Districarsi nel mezzo di una mobilitazione popolare che vedeva una partecipazione alla violenza diffusa, all'interno di una catastrofe umanitaria che spingeva molti ad atti al di là della ragionevolezza e degli schemi di obbedienza, rappresentava una sfida per dei giudici che, come abbiamo visto, avevano per la maggior parte una conoscenza limitata dei fatti. Come distinguere le azioni compiute da civili disperati alla ricerca di cibo, da quelle compiute da forze armate alla ricerca di munizioni; come separare capi famiglia che difendevano il proprio bestiame, da convinti militanti che credevano nella necessità dell'espulsione di tutti i musulmani dalla regione? Lo strumento principe del Tribunale Internazionale era rappresentato dalle testimonianze, attraverso le quali le parti dovevano far emergere i fatti e confermare quanto contenuto all'interno della documentazione da esse presentata. Il processo contro Naser Orić fu attraversato da ben 79 testimoni, di cui 50 chiamati dall’accusa e 29 dalla difesa. Gli abitanti dei villaggi
serbi attaccati rappresentano la categoria maggiormente interpellata, in quanto funzionali per l’accusa al fine di confermare l'immagine di una popolazione serbo bosniaca quale comunità rurale dedita ai propri affari improvvisamente attaccata senza ragione apparente. Dimostrare l'assenza di un'organizzazione militare in villaggi prevalentemente dediti all'agricoltura e altre pratiche di sussistenza diviene centrale nella fase di presentazione delle prove. Le testimonianze sono volte a determinare l'entità dei danni alle proprietà e ai beni appartenenti alla popolazione, che si vuole dimostrare essere formata da civili inermi. Il focus rimane quello, nella fase interrogatoria dell'accusa, delle ore dell'attacco e dei suoi effetti, lasciando alla difesa e alla Corte il ruolo di ampliare la visuale. Proprio la difesa presenta durante i controinterrogatori la documentazione dei mobilitati e salariati dell'esercito serbobosniaco, attraverso la quale cerca di dimostrare una composizione della popolazione alquanto differente. I soggetti interrogati tendono per tutto il procedimento a minimizzare il ruolo delle village guard e il proprio nella difesa dei villaggi, mentre questi elenchi presentano spesso una loro mobilitazione di massa e riconosciuta all'interno dell'organizzazione militare statale. I testimoni, posti di fronte a documentazione che presentava una ricostruzione dei fatti antitetica alla propria, non mancarono di eludere domande dirette, di negare apertamente i fatti o di proporre alla Corte un piano di innocenza collettiva rispetto alla propria comunità. Non rare sono, di conseguenza, le reazioni di disappunto da parte della Corte, critica nei confronti di questo rallentamento forzato dei lavori. Il giudice Agius, in qualità di Presidente, è portato in diverse occasioni ad intervenire per sbloccare la situazione; durante il controinterrogatorio di Dragan Djurić, ad esempio, evidentemente alterato dall'atteggiamento del testimone, interviene sostenendo che:
«JUDGE AGIUS: I just wonder why have you been beating around the bush trying to evade answering questions that are related or trying to prove that you were a member of the armed forces of Republika Srpska or the Bosnian Serb Army? What are you afraid of? Other Serbs who were in that army are probably proud to have been in that army. Why are you so reticent? Why are you not even trying to admit that you were part of that army? What are you ashamed of or afraid of?»70.
