe alla fine del mese avrebbero occupato circa il 60% del territorio della

BiH. Gli attacchi che si susseguirono nell'area seguivano uno schema prestabilito: si creavano   in   primo   luogo   dei   blocchi   che   impedivano   la   mobilità   nelle   vie   di comunicazione fra la città assediata e l'esterno, gli abitanti dei villaggi di etnia serba   venivano   avvertiti   di   lasciare   l’aerea   e   subito   dopo   avevano   inizio bombardamenti contro la popolazione civile rimasta. Dopo aver generato un clima di   terrore   si   procedeva   all’occupazione   vera   a   propria   ad   opera   di   squadre paramilitari9, le quali avevano il compito di mettere in pratica la pulizia etnica. La loro azione oltre a minimizzare la  presenza musulmana  sul  territorio  era volta inoltre a minarne le fondamenta: le prime vittime erano, di norma, le personalità di spicco   politiche   e   religiose,   così   da   eliminare   i   punti   di   riferimento   e   rendere complesso   per   i   superstiti   riorganizzarsi   in   società.   Questo   tipo   di   azioni   non devono   essere   pensate   come   efferatezze   incontrollate,   comuni   in   contesti   di conflitto, ma come operazioni fortemente organizzate e pianificate che costituivano una parte integrante della strategia militare serba. 

Una   rapida   cronologia   delle   incursioni   del   periodo   rende   evidente   la riproposizione di uno schema nelle aggressioni alle varie comunità. Il 3 Maggio il villaggio   di   Hranča   fu   ispezionato   da   formazioni   serbe   alla   ricerca   di   armi, all'ispezione seguirono l'uccisione di quattro abitanti, l'arresto di altri nove di cui si perse successivamente ogni traccia e la messa a fuoco di 43 abitazioni di proprietari musulmani10. A seguito dell'attacco buona parte della popolazione si rifugiò nei boschi   circostanti   dove   allestirono   accampamenti   di   fortuna   o   nei   villaggi   di Potočari e Tuzla. Il 6 Maggio la stessa sorte toccò a Blječevo. Mentre venivano portate   avanti   queste   operazioni   iniziarono   ad   attivarsi   sporadiche   forme   di resistenza   bosniaca­musulmana   sul   territorio.   Coloro   che   si   erano   rifugiati   nei boschi con le armi si organizzarono in gruppi armati che attaccavano sfruttando il fattore sorpresa, attraverso imboscate rivolte a infliggere perdite mirate secondo lo schema classico della strategia di guerriglia. Proprio in una di queste incursioni l'8 Maggio 1992 rimase ucciso Zekić, uomo a capo del SDS di Srebrenica. Tale perdita dà avvio ad un esodo dei dirigenti serbi verso Bratunac, permettendo a breve il reingresso  delle  milizie  bosniaco­musulmane  nella  città   di  Srebrenica.   Il  giorno

9 Leggi del Luglio e del Dicembre 1991 includevano i paramilitari fra le fila del JNA accordandogli status regolamentare il che permetteva di conferire tutti i benefits.

successivo le forze serbe si ritirarono verso Sase, permettendo ai civili di rientrare in una città devastata e ancora tagliata fuori dalle vie di comunicazione. 

Se da un lato venivano inflitte delle perdite, dall'altro gli attacchi non cessarono di essere sistematici.  Il peggior eccidio nella regione ebbe luogo in quello stesso periodo,   il   9­10   Maggio,   a   Glogova,   villaggio   maggiormente   popolato   della municipalità di Bratunac: la piazza del mercato dove la popolazione che si era arresa era stata radunata, si trasformò nel palcoscenico di un esecuzione di massa. Lo   stesso   10   Maggio   furono   eseguiti   raid   a   Srebrenica,   Suha,   Burnice,   Selišta, Ravni,   Mihaljevići,   Krasanovići,   Krasanpolje   e   altri   villaggi   con   lo   scopo   di raccogliere la popolazione bosgnacca per trasferirla massicciamente concretizzando il progetto di “pulizia” dell'area. Venivano, infatti, individuati dei punti di raccolta dove donne e bambini venivano separati dagli uomini, i quali entravano in strutture detentive dove erano condannati a subire torture e ad essere lasciati senza cibo né acqua   per   giorni.   Le   donne,   i   bambini   e   gli   anziani   insieme   ai   sopravvissuti venivano poi trasferiti tramite camion e bus in luoghi di detenzione quali Pale e Kladanj.   La   stessa   procedura,   raid   nei   villaggi,   raccolta   della   popolazione   e trasferimento,   fu   utilizzata   nei   giorni   successivi   nei   villaggi   intorno   Skelani portando alla cattura di 1339 persone11. La strategia d’azione delle truppe serbe rimaneva,   dunque,   sostanzialmente   invariata:   i   soldati   serbi   e   i   paramilitari circondavano il villaggio a prevalenza musulmana, chiedevano la resa e la consegna delle armi e iniziavano indiscriminati bombardamenti e sparatorie. Chi non veniva ucciso nell'attacco doveva essere trasferito. Durante la fine del mese le violenze si spostarono nei villaggi dei dintorni di Vlasenica, dove venne istituito il tristemente noto campo di Sušica.  L'impatto di queste incursioni diffuse fu devastante per la popolazione dell'area. Folle di rifugiati, il cui numero oscilla intorno alle 70.000 persone nel biennio 92­ 9312, nel particolare le stime sul numero di rifugiati accorsi a Srebrenica parlano di 40.000 persone arrivate nell’enclave al Dicembre 1992, per salire fino ad 80.000 nel  Marzo 199313. Questi sono gli  impressionanti  numeri di  quanti  si  diressero verso Srebrenica e i suoi boschi in cerca di protezione, ma la città non possedeva né

11 N.Orić, Testifies and Accuses, Genocide of Bosniak in East Bosnia, p.29. 12 Ibidem, p.76.

le   strutture   per   ospitarli   né   cibo   a   sufficienza   per   sfamare   tutti   coloro   che continuavano ad arrivare. Se in un primo momento era sostenibile razionalizzare il cibo   e   condividere   le   abitazioni   col   sostegno   degli   abitanti   rimasti,   l'incessante flusso di nuovi arrivati rese la mera sussistenza un obiettivo al di là delle possibilità della città e dei suoi abitanti14. Molti furono costretti, dunque, ad avventurarsi oltre le linee del fronte verso i villaggi serbi, scelta che per molti fu fatale. Uscire dai confini di Srebrenica per avventurarsi in cerca di cibo nei villaggi occupati dalle forze serbe si trasformò spesso in una mattanza: comune era, infatti, la pratica di