Ammettere il ruolo effettivo delle forze armate serbe negli attacchi o la presenza di una mobilitazione sproporzionata nei confronti della minaccia effettiva, avrebbe minato la ricostruzione degli eventi che la popolazione stessa aveva costruito. Ciò che emerge faticosamente dall'accumularsi di queste testimonianze è un tipo di mobilitazione collettiva della popolazione rimasta nei villaggi dopo che la maggior parte delle donne e dei bambini erano fuggiti in Serbia. Questo tipo di mobilitazione si basava su un forte legame comunitario che in quanto tale portava alla contrapposizione netta fra un noi e un loro i cui interessi sono inconciliabili e le cui sofferenze sono imparagonabili. Da questo presupposto origina quell'amnesia collettiva riguardo la cacciata di musulmani dai villaggi un tempo misti dell'area. Secondo questa rilettura dei fatti, viene ripetuto insistentemente, la comunità musulmana ha deciso volontariamente di trasferirsi o non è mai stata presente o se c'è stata era composta da un numero irrilevante di persone. Di intimidazioni, di clima di tensione si parla poco; tutto è accaduto all'improvviso e i primi ad attaccare sono stati gli altri. Molti, d'altra parte, si rifugiarono dietro il fatto di non occuparsi di questioni politiche e di conseguenza di essere poco informati di quanto accadeva al di fuori della loro proprietà, altri dichiarorono di non aver sentito nulla o aver avuto solamente notizie confuse. Schietta la dichiarazione in questo senso di Slavka Matić, che interpellata direttamente sulla cacciata dei musulmani dal proprio villaggio risponde: Q. Thank you very much. Are you aware of the fact that 11 of your neighbours from Skela, which you referred to, disappeared in the camp at Sase in April and May 1992? A. I know that people from both sides were lost or disappeared, but I don't know their names. It's not something that I spend a great deal of time thinking about. Q. Mrs. Matic, let me put it this way: Is it true that all those Muslims were expelled, driven out, with nothing more than plastic bags in their hands in May 1992? A. Why are you asking me that, madam? I was not a military person. I was not interested in that. I had my own household to take care of. I had my own family. Q. Therefore, it's not true, what you said about the Muslims leaving peacefully. So that's the reason I'm asking you this. It's not true that they left their houses and homes peacefully in May 1992. A. Like I said, I don't know what the reason was for them leaving. I just wasn't there, and I didn't spend any time with those people. They passed my house on the way. Some of the women that I was in touch with on that day, they said they were scared.
I had no idea what they were scared of71.
Altro pilastro di questa narrazione è l'affermazione della necessità di difendersi dall'altro, il quale rappresenta una minaccia per tutta la comunità. La legittima difesa in questo senso veniva valorizzata come necessaria, ma presentata prettamente come locale: per mantenere l'immagine di una comunità in armi l'ammissione della presenza di truppe paramilitari provenienti dalla Serbia diveniva un argomento molto sensibile . Il livello di negazionismo riguardo questo tema raggiunge tratti eclatanti: Slavoljub Filipović, interrogato sull'attacco di Bjelovac e in particolare sulla inspiegabilità, secondo la difesa, di un livello di distruzione delle proprietà così elevato seguito ad un confronto militare che si vuole esser stato fra due forze mal armate, non indietreggia rispetto alla sua interpretazione dei fatti neanche nel momento in cui è presentato in aula un video che mostra la presenza di mezzi aerei serbi il giorno dell'attacco. «JUDGE AGIUS: First she asked you whether you recall that on that day, the Serbian air force, or the army, through the Serbian plane, did intervene in the conflict, and you said no. And in fact, you showed that you were absolutely surprised, even at this being suggested to you. Now you have been shown a film in which it is being suggested to you that you should have been able to see aircraft, military aircraft, taking apart – taking part in an attack or whatever, and you're being asked questions in relation to what you have seen. And the first question was whether you recognise the area, and you said: "Yes, I recognise the area." The next question was in relation to the aircraft, and instead of explaining, you're just trying to counter Madam Vidovic in a way which is not legitimate and which I will not allow. So I invite you, please, to answer the question, and nothing but the question, in accordance with the oath that you took yesterday.
MS. VIDOVIC: Witness, the question was: Is it not true that there were aircraft targeting this area? A. Yes. [...] Q. I wanted to ask you, Mr. Filipovic, whether this bombing and shelling could have caused damage to people and property in Bjelovac on the 14th of December, 1992. A. No. Proprio riguardo la composizione delle forze serbe e delle discusse village guard la difesa presenta all'attenzione della corte un'intervista rilasciata da parte di un volontario serbo al quotidiano Vranjski Novine, in cui quest'ultimo narra in prima 71 Trascrizioni, 30.11.2004, 2226-27.
persona le violente persecuzioni inflitte dalle forze serbe nella Bosnia Orientale e descrive la popolazione dei villaggi bosniacomusulmani come affamata e mal armata. Una delle questioni centrali dell'intero processo riemerge con forza in quanto tramite questa confessione si vuole palesare come coloro che l'accusa ha presentato come abitanti indifesi con l'evolversi del dibattimento, e grazie alle prove documentarie, si son rivelati in buona misura aver interiorizzato il messaggio nazionalista serbo e non avevano avuto scrupoli nell'utilizzare la loro superiorità militare contro la popolazione bosniaca grazie anche al supporto di volontari addestrati.
«The Prosecution don't seem to be aware that their witnesses have been consistently saying that there were merely village guards in these villages, that there was no VRS presence, there were no volunteers, that there was no necessity for attacking villages. They don't seem to be aware that their case, their whole case, is based on there being a Muslim army with a unified command structure and that unified command structure being under Naser Orić. [...]And that's why we're showing, in case the Prosecution hasn't realised this, that there were battalions of soldiers in these villages, that there was artillery, that there were volunteers who had committed terrible crimes and who were very dangerous, that there were minefields. That's the military necessity to attack because these murderous attacks had been carried out by Serbs from these places. So we turn to this article in which a volunteer based in Fakovici, a village named in our indictment and portrayed as a simple hillside, rustic community, according to the Prosecution, he's admitted to mass murder, 70 to 80 people on his own account, and thousands of others, killing women, killing people who were simply going for food, throwing their bodies into the Drina, that he's assisted by units from Bratunac, and that it wasn't a real Muslim army».
All'interno della confessione di trovano dichiarazioni di forte impatto, tanto da spingere il giornale ad avvertire i propri lettori del contenuto cruento delle scene descritte. Le dichiarazioni di Misić sono sconcertanti nella loro chiarezza e drammaticità; parlando del suo ruolo quale volontario nel corridoio fra Skelani e Bratunac, oltre ad elencare sgozzamenti ed efferatezze compiute sul campo, fornisce un quadro dei fatti in aperta contraddizione con quello presentato dall'accusa: «Frankly speaking, we had everything – food, weaponry and
ammunition. We fought against Muslims, poor and hungry lot. We guarded Serbian villages from their intrusion. They came to steal food – to be able to survive»72.
Il livello di negazionismo raggiunto da diversi soggetti chiamati a testimoniare in aula contro l'imputato è un tema che viene ampiamente dibattuto all'esterno dell'aula del Tribunale, ma che emerge al suo interno in maniera significativa in poche occasioni. In particolare associazioni di vittime si fanno promotrici di aperte critiche nei confronti della possibilità di dare peso ad informazioni fornite da personaggi che sono stati diretti perpetratori di violenze nell'area. Di particolare rilevanza è stata la tensione seguita alla testimonianza di Nikola Popović, accusato dalla difesa di aver preso parte in prima persona al massacro di Srebrenica dell'11 Luglio 1995. L'omissione delle colpe del testimone viene prima messa in luce attraverso la presentazione di documenti e poi riportata all'attenzione della Corte dalla difesa: «Finally, Mr. Nikolic, I put it to you that you didn't tell us I put it to you that you were in the 1st Infantry Battalion which was involved in mass killings in July 1995, but that you've denied this and you've exaggerated your mistreatment in Srebrenica to ease your conscience about the killings in which you were involved in 1995. That's my suggestion to you. In Kravica»73.
Venute fuori queste eclatanti prove, all'interno di una discussione in cui si fa sempre più evidente l'eco dei fatti del '95, l'imputato stesso indignato si alza e prende parola non autorizzato per la prima volta in tutta la durata del procedimento giudiziario, criticando la presenza di un assassino all'interno del Tribunale. La reazione della corte è immediata: l'accusato viene prontamente bloccato dal Presidente, il quale, inoltre, dà mandato di non riportare le dichiarazioni di Naser Orić all'interno delle trascrizioni della seduta. Mr. Jones prende la parola per spiegare le motivazioni che hanno condotto la stessa difesa a mettere in dubbio la legittimità del portare in aula personaggi il cui coinvolgimento in fatti di violenza nella regione è conclamata, ma anch'esso viene interrotto dal giudice Agius:
72 I keep dreaming about snakes drinking blood, Vranjske Novine. 73 Trascrizioni, 07.12.2004, 2730.
«MR. JONES: In interest Your Honours have referred in the past to the interests of truth and reconciliation of this Tribunal. If the Prosecution in one case says, Yes, Nikola Popovic was involved in killings; in another case they say, no, he's a perfectly decent, truthful witness; in another case they say. JUDGE AGIUS: Sorry, you're mixing things up. What the Prosecution said in the Momir Nikolic case is that they accepted the declaration of Momir Nikolic that these events happened on such and such a day, and that these or those persons were involved in those events. Punto basta, that's it. It starts from there and it finishes there»74. Jones tenta di tornare sulla questione che la testimonianza è volta al termine per chiarire quanto la presenza di perpetratori di violenza possa incidere sulla serenità del dibattimento, ma è ancora una volta fermato drasticamente dal giudice stesso. «MR. JONES: The second matter is simply that I would ask Your Honours to bear in mind that our client suffered a great deal during the war, and as a result of the 1995 genocide, lost a lot of family members and friends, and it's naturally a topic which is of great purport to him. JUDGE AGIUS: Yes. But he must exercise restrain. MR. JONES: Of course, Your Honour. JUDGE AGIUS: I am sure that you will speak to him like all lawyers do during the break. MR. JONES: Of course, Your Honours. I simply ask the Court to bear that in mind. JUDGE AGIUS: He must understand that I will not allow any nonsense. MR. JONES: Of course, indeed, Your Honour. JUDGE AGIUS: He's not the first one I've had to deal with, and I am sure that he will not be the last one either. But I MR. JONES: He's the first to have experienced a genocide. JUDGE AGIUS: To me it's almost a piece of cake, how to handle him. I'm making it very clear. 74 Trascrizioni, 10.12.2004.
MR. JONES: Of course, Your Honour.»
Gli abitanti dei villaggi serbi.
All'interno del suo testo dedicato all'analisi del processo contro Naser Orić Rafaelle Maison dedica ampio spazio al ruolo avuto dai testimoni provenienti dai villaggi serbi attaccati. Secondo la sua ricostruzione è possibile delineare una divisione generazionale all’interno di questo gruppo di testimoni: le nuove generazioni radicalizzate si contrappongono, a suo avviso, ad una vecchia generazione di provenienza prettamente rurale che conserva una visione della convivenza con la componenete musulmana della popolazione più edulcorata. Secondo la sua interpretazione le cosiddette nuove generazioni erano state inserite forzosamente in questo mondo rurale a loro estraneo quali strumenti per mettere in atto la purificazione etnica del territorio facente parte del piano espansionistico serbo volto alla creazione di una Grande Serbia75. Questa divisione generazionale si sarebbe tradotta, all’interno del processo, in una linea di demarcazione in aula fra una ricostruzione veritiera e una fortemente influenzata da riletture propagandistiche dei fatti. La sincerità che la Maison individua nei testimoni più anziani si scontra con l'incertezza con cui questi ultimi, prevalentemente analfabeti, si approcciano al momento giudiziario, non comprendendone a pieno le regole e la severità impostagli dalle parti. Non riescono, ad esempio, a rispettare i tempi di pausa fra un intervento e l’altro per permettere agli interpreti di tradurre simultaneamente; prendono parola senza aspettare indicazioni per esprimere immediatamente quello che pensano obbligando di frequente il presidente della Corte a sanzionare le loro dichiarazioni spontanee; danno del tu all’accusa e trattano con diffidenza se non ostilità la difesa. Inoltre le testimonianze rispecchiano le priorità della generazione da cui provengono e di conseguenza nel raccontare dal proprio punto di vista gli attacchi subiti non mancano mai riferimenti al proprio bestiame, principale fonte di sussistenza per queste famiglie. In molti raccontano di esser stati catturati proprio mentre cercavano di rientrare nella propria proprietà per sincerarsi della salute degli animali. Slavoljub Zikić, con
amara ironia, fa presente che: «I had a cow and a calf. I said a calf, but it was because of this calf that I was captured in the end. That's what I thought to myself. Well, I was at the riverbank, I saw the house burn and it didn't know how to cry. Because it was nearby, I was afraid that the fire would spread to my livestock. I tried to go back to see if the cowshed and the stable were still in place. They saw me and the whole thing actually happened because of this unfortunate cow»76.
Se in una prima fase del procedimento l'insistenza sulle sorti del bestiame era riconducibile anche ad un interesse dell'accusa, in quanto il bestiame rientrava nel novero dei presunti beni saccheggiati dalle forze bosniacomusulmane all'interno dell'indictment, quest'interesse svanì nel momento in cui la Corte, l'8 Giugno 2005, decretò che il crimine di saccheggio non poteva essere considerato una grave violazione del diritto internazionale, ed era inoltre stato giustificato dallo stato di necessità in cui si trovava la popolazione assediata di Srebrenica. Quanto brevemente elencato rese questa parte delle testimonianze estramamente lunga e spesso inconcludente rispetto agli obiettivi probativi che le stesse parti si erano poste. D'altra parte però è proprio da queste testimonianze che emerge il tema della passata armonia e del rapporto pacifico esistente con la popolazione di religione musulmana prima dello scoppio della guerra. Slavoljub Zikić nella sua testimonianza insiste sui legami di amicizia fra membri di etnie differenti all'interno di questi villaggi e ricorda come fosse usuale aiutarsi reciprocamente nel lavoro dei campi. Miljena Mitrović allo stesso tempo definisce Zulfo Tursunović, membro della resistenza di Srebrenica, come un buon uomo e narra come al momento dello scambio della donna, detenuta a Srebrenica, e di altri prigionieri: «Zulfo told us to send greetings to our Srebrenica, that Srebrenica, Skelani would again be mixed municipalities as they had been, and that they would have given us more food had it been available». E' all'interno della quotidianeità del lavoro nei campi che si era costruita una società etnicamente mista, ma unita dagli stessi valori e interessi.